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1.2 Origini e Storia
Seguendo il corso della storia, si può affermare che le fiabe hanno sempre fatto parte
della cultura popolare e orale. Sono state tramandate a voce di generazione in
generazione e chi le narrava spesso le modificava o mescolava gli episodi di una con
quelli di un’altra, dando a volte origine ad un’altra fiaba. Le fiabe hanno un’origine
popolare, descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, le sue paure, il suo
modo di immaginare i re e i potenti e venivano raccontate da contadini, pescatori,
pastori e montanari attorno al focolare, nelle aie o nelle stalle; non erano considerate,
come ora, solamente racconti per bambini, ma rappresentavano un divertimento anche
per gli adulti, ed avevano una grande importanza per la vita della comunità. Le fiabe
raccontano alcuni aspetti del reale, con una veste di storiella puerile e con un infallibile
lieto fine: il Pollicino abbandonato nei boschi, la Cenerentola segregata dalla matrigna e
schiavizzata, la Biancaneve che scappa e si rifugia nel bosco possono essere visti come
esempi della quotidianità del XIX e XX secolo.
La fiaba ebbe in Oriente uno sviluppo grandioso mentre non fu presente presso i Greci e
i Romani, ma continuò in Occidente a vivere per tradizione orale e popolare e spesso
furono pretesto per composizione artistiche raffinate.
Le fiabe vennero raccolte dalla viva voce dei narratori popolari e trascritte a partire dal
Seicento. Il primo, nel 1634, fu Giambattista Basile che scrisse “Lo cunto de li cunti” o
Pentamerone, una raccolta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano. Il Basile era un
letterato di corte, concepì l’opera per intrattenere i cortigiani tramite una lingua e una
moralità immediate. La struttura narrativa è simile a quella del Decameron del Bocaccio:
le quarantanove novelle che costituiscono l’opera sono raccontate da dieci vecchi
deformi durante cinque giornate, l’ultima novella fa da cornice. Le trame vennero
raccolte sia dalla tradizione orale sia dall’opera “Le piacevoli notti” dell’autore Gianni
Francesco Straparola.
In Francia, alla corte del re Sole, divennero intrattenimento per l’aristocrazia, questo
genere leggero e piacevole acquistò un ruolo importantissimo nella letteratura di
Versailles. Fra il 1785 e il 1789 furono pubblicati 37 volumi di fiabe francesi di autori
vari, tra i quali Perrault, Madame D’Aulnoy e Madame Le Prince De Beaumont.
Perrault rielaborò le storie popolari di Basile, basandosi anche sull’osservazione della
vita di corte, nei celebri racconti di Mamma Oca, una raccolta di alcune fiabe
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tradizionali più famose. Molto importanti furono nel Settecento la traduzione e la
diffusione in Europa de “Le mille e una notte”, una raccolta anonima di novelle arabe,
su un antico fondo indo-persiano, di cui fa parte la storia cornice, alla quale si sono
mano a mano aggiunte altre storie, di fantasia o a sfondo storico, relativa a Baghdad e
all’Egitto, con elementi giudaici, bizantini, mesopotamici ecc. Successivamente furono
introdotte grandi storie, dapprima indipendenti, quali i cicli dei due Simabda e Alì Babà.
La storia cornice, da cui si dipartono e si svolgono gli altri racconti, spesso inserendosi
come le scatole cinesi gli uni negli altri, ci presenta il re di Persia Shahriar, che dopo
aver scoperto i tradimenti della moglie, della cognata e di altre presunte fedeli spose, si
convince dell’inevitabile malafede delle donne e decide di sposare ogni giorno una
ragazza per metterla a morte il mattino seguente. A porre termine alla tragica sequenza
si offre la famiglia dei Vizir, con Shahrazad che, sposa al re, riesce a fargli rinviare la
propria esecuzione interrompendo sul far del giorno un racconto di cui l’incuriosito
sovrano vuol udire la conclusione. La saggia ragazza agisce in tal modo per mille e una
notte, collegando fra loro storie sempre nuove. Quando essa è divenuta ormai madre di
tre figli, il re, affezionatosi a lei e convinto della sua onestà, le concede infine la grazia
tenendola con sé.
Fu soprattutto nell’Ottocento che in vari paesi europei furono scritte le antiche fiabe
della tradizione; per trovare una trascrizione veramente fedele al linguaggio e alla
tradizione popolare, bisogna aspettare “Le fiabe del focolare”, dei fratelli Jacob e
Wilhelm Grimm, raccolte appunto all’inizio dell’Ottocento. Le fonti della loro più
celebre raccolta “Fiabe per bambini e famiglie” furono amici e conoscenti e soprattutto
una vecchia signora povera e analfabeta, Dorothea Viehmann. Essi erano convinti che
attraverso le fiabe avrebbero fatto conoscere e amare la cultura e le tradizioni del loro
paese a tutti, non solo ai bambini. Inoltre partono dall’idea che ogni popolo ha una sua
anima che si esprime con la massima purezza nelle lingua e nella poesia, nelle canzoni e
nei racconti. Essi però sostengono che, con il trascorrere del tempo, i popoli hanno
perduto in parte la propria lingua e la propria poesia, soprattutto nei ceti più elevati e
può, quindi, essere ritrovata solamente negli strati sociali inferiori. In quest’ottica, le
fiabe sono i resti dell’antica cultura unitaria del popolo e costituiscono una fonte
preziosa per la ricostruzione di quella cultura più antica. Tra le fiabe raccolte le più
famose sono: “Pollicino” e “Hansel e Gretel”.
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Durante il Romanticismo le fiabe furono valorizzate come espressione di poesia ingenua
e se ne cominciò la raccolta sistematica. L’esempio dei Grimm fu seguito in Russia da
Aleksandr Afanas’ev; fin da ragazzo cominciò a riscrivere le fiabe e le leggende che i
contadini raccontavano di sera intorno al fuoco durante i lunghi e freddi inverni. Nel
1855 pubblicò il primo volume delle sue fiabe, a cui ne fece seguire altri sette; tra i
personaggi caratteristici vi è la Baba-Jaga, strega buona; l’eroe ha tratti religiosi e
cavallereschi e le sue avventure ricordano le vite di Santi guerrieri.
Nessun popolo al mondo dispone però di un patrimonio fiabesco quanto gli irlandesi; le
fiabe d’Irlanda sono pervase da folletti, gnomi, sirene e fate provenienti dalla cultura
celtica. Questi esseri soprannaturali costituiscono “il piccolo popolo” che intreccia
rapporti con l’umanità.
Nel 1814 la Norvegia ottenne l’indipendenza dalla Danimarca ed essendo desiderosa di
avere una cultura propria, commissionò la raccolta e la scrittura delle fiabe popolari. I
personaggi maggiormente presenti sono i Troll, sorta di orco e Ceneraccio, eroe pieno di
vigore e di forza che sfida qualunque difficoltà.
Nel 1875 il giornalista Carlo Lorenzini, futuro padre di Pinocchio, tradusse dal francese
le fiabe di Perrault. Nell’Italia post-risorgimentale venne attribuita alla fiaba una
funzione principalmente educativa. Queste fiabe, oltre all’impianto tradizionale,
presentavano però un forte gusto per la crudeltà: il Cappuccetto Rosso di Perrault muore
mangiato dal lupo e non viene salvato dal cacciatore come quello dei fratelli Grimm.
Emma Perodi scrisse “Fiabe fantastiche” dove i personaggi tradizionali lasciano il posto
a contadini, frati, cavalieri; le trame sono piene di religiosità e il tempo e i luoghi sono
ben definiti.
Nel 1956 Italo Calvino, uno dei più famosi scrittori italiani del Novecento, pubblicò in
Italia la più ricca raccolta di Fiabe Italiane, tratte dal patrimonio di favolistica di tutte le
regioni. Egli non scrisse storie narrate a voce, ma trascrisse in lingua italiana i racconti
in dialetto tratti da i libri di varie regioni d’Italia, in modo che potessero essere compresi
da tutti. Gli autori di fiabe, invece, hanno elaborato storie e trame inventate da loro
stessi; un grande autore classico è il danese Hans Christian Andersen, autore famoso per
i suoi racconti, tra cui ricordiamo La piccola fiammiferaia, Il brutto anatroccolo e La
Sirenetta.
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Altri autori di fiabe furono Luigi Capuana e Guido Gozzano; un autore contemporaneo,
grande conoscitore dei meccanismi fiabeschi fu, inoltre, Gianni Rodari.
Quest’ultimo era un convinto assertore della forza dell’immaginazione e della portata
rivoluzionaria della parola trasformata in fiaba ed è dunque riduttivo parlare solo di
infanzia quando lo spirito critico di Rodari colpisce soprattutto gli adulti, i genitori
spesso incapaci e inetti nell’assecondare, crescere, curare la fantasia, l’immaginazione,
la creatività dei propri figli e di se stessi. La fiaba, la novella, il racconto, la favola, le
filastrocche sono tutte forme contemplate dall’autore per parlare della società di oggi: le
parole, il buono e il cattivo, il tempo, il linguaggio, la storia e l’evoluzione.
Gianni Rodari voleva cambiare il mondo usando gli strumenti a sua disposizione: la
fantasia e le parole. Dal 1960 fino alla morte, avvenuta nel 1980, dedicò gran parte del
suo impegno alla scrittura di libri per l’infanzia. L’esperienza dell’insegnamento e
quella del giornalismo tornarono inevitabilmente nelle favole di Rodari. Qui confluirono
infatti le sue idee sulla pedagogia, sulla politica e più in generale sulla vita. Le sue storie
surreali parlano di situazioni affatto lontane ma molto vicine alla realtà quotidiana;
l’ironia è lo strumento principale per relazionarsi al mondo e spesso proprio dagli errori
nascono delle verità; il gioco e la creatività rendono l’uomo libero e partecipe,
soprattutto nella società industriale che lo vuole ad una “sola dimensione”. Favole
moderne, quindi, dedicate non solo all’infanzia. “Io non userei mai la parola fantasia in
opposizione alla parola realtà. La fantasia è uno strumento per conoscere la realtà come
lo spirito critico, come qualsiasi altro strumento intellettuale. Così non farei mai
un’opposizione, parlando di fiabe, tra razionale e irrazionale…parlerei invece di una
composizione nella fiaba di esperienza storica e di esperienza ultrastorica, di magia e di
realtà, di realtà quotidiana e di quell’ altra realtà che è la realtà dell’immaginazione ma
che è anche quella realtà. Anche l’immaginazione fa parte della realtà, anche la fantasia
fa parte della realtà, come anche l’irrazionale fa parte della realtà”.
Ancora oggi, nelle opere degli scrittori moderni, possiamo riconoscere l’eredità della
fiaba. Nei racconti fantastici, nelle storie di fantascienza, fantasy e horror e in altri
generi di narrativa dove si incontrano esseri incredibili e accadono fatti straordinari
come nelle fiabe, ma è soprattutto nella narrativa per ragazzi ad essere evidente l’eredità
della fiaba.
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1.3 Caratteristiche
Le fiabe sono un racconto che seguono uno schema narrativo molto semplice e lineare;
presentano di solito una situazione iniziale in cui vengono brevemente delineati i
personaggi principali, il luogo e il tempo della storia. Ben presto emerge un problema,
una situazione da risolvere, la complicazione attorno a cui si costruirà l’intera fiaba.
Quindi avviene lo svolgimento della vicenda, fino a giungere a una conclusione, a un
lieto fine in cui si superano le difficoltà e si risolvono i problemi. Nelle fiabe il magico e
il meraviglioso pervadono la vita di ogni giorno, mostrandoci che tutti possono vivere
felici e contenti, che anche il povero può fare fortuna e che ognuno ha di fronte a sé
delle prove da superare per ottenere una vita migliore. In questo senso le fiabe trattano
problemi reali e in esse è presente un significato profondo che bisogna saper cogliere
per capire la natura umana e comprender meglio le proprie storie individuali.
Tutte le fiabe del mondo hanno caratteristiche analoghe:
• i personaggi, l’epoca e i luoghi sono indicati genericamente e non sono descritti
(si dice “C’era una volta”…, “In un paese lontano…”, ma non si dice né dove né
quando)
• i fatti che si presentano nel racconto sono fatti impossibili e i personaggi
inverosimili (molti fatti narrati possono accadere solo per magia e molti
personaggi non possono esistere nella realtà)
• si rappresenta sempre un mondo nettamente diviso in due (i personaggi sono
buoni o cattivi, furbi o stupidi e non esistono vie di mezzo, la ragione sta sempre
da una sola parte)
• i motivi sono sempre ricorrenti (gli elementi e gli episodi sono spesso presenti
anche in altre fiabe)
• c’è sempre un lieto fine (i buoni e i coraggiosi vengono premiati, le ragazze
povere diventano principesse, i giovani umili ma coraggiosi salgono sul trono)
• c’è sempre una morale, anche se non è espressa chiaramente come nella favola,
che insegna a rispettare gli anziani e la famiglia, ad onorare le autorità, ad essere
coraggiosi per migliorare la propria condizione.
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Il linguaggio della fiaba è quello dei narratori del popolo, in genere molto semplice e a
volte un po’ sgrammaticato, ma ricco di modi di dire e di formule popolari. Viene
solitamente utilizzato il discorso diretto perché le battute del dialogo permettevano al
narratore di cambiare la voce e di tenere viva l’attenzione di chi ascoltava. Sono
frequenti e quasi obbligatorie le ripetizioni (“Cammina, cammina…”, “Cerca, cerca…”,
“Tanto, tanto tempo fa…”) e le triplicazioni perché raccontare tre volte lo stesso fatto,
aveva lo scopo di allungare la storia, di renderla più chiara, di prolungare la sensazione
di mistero. Le formule di inizio e le formule di chiusura sono sempre le stesse (“C’era
una volta…”, “In un paese lontano…”,”Così vissero felici e contenti…”), numerose le
formule magiche e le filastrocche. Come nelle pubblicità, la ripetizione e la ridondanza
permettono una migliore penetrazione dei contenuti ed una persistente memorizzazione,
ma prima di questo corrispondono ad un’esigenza proprio della didattica infantile.
Il tempo della fiaba ha sue caratteristiche particolari, che presentano analogie con il
sogno. In primo luogo il tempo della fiaba è astorico, cioè non si può posizionare in un
periodo storico preciso. In secondo luogo il suo fluire è solitamente irregolare, non
assimilabile al tempo scandito dall’orologio.
Tutte le fiabe hanno in comune molti tipi di personaggi e narrano fatti molto simili, ma
da una lettura attenta si scopre che esse, pur nella loro somiglianza, rilevano culture
differenti. Ogni popolo ha infatti ambientato le proprie fiabe nel paesaggio in cui viveva
e, narrandole, ha fatto continui riferimenti alle proprie abitudini, alle proprie credenze,
alle regole della propria società. Il popolo russo ha tramandato le sue fiabe ambientate
nella steppa, con zar e zarine, gli Inuit le hanno ambientate tra i ghiacci, con i cacciatori
di foche e di orsi; i popoli nord-americani le hanno ambientate nelle praterie, con i
bisonti e coyoti. Anche gli eroi sono diversi, secondo il paese nel quale viene
ambientata la fiaba, e se in Europa si tratta spesso di principi o ciabattini, in Arabia si
tratta di sceicchi o beduini, in Cina di mandarini o di filatori di seta. Così come sono
diversi gli esseri fantastici o soprannaturali. Nelle fiabe ambientate in Europa si trovano
i diavoli, gli gnomi, i troll, la strega Baba Yaga, in Cina i draghi, nei territori islamici i
djinn. Gli ambienti tipici sono favolosi castelli o casupole di povera gente, tenebrose
foreste, paesi lontani, piccoli borghi con strade e botteghe, ma in ogni caso sono sempre
luoghi indefiniti, descritti con espressioni generiche.