II
organizzazioni non lucrative di utilità sociali (ONLUS).
La concezione dell’economia civile che trova spazio in un Paese quale
l’Italia, caratterizzato da una struttura produttiva dominata dalla presenza della
piccola e media impresa, attribuisce a queste organizzazioni non lucrative il
compito primario di generare reti di reciprocità nella società e di vincolare quei
valori capaci di alzare il livello della qualità della vita.
Si comprende, quindi, il perché una «soluzione costituzionale» per il «non
profit» italiano non poteva consistere in un mero adattamento della legislazione
civilistica o tributaria vigente in altri Paesi o in una pedissequa imitazione delle
strutture organizzative ivi prevalenti.
L’approvazione del D.Lgs 460/97 è stata, quindi, accolta con generale
soddisfazione dal mondo del non-profit e non solo in considerazione delle
rilevanti novità sotto il profilo fiscale introdotte dalla novella.
Il legislatore è, infatti, intervenuto in un settore che da tempo necessitava
di un riordino generale, provvedendo anzitutto a dettare i criteri per la
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qualificazione degli enti non commerciali e di utilità sociale e successivamente
muovendosi nell’ottica di contribuzione allo sviluppo e al sostegno del settore,
attraverso la previsione di una serie di agevolazioni fiscali e tributarie.
Tuttavia, come evidenziato nel presente lavoro, sarebbe auspicabile che
queste modifiche di natura tributaria inducano il legislatore ad approdare alla
sospirata riforma civilistica del settore, più volte avviata ma mai condotta a
termine, considerato che il D.Lgs. 460/97 renderà più profonda la frattura già
esistente tra normativa fiscale e normativa civilistica.
La realtà di oggi vede, infatti, una riforma fiscale affiancarsi ad una
disciplina civilistica ormai anacronistica, che necessita di un intervento rapido ed
organico sollecitato dagli innegabili mutamenti che hanno interessato e
continuano ad interessare il terzo settore.
In questo scenario si inquadra anche la vita della Sezione DLF di Salerno
ed il 1999 dovrà essere l’anno cruciale per la stessa, in vista della definizione di
molte problematiche ancora aperte sul completamento del processo di riforma e
IV
sull’assestamento organizzativo del Dopolavoro.
Il Consiglio Nazionale, il Collegio Nazionale dei Sindaci e quello dei
Probiviri sono stati finalmente eletti nel giugno 1998, al loro insediamento dovrà
seguire quello degli altri organi statutari tuttora mancanti (Commissioni
Regionali, Collegi Regionali dei Probiviri), nonché la conferma o il rinnovo degli
organi nazionali (Giunta Nazionale e Presidente Nazionale).
Il perfezionamento degli organi statutari, la firma del CCNL, la nuova
legislazione fiscale consentiranno di operare in un quadro di maggiore certezza
ed in piena legittimità per la ricerca delle soluzioni più idonee ai tanti problemi
ancora insoluti.
Tale ricerca dovrà essere supportata e suffragata dalla partecipazione
attiva del corpo sociale, da estrinsecarsi non solo attraverso gli organi
rappresentativi, ma direttamente e costantemente a mezzo di tutti gli strumenti di
comunicazione interna, disponibili o da approntare.
Questi strumenti dovranno servire anche ad evidenziare e mettere in circolo le
V
potenzialità migliori che certamente esistono in gran parte del tessuto sociale ma
che rimangono sommerse ed inutilizzate se non si offre loro l’opportunità di
emergere, di manifestarsi e di applicarsi.
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INTRODUZIONE
Considerazioni iniziali
La discussione tra le forze sociali, culturali e politiche sul modo
d’intendere e gestire ciò che viene comunemente definito “tempo libero”, si è
notevolmente sviluppata negli ultimi anni. Tale interesse sembra trovare
corrispondenza non soltanto nella maturazione culturale e sociale del paese, ma
soprattutto nell’impegno comune di comprendere le ragioni profonde del
progressivo aggravarsi della situazione economica nazionale e delle sue
preoccupanti ripercussioni sui costumi e sulle tradizioni dei vari strati sociali.
Siamo, infatti, di fronte ad una crisi di strutture economiche e di valori
sociali strettamente collegati a quei modelli “competitivi e consumistici” che
hanno connotato per lungo periodo la società italiana. Ciò ha investito fortemente
la sfera individuale dei singoli cittadini provocando interrogativi circa i modi di
convivenza e di autorealizzazione. In altri termini ogni uomo è costretto a
rivedere criticamente gli schemi ispiratori della propria esistenza ed è spinto a
partecipare in prima persona a processi in atto, anzi a determinarli più che a
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subirli.
Le finalità del tempo libero
Alla volontà di rinnovamento morale ed ideale corrisponde, tra l’altro, la
necessità di impostare in maniera profondamente diversa il problema della
formazione culturale e sociale.
Una nuova ottica diventa, quindi, obbligatoria per definire la natura e le
finalità del “tempo libero” in contrasto con le due concezioni che hanno diviso in
passato i teorici della materia:
a) la prima che considera il lavoro un sacrificio necessario per ricavare i mezzi di
sussistenza e il tempo libero un conquistato momento di realizzazione delle
potenzialità insite nell’uomo;
b) la seconda che vede tale momento di realizzazione nel lavoro, visto come fine
primario dell’esistenza, ed attribuisce al tempo libero la funzione di recupero
delle energie consunte.
Il limite di queste teorie risiede nella separazione tra i due momenti che
dovrebbero essere invece considerati come un’unità inscindibile, fasi diverse ma
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strettamente correlate ed interagenti.
Lavoro e tempo libero sono aspetti biunivoci di un’unica realtà: la vita
dell’individuo nell’ambito della società.
Essi non sono categorie assolute ed immutabili, bensì dei concetti relativi
che possono mutare in funzione della loro interdipendenza. In altre parole, in
ogni momento dell’esistere ciascuna delle due componenti dovrà influenzare
l’altra affinché dallo stimolo reciproco il lavoratore possa perseguire una sempre
maggiore affermazione della propria presenza e dei propri diritti. Se da un lato il
tempo libero deve aiutarlo a comprendere meglio il significato dell’attività
lavorativa, dall’altro questa deve spingerlo a rinnegare un’utilizzazione evasiva e
distrattiva, quindi alienata, del tempo libero.
Bisogni indotti e bisogni reali
Questa visione unitaria del problema non a caso è sempre stata alla base
della politica industriale, che l’ha utilizzata, ovviamente, in funzione negativa e
mistificante.
L’industria privata, dovendosi necessariamente collegare ad una domanda,
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ha teso non solo a costruire “oggetti” ma anche a determinare il consenso sul tipo
di produzione. Da qui l’appropriazione, da parte dei grandi monopoli nazionali
ed internazionali, degli strumenti di informazione e di formazione e la
conseguente strumentalizzazione del tempo libero del lavoratore.
In pratica sono stati creati artificiosamente dei “bisogni indotti”, non
rispondenti a quelli reali, al solo fine di produrre beni individuali di consumo e
favorire in tal modo l’accumulo dei capitali senza tener conto delle effettive
esigenze dei fruitori.
Ciò ha determinato una sviluppo distorto del meccanismo economico che,
fra l’altro, ha condizionato in senso negativo la pratica del tempo libero.
Bisogna, tuttavia, rilevare che i lavoratori si sono contrapposti con
convinzione sempre più crescente a questi progetti e propongono oggi delle
soluzioni tendenti ad esaltare una produzione di consumi sociali, una gestione
democratica dei piani di sviluppo e in definitiva la crescita culturale, civile ed
economica della società italiana.
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La nuova concezione del tempo libero
Si è affermata, di pari passo, una diversa concezione del tempo libero
centrata sull’autogestione e sulla qualificazione culturale delle singole iniziative.
Questa identità tra gestori e fruitori garantisce nel tempo l’individuazione dei
bisogni effettivi e la realizzazione degli strumenti più idonei a soddisfarli.
Occorre, però, tener presente che, nell’attuale fase, ci si trova di fronte ad
una domanda ancora legata ad attività settoriali, anche se culturalmente più
avanzata rispetto al passato.
I rapporti tra i singoli settori di iniziativa (culturale, sportivo, turistico e
ricreativo) dovrebbero essere sempre più sviluppati onde fare del tempo libero un
momento di educazione permanente nel quale il lavoratore possa esercitare, in
modo armonico e coordinato, le proprie potenzialità fisiche, intellettive e
psichiche.
Si dovrebbe tendere, inoltre, ad abolire, nell’ambito delle attività di tempo
libero, ogni divisione e contrapposizione tra le diverse generazioni o tra uomini e
donne, individuando spazi e momenti comuni per uno scambio reciproco delle
esperienze in un confronto dialettico costante.
Particolare attenzione meriterebbe il tempo libero delle donne e dei
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giovani che, soprattutto al Sud, emarginati o esclusi dal processo produttivo, si
trovano in una situazione di precarietà e maggiore difficoltà.
Le donne, anche a causa dell’ancora estrema carenza di servizi sociali, che
finisce per addossare loro una serie di oneri, che vanno dalla cura della casa,
all’educazione dei figli, all’assistenza ai malati ed agli anziani, sono comunque
ancora dedite ad attività “casalinghe”.
Anche quando esse riescono a superare difficoltà di inserimento nel
mondo del lavoro nella maggior parte dei casi devono continuare a far fronte agli
impegni domestici.
È questo uno dei motivi che sovente ha contribuito non solo ad impedir
loro l’accesso a posti di responsabilità ma anche a limitare oggettivamente la
capacità di gestire in modo autonomo la propria esistenza.
Il tempo libero si riduce spesso a dover subire passivamente prodotti
consumistici e di evasione, pubblicizzati in modo massiccio attraverso appositi
canali comunicativi (trasmissioni radiofoniche e televisive, riviste “femminili”,
pubblicità postali e di altro genere).
Tutto ciò deve essere, inoltre, considerato alla luce dei ritardi storico-
culturali dell’intera società rispetto alla donna ed al suo ruolo.
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Tale situazione viene oggi rimessa in discussione dalla volontà della
donna, che sempre più si esprime in modi organizzati di superare ruoli subalterni
e conquistare un nuovo status sociale ed una effettiva parità di diritti civili e
politici.
Maggiore attenzione dovrebbe comunque essere dedicata anche alle
strutture di tempo libero (forma di organizzazione, tipologia delle attività e
configurazione degli impianti) che, determinando emarginazioni ed esclusioni,
incidono negativamente sui processi emergenti di emancipazione.
Allo stesso modo la condizione giovanile dovrebbe preoccupare l’intera
società anche in considerazione della sfasatura persistente tra formazione e
sbocchi professionali.
I problemi di una scuola qualificata, accessibile ai vari strati sociali e
meglio rispondente ai fenomeni di trasformazione produttiva attendono ancora
soluzioni operative soddisfacenti.
Si assiste, invece, ad una disarticolazione nel ruolo dei giovani rispetto
alla struttura sociale e ciò li porta ad uno stato di smarrimento e d’incertezza sulle
prospettive, ad una ricerca di forme di evasione sia individuale che collettiva, ed
a risposte a volte disparate.
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Responsabile e tempestivo dovrebbe essere l’intervento di tutti gli
organismi competenti, mediante proposte concrete fondate, più che sulla
repressione delle espressioni sbagliate, sulla costante educazione e sulla
soluzione di problemi strutturali.
L’impostazione nuova da attribuire alle attività di tempo libero potrebbe
recare un contributo fattivo in questa direzione e ciò in modo particolare se,
nell’ambito di un’azione promozionale, venissero maggiormente impegnate forze
giovanili che risultano le più attente ai nuovi aspetti della qualità della vita.
La disgregazione territoriale
Tuttavia qualsiasi ipotesi di vita qualitativamente diversa sarebbe poco
realistica se non si tenesse conto della condizione del territorio urbano e dello
stato di abbandono delle campagne.
Lo sviluppo industriale, non coordinato con una riqualificazione
dell’economia agricola, ha determinato una situazione di sovraffollamento delle
grandi città le quali si sono gonfiate in modo abnorme al punto che i nuovi
quartieri hanno assunto la caratteristica di dormitori a caro prezzo più che di
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spazi sociali. La carenza di servizi e luoghi per una attività associativa e
collettiva ha accentuato il processo di graduale annullamento dei valori
comunitari. Per cui le attuali città sono diventate terreni di esasperata
competitività dove ogni singolo uomo non riesce ad esprimere ed a comunicare
in quanto entità isolata in una realtà frantumata.
La gestione democratica del territorio
Ma negli ultimi 20 anni si è venuta opponendo una volontà popolare di
riscatto che ha contribuito a formare negli ambienti più diversi (dagli intellettuali
ai politici, dalle forze sindacali alle associazioni culturali) una nuova concezione
della città intesa come organismo vivente e dinamico e non più quale
agglomerato di manufatti architettonici.
Tra molte difficoltà pratiche e limiti contingenti si sono formati, spesso
anche in modo spontaneo, nuovi organismi che hanno come fine la gestione
democratica del territorio e delle sue strutture (comitati di quartiere, organismi
collegiali delle scuole, consigli sindacali di zona, circoli culturali e sportivi).
Tutto ciò si rapporta alle strutture tradizionali (parrocchia, sezioni di partito,
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associazionismo democratico di massa e circoli aziendali) dando loro una nuova
prospettiva positiva nel determinare una diversa convivenza civile e sociale.
Le autonomie locali e la partecipazione
Il potere di decidere e di attuare ciò che si è deciso viene in tal modo
decentrato a livello più basso e costituisce una riforma dello stato basata sulla
partecipazione.
Il processo di formazione degli indirizzi politici ed economici a livello
nazionale viene così ad essere mutato profondamente ed introduce come nuovi
interlocutori le Regioni e gli Enti Locali, intesi non come realtà burocratiche
estranee alla comunità civile, ma come organi fondati sul decentramento e sulla
partecipazione possono esercitare un controllo democratico effettivo.
Per gli Enti Locali si è posto però un duplice problema: da un lato quello
di decentrarsi a loro volta in quartieri o in circoscrizioni per realizzare un
rapporto reale e continuo tra istanze di democrazia diretta e strutture
amministrative; dall’altro quello di promuovere nuove forme di aggregazione tra
i Comuni (comprensori e comunità montane) per affrontare a livello più generale