7
comunque, anche se mai terminati, i suoi migliori film. E’ l’esperienza
in Spagna quella sicuramente più interessante da esaminare, nella sua
complessità, articolata e differenziata in vari canali espressivi, una
sorta di avventura picaresca (in senso positivo), tra progetti finiti e
non, film compiuti o solo pensati, ambiziose sceneggiature e riprese
da manuale. Tra Shakespeare e Cervantes, tra Othello e Sancho Panza,
tra soldi mai sufficienti e fantasia sfrenata, tra sogno e realtà.
8
Capitolo 1
L’ arrivo in Europa.
1.1 Il Viaggio.
Un paesaggio desolato, in lontananza due uomini-silhouette si
stagliano in controluce, sono due sagome in viaggio.
Una voce : “Questo film fu scritto, prodotto e diretto da un uomo le
cui ceneri giacciono in terra di Spagna, secondo le sue ultime volontà,
quest’uomo era Orson Welles”.
La frase, contenuta nel Don Chisciotte, dura solo pochi secondi però
emblematici, il finale di un “film - non film” che molti dizionari del
cinema ignorano. Eppure questa pellicola esiste.
A pronunciare questo epitaffio è un commosso Fernando Rey, attore
spagnolo, protagonista di tanti importanti film, Quell’Oscuro Oggetto
del Desiderio, Il Fascino Discreto della Borghesia, Il Braccio
Violento della Legge, e che con Welles condivise ben due lavori,
Falstaff e Una Storia Immortale, e bastano solo le sue poche e
semplicissime parole a riassumerci e a inquadrarci l’intera vita e
l’intera opera del regista nato nel 1915 a Kenosha.
L’universo wellesiano, sempre in movimento, è tutto racchiuso in
questa scena conclusiva; le due sagome, quella di Don Chisciotte e
Sancho Panza perennemente in viaggio, come il regista stesso, che per
filmarle viaggiò tra la Spagna, il Messico e l’Italia, sono il simbolo di
un sogno, quello del suo autore che più di ogni altro cercò di
9
realizzare in totale “libertà”, libertà paradossalmente fino ad allora
negatagli da un universo stesso che aveva contribuito a far nascere.
Il viaggio, una tematica importante, cara ai tanti registi che l’hanno
coltivata nelle loro pellicole; ed è solo grazie ad essa che il mondo
nascosto di Orson Welles può essere ora veramente scoperto.
Di Welles molto si è scritto, molto si è parlato, discusso, sviscerato;
risulta quasi impossibile trovare una chiave di lettura della sua opera
che già non sia stata visitata e sezionata nei più minuti anfratti, e allora
l’approccio migliore per riuscire a inquadrarlo nella più appropriata
cornice è quello di mettersi in sintonia con le vicende della sua vita,
cercare di seguire i suoi itinerari fisici e mentali; fare un viaggio nei
luoghi a lui cari, sulle tracce dei suoi progetti, seguendo le orme della
sua mente. In Spagna, principalmente, si ritrovano le radici di tutto il
suo lavoro europeo e dalla Spagna ho cominciato.
Agosto 2001, Ronda, provincia di Siviglia, paese dell’Andalusia,
famoso perché è qui che nasce la concezione della moderna
tauromachia e dove sorge la più antica plaza de toros di Spagna
(1748), è qui che la famiglia Ordoñez possiede una fattoria nelle
campagne circostanti, ma soprattutto un luogo di culto per due
personalità del novecento: Ernest Hemingway e Orson Welles che si
dividono quasi simmetricamente le strade più importanti della
cittadina. Così un qualsiasi turista può serenamente attraversare “calle
Hemingway” o “paseo de Orson Welles
1
” e magari chiedersi chi sia
quest’ultimo, inoltre potrebbe entrare in un qualsiasi negozio, e
trovarsi di fronte una miriade di fotografie e oggettini che riproducono
fedelmente i giorni, le settimane, gli anni che il regista trascorse a
1
Via Ernest Hemingway e Passeggiata di Orson Welles.
10
Ronda, grande amante delle corride e grande amico di Antonio
Ordoñez
2
, il più importante torero degli anni ’60.
Esattamente due anni dopo nell’agosto del 2003, ancora in viaggio,
mentre passeggiavo per San Sebastian, nei paesi baschi, in un edicola
del viale principale fui attirato da una particolare vendita di Dvd, due
al prezzo di uno, di quelle collane considerate “Grandi Classici” e in
mezzo alla miriade di film ne trovai uno: Campanadas a Medianoche,
conosciuto in Italia con il titolo Falstaff . Stava lì come una
normalissima pellicola, in realtà non lo era: in Italia è classificato
come introvabile, la Rai lo ha trasmesso l’ultima volta negli anni ’80,
la scuola nazionale di cinema di Cinecittà non ne dispone neanche una
copia, le videoteche non lo conoscono; Elle U multimedia, nel 1999,
in occasione dell’uscita della collana Il grande cinema di Orson
Welles dichiarò che oltre a Rapporto Confidenziale, Lo Straniero,
L’Orgoglio degli Amberson, F for Fake, It’s All True, La signora di
Shanghai, Macbeth, Terrore sul Mar Nero e Storia Immortale
avrebbe fatto uscire Il Processo, L’Infernale Quinlan e, dopo anni di
oblio, anche Falstaff. Ma contemporaneamente L’Unità giornale
collegato ad Elle U multimedia fallì, bloccando tutte le possibili nuove
uscite, danneggiando ancora una volta la già complicata distribuzione
del regista americano. In Spagna invece la situazione è sempre stata
differente, prima di tutto perché la pellicola di ambientazione
shakespeariana, era stata prodotta negli anni ‘60, da un giovane
produttore, tale Emiliano Piedra, che nel frattempo era diventato uno
dei più grandi produttori iberici di tutti i tempi
3
. Piedra fu anche il
2
Amico anche di Ernest Hemingway, anch’egli grande amante delle corride e letteralmente
venerato per le strade del paese andaluso.
3
Ricordiamo altri film di Emiliano Piedra, grande produttore morto a Madrid nel 1991: La trilogia
della danza, Blood Wedding (1980) di Carlos Saura; Carmen (1983) di Carlos Saura; El Amor
Brujo (1986) di Carlos Saura.
11
principale fautore del progetto per la televisione spagnola di El
Quijote (1991) di Manuel Gutierrez Aragon, trasposizione capolavoro
dell’opera di Cervantes che ha più di un punto in comune con il Don
Chisciotte wellesiano, a cominciare proprio dall’attore protagonista:
Fernando Rey. Intanto Welles ha ormai da molto tempo legato il suo
nome al paese ed il paese considera questo suo film il più grande
capolavoro che sia mai stato fatto nella storia della propria
cinematografia fino agli anni del ritorno alla democrazia (1976).
Soprattutto ricordato per la scena della battaglia, fonte di ispirazione
per molti registi
4
, vera “obra maestra
5
” del cineasta. E in Italia?
Niente, la pessima distribuzione ci ha privato di una tale opera,
facilmente reperibile in tutte le edicole iberiche.
E il Don Chisciotte? Ancora una volta la Spagna ha un importanza
vitale per le mie ricerche; un ennesimo viaggio, stavolta nella capitale,
mi riservò una sorpresa inaspettata. Così nel dicembre del 2002, a
Madrid entrando in un grande e famoso magazzino del centro, nel
reparto dedicato al cinema (quasi sempre di ispirazione commerciale)
decido di chiedere al commesso quali sono i vhs o dvd di Welles in
vendita. Cosa mi ha portato a fare questa “strana” richiesta? Da
qualsiasi altra parte in Italia mi sarei aspettato la solita risposta, i soliti
cinque o sei film wellesiani facilmente reperibili. Ma in questo caso
nutrivo qualche speranza, infatti quasi un anno prima, nel marzo del
2001, sempre a Madrid nella famosa cineteca Cine Dorè
6
avevo
assistito ad una retrospettiva di Welles dove l’ultima compagna di
4
La scena della battaglia in Braveheart (1995) di Mel Gibson, ricorda molto da vicino quella
presente nel Falstaff.
5
In italiano: Capolavoro.
6
Famosa perché fa da sfondo ad una scena del film di Almodovar Parla con Lei, quella in cui il
protagonista Javier Camarà attratto dal film che vi si proietta, El Amante Menguante, decide di
entrarvi.
12
questi, Oja Kodar e il direttore della cineteca di Monaco di Baviera
Stefan Droessler avevano mostrato, finalmente al pubblico, tutte le
pellicole mai uscite nelle sale (quindi introvabili) e tutti gli ultimi
lavori-progetti del rimpianto regista morto soltanto quindici anni
prima. Avevo assistito, con immensa gioia, alla visione della pellicola
Don Quijote de Orson Welles, e inoltre avevo visto molti altri filmati
che la cinematografia wellesiana neanche menzionava. La sorpresa
pertanto nel dicembre 2002 fu quella di apprendere che una società
spagnola (El Silencio films) aveva comprato i diritti della pellicola
chisciottesca e l’aveva distribuita, esclusivamente in Dvd, in tutti i
grandi magazzini delle principali città spagnole. Il commesso, senza
avere la minima idea dell’importanza e del valore di quello che il suo
magazzino possedeva e vendeva , con tranquillità mi riferì
dell’esistenza del dvd, che ancora oggi, è facilmente reperibile. In
Italia per l’ennesima volta se ne ignora l’esistenza!
1.2 Universo wellesiano.
Il viaggio su Welles continuerà sempre, alla ricerca di tutto quello che
ci ha lasciato, innumerevoli film, sceneggiature, progetti, sparsi in
paesi ed epoche diverse, molti abbandonati quando le riprese erano già
iniziate o in avanzata fase di preparazione. Il debito che la storia del
cinema deve al regista del Wisconsin è quello ad un autore che ha
saputo misurarsi con l’universo dei mass media, che è riuscito a lottare
contro le tentazioni del successo e della ricchezza, che ha riflettuto
con lucidità sul ruolo dell’intellettuale, che ha in tutti modi cercato di
riaffermare la propria autorialità contro il “sistema”. Testimone e
protagonista di un cinema che si è trasformato sotto i suoi occhi e che
è passato dall’autocrazia hollywoodiana degli anni Quaranta alla
polverizzazione produttiva dei Sessanta e Settanta. E “l’industria”,
13
vera artefice della scomposizione della figura di artista, avendo creato
lo sceneggiatore, lo scenografo, il montatore, il costumista e il
produttore, cercando di scomporre l’anima stessa di Welles che era
tutto questo; in lui la divisione si riuniva in tutta la sua grandezza.
Grandezza che a sua volta rischiò di trasformarsi nel vero primo
ostacolo per il suo apprezzamento. L’ingombranza di Welles, che una
letteratura fuorviante ha spesso descritto come “autodistruttivo” e
“predestinato alla sconfitta”. Ma anche, come già ricordato, vittima di
una inesorabile e incompleta distribuzione; già il critico Goffredo
Fofi, nel suo libro Capire con il cinema, 200 film prima e dopo il ’68
(1977) ci parlava dell’impossibilità di poterci addentrare in uno studio
minuzioso dell’universo wellesiano per il fatto che la maggior parte
dei suoi film era introvabile, aggiungendo di come la critica italiana ha
sempre, nella sua totalità, preso sottogamba il regista statunitense. Ora
nel 2003 il fattore “introvabilità” dei film wellesiani ancora esiste, ma
fortunatamente si sta assottigliando la distanza che ci separa ormai da
queste ultime pellicole , considerate un tempo irreperibili.
La vita di Welles è sempre stata piena di equivoci; quando nel
novembre del 1968 Peter Bogdanovich lo convinse a lavorare ad un
libro (che poi si titolerà Io, Orson Welles) gli autori cercarono di
chiarirne molti, ma non l’equivoco più grande, quello commesso
dagli addetti ai lavori, che non si resero mai conto che le major
americane, le grandi major, avevano deciso di pianificare una severa
vendetta contro il giovane genio, si, perché Welles è stato realmente
una vittima! Colpito da una maledizione che aveva accompagnato la
sua carriera sin dall’inizio, già dopo lo scandalo di Quarto Potere,
Welles fu per tutti il nemico pubblico numero uno della produzione
hollywoodiana, il “finanziariamente inaffidabile”. E così la sua storia
diventa quella delle peripezie che i suoi film devono affrontare e
14
subire da parte di produttori e di compagnie che non sembrano capirne
il reale valore.
Welles non fu mai un autore appagato da se stesso, ma un uomo pieno
di dubbi e di voglia di sperimentare, divorato da un’energia che non
può accontentarsi di vivere sui trionfi.
La sua straordinaria voglia di comunicare agli altri e condividere
l’enorme quantità di sensazioni, esperienze, letture che costituivano
l’impalcatura del suo mondo interiore, delle sue conoscenze, della sua
cultura, si frantumava in una miriade di progetti ambiziosi e non,
realizzabili o impossibili, ma sempre pervasi da grand’energia, sempre
all’insegna della “ricerca”.
1.3 I motivi di un esilio.
Quando nel 1947 sbarcò a Roma, per recitare nel film di Gregory
Ratoff, Cagliostro, vi era giunto dopo aver realizzato, in ambito
cinematografico, sette film, uno incompiuto (It’s All True)
7
, uno
massacrato al montaggio dalla produzione (L’Orgoglio degli
Amberson)
8
, uno senza nemmeno il nome nei titoli (Terrore sul Mar
Nero), un esordio maledettamente criticato e poco amato dal pubblico
(Quarto Potere), uno non voluto e brutalmente tagliato (La Signora di
Shanghai), due definiti di “serie b” (Lo Straniero e Macbeth),
quest’ultimo montato appena giunse nel vecchio continente
9
. Welles
7
Dalle parole di Orson Welles: “Quello è stato il grande scandalo. Non c’è dubbio, viene tutto da
lì. Le basi dell’intero enorme edificio anti-wellesiano sono state gettate proprio allora, dal
Sudamerica. Quando tornai di là, non ebbi una regia per quattro anni”. Bogdanovich, P., Io, Orson
Welles, Milano, Baldini e Castoldi, 1996 , pag 159.
8
Per le vicissitudini di questo film , Welles sempre lamenterà la mancanza, in America, del
cosiddetto Code Napoleon. Nell’industria cinematografica statunitense, una volta finito un lavoro,
un film, i proprietari (in questo caso le major) possono farne tutto quello che gli pare. Si può avere
una protezione contrattuale solo durante il lavoro. A differenza del Code Napoleon, che in Francia
protegge i diritti dell’artista, la legge inglese e americana protegge la proprietà e l’autore di
un’opera non ha diritti da far valere, una volta che l’ha consegnata all’acquirente.
9
In occasione della presentazione al Festival di Venezia, dove però venne ritirato in extremis, per
non scontrarsi con l’Hamlet di Laurence Olivier, un opera costruita con una concezione e modi
15
aveva già deciso che di lì in poi la sua storia di cineasta sarebbe
cambiata, aveva ormai appreso quanto fosse difficile combattere una
vera e propria guerra personale contro l’industria, quell’ industria del
cinema che ormai lo considerava un vero e proprio artista “costoso”,
la causa di Welles era chiusa, Hollywood ne aveva abbastanza di un
genio già alla deriva, che in sette anni, le era costato alcuni milioni di
dollari. In realtà non furono solo questi i problemi che lo portarono ad
un esilio volontario; prima di tutto i tantissimi problemi con le tasse
10
che già da qualche anno attanagliavano la vita del regista del
Wisconsin; poi un altro importante fattore: il 14 aprile del 1941,
infatti, il direttore del Fbi J. Edgar Hoover scrisse un memorandum
per l’assistente del procuratore generale Mr. Matthew F. McGuire che
sostanzialmente diceva: “La informo che il Dies Committee ha
raccolto su Orson Welles dati che indicano la sua appartenenza alle
seguenti organizzazioni, che sono dette essere di stampo comunista:
Negro Cultural Comitee, Foster’s Parent’s Plan for War Children,
Medical Bureau and North American Committee to Aid Spanish
Democracy, Theatre Arts Comittee, Motion Picture Artists
Committee, The Coordinating Committee to Lift the Embargo,
Workers Bookshop, American Youth Congress, New Masses,
People’s Forum, Workers Bookshop Mural fund, League of American
Writers and American Student Union…”.
opposti al Macbeth. Una resa dell’atmosfera shakespeariana nel film di Olivier che è ricchissima
di ricostruzioni, molto più pura, molto meno terrena e carnale dell’opera wellesiana. Welles ci dice
invece che fu ritirato sotto ordine dell’ambasciatore americano, per protesta contro complotti ai
danni dell’industria cinematografica americana.
10
Welles dopo le sfortunate regie cinematografiche tornò a teatro nell’impressionante allestimento
di Il Giro del Mondo in 80 Giorni , l’idea piacque molto, tuttavia di fronte alle dispendiose
fantasie sulla messa in scena, Mike Todd il finanziatore principale, indietreggiò e rinunciò al
progetto, conservando soltanto i diritti sulla musica di Cole Porter, che poi costituirà
l’accompagnamento del film prodotto nel 1955. La produzione venne quindi presentata sotto il
patrocinio del Mercury Theatre di proprietà dello stesso Welles. All’inizio lo spettacolo ebbe un
successo abbastanza incoraggiante, ma il pubblico non fu fedele sufficientemente a lungo perché
un’impresa onerosa fosse ammortizzata, così Welles ci rimise tutti i suoi soldi. Risalgono ad allora
le noie con il fisco, causa questa non trascurabile per una possibile partenza.
16
Questo esilio forzato fu visto allora come una sorta di sconfitta della
figura d’autore contrapposta alla macchina da soldi che è Hollywood,
l’idea e il concetto del cinema come forma d’arte contro la
commercializzazione e il guadagno di un sistema ormai in via
d’espansione e dove l’età dell’oro della sperimentazione era finita
(l’evoluzione del linguaggio cinematografico da parte di registi come
Griffith
11
e Ford, figure che saranno rappresentative e che avevano
influenzato moltissimo il giovane di Kenosha). Oggi a quasi
vent’anni dalla morte del grande cineasta la sua storia assume nuovi e
molti più significati, anche perché osservando i lavori concepiti in
ambito europeo (ovviamente si intendono i lavori prettamente
cinematografici) si può notare come la sperimentazione, il linguaggio
cinematografico, la storia stessa del cinema abbiano conosciuto una
rinnovata freschezza e vitalità, una linfa vitale, e le possibilità
mostrate dal medium ogni volta che sarà nelle mani del regista Welles,
saranno molto superiori, nonostante e soprattutto con gli scarsi
presupposti con cui i suoi progetti presero vita.
Nell’autunno del 1985, alla notizia dell’avvenuta morte di Welles ci
furono due differenti reazioni, una per gli Stati Uniti ed un'altra per
11
Il mitico regista di Intolerance gli fu paradossalmente paragonato poiché quando Welles arrivò a
Hollywood con la nomina di enfant prodige, Griffith attraversava un periodo di crisi, lui che
praticamente aveva inventato il cinema viveva ormai da dieci anni senza neanche una regia, quel
cinema diventato il prodotto-unico prodotto-della quarta industria d’America, e alle catene di
montaggio delle elefantiache fabbriche di cinema non c’era più posto per lui. Dalle parole di
Welles: “Era un esule in patria, un profeta senza onore, un artigiano privato dei suoi strumenti, un
artista disoccupato. Il contratto che avevo io, dove mi era concessa la massima libertà, era un
contratto che avrebbe dovuto meritare lui. Io gli volevo bene e lo veneravo, ma lui non aveva
bisogno di un discepolo, aveva bisogno di un lavoro. Ho odiato Hollywood per come lo hanno
trattato. Nessuna città, nessun’industria, nessuna professione, nessuna forma d’arte deve tanto a un
uomo solo. Ogni cineasta che è venuto in seguito, è venuto al suo seguito. E’stato il primo a fare
un primo piano, il primo a spostare la macchina da presa, la sua opera come le sue invenzioni, è
duratura”. Curiosamente ad eccezione dell’esilio in patria, quelli che difenderanno il cinema di
Welles negli ultimi anni del suo lavoro, a cominciare dalla nuova leva di registi europei, come
Truffaut, intorno al 1975, useranno parole molto simili a quelle di questo articolo scritto proprio
da Welles all’inizio degli anni ’60 per il primo numero di una rivista spagnola di cinema, diretta
da Juan Cobos, suo assistente nel Falstaff, rivista che ancora oggi porta il nome scelto allora dal
cineasta: Griffith.
Bogdanovich, P., Io, Orson Welles, Milano, Baldini e Castoldi, 1996; pag. 53.
17
l’Europa, nel primo caso e cioè nella sua patria suonava solo un
ritornello: il suo peso e lo spettro di un fallimento come se si
spiegassero e giustificassero reciprocamente. In Europa i necrologi si
concentravano quasi esclusivamente sui molti risultati raggiunti da
Welles in quasi mezzo secolo di lavoro.
Ma chi aveva ragione? In una cultura che definisce sempre più il
successo, la storia e la realtà stessa in termini di mercato, la carriera di
Welles sembrava quindi ridursi a un debutto spettacolare seguito da
una quarantina d’anni di inattività. Ma industria e mercato avevano
ragione? L’emarginazione del Welles regista è stata preoccupante:
negli ultimi trent’anni della sua vita uno dei più famosi cineasti
americani non è riuscito a interpretare un film con una casa di
produzione hollywoodiana. Ma Welles rimase tutt’altro che inattivo,
continuò invece a fare del lavoro creativo per tutto il resto della vita,
principalmente finanziandoselo da sé! L’America ce l’aveva con
Welles, ma Welles no, almeno non subito, si riorganizzò in Europa per
dimostrare che anche senza grandi mezzi poteva farcela. La Spagna
insieme all’Italia furono le sue nuove case, scrisse progetti, disegnò
costumi, dipinse, e fece probabilmente i suoi due film più ambiziosi
Don Chisciotte e Falstaff, ma nonostante queste produzioni girate a
costi relativamente bassi fu ancora una volta l’errata distribuzione a
tradirlo e a portare le pellicole all’insuccesso anche nel circuito dei
cinema d’essai. Ma lui continuò, una delle sue qualità era la sua eterna
giovinezza, non diventò mai un vecchio veterano, conservò fino
all’ultimo l’aura del primo lampo di genio irriverente e innovativo che
aveva illuminato tutte le forme d’arte da lui sperimentate, tutti gli
artisti da lui influenzati.
Quando Welles parlava delle questioni centrali della sua carriera,
come il rapporto tra cinema e realtà, il ruolo del regista, il suo statuto
18
d’autore, usciva tutta la sua grandezza, a chi avesse dovuto insegnare
come si fa il regista cinematografico, Welles ricordava, citando
Shakespeare, che il regista non può che “porgere uno specchio alla
natura
12
”. Per rispecchiare quello che vede? No, per capire il mondo
che lo circonda, se non conosci qualcosa della natura alla quale porgi
il tuo specchio, quanto sarà limitata la tua opera! Un film è il riflesso
dell’intera cultura dell’uomo che lo fa, la sua educazione, la sua
conoscenza degli uomini, il respiro più o meno ampio della sua
comprensione, tutto questo informa il film. Welles da parte di tutti
quelli che lo hanno conosciuto è sempre stato considerato un grande
umanista, uno degli ultimi secondo Jesus Franco, regista spagnolo che
gli sarà sempre molto vicino durante i trascorsi spagnoli e che sarà
paragonato al Pierre Menard di Borges, infatti se questi è considerato
l’autore del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, Franco
13
è
l’autore del Don Quijote di Welles.
Per Welles non esiste la “cultura cinematografica” ma un enorme
mucchio di film, bisogna tenersi aggiornati ma con tutto il vasto
mondo, non solo con i film. Si deve scoprire tutto il possibile su
questo posto in cui ci tocca vivere-su questo posto nel tempo-ma
bisogna stare attenti a non diventargli troppo omogenei. Essere alla
moda è certo segno che si è di second’ordine. C’è una corrente
principale della nostra cultura, uno spirito del tempo a cui
apparteniamo, certo; alla fine, però, non saremo giudicati in base al
grado della nostra partecipazione ma in base alla qualità della nostra
12
Opera citata, pag IX;
13
Il racconto breve di Jorge Luis Borges scritto a Nimes nel 1939 e pubblicato in Argentina nel
1944 ci parla del giovane Pierre Menard intento a riscrivere il grande romanzo di Miguel De
Cervantes, la particolarità è che lo riscrive uguale all’originale dove però gli argomenti trattati
vengono messi in relazione con il periodo storico in cui il giovane sta scrivendo. Così Jesus
Franco autore del montaggio del Don Chisciotte di Welles, vi è stato spesso paragonato per il fatto
che montò una versione del film, rispettando le volontà del regista americano e considerando le
implicazioni che il periodo storico, gli anni ’60, avevano sulla trama.
19
risposta individuale. Ecco che con queste parole Welles è sempre più
autore, le sue responsabilità, il rapporto con il mondo e con il potere
del mondo, la condanna alla non omogeneità se non addirittura alla
solitudine, il bisogno dell’arte (perché il cinema, ed è bene ricordarlo
è una forma d’arte) di non appiattirsi sulla realtà ma anzi di leggerla e
di interpretarla. Ed infine Renoir, di cui Welles sempre citerà una
frase: la necessità di “ricordare alla gente che un campo di grano
dipinto da Van Gogh può suscitare emozioni più forti di un campo di
grano naturale
14
” e che quindi l’arte deve superare la realtà, diventare
un’altra realtà, una seconda natura.
Come scrisse Bogdanovich nel suo libro, bisogna argomentare il punto
di vista di Welles sulle vicende della sua carriera; in passato ben tre
libri lo danneggiarono (Charles Higham, Pauline Kael e John
Houseman, quest’ultimo per anni collaboratore più stretto del regista).
Furono determinanti e non migliorarono certo le possibilità del
cineasta di trovare un lavoro in ambito cinematografico
15
, infatti se un
libro concedeva a malapena la paternità solo di Quarto Potere, gli altri
due cercavano di portargli via anche quello. Quando poi l’American
Film Institute gli conferì il suo terzo premio alla carriera, questo irritò
molti della vecchia guardia hollywoodiana, specie quelli che avevano
avuto più successo e si sentivano in diritto di avere un riconoscimento
prima di Welles: la vecchia generazione lo considerava ancora un
fastidioso e sopravvalutato nuovo venuto. Secondo Bogdanovich,
Orson era terribilmente in ansia per tutta la faccenda, per timore che
facesse sembrare ormai conclusa la sua carriera di regista. Tenne però
uno dei discorsi (riportato nel capitolo 5) più importanti della storia
14
Opera citata, pag 194.
15
“Anche i libri e gli articoli su Welles, pubblicati soprattutto in Inghilterra, Francia e Italia, sono
pieni di informazioni inesatte. Una delle fonti principali di queste imprecisioni è stato lo stesso
Welles. Dopo tutto, giustificare la sconfitta ed esorcizzare la disgrazia viene molto naturale a chi fa
cinema”. Bogdanovich, P., Io, Orson Welles, Milano, Baldini e Castoldi, 1996, pag 178.
20
del cinema, un memorabile incoraggiamento agli “indipendenti” che
come lui, devono lottare per fare ciò in cui credono. Applaudirono
tutti con le lacrime agli occhi, ma nessuno gli offrì un lavoro o un
finanziamento.
Orson Welles, è il regista che più di tutti ha rappresentato il concetto
di indipendenza cinematografica, un concetto che è stato di vitale
importanza per tutta la sua intera carriera. Già nel 1941 quando la
Rko, la studio cinematografico che si occupò della realizzazione di
Quarto Potere, si oppose all’idea di Welles di proiettare il film in
tendoni (sfruttando lo slogan “Questo è il film che non potete vedere
al vostro cinema locale”) il cineasta propose di comprarlo. Ci avrebbe
fatto una fortuna e sarebbero stati felici entrambi, la Rko si sarebbe
tolta un impiccio e Welles sarebbe stato un ricco indipendente per il
resto della vita. Molti amici e nemici spinsero perché Welles
realizzasse finalmente un film commerciale, abbandonando così i
cosiddetti film “d’arte” perché educare il pubblico era troppo costoso.
Ma lui rimase coerente con se stesso e con il suo concetto di arte nella
libertà da ogni costrizione. “Un indipendente-come scrisse più volte-è
un tale che costruisce il suo lavoro sulle sue qualità personali
16
”.
Una volta Jean Cocteau, grande poeta e cineasta scrisse: “Orson
Welles è un gigante con la faccia da bambino, un albero pieno di
uccelli e di ombre, un cane che ha rotto la catena ed è andato a
dormire sul prato in mezzo ai fiori. E’ un attivo perdigiorno, un saggio
pazzo, una solitudine circondata di umanità
17
”. Welles è quel cane che
per troppo tempo legato si è liberato dalle catene delle case di
produzione e è andato consapevolmente verso la libertà, una libertà di
16
Opera citata, pag 219;
17
Opera citata, pag 33;