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Alla luce delle considerazioni riportate, nella prima parte del lavoro sono stati
esaminati i principali filoni di studio inerenti i distretti industriali.
Nella seconda parte, l’attenzione è stata focalizzata sui processi di apertura
dei distretti industriali italiani con particolare riguardo alla formazione di cross-
border industrial district e cluster di sub-fornitura nell’area P.E.C.O.
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CAPITOLO I
I distretti industriali nella letteratura
Economico-Aziendale
1.1 Le economie esterne marshalliane
Le origini e la nascita del concetto di distretto possono esser fatte risalire ad
alcuni studi di Alfred Marshall compiuti all’ inizio del XX secolo.
Marshall, infatti, nelle sue opere “The Principles of Economics” ed “Industry
and Trade”, evidenziò come anche le piccole e medie imprese potessero ottenere
vantaggi competitivi se inserite in una opportuna rete di relazioni.
Marshall identificò, in particolare, nell’esistenza delle economie esterne
all’impresa, ma interne al distretto, le fondamenta della competitività dei sistemi
produttivi locali. Tali studi, dapprima ignorati, furono presi in considerazione, in
Italia, solo dopo la seconda guerra mondiale, quando si individuarono i vantaggi
dei distretti composti da piccole e medie imprese.
Dal punto di vista organizzativo, un distretto si presenta come una rete di
interdipendenze in cui ciascun elemento dipende da molti altri.
In altre parole, ciascuna lavorazione del ciclo produttivo dipende dalle altre
lavorazioni a monte e a valle e ciascuna professionalità specializzata dipende
dall’apporto delle altre professionalità disponibili.
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L’unità elementare dell’organizzazione distrettuale, che lega le imprese l’una
all’altra, in modo da rendere proficuo ed affidabile lo scambio e la divisione del
lavoro, è il mercato.
La libertà di trovare delle alternative cambiando in ogni momento fornitore o
cliente, permette il funzionamento del rapporto tra le parti, dato che non ci sono
alternative più convenienti a disposizione.
Nel delineare le dinamiche localizzative, si ritiene sia estremamente
importante identificare il contesto in cui l’impresa opera, o più esattamente la
griglia dei vincoli e delle opportunità da cui l’impresa è influenzata e che può, a
sua volta, influenzare (Ugolini, 1995).
L’impresa, infatti, viene generalmente rappresentata al centro di un contesto
economico particolare (mercato), inserito in un più vasto sistema ambientale
1
.
Le caratteristiche distintive connotanti un distretto, possono essere ricondotte:
9 alla concentrazione geografica delle imprese in un territorio delimitato;
9 alla presenza di un tessuto imprenditoriale costituito da una popolazione di
piccole e medie imprese impegnate su specifiche lavorazioni di fase e
collegate ad altre imprese dell’area, con un determinato orientamento
produttivo che spesso si estrinseca nella realizzazione di un certo prodotto,
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Nella sua più ampia accezione, l’ambiente è l’insieme degli elementi che costituiscono la
cornice, l’ambito della vita dell’impresa, determinandone alcune condizioni essenziali. Esso può
essere, in particolare, definito su due livelli: ambiente socio-culturale ed ambiente competitivo.
Il primo è costituito dalle istituzioni, dai valori, dalla cultura, dalle tradizioni di una società civile;
mentre è nel secondo che l’impresa verifica la validità delle proprie scelte, in un confronto
continuo con quelle poste in atto dai rispettivi concorrenti.
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tipico del territorio, con modalità realizzative scomponibili e quindi
parcellizzabili;
9 alla presenza di una comunità sociale con sistema omogeneo di valori in
termini di etica del lavoro e delle attività, della famiglia, della reciprocità e
di condivisione che permette l’instaurarsi di un’atmosfera distrettuale;
9 alla presenza di fitte e peculiari relazioni tra impresa ed impresa e tra
impresa ed attori sociali;
9 al ruolo attivo dei soggetti istituzionali dell’area con un contributo che si
estrinseca attraverso l’erogazione di servizi, la predisposizione di
infrastrutture, la realizzazione di iniziative formative e per lo sviluppo
imprenditoriale (Borghesi, Stagno, 2002).
Una ricorrente classificazione, presente in letteratura, discrimina i benefici
derivanti dall’appartenenza al distretto, a seconda che questi siano vantaggi di
costo o vantaggi non direttamente di costo (Visconti, Sanguigni, Lanza, 1999).
Secondo Visconti, Sanguigni e Lanza (1999), tra i primi sarebbe possibile
annoverare le economie di scala e di apprendimento e i costi transazionali
contenuti tipicamente dai sistemi di produzione locale; rientrerebbero nella
seconda categoria, invece, le opportunità connesse alla formazione e sviluppo di
imprenditorialità, ad un ambiente competitivo dinamico e flessibile, alle migliori
capacità di adattamento alle pressioni esterne, fino alla possibilità di usufruire di
servizi esterni specializzati, alla minore importanza del prezzo rispetto alla qualità
e al maggiore livello di affidabilità della prestazione.
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L’aggregazione spaziale di numerose imprese, determinando economie
esterne, genera vantaggi quali riduzione dei costi di produzione e di transazione,
attivazione di dinamiche innovative di tipo incrementale, circolazione rapida delle
idee e delle informazioni a livello orizzontale e interazione tra attori verticalmente
compenetrati, che può condurre a soluzioni innovative incrementali di prodotto o
di processo (Ferrucci, 1999).
La libertà di trovare delle alternative, cambiando in ogni momento fornitore o
cliente, funziona come un calmiere che riduce le pretese delle due parti entro i
limiti della reciproca convivenza. Ed è in questo contesto, che si nascondono le
varie dinamiche distrettuali in cui la logica della cooperazione è pervasa da
un’attenzione ai soggetti piuttosto che all’oggetto della transazione, da una
costante reciprocità degli impegni assunti dalle varie parti e dalla presenza di
meccanismi di coordinamento specifici e di legami impliciti che travalicano gli
aspetti formali (Borghesi, Stagno, 2002).
Il tentativo di comprendere le dinamiche che hanno condotto al diffondersi
del fenomeno distrettuale trova un’importante chiave di lettura nelle analisi dei
fattori di competitività di cui le imprese possono godere nell’essere porzione di un
sistema locale, piuttosto che unità isolate e disgiunte.
La competitività di ogni impresa distrettuale non dipende solo da decisioni
prese dalla singola impresa, ma anche dalle decisioni di altri componenti esterni
all’organizzazione, ma interni al sistema locale a cui l’impresa appartiene.
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A tale riguardo Becattini afferma “…ogni sistema di imprese …sprigiona
forze che, in generale, fanno diminuire i costi di produzione delle singole imprese
che ne fanno parte. Se così non fosse, le imprese tenderebbero a lungo andare, a
ricomporsi in altri sistemi” (Becattini, 1998)
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.
1.2 I paradigmi teorici interpretativi dei distretti
Lo studio dei distretti ha costituito in Italia un campo particolarmente ricco di
contributi, che nel fornire definizioni sempre più aggiornate, ha consentito di
descrivere in modo preciso ed inequivocabile il fenomeno oggetto d’analisi.
Gli esponenti dell’economia industriale hanno cercato di dare una spiegazione
al fenomeno della localizzazione produttiva definendo il distretto come un sistema
locale la cui struttura produttiva è costituita da un reticolo di connessioni tra
imprese manifatturiere specializzate, di modeste dimensioni, che prendano parte
ad uno stesso processo produttivo, collegato da industrie complementari e servizi
commerciali (Pilotti, 1998).
Uno dei contributi maggiormente significativi sullo studio dei distretti
industriali italiani è quello fornito nel 1989 da Becattini. Secondo Beccatini
(1989), il distretto industriale è identificabile come un entità socio-territoriale
caratterizzata dalla co-presenza attiva, in un’area territorialmente circoscritta,
storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di
imprese.
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Citato in Velo, Malocchi, (2002), “L’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese
nell’Europa Centro Orientale”, Giuffrè Editore, Milano
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Questa definizione sottolinea la natura complessa del distretto in cui si
sviluppa l’iterazione di componenti storico-sociologiche ed economico industriali.
Con riferimento alle complesse articolazioni degli studi sviluppati, nel corso
degli anni, sui distretti industriali, sembra possibile distinguere tra approcci
economico-industriali ed analisi aziendali, a seconda che l’oggetto d’indagine sia
il distretto come sistema, o l’impresa distrettuale singolarmente intesa.
L’approccio marshalliano è stato rivisitato da Becattini che ha focalizzato
l’attenzione sulle esternalità positive che si creano nei distretti, riferendosi ai
fattori che ne permettono l’analisi nei mercati a forte variabilità, per i quali è
decisiva la funzione-guida dell’impresa leader.
Seguendo il pensiero di Marshall, Krugman (1991) ha cercato di fornire una
spiegazione alla localizzazione della produzione industriale, identificando tre
ragioni alla base di tali scelte: in relazione al mercato del lavoro, ai fattori
produttivi intermedi ed alla tecnologia.
Gli sviluppi della riflessione di Krugman (1991) possono essere riassunti in
due punti principali, uno analitico, l’altro empirico. In primo luogo, i tre fattori
sopra menzionati rappresentano le forze chiave alla base dei processi di
clustering. In secondo luogo, il processo di clustering è presente, nei paesi
sviluppati, così come in quelli in via di sviluppo, sia in settori ad alto livello
tecnologico, sia in settori a basso livello tecnologico.
Nonostante ciò, l’analisi di Krugman rimane essenzialmente marshalliana, in
quanto le tre cause, citate in precedenza, alla base dei processi di clustering, sono