Si inizia con il delineare l imposizione indiret ta a cui Ł sottoposto
colui che cede il marchio, approfondendo le diverse tesi
sull assoggettamento ad IVA o ad imposta di registro, alla luce anche
della possibilit , concessa dalla legge, di cedere il marchio
separatamente dall azienda o da un ramo della stessa.
Si prosegue poi con l analisi di quanto stabilito dal testo unico
delle imposte dirette per quel che riguarda la tassazione delle
plusvalenze derivanti dalla cessione del marchio e la deducibilit delle
quote di ammorta mento di quest ultimo, tenendo conto anche delle
recenti modifiche apporta te al T.U.I.R. dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223.
Con il capitolo 2, invece, si sposta l attenzione sulle royalties e
cioŁ sui corrispet tivi pagati ai soggetti che concedono in uso il marchio,
estendendo l analisi del regime fiscale applicabile, tra gli altri, anche ai
casi di concessione in uso da parte di un soggetto non residente e ai casi
di pagamento di canoni comunitari infragruppo , cioŁ fra societ
consociate di Stati membri diversi dell Unione Europea.
In tal modo si introduce ci che nel capitolo 3, prende le forme di
una sorta di panoramica sul trat tamento fiscale riservato alle operazioni
riguardanti sempre il marchio, ma con soggetti, facenti o meno parte
dello stesso gruppo, non residenti in Italia.
Infine la trattazione si conclude con l esame di una particolare
fattispecie di trasferimento del marchio, oggetto di discussione sia per
la sua classificazione, sia per ci che concerne il tipo di imposizione cui
sottoporla: la cessione del marchio dello studio tra professionisti.
IV
Capitolo 1.
IL REGIME TRIBUTARIO DELLA CESSIONE DEL MARCHIO
D IMPRESA
1.1. Le imposte indirette: assoggettamento a IVA o ad imposta di
registro?
1.1.1. Il quadro normativo di riferimento.
La disciplina dei marchi Ł regolata principalmente dal codice civile
(artt. 2569- 2574), dal R.D. 21 giugno 1942, n. 929 ( Legge Marchi ) e dal
D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice dei diritti di propriet
industriale).
Il marchio viene definito come quel segno o emblema atto a
distinguere l azienda, i prodot t i o i servizi di un impresa da quelli di
altre imprese. Una particolare tutela giuridica Ł riconosciuta al marchio
che presenta i requisiti di novit , originalit e liceit ; requisiti la cui
verifica deve essere fatta secondo quanto disposto dagli artt. 12, 13 e 14
del Codice della propriet industriale.
Elemento essenziale per godere di tale tutela giuridica Ł la
registrazione secondo le forme stabilite dalla legge.
Lo stesso codice civile prevede all art. 2569 il diritto, per colui che
ha registra to un nuovo marchio, di valersene in modo esclusivo per i
prodot t i e i servizi per i quali Ł stato registrato. In mancanza di
registrazione, comunque, viene data la facolt , a chi ha fatto uso del
marchio non registrato, di continuare ad usarlo nei limiti in cui
anteriormente se ne Ł valso, nonostan te la registrazione da altri
ottenuta (art. 2571 Preuso ).
I diritti del titolare del marchio registrato consistono nella facolt
di fare uso esclusivo del marchio, salvo consenso all uso da parte di
1
terzi anche a seguito di un suo trasferimento. Il marchio, infatti,
secondo quanto disposto dall art. 2573 c.c. e dall art. 23 del D.Lgs.
30/2005, pu essere trasferito o concesso in licenza per la totalit o
per una parte dei prodot ti o servizi per i quali Ł stato registrato , a
condizione che in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi
inganno in quei prodott i o servizi che sono essenziali
nell apprezza mento del pubblico .
La disciplina del trasferimento del marchio per , non Ł sempre
rimasta la stessa. Nel 1992 il D.Lgs. n. 480 ha abolito il vincolo alla
cessione del marchio solo con l azienda o con un ramo di essa. In
precedenza, infatti, l art. 2573 c.c. e l art. 15 della Legge Marchi (nelle
formulazioni previgenti) stabilivano che il trasferimento del segno
distintivo potesse essere realizza to solo unitamente all azienda o ad un
ramo di essa.
Specialmente dal punto di vista fiscale, proprio l ipotesi della
cessione del marchio unitamente all azienda Ł stata oggetto di
discussione e di differenti prese di posizione circa l imposizione
indiretta cui assoggettarla. Due risultano essere le principali teorie in
netto contras to tra loro:
1)La teoria dell assoggetta mento a IVA: teoria esposta e
sostenuta dalla Corte di Cassazione, nelle sentenze 26 marzo 2003, n.
4452, e 1 marzo 2003, n. 4974. Secondo la Suprema Corte la cessione
del marchio, in quanto prestazione di servizi ai sensi dell art. 3, comma
2, n. 2), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sconterebbe sempre l IVA, a
prescindere dal fatto che avvenga in via autonoma, ovvero nel contesto
di un trasferimento d azienda. Quindi, nel caso di cessione di azienda,
comprendente il marchio, risulterebbe necessario scorporare dal valore
complessivo della cessione quello relativo ai beni immateriali,
sottoponendo questi ultimi all IVA ed il residuo prezzo all imposta di
registro.
2
2)La teoria dell assoggetta mento a imposta di registro: teoria
sostenuta principalmente dall Associazione Dottori Commercialisti di
Milano 1, dalla giurisprudenza comunitaria 2, dalla dottrina 3 e confermata
ultimamente anche dall Amministrazione finanziaria 4. Essa afferma che
la cessione del marchio, unitamente al trasferimento dell azienda o
ramo di essa, non Ł soggetta a imposizione IVA e sconta solo l imposta
di registro in misura proporzionale 5, trat tandosi di elemento ricompreso
nell universitas di beni qual Ł l azienda.
1.1.2. La tesi dell assoggetta mento ad IVA.
La tesi dell autonomo assoggettamento ad IVA del valore di
cessione dei marchi emerge dal testo di due sentenze 6, con le quali la
Corte di Cassazione si pronuncia, in modo decisamente innovativo e in
contras to con l indirizzo consolidato e comunemente accettato sin
dall introduzione dell IVA, sul regime tributario da applicare al
trasferimento del marchio in uno con l azienda.
La vicenda prende le mosse dalla cessione di un ramo d azienda
comprendente beni destinati alla produzione di articoli di abbigliamento
e marchi, che le parti qualificavano come soggetta, per l intero
corrispett ivo ad imposta di registro in misura proporzionale (art. 2,
della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
1
Norma di compor tamento n. 158 dell ADC di Milano, in Boll. Trib. n. 22/2004, pag.
1635.
2
Corte di Giustizia UE, Sent. 27 novembre 2003, causa C- 497/01, in Corr. Trib. n.
4/2004 con commento di BARONE, pag. 297.
3
Tra gli altri: SCALINCI, Mercato del marchio , cessione d azienda e primato della ratio
legis comunitaria, nell IVA , in Riv. di Dir. Trib., n. 11/2003, I, pag. 961; STEVANATO,
LUPI, BRESSAN, STANCATI, Cessione d azienda ed assoggetta mento ad IVA dei marchi:
un sillogismo giudiziario non convincente, ma (fortunatamente) circoscritto , in Dialoghi
di , fasc. 1, ottobre, 2003, Anno I, pag. 107; GASTALDO, La cessione d azienda e il
trasferimento del marchio tra IVA e imposta di registro , in Dir. e Prat. Trib., n. 4/2003,
II, pag. 995 ss; RUSSO - PADOVANI, Cessione dell azienda e del marchio. Riflessioni a
margine del recente orienta mento della Corte di Cassazione , in Rass. Trib. n. 2/2004,
pag. 665; PEIROLO, Cessione d azienda: regime IVA del trasferimento del marchio
d impresa , in Pratica fiscale e professionale, n. 48/2004, pag. 11.
4
Risoluzione 3 aprile 2006, n. 48/E (Agenzia delle Entrate).
5
Art. 2, comma 1, della tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
6
Cassazione, Sez. trib., sent. 26 marzo 2003, n. 4452 e Cassazione, Sez. trib., sent. 1
aprile 2003, n. 4974 (entrambe in Rass. Trib. n. 2/2004, pagg. 665 e 670, con
commento di RUSSO e PADOVANI).
3
L Ufficio IVA, rilevato che il trasferimento aveva ad oggetto anche
alcuni marchi di titolarit della societ cedente, assoggettava
l operazione ad IVA e, conseguente mente, contestava alla cedente
l omessa fatturazione e l infedele presentazione della dichiarazione
annuale e alla cessionaria l omessa autofat turazione ai sensi dell art. 41,
comma 6, del D.P.R. n. 633/1972, esigendo da entrambi i soggetti l IVA,
oltre alle relative sanzioni.
Avverso gli avvisi emessi dall Amministrazione finanziaria, le
societ presentavano ricorso alla Commissione tributaria, sostenendo di
aver posto in essere una cessione di ramo d azienda, operazione
espressamente esclusa dal campo di applicazione dell IVA a norma
dell art. 2, comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972 7. A sostegno del
loro assunto, le societ ricorrenti depositavano in giudizio copia del
decreto con il quale il giudice delegato aveva autorizzato
precedentemente una S.r.l., ammessa alla procedura di concordato
preventivo, a cedere lo stesso complesso aziendale alla societ cedente
nel caso che qui ci occupa.
Le ricorrenti sostenevano quindi, che, vista la qualificazione della
prima cessione come trasferimento di ramo d azienda , espressa
dall Autorit giudiziaria, alle medesime conclusioni si doveva pervenire
anche con riguardo alla seconda cessione.
I ricorsi venivano accolti dal giudice di prima istanza,
riconoscendo che le contribuenti societ avevano posto in essere una
cessione di ramo d azienda . Il Giudice regionale, quindi, rigettava
l appello dell Ufficio, sostenendo che dall atto di cessione emergeva
con chiarezza la volont dei contraenti di trasferire l intero impianto
commerciale ed oggetto del trasferimento, risultante da un espressa
clausola contrattuale, erano stati non solo il marchio e i suoi figurativi,
ma anche altri beni e rapporti che, organizzati nel loro insieme,
costituivano un complesso organico idoneo a realizzare la
7
Art. 2, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 633/1972: Non sono considerate cessioni di beni:
b) le cessioni e i conferimenti in societ o altri enti, compresi i consorzi e le
associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda .
4
continuazione dell attivit imprenditoriale dell azienda ceduta. 8.
Pertanto si riteneva legittimo l assoggettamento, effettuato dalle
contribuenti, ad imposta di registro della cessione in parola. Nonostante
ci , l Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione,
ribadendo la tesi gi sostenuta nei precedenti gradi di giudizio, secondo
cui l art. 2573, comma 1, del codice civile, stabilirebbe che il diritto
all uso esclusivo del marchio pu essere trasferito soltanto con l azienda
o con un ramo particolare di questa e, pertanto, la cessione unitaria e
contestuale dell azienda e del marchio costituirebbe un negozio
complesso da assoggettare ad un duplice regime di imposizione: la
cessione dell azienda ad imposta di registro e la cessione del marchio ad
IVA.
A sorpresa, e disattendendo le conclusioni dei giudici di merito, la
Corte di Cassazione confermava l interpretazione dell Amministrazione
finanziaria sulla base di un ragionamento, sintetizzabile principalmente
nei seguenti passaggi logici:
- l art. 2573, comma 1, del codice civile, nel testo esistente prima
della novella introdot ta con l art. 83 del D.Lgs. n. 480/1992, in
attuazione della direttiva CEE n. 89/104, e l art. 15 del R.D. n. 929/1942,
prevedevano che il diritto all uso esclusivo del marchio registrato
potesse essere trasferi to soltanto con l azienda o con un ramo
particolare di questa;
- il D.P.R. n. 633/1972, in materia di IVA, Ł anteriore alla citata
novella del codice civile e prevede, all art. 3, sin dalla sua
promulgazione, che le cessioni di beni immateriali (e in particolare del
marchio) sono assimilate a prestazioni di servizi;
- conseguentemente, in caso di trasferimento del marchio con
l azienda, unica ipotesi consenti ta sulla base del testo originario dell art.
2573 del codice civile, occorre procedere con una distinta tassazione: in
8
Cassazione, Sez. trib., sent. 1 aprile 2003, n. 4974 in Svolgimento del processo .
5
specie sottoponendo all imposta di registro la cessione dell azienda, o di
un suo ramo, ed all IVA il trasferimento del marchio.
La Suprema Corte precisa, inoltre, che non gioverebbe in
contrario rilevare che il D.Lgs. 4.12.1992, n. 480, il quale, in attuazione
della Direttiva n. 89/104 /CEE, ha sostituito l art. 15 del R.D. n. 929/1942
e l art. 2573, comma 1, del codice civile, consente ora il trasferimento
del marchio distintamente dalla cessione d azienda . Infatti, ad avviso
della Corte, al mutamen to della disciplina civilistica non si Ł
accompagnato alcun mutamento di quella fiscale. Invero, sia nel caso di
cessione dell azienda o di un suo ramo congiuntamen te con quella del
marchio, sia in caso di trasferimento del marchio separatamente
dall azienda, la normativa sul piano tributario Ł rimasta quella originaria
secondo cui la cessione d azienda Ł soggetta all imposta di registro e il
trasferimento del marchio all IVA, indipendentemen te dalla
contestualit o meno delle due operazioni .
Le conclusioni, alle quali pervengono i giudici di legittimit ,
risultano per essere alquanto deboli, incoerenti con l orientamento
consolidato nel tempo dalla stessa Corte di Cassazione e fondate su
errate interpretazioni delle disposizioni civilistiche e fiscali.
In primo luogo, la tesi della Cassazione, concependo un duplice
sistema di tassazione della cessione d azienda, realizzato attraverso lo
scorporo e l assoggettamen to ad IVA di alcune sue componenti, accoglie
implicitamente la c. d. concezione atomistica dell azienda, secondo cui
per il diritto vengono in rilievo solo i singoli beni che la compongono,
disconoscendo l opera unificatrice dell imprenditore. Tale
impostazione risulta in netto contras to con la considerazione unitaria
dell azienda (tesi universalistica 9) che costituisce un caposaldo
9
Gli argomenti a sostegno di questa tesi sono diversi. Oltre alla lettera dell art. 2555
del codice civile, la dottrina invoca l art. 670 c.p.c., che disciplina il sequestro
giudiziario di aziende e di altre universalit di beni, il disposto dell art. 2556 del codice
civile e l osservazione che con la definizione di universalit si riconosce e si rafforza
l intenzione del legislatore di considerare l azienda oggetto unitario di negozi e
rapporti, pur senza escludere la facolt dell imprenditore di disporre separatamen te di
singoli beni. COTTINO, Diritto commerciale, Padova, 1976, I, pag. 175 (GASTALDO, La
6
dell ordinamento tributario, in virtø del quale il relativo atto di cessione
sfugge ad imposizione IVA ed Ł viceversa attrat to nell orbita
dell imposta di registro in quanto non si tratta di un atto di gestione,
bens di un atto di organizzazione dell impresa 10 .
A ci va aggiunto che la posizione della Corte di Cassazione non
tiene nella dovuta considerazione l art. 2555 del codice civile, che,
definendo l azienda come il complesso dei beni organizzati
dall imprenditore per l esercizio dell impresa, tende a sottolineare il
concetto di unit funzionale , consistente nel collegamento economico
che si viene ad instaurare tra i singoli beni. Concetto questo, sulla base
del quale, la stessa Corte di legittimit aveva elaborato un consolidato
orientamento teso ad intravedere la cessione di complessi aziendali
anche in atti separati posti in essere dalle parti tutte le volte che fosse
ricostruibile, nel collegamento dei diversi negozi di cessione, quell unit
funzionale. Ci al fine di evitare che il frazionamen to dell azienda desse
luogo a fenomeni elusivi tesi all applicazione dell IVA, in luogo
dell imposta di registro, e al conseguente recupero del tributo da parte
della societ cessionaria attraverso il meccanismo della detrazione.
Proprio sulla base di questo motivato orientamento, le due
sentenze della Suprema Corte risultano alquanto incoerenti e isolate: lo
scorporo del valore del marchio dal valore totale della cessione
d azienda per assoggettarlo ad IVA, permet te proprio ci che la stessa
Corte intendeva evitare, andando cos a ridurre quello che per le
imprese Ł un costo (imposta di registro).
Anche uno dei punti su cui si basa il ragionamento risulta
piuttosto debole e non corretto: l affermazione che il legislatore ha
inteso riferirsi all unica ipotesi all epoca possibile di cessione del
marchio da parte di un imprenditore, quella cioŁ, con l azienda o con un
ramo particolare di essa.
cessione d azienda e il trasferimento del marchio tra IVA e imposta di registro , in Dir. e
Prat. Trib., n. 4/2003, II, pag. 1000, nota n. 3).
10
Cfr. FEDELE, Struttura dell impresa e vicende dell azienda nell Iva e nell imposta di
registro , in AA.VV., La struttura dell impresa e l imposizione fiscale , Padova, 1981, pag.
163.
7
La ragione delle limitazioni poste dagli art. 2573 del codice civile e
dell art. 15 della Legge marchi , nei testi ante riforma del 1992, era
individuabile nella strut tura legislativa dell istituto che, attribuendo al
marchio, una duplice funzione, 1) distintiva del prodotto e 2) di
indicazione della provenienza del medesimo, disponeva, in particolare,
che quest ultima prerogativa potesse essere garantita solo in quanto il
marchio risultasse in diritto inscindibilmente connesso all azienda che
provvedeva alla realizzazione e/o commercializzazione del prodot to
contrassegnato.
I giudici di legittimit , in realt , consideravano efficace e valida la
cessione del marchio anche laddove essa non avvenisse congiuntamen te
al trasferimento dell azienda o del ramo d azienda cui il marchio si
riferiva, purchØ fosse trasmesso il cosiddet to diritto di fabbricazione ,
cioŁ quell insieme di conoscenze sufficienti a mettere in condizioni di
produrre beni qualitativamente corrisponden ti a quelli fabbricati dal
cedente 11 . Scopo delle condizioni per il trasferimento del marchio,
secondo la Corte di Cassazione, era infatti quello di tutelare i
consumatori e mantenere il livello qualitativo del prodot to messo in
commercio con il marchio.
Tuttavia, anche nel regime precedente alla riforma del 1992, era
possibile rinvenire ipotesi di vendita del marchio puro e semplice, senza
nessun elemento accompagnatorio. A legittimare tali deroghe al
principio della cessione vincolata del marchio era intervenuta la stessa
Corte di Cassazione. I casi piø rilevanti erano due:
a) marchio depositato da un soggetto non imprendi tore,
intenzionato ad avviare un attivit produt tiva o commerciale, che per
non aveva poi avuto inizio;
b) marchio depositato da un impresa gi esistente, intenzionata a
contraddis tinguere con esso un prodotto di cui non aveva mai avviato la
produzione 12 .
11
Cfr. Cassazione, sent. 6 marzo 1995, n. 2578.
12
Cfr. Cassazione, sent. 17 dicembre 1987, n. 9404.
8
Nell ipotesi sub a) non esisteva alcuna impresa, per cui non poteva
neppure sussistere un azienda o un ramo d azienda. Nell ipotesi sub b)
non esisteva alcun ramo d azienda che fosse riconducibile a quel
marchio. Queste situazioni non risultano per nulla inconsuete in quanto
accade spesso che un azienda depositi un marchio con l intento di
lanciare un nuovo prodotto, ma a quel progetto non venga dato seguito.
L impresa, o il privato non imprenditore, si trova, cos , proprietaria di un
marchio registrato, in relazione al quale tuttavia, non nutre alcun
interesse; proprio per tal motivo pu accadere che il segno distintivo
venga ceduto ad un terzo.
In questi casi si escludeva, quindi, l operativit dei vincoli suddet ti
anche avendo riguardo alla ratio alla base di essi. Si trat tava, infatti, di
ipotesi in cui il cedente disponeva solo della mera titolarit della pratica
amministra tiva di registrazione, per cui poteva trasferire solo questa,
senza alcun ulteriore elemento aziendale. Pertanto, a questo tipo di
transazioni, che potevano tranquillamente eseguirsi in quanto non
idonee di per sØ a costituire inganno per il pubblico, risultava
applicabile il disposto dell art. 3, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, il
quale contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Cassazione,
aveva anche prima dell entrata in vigore del D.Lgs. n. 480/1992 uno
specifico campo di applicazione proprio in quelle ipotesi in cui il bene
immateriale veniva legittimamente ceduto in via autonoma 13 .
Altro punto, su cui si basa la tesi della Cassazione, e che merita di
essere analizzato in modo piø approfondi to, Ł quello che riguarda la
disposizione contenuta nell art. 3, comma 2, n. 2), del D.P.R. n.
633 /1972. Si ritiene importante, infatti, anche al fine di una migliore
valutazione della posizione presa dalla Corte di Cassazione, prendere in
considerazione la portata di tale articolo e soffermarsi sul suo rapporto
con la disposizione contenuta nell art. 2, comma 3, lett. b), del D.P.R. n.
633 /1972.
13
Sull argomento SCALINCI, Mercato del marchio , cessione d azienda e primato della
ratio legis comunitaria nell Iva , in Riv. di Dir. Trib., n. 11/2003, I, pagg. 983.
9