2
prima volta in modo organico, l’istituto dell’adozione internazionale.
Fino a quel momento, infatti, non esisteva un sistema completo di
norme diretto a disciplinare l’adozione internazionale, rivenendosi in
materia, unicamente un insieme disarticolato di norme generali e
speciali (come ad esempio l’art. 5 della legge 431/67 nonché gli
articoli 17 e 20 delle preleggi).
Le aspettative, però, sono andate in parte deluse. Indubbiamente
apprezzabile per l’originalità di talune soluzioni adottate, la legge
presentava problemi di coordinamento con le disposizioni delle
preleggi, a causa anche della scelta, inusuale per il nostro legislatore,
di emanare un apposito corpo di norme materiali per le adozioni
internazionali, in luogo di introdurre nuove norme di conflitto.
A ciò si aggiunga che, per consolidato orientamento
giurisprudenziale
2
, avallato dalla stessa Corte Costituzionale
3
, era
stato riconosciuto alle disposizioni in materia il carattere di norme di
applicazione necessaria, sancendo cosi la preminenza della lex fori ed
assegnando un ruolo residuale ed oltremodo circoscritto al gioco delle
norme di diritto internazionale privato. Inoltre non trovava una
disciplina organica né il problema della giurisdizione dei nostri
giudici, né quello del riconoscimento delle sentenze straniere. La
dottrina internazionalprivatistica, tuttavia, elaborò con un “faticoso
lavoro di intarsio”
4
un’organica materia adottiva minorile, attingendo
dagli articoli della legge n.184, sia in ordine alla giurisdizione italiana
2
Cass.,3.2.92, n.1128, in Riv. dir. int. priv. proc. , 1994.
3
Corte Cost., 11.12.89, n. 536, in Riv. dir. Int., 1989.
4
ZICCARDI, Ordine pubblico e convenzioni internazionali sul riconoscimento di atti stranieri di
adozione di minori, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995.
3
(per la quale si faceva rinvio alle norme della competenza per
territorio), sia per il riconoscimento delle sentenze straniere.
5
La procedura disciplinata dalla citata legge riguardava con
particolare attenzione le fasi che si svolgevano in Italia, ignorando
sostanzialmente quella che si svolgeva all’estero. Presupposto per
procedere all’adozione internazionale era (ed è) che i coniugi avessero
ottenuto dal tribunale per i minorenni del luogo di residenza, un
decreto dichiarativo della loro idoneità all’adozione internazionale
previa specifica domanda e indagine istruttoria (con relazione
psicosociale e audizione dei coniugi in tribunale).Della prima fase è
opportuno mettere in evidenza che gli aspiranti adottanti si dovevano
rivolgere “al tribunale per i minorenni del distretto” della loro
residenza per ottenere la dichiarazione di idoneità all’adozione, la
quale era subordinata alla verifica, “previe accurate indagini” del
possesso dei requisiti personali “previsti dall’art. 6” (art. 30).
I presupposti per l’adozione erano gli stessi, sia nel caso di
minore italiano sia in quello di minore straniero (la previsione della
norma si ispira al principio di parità di trattamento). Oltre ai requisiti
obbiettivi, erano previsti degli accertamenti sulle capacità
pedagogiche ed affettive dei coniugi, sull’ambiente familiare e sulla
situazione economica degli adottanti (art. 22, 2°e 3° comma). La
dichiarazione di idoneità costituiva un presupposto necessario per il
riconoscimento, in Italia, del provvedimento straniero, cioè essa aveva
la natura di condizione di ammissibilità dell’adozione internazionale,
5
ZICCARDI, Ordine pubblico e convenzioni internazionali sul riconoscimento di atti stranieri di
adozione di minori, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995.
4
nel senso che senza tale preventiva dichiarazione, il giudice italiano
non poteva dichiarare efficace il successivo provvedimento straniero
di adozione o di tutela del minore, e il minore non poteva nemmeno
entrare nel territorio italiano a scopo di adozione.
I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato
l’orientamento quasi unanime in dottrina sull’esigenza che la
dichiarazione di idoneità dovesse essere rilasciata prima
dell’emanazione del provvedimento straniero previsto dal primo
comma dell’art.31
6
.
Nell’adozione internazionale, la valutazione che il tribunale
compiva, assumeva necessariamente i requisiti dell’astrattezza e della
genericità, perché sarebbe spettato all’Autorità straniera operare
l’abbinamento e, quindi, valutare nella concretezza della situazione,
l’idoneità della coppia all’adozione di quel determinato e specifico
bambino.
La dichiarazione di idoneità era resa con decreto motivato emesso
dal tribunale per i minorenni con procedimento camerale.
Entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione, erano
legittimati all’impugnazione del decreto presso la sezione del minore
della corte d’appello, ex artt. 739 e 740 c.p.c. entrambi i coniugi e il
pubblico ministero (art. 30 l. n.184).
Dottrina e giurisprudenza prevalenti, tendeva ad escludere
l’ammissibilità del ricorso per cassazione, a norma dell’art. 111 Cost.,
dei provvedimenti emessi dalla corte d’appello in sede di reclamo.
7
6
Cfr. Cass., 19-10-93, n.10355, in «Riv. int. priv. proc.», 1994.
7
BEGHÉ LORETI, L’adozione internazionale nel nuovo progetto di riforma del sistema italiano
5
La fase successiva era affidata al cd. sistema <<fai da te>>; in
quanto le coppie erano libere di rivolgersi all’estero a chi volevano.
Era, in realtà, prevista dalla legge l’istituzione di enti autorizzati a
svolgere le pratiche per l’adozione di bambini stranieri (art. 31), ma
solo il 15% delle coppie dichiarate idonee all’adozione internazionale
si rivolgeva a loro. Tutte le altre facevano ricorso a canali privati non
sempre illeciti, ma raramente capaci e competenti. Malgrado ciò,
come ricorda Luigi Fadiga
8
, nel 1997 su 5.915 coppie dichiarate
idonee, solo 2.192 sono riuscite a effettuare l’adozione di un bambino
straniero. Ciò si spiega con la rinunzia di molti aspiranti a tale
adozione, rinuncia motivata talora dall’aver ottenuto un bambino
italiano oppure dalla difficoltà di affrontare le complesse e costose
pratiche dell’adozione internazionale. Il legislatore aveva previsto
nell’art. 31 (l. n °.184) che lo straniero minore degli anni quattordici
potesse entrare in Italia a scopo di adozione solo in due ipotesi: o “in
presenza di un provvedimento di adozione o di affidamento
preadottivo emesso da un’autorità straniera nei confronti di cittadini
italiani residenti in Italia o nello Stato straniero, o altro provvedimento
in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori” (1°
co.); oppure, in presenza di un “nulla-osta, emesso dal Ministro degli
affari esteri d’intesa con quello dell’Interno, concedibile solo ove vi
sia un’autorizzazione all’espatrio dallo Stato straniero” (2° co.).
Quest’ultima ipotesi si verificava quando nello Stato di
provenienza del minore non sia prevista l’emanazione di uno dei
di diritto internazionale privato, in «Giust.civ.», 1990.
8
FADIGA L., L’adozione, Bologna, 1999.
6
provvedimenti indicati al 1° comma dell’art.31, ovvero quando non
sia possibile l’emanazione di uno dei suddetti provvedimenti, a causa
di eventi bellici, calamità naturali o altri eventi di carattere eccezionale
(art.34).
Diverso era l’atteggiamento del legislatore nei confronti dei
minori stranieri che avevano compiuto gli anni quattordici e che
entravano in Italia a scopo di adozione. In base al principio di parità di
trattamento del minore straniero con il minore italiano, anche il
minore straniero ultraquattordicenne doveva dare consapevolmente il
proprio consenso all’adozione; questo requisito rendeva superflua la
necessità del visto consolare per l’ingresso in Italia a scopo di
adozione, o la segnalazione da parte dell’ufficio di Polizia di frontiera
al tribunale per i minorenni del distretto del luogo ove il minore era
diretto (art.36).
La fase conclusiva si svolgeva in Italia al rientro dei coniugi con
il bambino adottato o affidato all’estero. Su richiesta dei coniugi il
tribunale per i minorenni del luogo di residenza dichiarava l’efficacia
del provvedimento straniero in Italia come adozione o come
affidamento preadottivo. Questa seconda formula era quella di gran
lunga prevalente, perché il vecchio art. 33 della legge 184/83 stabiliva
che il provvedimento emesso dall’autorità straniera non poteva essere
dichiarato efficace in Italia con l’effetto di adozione, se non risultava
comprovata la sussistenza di un periodo di affidamento preadottivo
della durata di un anno e ciò non avveniva quasi mai. E’ stato questo il
sistema dell’adozione internazionale vigente in Italia fino al 15
7
novembre 2000, data in cui è definitivamente entrata in vigore la
riforma dell’adozione internazionale.
Va solo ribadito che con questa disciplina era notevolmente
carente la tutela del bambino straniero, perché era sostanzialmente
aperta la porta al mercato dei bambini. Per averne conferma, basta
ricordare che nel 1991, quando ancora non vi era un ente italiano
autorizzato all’adozione internazionale in quel Paese, le coppie
italiane riuscirono a farsi consegnare in Romania ben 1.161 bambini.
Si dubita che tutti questi casi siano stati regolari e che qualcuno
nasconda una compravendita di bambini. Sul commercio di bambini a
scopo di adozione non si hanno ovviamente cifre ufficiali, ma una
cosa è certa : che esiste e che è prospera. Ce n’è una versione anche
nostrana. La squadra mobile della Questura di Avellino, impegnata
all’inizio del 1998 nella “Operazione Cicogna”, ha denunciato 300
sospetti casi di compravendita con prezzi fino a 50 milioni per
bambino. Se è cosi in Italia, facile immaginare cosa può accadere nei
Paesi del Terzo mondo o in quelli dove la povertà e il degrado
raggiunge livelli estremi. E d’altra parte secondo una ricerca effettuata
nel 1988 dall’ Ufficio centrale di adozione tedesco, il 25% delle
adozioni di bambini stranieri effettuati in Germania fra il 1984 e il
1987 <<evidenziava uno sfondo commerciale, illegale o anche
criminale>>
9
.
1.2 LA LEGGE 218/95
La legge di riforma del diritto internazionale privato dedica alla
9
FADIGA L., L’adozione, Bologna, 1999.