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sia sembrato più opportuno, anche cinesi e taiwanesi. Per quanto riguarda la
tipologia delle fonti, l’elaborato tratta argomenti provenienti da fonti
bibliografiche tradizionali (libri, riviste, quotidiani) arricchite talvolta dai colloqui
dei rispettivi autori con personalità della scena politica e sociale taiwanese e non.
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Introduzione
Colonia giapponese dal 1895 alla fine della Seconda guerra mondiale, Taiwan
fece ritorno alla sovranità cinese nell’ottobre 1945. I Nazionalisti, impegnati in
quegli anni nella guerra civile che nella Cina continentale li opponeva ai
Comunisti, governarono l’isola attraverso un’amministrazione speciale al cui
vertice era posto un governatore che cumulava ampi poteri civili e militari.
In seguito alla vittoria dei Comunisti, nel dicembre 1949 - pochi mesi dopo la
proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) (qui di seguito anche
Cina, Cina continentale o semplicemente il continente) -, i Nazionalisti guidati dal
Generalissimo Chiang Kai-shek furono costretti a lasciare il continente per
rifugiarsi a Taiwan, stabilendovi quella che oggi è conosciuta come la Repubblica
di Cina (qui di seguito anche Taiwan o Republic of China, ROC). Da allora,
Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese si sono contese la rappresentanza del
popolo cinese nell’ambito della comunità internazionale ed il conseguente
riconoscimento diplomatico da parte dei vari stati: Pechino dichiarò di essere
l’unico governo legittimo dell’intera Cina – inclusa la «provincia» di Taiwan -,
mentre, dall’altra parte dello Stretto, la Repubblica di Cina rivendicava la stessa
identica autorità. Per anni la sfida diplomatica tra Pechino e Taibei si svolse
secondo le regole di un «gioco a somma zero»: qualora uno dei due governi
avesse intrattenuto relazioni diplomatiche con un terzo paese, l’altro avrebbe
sospeso le proprie relazioni con lo stesso. Ciò è stato particolarmente vero fino al
1988.
Durante la presidenza del Generalissimo Chiang Kai-shek (蒋介石) (1949-
1975), la Repubblica di Cina era riconosciuta dalla maggior parte dei paesi del
«mondo libero» come la «Cina libera» (Free China). Essa occupò fino al 1971 il
seggio cinese presso le Nazioni Unite. Al contempo, essa giocò inoltre un ruolo di
primo piano nella strategia degli Stati Uniti volta al contenimento dell’espansione
comunista nella regione asiatica. Tutto questo ebbe tuttavia una fine disastrosa
nella prima metà degli anni ’70. Nel 1971 il seggio cinese presso Nazioni Unite fu
attribuito alla Repubblica Popolare Cinese; decine di paesi accordarono il proprio
riconoscimento diplomatico a Pechino e sospesero ogni rapporto ufficiale con
Taiwan. Da questo momento incominciò quindi l’isolamento della Repubblica di
Cina in seno alla comunità internazionale. Tra il 1971 e il 1979, ben 49 paesi
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troncarono i propri rapporti ufficiali con Taiwan, cosicché, nel 1988, i partner
diplomatici dell’isola erano soltanto 13. A partire dal 1969/70, anche gli Stati
Uniti avviarono il processo di normalizzazione dei rapporti con la Repubblica
Popolare Cinese, procedendo infine al riconoscimento ufficiale della stessa nel
1979.
Durante la presidenza di Chiang Ching-kuo (蒋经国) (1975-1988), il figlio del
Generalissimo, la politica estera di Taiwan fu essenzialmente di tipo difensivo.
Nonostante il «dereconoscimento» da parte della maggioranza dei paesi stranieri,
Taiwan riuscì comunque a mantenere un discreto profilo internazionale attraverso
lo sviluppo delle relazioni semi ufficiali – soprattutto di natura commerciale – con
molti paesi della comunità internazionale. La volontà di garantire la continuità dei
rapporti commerciali spinse molti paesi – Stati Uniti e Giappone in testa – a
sviluppare canali alternativi a quelli ufficiali. In genere, l’istituzione degli Uffici
di rappresentanza si presentò come il modello più appropriato per quei paesi che,
non volendo rinunciare ai legami con la Repubblica Popolare Cinese, neppure
volevano sospendere le profittevoli relazioni economiche con Taiwan. Essi
costituiscono un duttile strumento adatto a risolvere le questioni dai risvolti più
concreti che affiorano dai rapporti bilaterali; peraltro, in mancanza del
riconoscimento formale da parte della maggioranza dei paesi, la politica estera di
Taiwan è modellata proprio sulle relazioni concrete intessute con la comunità
internazionale.
Nel 1972, il Giappone fu il primo fra i principali partner diplomatici di Taiwan –
nonché il suo principale partner commerciale - a riconoscere la Repubblica
Popolare Cinese. Tre mesi dopo l’annullamento delle relazioni ufficiali, il governo
giapponese e quello taiwanese procedono all’approvazione di un «accordo non
governativo», con il quale i due paesi affidavano il mantenimento delle relazioni
bilaterali a due istituzioni private: l’«Associazione per le Relazioni nell’Asia
Orientale di Taiwan» (Association of East Asian Relations, AEAR) e la sua
controparte giapponese, l’«Associazione per l’Interscambio con Taiwan». Le due
agenzie sono preposte all’amministrazione delle cosiddette «relazioni concrete»,
nella cui sfera rientra il complesso dei rapporti economici, culturali e di altra
natura gestiti fino a quel momento dalle rispettive ambasciate.
Nel caso degli Stati Uniti, contestualmente alla rottura delle relazioni ufficiali, il
Congresso americano approvò nel gennaio 1979 un atto legislativo – il Taiwan
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Relaction Act – con il quale vengono legalizzate le relazioni semi ufficiali tra
Taiwan e gli Stati Uniti. Tale atto accorda inoltre l’istituzione di
un’organizzazione privata, nella fattispecie l’«Istituto Americano a Taiwan»
(American Institute in Taiwan, AIT), con il compito di gestire i rapporti
economici, scientifici, culturali e di altro tipo, di natura non ufficiale, con l’isola.
Il governo taiwanese, dal canto suo, creò un’istituzione equivalente: il «Consiglio
per la Coordinazione degli Affari Nordamericani» con sede a Washington.
A partire dal 1988, in coincidenza con l’ascesa alla presidenza di Lee Teng-hui
(李登辉) (1988-2000), gli sforzi di Taiwan tendono all’ampliamento dei margini
della propria diplomazia in prospettiva dell’acquisizione di un ruolo
internazionale di maggior rilievo. La nuova linea di politica estera adottata da
Taibei mira ad ottenere il riconoscimento internazionale della propria sovranità
nazionale, attraverso l’ampliamento ed il miglioramento delle rappresentanze
diplomatiche presso i paesi stranieri, l’aumento degli accordi internazionali,
l’intensificazione degli scambi di visite tra funzionari taiwanesi e stranieri ad ogni
livello, nonché l’instaurazione di piene relazioni diplomatiche dove possibile. La
richiesta per il riconoscimento della propria sovranità viene avanzata sia a livello
bilaterale che multilaterale.
Il fine ultimo è quindi la legittimazione internazionale della Repubblica di Cina, la
quale è ridefinita da Lee Teng-hui in termini di «entità politica» distinta dalla
Cina continentale. Nell’aprile 1991, la dichiarazione unilaterale da parte del
presidente Lee della fine della guerra civile cinese ha significato, difatti,
l’accettazione da parte del governo taiwanese che il continente sarebbe continuato
ad essere amministrato dai comunisti. In tal modo, la questione della
riunificazione politica della Cina sarebbe stata rimandata a data da definirsi,
allorché essa potrà essere finalmente negoziata da entrambi i governi in qualità di
eguali entità politiche sovrane.
A tutt’oggi Taiwan rappresenta lo Stato più isolato al mondo sul piano
diplomatico, mentre la Repubblica Popolare Cinese continua a praticare sempre
più intensivamente il tradizionale gioco a somma zero dell’«unica Cina». Se
l’isolamento internazionale ai danni dell’Iraq, di numerosi regimi di apartheid nel
continente africano e persino della Repubblica Popolare Cinese è stato, in diversi
momenti, motivato dall’indignazione della comunità internazionale nei confronti
della loro condotta politica, Taiwan, invece, a prescindere dalla politica adottata,
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non può essere accettato dalla comunità internazionale come «Stato»
semplicemente a causa delle pressioni esercitate dalla Cina.
La Repubblica Popolare Cinese non ha mai esteso il proprio controllo sull’isola,
né scritto le leggi del paese o finanziato il suo governo. Il popolo taiwanese rifiuta
ogni autorità della Cina all’interno dei confini del proprio Stato. In altre parole, la
sovranità della Repubblica Popolare Cinese non può estendersi a Taiwan e
Taiwan non fa parte della Repubblica Popolare Cinese. Di conseguenza, benché la
Cina non possa essere propriamente considerata una potenza straniera, essa
rimane tuttavia una potenza esterna. Ma le autorità cinesi sono di tutt’altro avviso:
per Pechino la «questione di Taiwan» è un problema politico «domestico».
Per oltre cinquant’anni Pechino ha aderito alla «politica dell’unica Cina»
(一中政策, yi zhong zhengce) e negato l’esistenza del governo di Taibei. Il punto
di vista delle autorità cinesi rispetto alla «questione di Taiwan» e alla sua origine è
in realtà molto semplice: in seguito al rovesciamento del governo nazionalista nel
1949, la Repubblica Popolare Cinese è divenuta il governo legittimo dell’intera
Cina (inclusa Taiwan). Al contempo, una «cricca» di alti ufficiali militari e
funzionari del Partito Nazionalista si è rifugiata con il supporto degli Stati Uniti
nella provincia di Taiwan, creando la divisione de facto del paese. Secondo
Pechino, le autorità sull’isola non possono essere considerate un governo, ma
piuttosto dei funzionari locali. La Repubblica di Cina, pertanto, non esiste.
Attraverso l’attuazione della «politica dell’unica Cina», Pechino ha fatto tutto il
possibile per spogliare Taiwan di ogni vestigia della sua statualità. Ad esempio,
sul piano bilaterale, la Cina insiste che i governi stranieri non possono intrattenere
simultaneamente relazioni ufficiali con Pechino e con Taibei, ma devono scegliere
tra i due. Di conseguenza, tutte le principali potenze hanno abbandonato Taiwan e
accordato il proprio riconoscimento diplomatico alla Repubblica Popolare Cinese.
Generosi pacchetti d’aiuto e prestiti agevolati sono rilasciati a favore dei paesi
cosiddetti «minori» affinché procedano alla revoca dei propri rapporti ufficiali con
Taiwan. Inoltre, attraverso un’intensa attività di ostruzionismo, il governo cinese è
riuscito a frenare l’ammissione di Taiwan presso le principali organizzazioni
internazionali governative. Attualmente, solo la Repubblica Popolare Cinese
costituisce la rappresentanza della Cina presso le Nazioni Unite, l’Organizzazione
mondiale per la Sanità, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e
numerose altre organizzazioni a vocazione globale.
Oltre alla «politica dell’unica Cina», una posizione inflessibile, dalla quale la
Repubblica Popolare Cinese non sembra intenzionata a retrocedere e cagione
dell’isolamento internazionale di Taiwan, Pechino aderisce fermamente anche al
«principio dell’unica Cina» (一中原则, yi zhong yuanze). La Repubblica Popolare
Cinese insiste in tal modo che esiste una sola Cina e Taiwan è parte di essa.
Pechino sostiene infatti che Taiwan appartiene alla Cina sin dall’antichità.
Qualora se ne presentasse la necessità, il «governo centrale» si riserva pertanto il
diritto di intervenire negli affari interni dell’isola e persino di ricorrere all’uso
della forza contro la «provincia ribelle».
Attualmente la Repubblica di Cina è riconosciuta da circa due dozzine di stati,
nessuno dei quali rilevanti sul piano internazionale - ad eccezione della Santa
Sede. Essa esercita la propria sovranità su un territorio di poco più di 36 mila
kmq, di cui la gran parte è occupata dall’isola di Taiwan, ove si trova la capitale
Taibei, e che dista circa 160 km dalle coste della Cina popolare. Di essa fanno
altresì parte una serie di isole minori tra cui le Penghu (Pescadores), Jinmen e
Mazu (Quemoy e Matzu) – quest’ultima poco lontana dalle coste della regione
cinese del Fujian, nonché una serie di isolette situate nel Mar Cinese meridionale
la cui sovranità è rivendicata tra gli altri da Pechino e dal Vietnam. La
popolazione conta oggi circa 23 milioni di abitanti, concentrati essenzialmente a
Taiwan.
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