stagione storiografica ha stimolato inoltre uno sforzo di diffusione e
pubblicizzazione attraverso il web di fonti archivistiche inedite.
L’obiettivo della tesi è quello d’introdursi in questa nuova fase di
ricerca per analizzare in modo approfondito e sistematico, sotto una nuova
luce, alcuni aspetti della storia e delle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica, prendendo in esame il periodo che va dall’elezione del Presidente
americano, Ronald Reagan (1980), fino al Trattato INF (euromissili) di
Washington (1987). Oltre gli importanti riferimenti bibliografici cosiddetti
“classici” che caratterizzano l’aspetto storico-politico della relazione
bipolare durante la guerra fredda, la vera novità consiste nell’analisi
dettagliata di alcuni documenti e lettere (on-line), tempo addietro ritenuti
segreti mentre oggi declassificati grazie all’imponente lavoro degli studiosi
- storici e giornalisti - del National Security Archive (NSA) della George
Washington University
3
. La sua vasta raccolta di documenti pubblicati
copre gran parte degli argomenti di questo lavoro, sicuramente interessante
è il paragrafo dedicato al rapporto epistolare tra Reagan e Gorbaciov che
preannuncia alcuni aspetti in ordine a questioni di primaria importanza
come: le armi strategiche, lo «scudo spaziale»,
4
gli INF e le crisi regionali,
materie che costituiranno l’oggetto dei tre Summit successivi, anch’essi
ampiamente documentati con le fonti della Fondazione di Margaret
Thatcher che ospita sul sito web disparati documenti ufficiali provenienti
McMAHON, The study of American Foreign Relations: National history or international history?,
in M. HOGAN e T. PATERSON (a cura di), Explaning the history of American Foreign Relations,
Cambridge, Cambridge University Press, 1991, pp. 11-24.
3
Il suo scopo è quello di raccogliere, pubblicare e divulgare documenti provenienti dagli archivi
statunitensi, ottenuti attraverso il Freedom of Information Act (FOIA è la legge che regolamenta
l’accesso pubblico a documenti governativi ancora coperti da segreto) o il Mandatory
Declassification Review (garantisce agli studiosi la possibilità di chiedere una revisione della
classificazione di tutti i documenti coperti da segreto il cui grado di classificazione non sia stato
aggiornato negli ultimi tre anni).
4
SDI (Stretegic Defense Iniziative), vedasi in questa Tesi, parte prima, capitolo 3, p. 28.
3
dalla biblioteca presidenziale di Reagan. Quest’ultimi hanno reso possibile
realizzare l’analisi comparativa e in alcuni casi integrato, le fonti dell’NSA.
Tutto ciò non esaurisce l’aspetto documentale on-line ai fini della ricerca, in
quanto, contributi importanti derivano da altri progetti altrettanto noti, come
il Cold War International History Project (Cwihp), presso il Woodrow
Wilson Center di Washington creato nel 1991 per la traduzione e diffusione
di documenti provenienti dall’archivio dell’ex blocco sovietico e per la
rilevanza dei suoi working papers, un sito considerato come punto di
riferimento per tutti gli studiosi che si occupano di guerra fredda.
Fondamentale per la stesura del capitolo “Contro l’impero del male”, dove
vengono analizzati episodi che vedono coinvolti i servizi d’intelligence
delle due superpotenze, è stato ricorrere alla notevole attività di ricerca
promossa dal Parallel History Project on Nato and the Warsaw pact (Php)
con base a Zurigo e ad alcuni testi monografici depositati negli archivi della
CIA.
Si è ritenuto opportuno concludere la tesi col Trattato di Washington
per via della forte convinzione derivata dall’eccellente libro “Il secolo
breve” dove lo storico E. J. Hobsbawm afferma fra l’altro che: «La Guerra
fredda finì quando una o tutte e due le superpotenze riconobbero la sinistra
assurdità della corsa alle armi nucleari e quando una o entrambe accettarono
di credere nel sincero desiderio dell’altra di porvi fine». A fini pratici la
Guerra fredda finì con i due vertici di Reykjavik (1986) e di Washington
(1987)
5
.
5
ERIC J. HOBSBAWM, Il secolo breve. 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi. Milano, Rizzoli,
2005, pp. 294-295.
4
PARTE PRIMA
I. I RAPPORTI USA-URSS (1980-1985)
1. Il tramonto della «distensione».
La presidenza Reagan durò per due mandati consecutivi, dall’inizio
del 1981 all’inizio del 1989; due mandati nettamente distinti dal punto di
vista della politica internazionale: il primo dominato dall’impeto della
controffensiva di propaganda antisovietica posta in essere
dall’amministrazione americana, il secondo dominato dall’avvio del dialogo
che, dall’ascesa al potere di Andropov nell’Unione Sovietica sino a quella
di Gorbaciov, cambiò completamente la natura delle relazioni tra le
superpotenze.
Sin dai mesi della campagna elettorale, Reagan in qualità di leader
della destra repubblicana, aveva ribadito la necessità di sfuggire agli
inganni della distensione, impedendone lo sfruttamento a senso unico,
quello sovietico, e aveva fatto della presunta cedevolezza di Carter uno dei
propri cavalli di battaglia
6
. La politica estera della sua amministrazione
(caso Iran-Contra, Libano e Medio oriente, Panama, Filippine), così come
le scelte nel campo della politica economica interna («Reaganomics» o, più
scientificamente supply-side economics
7
, il deficit di bilancio), si trovarono
di fronte a numerose crisi e ad altrettanto numerose inversioni di rotta in cui
gli insuccessi venivano coperti o annullati dal fortissimo impegno
ideologico dell’anticomunismo del presidente che, sebbene non avesse mai
6
ENNIO DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999, Bari, Editori Laterza,
2003, pp. 1255-1256.
7
Per il fallimento della supply-side economics, vedasi la più convincente dimostrazione sostenuta
nel libro di DAVID A. STOCKMAN, The triumph of politics. How the Reagan revolution failed,
New York, Harper &Row, 1986.
5
ritenuto che la trasformazione dell’impero sovietico avrebbe condotto alla
rapida dissoluzione del sistema internazionale del socialismo reale e alla
modifica del profilo geopolitico europeo, riteneva tuttavia che la sua
presidenza potesse contribuire in maniera decisiva all’esito del confronto
quarantennale tra le due superpotenze. Come scrisse uno dei collaboratori
più vicini al presidente, il direttore della CIA, Robert Gates: «Reagan
praticamente da solo riteneva già nel 1981 che il sistema sovietico fosse
vulnerabile»
8
. Bisognava a tutti i costi cancellare l’onta dell’umiliazione,
generata da un senso di disfatta, d’impotenza e di ignominia che avevano
lacerato le istituzioni politiche americane negli anni ‘70
9
. In sostanza, ciò
significava, almeno all’inizio, un deciso rifiuto delle politiche della
“sovraestensione” dell’impegno americano nel mondo e quella della
distensione, già entrata in crisi alla metà degli anni Settanta. Infatti,
l’amministrazione Carter si trovò definitivamente di fronte a un rinnovato
espansionismo militare sovietico, soprattutto navale, con l’uso spesso di
forze cubane
10
in Africa (Angola, Mozambico, Etiopia) e una ripresa della
corsa agli armamenti con l’istallazione dei missili a gittata intermedia SS-
20 (capaci di colpire un bersaglio nel raggio di circa 5000 Km, operativi dal
1977) sul territorio del Patto di Varsavia, diretti manifestamente contro
l’Europa. Una vera e propria strategia difensiva e dissuasiva attuata con lo
scopo di accrescere l’immagine della deterrenza sovietica, contro la quale la
NATO non disponeva di difese efficaci né di armi equivalenti. Inoltre, è da
8
WARREN NORQUIST, How the United States won the cold war, in Intelligencer: Journal of
U.S. Intelligence Studies, wrinter/spring, 2004.
9
HOBSBAWM, Il secolo breve, op. cit., p. 292.
10
Recenti ricerche sulla base di alcuni documenti, hanno sostenuto che Cuba in Africa agì non
come surrogato di Mosca, ma spesso con un’agenda autonoma e non sempre coincidente con
quella sovietica.
6
considerare che l’URSS aveva raddoppiato, tra il 1960 e il 1980, la
percentuale del proprio prodotto interno lordo destinata alla difesa,
portandola dal 9 al 18%, mentre gli Stati Uniti l’avevano lasciata cadere
nello stesso periodo dal 10 al 4,8%
11
. Anche se aveva raggiunto l’acme
della sua potenza politica e militare l’Unione Sovietica comunque era in
fase di pronunciato declino: crisi di direzione politica per la presenza al
vertice dello Stato di una gerontocrazia logorata nella gestione dell’esistente
e incapace di politiche nuove. L’apparato militare era al massimo del suo
sviluppo, ma le risorse di cui poteva disporre avevano raggiunto il limite e
la lunga guerra in Afghanistan doveva logorarne i mezzi e appannarne
l’immagine tradizionale di potenza e di capacità strategica. L’economia era
in gravi difficoltà per il declino della crescita e delle disponibilità delle
materie prime
12
.
Alla fine degli anni Settanta intervennero nuovi elementi che
aggiungendosi al quadro delle incomprensioni esistenti, riportarono le
superpotenze verso un clima di contrapposizione. Il primo era caratterizzato
dalla questione degli “euromissili”: dopo le insistenti pressioni europee
soprattutto tedesche, in risposta all’istallazione degli SS-20 sovietici, con la
doppia decisione del Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa
NATO (11-14 dicembre 1979), venne riconosciuta la necessità di schierare
nuove forze di teatro e al tempo stesso di intraprendere negoziati per la loro
riduzione o eliminazione. Fu stabilito che sul territorio dei paesi NATO
venissero istallati diversi missili americani: 108 Pershing II e 464 Cruise
13
.
11
RINALDO PETRIGNANI, L’era americana. Gli Stati Uniti da Franklin D. Roosevelt a Gorge
W. Bush, Bologna, il Mulino, 2001, p. 311.
12
GIUSEPPE MAMMARELLA, Da Yalta alla perestrojka, Bari, Laterza, 1990, p. 116.
13
ARRIGO LEVI, Tra est e ovest. Cronache di un trentennio. 1960 - 1989, Milano, Rizzoli,
1989, p. 277, n. 1.
7
Il tutto avvenne nel contesto di un’incessante e agguerrita campagna
antinucleare e pacifista, spesso incoraggiata dalla propaganda sovietica.
Questo, sottopose i governi interessati ad un esame non facile che ruotava
intorno a delle decisioni che apparivano impopolari come tutte quelle di
carattere militare. La seconda, quella “afgana”: alla vigilia di natale del
1979 i sovietici invasero l’Afghanistan, azione, giustificata da Brežnev
come l’accoglimento di un appello lanciato dal governo di Kabul (peraltro
inesistente benché affidato a Babrak Karmal, il capo del partito comunista
gradualista, Parcham), sulla base dell’art. 51 della Carta dell’ONU, per
prevenire un’imminente aggressione di ribelli afgani appoggiati dal
Pakistan, dalla Cina e dalla CIA. Ciò, rappresentava il primo esempio di
impegno militare dichiarato di truppe fuori del perimetro tradizionale della
zona d’influenza dell’URSS. Il controllo dell’Afghanistan rispose, come
quello dell’Europa orientale, al principio della continuità degli spazi
contigui, sul quale si fonda l’invulnerabilità, politica prima che strategica,
del paese. In Europa esso fu visto prevalentemente come parte della politica
di rafforzamento delle posizioni sovietiche nelle zone adiacenti ai confini
dell’impero e come scudo per isolare le popolazioni dell’Asia centrale
sovietica dal contagio dell’integralismo islamico. Washington, più
allarmisticamente, l’aveva interpretata come parte della marcia di
avvicinamento dell’URSS alla zona economicamente e strategicamente
cruciale del Golfo e come l’ultimo episodio della politica di penetrazione
sovietica nel Medio oriente con l’apertura di uno sbocco sull’oceano
indiano. La reazione all’invasione fu inattesa e dura. Il 3 gennaio 1980 il
presidente Carter chiese al Senato di posporre indefinitamente la ratifica del
trattato SALT II, insieme ad una serie di altre misure restrittive.
8
Sicuramente, entrambe le crisi, furono aspetti di un aggiustamento politico
da parte delle superpotenze rispetto a un quadro esterno che tendeva a
modificarsi. Le vere ragioni di mutamento stavano altrove: negli elementi,
che mettevano in evidenza l’allargarsi del divario economico e tecnologico
e l’affiorare di una disuguaglianza strutturale tra Unione Sovietica e Stati
Uniti
14
. Inferiorità tecnologica e vulnerabilità influirono sul pensiero
sovietico come la ricchezza e il relativo isolamento su quello americano. La
paranoia dell’URSS era accresciuta dal non avere tra i suoi alleati alcuna
potenza nucleare indipendente o potenza industriale di eguale peso
15
.
Durante l’era reaganiana, la riconquista della superiorità militare divenne
l’obiettivo primario e condizionante di ogni altro ed era quindi prevedibile
che, fino a quando esso non fosse stato raggiunto, ogni iniziativa
diplomatica per un accordo politico o militare tra le due superpotenze
sarebbe inevitabilmente fallita. Si profilava, nei rapporti Est-Ovest, una
nuova fase di tensione per la quale la chiave di volta consistette soprattutto
in una serie di misure attive che avevano come obiettivo il rovesciamento
delle posizioni di potere acquisite dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati in
diversi scenari, in appoggio di tutte le forze che localmente si opponevano
alla loro penetrazione: dall’Afghanistan al Centro America e persino
all’Europa orientale. Con la «dottrina Reagan», come fu denominata, gli
Stati Uniti si riservarono il diritto di appoggiare i movimenti insurrezionali
che avessero preso le armi in qualsiasi paese contro dei regimi comunisti,
così come in passato l’URSS aveva fomentato le varie guerre di
14
ENNIO DI NOLFO, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale
nel XX secolo, Bari, Editori Laterza, 2002, p. 344, vedasi anche SILVIO FAGIOLO, La Russia di
Gorbaciov. Il nuovo corso della politica russa settanta anni dopo l’ottobre, Milano, Franco
Angeli, 1988, pp. 65-66.
15
S. FAGIOLO La Russia di Gorbaciov, op. cit., p. 149.
«liberazione nazionale» condotte nel Terzo Mondo contro dei governi
filoccidentali. Si rovesciavano i ruoli. Era l’America adesso che intendeva
promuovere attivamente la diffusione della democrazia e dei valori
democratici nel mondo, servendosi della ideologia dei diritti umani per
attaccare il comunismo
16
. Non vi è dubbio che la recrudescenza della
tensione tra i due stati fosse, oltre che nella realtà dei fatti di un sistema
della distensione costruito negli anni Settanta e andato in pezzi alla fine del
decennio, anche un segno retorico e linguistico del presidente americano
che proveniva dal conservatorismo populista della tradizione Goldwater
17
, -
il nemico dichiarato del big government - e che aveva fatto
dell’anticomunismo l’anello di congiunzione tra la sua carriera di attore e di
volto conservatore dello star system hollywoodiano e la sua carriera
politica.
16
GIUSEPPE MAMMARELLA, L’America di Reagan, Bari, Laterza, 1988, pp. 13-17.
17
Barry Morris Goldwater, uomo politico americano e membro del partito repubblicano. E’
unanimemente indicato come il padre della “Right Nation” americana, il movimento conservatore
che ha espresso la “rivoluzione conservatrice” degli anni ’80 durante la presidenza Reagan. Contro
il big government sosteneva: «… il vero male è che il governo è impegnato in attività nelle quali
non ha nessuna ragione d’immischiarsi […], bisogna che il governo cominci a ritirarsi da una serie
di attività che si trovano al di fuori del suo mandato costituzionale: dagli impegni di benessere
sociale, dell’educazione, dell’agricoltura […]. E’ soltanto attraverso questa specie di risoluti assalti
al principio di governo illimitato che il popolo americano potrà ottenere un sollievo dalle tasse
opprimenti, cominciando a progredire verso la ripresa della sua libertà…», in BARRY
GOLDWATER, Il vero conservatore, Roma, Edizioni Il Borghese, 1962, parti tratte dal capitolo
“Imposte e tasse”.
10
2. Contro l’impero del male.
Per il periodo preso in esame, nonostante sia molto recente dal punto
di vista storico, sono numerosi i documenti declassificati
18
che ad esso
fanno riferimento, anche se ovviamente il quadro che si può tracciare della
politica seguita dall’amministrazione Reagan non è completo e molti punti
potranno essere chiariti dagli storici nei prossimi decenni, quando maggiore
sarà la mole di documenti disponibile. Un aiuto in questo senso già viene
dagli archivi dell’est europeo: il crollo dei regimi di tipo sovietico ha reso
disponibile una quantità immensa di materiale che fa luce non solo sulla
storia di quegli stati, ma aiuta anche a comprendere il campo avverso, Stati
Uniti in primis.
Lo stile di Ronald Reagan e le strategie attuate specie in politica
internazionale ben s’inquadrano nella storia degli Stati Uniti a partire dalla
formulazione della dottrina del «destino manifesto» enunciata sotto la
presidenza del generale Grant (1869-1877). L’amministrazione Reagan,
infatti, non è stata né la prima né l’ultima presidenza statunitense nella
quale fondamentali siano state la componente religiosa e la visione
manichea di un mondo dove gli Stati Uniti, in quanto rappresentanti del
bene, hanno non solo il diritto storico, ma addirittura la missione morale di
18
I documenti ivi utilizzati e sintetizzati sono accessibili sui seguenti siti:
www.gwu.edu/~nsarchiv/ National Security Archive (Nsa) presso la Gorge Washington
University. Si tratta di un progetto di divulgazione di soli documenti statunitensi;
www.margaretthatcher.org; www.reaganfoundation.org; www.reagan.utexas.org; per accedere alla
biblioteca e documenti pubblici di Reagan e ad altro materiale relativo ai Summit oggetto della
Tesi; www.isn.ethz.ch/php/ Parallel History Project on Nato and the Warsaw Pact, con base a
Zurigo; http://cwihp.si.edu/ il Cold War International History Project (Cwihp), integrazione di
fonti e materiale provenienti dall’ex blocco comunista con quelli della storiografia occidentale;
www.fas.harvard.edu/~hpcws/ Harvard Project on Cold War Studies (Hpcws), filtro scientifico al
flusso dei documenti che provengono dagli archivi dell’ex blocco comunista; https://cia.gov./, il
sito governativo dell’intelligence statunitense.
11