7
Il pensiero, la verità avranno sempre la meglio, questo sembra dirci
oggi l’opera di Florenskij, nel dipanarsi della storia – la lunga storia; ma
per far questo c’è bisogno di attivare fecondamente la memoria. Il male,
nella sua banalità
2
, non ha futuro perché non ha passato: vive nella sua
onnicomprensiva, totalizzante, «metafisica»
3
realtà. La memoria,
mnemosyne, invece aiuta ad imparare dagli errori del passato così come a
prendere il buono che già è stato, esercita insomma rettamente la sua
capacità di giudizio
4
. Questa capacità, così come l’ha descritta Kant
(ripreso poi dalla Arendt), consiste nell’applicazione reale del giudizio,
congiunto di intelletto (Verstand) e ragione (Vernunft), ad una situazione
concreta
5
. Il giudizio è una nuova capacità, diversa dalle altre due seppur
ad essa unita, che rende conto dell’esperienza individuale e reale,
temporalmente definita, cui applicare le categorie teoriche della ragione
«pura» e «pratica».
2
Cfr. sul tema H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli,
Milano 2002
4
. “L’incartamento del caso Florenskij contiene anche una serie di
documenti successivi, definiti «rapporti degli agenti», in pratica denunce dei delatori
del lager, in cui sono riportati discorsi fatti da Pavel Florenskij nel campo delle
Solovski. Uno di questi «rapporti» cita queste sue parole:«Il giudice istruttore voleva a
tutti i costi che io facessi altri nomi, di gente con cui avrei svolto un’inesistente
attività controrivoluzionaria. Giacché non cedevo a nessun costo, quello mi disse: certo
noi sappiamo che lei non fa parte di nessuna organizzazione e non svolge alcuna
attività antisovietica, ma capitasse il caso, potrebbero rivolgersi a lei persone ostili al
regime, e lei non si tirerebbe indietro se le proponessero di agire contro il potere
sovietico. Ecco il motivo di una condanna così pesante: è profilassi e non
repressione»”. «Non tradire le tue convinzioni…» La verità sulla fine di Pavel
Florenskij, in L’Altra Europa, 1 (235) 1991, p. 39.
3
Cfr. M. Hiedegger, Oltre la metafisica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1991.
4
“Il Giudizio è la facoltà di pensare il particolare in quanto contenuto nell’universale.
Se l’universale (la regola, il principio, la legge) è dato, il Giudizio che sussume sotto
questo il particolare (anche se come Giudizio trascendentale, indica a priori le
condizioni indispensabili per la sussunzione a quell’universale) è determinante. Se
invece è dato soltanto il particolare, ed il Giudizio deve trovargli l’universale, allora
esso è meramente riflettente”. I. Kant, Critica del giudizio, TEA, Milano 1998
2
, p. 157.
5
Per esempio: essere dottori in medicina non significa essere buoni medici e saper
operare ottimamente. Lo studio dei sintomi (intelletto) e la deduzione da questi sintomi
della malattia (ragione) non presuppongono necessariamente che si sappia curare la
malattia descritta. Il giudizio è una nuova capacità che mette in comunicazione il
mondo teorico della ragione con la sua concreta applicabilità.
8
Essere capaci di memoria attraverso la concretezza del giudizio,
sempre personale, richiede però un grande sforzo perché significa
assumersi l’impegno di giudicare «rettamente» e con «giustizia» ogni volta
che ve ne sia l’occasione. Non esistono più risposte pre-costituite perché
non esiste una realtà pre-confezionata a cui possono aderire, semplicemente
trapiantandole, le categorie teoretiche dell’intelletto e della ragione. È una
memoria
6
che ha smesso l’abito di «Eterna Memoria», rientrando,
umilmente, nel campo della responsabilità «personale» di ogni uomo, nel
rischio sempre aperto di collisioni con altre, e differenti, visioni. Dicevo, è
atto d’umiltà ma anche vantaggio di conoscenze: riconoscere di non aver
soluzioni assolute ma affidate alla contingenza dell’agorà e del tempo
storico. Rinunciando all’affermazione di «Assoluti terrestri»
7
si riconosce
validità ad un nuovo assoluto: l’uomo individuo reale nella sua
«corporeità». Diventa ancor più forte l’esigenza di attivare la memoria,
questo particolare tipo di mnemosyne, per chi, come Florenskij, non ha
avuto la possibilità di potersi esprimere liberamente. La mia, la nostra
memoria riconoscerà sicuramente in questo pope russo, vuoi per consenso o
anche per opposizione, tutta la freschezza del pensiero autentico che mai
appassisce, la proposizione di domande e la formulazione di risposte che
6
Sul tema della memoria pagine altissime sono state scritte da Agostino d’Ippona
proprio sulla sua esigenza che nasce nel cuore stesso delle cose quotidiane. La memoria
che nasce innanzitutto dalla parte più intima di ogni uomo e si riflette sul tutto il suo
vissuto. “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ecco,
eri dentro di me tu, e io fuori: fuori di me ti cercavo, e informe nella mia irruenza mi
gettavo su queste belle forme che tu hai dato alle cose. Eri con me, io non ero con te.
Le cose mi tenevano lontano, le cose che non ci sarebbero se non fossero in te. Mi hai
chiamato, e il tuo grido ha lacerato la mia sordità; hai lanciato segnali di luce e il tuo
splendore ha fugato la mia cecità, ti sei effuso in essenza fragrante e ti ho aspirato e mi
manca il respiro se mi manchi, ho conosciuto il tuo sapore e ora ho fame e sete, mi hai
sfiorato e mi sono incendiato per la tua pace”. Agostino d’Ippona, Confessioni,
Garzanti, Milano 1999
8
, p. 195.
7
Cfr. sull’argomento: G. Reale, D. Antiseri, Quale ragione, Raffaello Cortina editore,
Milano 2001.
9
sollecitano tuttora l’uomo del nostro tempo che non si è ancora inchinato
alla terra. La scelta di seguire padre Pavel nel suo programma filosofico è
stata anzitutto esistenziale. Per caso l’ho incontrato e non sono riuscito più
a distaccarmene, prima per l’eroicità tragica della sua esistenza, poi per
l’acutezza dei suoi scritti. In queste pagine iniziali ho intenzionalmente
scelto di dare maggiore spazio all’esperienza vissuta rispetto alla mera e a
volte arida scientificità convinto che la “verità non si ottiene con
speculazioni schematiche, per quanto convincenti possano sembrare a chi ci
circonda, e neppure col seguire la moda e col far chiasso, ma con
l’immedesimazione profonda col mondo, con la verifica tenace e la crescita
organica”
8
. Anche questo mi ha insegnato Florenskij: la filosofia è sterile
se non è intimamente legata con la vita, come l’esistenza è priva di senso
se non si interroga sulle questioni originarie. Non è possibile una scissione
totale. Come annotava il Nostro in un quaderno d’appunti: “Non tradire mai
le tue più profonde convinzioni interiori per nessuna ragione al mondo.
Ricorda che ogni compromesso porta a un nuovo compromesso, e così
all’infinito”
9
. Se l’esistenza e il mondo non sono piani distanti dal pensiero
è molto importante dare qualità e senso alla vita che “vola via come un
sogno, e non si fa in tempo a fare niente in quell’attimo che è la vita.
Perciò bisogna apprendere l’arte del vivere, la più difficile e la più
importante delle arti: quella di riempire ogni ora di un contenuto
sostanziale, pensando che quell’ora non tornerà mai più”
10
.
8
P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico,
filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2006
2
,p. 372.
9
Cfr. «Non tradire le tue convinzioni…». La verità sulla fine di Pavel Florenskij, in
L’Altra Europa, 1 (235) 1991, p. 35, cit. in N. Valentini, Pavel A. Florenskij,
Morcelliana, Brescia 2004, p. 10.
10
P. A. Florenskij, op. cit., p. 397.
10
Ruolo importante svolge poi in Florenskij il concetto di verità
(Istina)
11
: è per essa, per la sua scoperta, ricerca, che l’Autore spende la
sua intera vita. Una Verità non logica ma antinomica, non distante ma
kenotica, non essere ma persona. In una parola: Cristo nell’unità
triipostatica. Ci troveremo sicuramente di fronte ad asserzioni spirituali e
teologiche che faranno dichiarare l’infondatezza filosofica di Florenskij, e
non nascondo che non poche difficoltà ho incontrato anch’io. Eppure
sostengo che il pensiero di questo fine letterato russo sia ancora tutto dal
basso
12
, parta dall’uomo concreto e dalle sue insolubili domande. È
un’autentica antropodicea nascosta sotto l’intenzione di una teodicea
13
. Non
è sicuramente un «pensiero forte», e non ne ha neanche la pretesa, ma è
sicuramente un’ontologia dialettica o, per meglio dire, antinomia tesa a
riscoprire “la necessità ineluttabile di appoggiarsi alla «colonna e
fondamento della verità»
14
della verità, tes aletheias, e non semplicemente
aletheias, di una delle verità […], della verità (Istina) integra d eterna nei
secoli, una e divina, luminosa e sovraluminosa, di quella veridicità
(pravda) che secondo un antico poeta è «sole al mondo»”
15
. Una metafisica
concreta che passa attraverso le questioni fondamentali dell’uomo e le
affronta senza preconcetti di qualsiasi sorta, con l’ausilio della sua sola
11
Emblematica resta una delle pagine conclusive delle Memorie nella quale l’autore
osserva: “«La verità è irraggiungibile», «non si può vivere senza la verità». Queste due
asserzioni ugualmente forti mi straziavano l’anima e portavano all’agonia il mio
spirito”. P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano
2003, p. 302.
12
Cfr. sul tema della ricerca di Dio dal basso e dall’alto: V. Vitiello, Dire Dio in
segreto, Città Nuova, Roma 2005, pp. 86-119.
13
Il sottotitolo della sua opera Colonna e fondamento della Verità è testualmente
Saggio di teodicea in dodici lettere.
14
Cfr. la lettera di Paolo a Timoteo, cap. 3 versetto 15. La Bibbia di Gerusalemme,
EDB, Bologna 1980.
15
P. A. Florenskij, Colonna e fondamento della verità (da ora CFV), Rusconi, Milano
1998
2
, p. 45-46. Il poeta a cui Florenskij si riferisce è Euripide e alla sua tragedia
Medea, atto III, scena X.
11
geniale ragione seppur illuminata dalla fede. Un raziocinio, è vero, che per
Florenskij “è possibile perché esiste il Lume triradioso e in quanto vive
della luce di Lui”
16
. Ma è forse una colpa della filosofia volgersi alla
ricerca di Dio? Interrogarsi su di Lui? Florenskij rappresenta
indubbiamente una sfida al pensiero contemporaneo laicista e nichilista
tout court, le sue posizioni assolutamente aperte e scevre da ogni
precomprensione dogmatica consentono però un dialogo sincero ed aperto.
In tempi di fondamentalismo ed intransigenza (laica o religiosa che sia)
17
,
in un’epoca di personalismo estremizzato, è importante tornare a
confrontarsi in verità, profondità e pacatezza. Florenskij chiede a noi, oggi,
di essere ascoltato e compreso, ed “esiste un unico metodo per comprendere
l’altro: «farsi uno» con lui, che esige un kenotico «farsi niente» o «fare il
vuoto» di sé nei confronti di chi ci sta davanti. Perché comprendere
l’anima altrui significa incarnarsi in lui”
18
. Con quest’appello do inizio
all’analisi della proposta di filosofia della religione di Pavel Florenskij.
16
P. A. Florenskij, CFV, p. 555.
17
J. Habermars, Alleati contro i disfattisti, in Domenica, inserto del Sole 24 ore n. 48
(2007), tr. di L. Ceppa, p. 39.
18
P. A. Florenskij, Obsceceloveceskie korni idealizza (Origini dell’idealismo comuni a
tutta l’umanità), Sergiev Pasad, 1909, p. 9 cit. in L. Zak, Verità come ethos. La
teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998, p. 26 (da ora in avanti
citato come Verità come ethos).
12
INTRODUZIONE
LA COLONNA E IL FONDAMENTO DEL PENSIERO:
P. A. FLORENSKIJ
1. Due mondi
Fede e Ragione: una relazione possibile?
“Secondo le prime parole del Genesi, Dio «creò il cielo e
la terra» (Gn. 1,1) e questa divisione di tutto il creato in
due parti è sempre stata considerata fondamentale. Così
nella confessione di fede chiamiamo Dio «Creatore delle
cose visibili e delle invisibili», Creatore così delle visibili
come anche delle invisibili. Questi due mondi – il visibile
e l’invisibile – sono in contatto. Tuttavia la differenza fra
loro è così grande che non può nascere il problema del
confine che li mette in contatto, che li distingue ma altresì
unisce. Come si può intenderlo? Qui come nelle altre
questioni metafisiche il punto di partenza è ciò che noi già
sappiamo dentro di noi. Sì, la vita della nostra anima ci dà
il punto d’appoggio per conoscere questo confine che
mette in contatto i due mondi, infatti anche in noi la vita
nel visibile si alterna alla vita nell’invisibile, sicché c’è
un tempo, sia pure breve, sia pure concentrato al massimo,
talvolta fino all’atomo di tempo – quando i due mondi si
toccano e ci diventa contemplabile perfino questo
congiungimento. In noi il velo del visibile per un istante si
squarcia e attraverso ad esso, mentre ancora si avverte lo
squarcio, ecco, invisibile soffia un alito che non è di
quaggiù: questo e l’altro mondo si aprono l’uno all’altro, e
la nostra vita è sollevata da un fiotto incessante, come
quando la temperatura fa salire in alto l’aria calda”
19
.
“Sotto le volte della nostra camera, tra le anguste pareti, si
sono insediati il non terrestre e l’intemporale; oltre le
pareti la gente passa, parla, racconta le novità, legge il
giornale, va e viene incessantemente. Le locomotive
lontane urlano come contralti. Qui è l’eterna quiete, là è
eterno movimento; tutto come prima…”
20
.
19
P. A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 2006
10
, p. 19-
20.
20
P. A. Florenskij, CFV, p. 43.
13
Affrontare l’opera di Pavel A. Florenskij significa districarsi tra i
delicati rapporti che intercorrono tra fede e ragione, due mondi diversi tra
loro ma sempre in contatto. L’autore russo affronta una delle sfide più
difficili della filosofia: abbandonare il suolo delle chiare definizioni
metafisiche, del linguaggio già fissato in una «piattaforma»
21
stabile, della
filosofia che ha perso però la sua essenza, interrogare l’Oltre.
In questo cammino filosofico
22
la ragione dovrà fare i conti con la
fede, con questo desiderio di infinito e di Dio. Ma anche questa fede ha
bisogno della ragione perché non vuole più mestamente sottomettersi ad un
vuoto «dogmatismo»
23
, ad un Dio talmente «Totale» da distruggere la
concretezza dell’uomo individuale, o peggio ancora di un Dio strettamente
personale, divenuto ormai incomunicabile
24
.
Il percorso per poter mettere in vivo dialogo questi due mondi è
abbozzato dai due testi riportati all’inizio.
Innanzitutto bisogna immaginare il loro contatto non come necessario
né prevedibile, ma frutto di una volontà e di un momento in cui si
21
Per il concetto di «piattaforma del linguaggio» rimando a: P. M. Van Buren, Alle
frontiere del linguaggio, Armando, Roma 1977. Nelle sue indagini sul Cristianesimo
questo teologo ha completamente ribaltato la prospettiva: da Dio all’uomo. “Sto
cercando di sollevare una questione importantissima: se cioè il Cristianesimo riguardi
Dio o l’uomo… Sto cercando di dimostrare che esso riguarda fondamentalmente
l’uomo, e il suo linguaggio su Dio è una maniera – storicamente datata, in mezzo a
molte altre – di dire quello che il cristianesimo vuol dire sull’uomo, la vita umana, la
storia umana… E, se ben comprendo la natura e lo sviluppo del Cristianesimo, vorrei
dire che esso riguarda una certa forma di vita: modi di esistenza umana, norme circa gli
atteggiamenti dell’uomo, le sue disposizioni, il suo comportamento morale”. P. M. Van
Buren, cit. in D. Antiseri, Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso,
Queriniana, Brescia 1991
4
, p. 188.
22
«Filosofico» nel senso più vero della parola come amore della sapienza, sophìa.
23
“Il nostro sistema dogmatico si presenta noioso, talmente noioso che non si trova
nemmeno il tempo per polemizzare con esso; colui che lo elogia riconosce che la
dogmatica è buona, ma non per lui, «per qualcun altro». In una parola, esso esiste non
per la vita e nemmeno per le persone: viene tenuto in serbo, però non si sa bene per
chi”. P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico. Scritti
teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 147 (da ora in poi citato
solo come Dogmatismo e dogmatica).
24
Florenskij parlerebbe di una cattiva mistica.
14
«squarcia» il velo del meramente visibile. In secondo luogo questo contatto
è riscontrabile attraverso, ed esclusivamente, un percorso personale in cui
l’Io rischia del suo proprio, parliamo dell’Io concreto, umano, vivente e
non di un soggetto astratto.
Tenendo fede a questi due assunti è possibile tracciare qualche linea
per un fruttuoso confronto tra ragione
25
e fede.
Esiste indubbiamente uno iato che si è andato sempre più
radicalizzando attraverso i secoli e i suoi protagonisti, iniziando da
Guglielmo da Occam e Duns Scoto, passando per il dubbio di Cartesio e le
riflessioni di Kant e Hume; attraverso la conciliazione dell’idealismo
tedesco e alla definitiva rottura operata da Nietzsche
26
.
Uno iato che è consistito nella netta separazione delle istanze della
filosofia da quelle della teologia fino a quando “il pensiero contemporaneo
non ha mai forse raggiunto una definizione più rigorosa e, insieme, più
«intima» della contrapposizione tra filosofia e teologia. Contrapposizione
che è però anche possibile, perfetta coesistenza: sistemate finalmente
nell’ambito delle loro rispettive «vocazioni», filosofia e teologia cessano
25
Intendo qui la ragione in senso forte come domanda sulla verità, interrogazione sul
fondamento e sul senso e non semplice episteme. È qui in gioco il senso di ragione
originario, quello aurorale dell’apparizione della filosofia nell’antica Grecia. “Sin
dall’inizio la filosofia è l’interesse portato al Tutto, che appare nella verità. Il nucleo
costantemente presente nella storia della filosofia non è allora costituito solamente
dall’idea della verità – cioè dall’apparire della pura essenza della verità – ma dalla
relazione tra l’apparire della pura essenza della verità e l’apparire della totalità delle
cose: il nucleo è, appunto, l’apparire del Tutto nella verità. Ciò che abbiamo chiamato
l’«idea» della verità è la verità stessa, in quanto si mostra nei suoi tratti più ampi e
decisivi (cioè nella sua pura essenza): l’incontrovertibilità, necessità, assolutezza,
immodificabilità del sapere”. E. Severino, La filosofia antica. I grandi temi del
pensiero greco dai presocratici a Plotino, BUR, Milano 2002, p. 21. In questa
concezione esperienziale e totale della verità si ritroverà, come vedremo, anche il
pensiero di Florenskij.
26
Come non ricordare il famoso aforisma della Gaia Scienza (L’uomo folle), in cui si
postula la morte di Dio per mano dell’uomo. F. Nietzsche, La Gaia Scienza, Einaudi,
Torino 1979, p. 123-124.
15
non solo «da qualsiasi illusione e da fragili tentativi di mediazione», ma
anche da ogni reciproco interesse e da ogni conflitto”
27
.
Ancora oggi, nel rinato conflitto tra pensiero religioso e «laico»,
questo binomio concettuale chiede di non essere banalizzato in
«pubblicistica da manifesti», di non fermarsi alla totale contrapposizione,
ma esige di essere analizzato con serietà e competenza.
Il punto chiave è appunto che si desidera una vero dialogo tra le due,
cioè una parola, un discorso (logos) che sia «attraverso» (dià), si apra alle
richieste e alle proposte dell’altro e non cerchi solamente di sopraffarlo
28
,
scambio proficuo bi-laterale, «bi-assiale»
29
.
Questa nuova fondazione del dia-logo richiede come premessa la fine
di qualsiasi assolutismo, fideistico o razionale che sia.
Iniziamo con l’analisi della motivazione di un «Assoluto celeste». Il
Dio assoluto è il Dio-necessario, proprio in quanto ab-solutus, sciolto da
qualunque cosa, è in tutto, è tutto. Dio è intimo al mondo, è l’anima stessa
e l’essenza dell’universo. Da ciò discende anche la necessità della
creazione, che non è altra da Dio, ma Dio stesso, il Dio che crea. L’uomo,
in questa visione risulta essere solo un accidente di Dio, mai libero e
indipendente. “Nel mondo, e solo in esso, nella sua storia ideale-eterna,
Dio è. Ben prima di Nietzsche Hegel ha affermato la morte di Dio: Dio
muore perché il mondo sia. Dio muore? No: Dio deve morire. Invero Dio è
già da sempre morto nel mondo. Certo la sua morte coincide con la sua
risurrezione: muore il Dio trascendente, risorge il Dio immanente nel
27
M. Cacciari, Filosofia e teologia in P. Rossi (curatore), La Filosofia vol. II, La
filosofia e la scienze, Garzanti, Milano 1995, p. 366.
28
La ragione che intellettualizza la fede, la fede che annienta la ragione.
29
P. A. Florenskij, CFV, p. 552.
16
mondo. Ma questo non dice altro che: l’«essere» di Dio è il mondo.
Appunto l’«essere»!”
30
. Bisogna pensare e non solo dichiarare che “Dio non
è legato a nulla, nemmeno al suo proprio essere”
31
. Ma fin quando si
continua a inchiodare Dio alla sua identità con sé, all’identità di Dio con
l’Essere che crea, non si esce dalla necessità
32
.
In questa visione metafisico-teologica non c’è spazio per la ragione
umana individuale. Tutto è predeterminato dallo Spirito divino o assoluto
(del Soggetto) che sia. Dio è accolto, ma non l’uomo.
Altro «Assoluto celeste» è rappresentato dalla riduzione della fede
alla mistica
33
. Con essa l’Io si chiude a qualsiasi apertura verso il mondo
per costruire una relazione prettamente verticale con il divino. La
conclusione di tale mistica è però affine a quella idealista: entrambe
rifiutano la contingenza terrena per la costruzione di una realtà perfetta ma
«Una», intellettuale per i primi, esperienziale per i secondi. Apice e
conclusione di ogni «Assoluto celeste», nonché il più pericoloso, è quello
che pretende che Dio possa essere provato
34
vuoi per ragionamenti o per
30
V. Vitiello, Il Dio possibile. Esperienze di cristianesimo, Città Nuova, Roma 2002, p.
15 (da ora in avanti citato come Il Dio possibile). A questo argomento è vano replicare
con le argomentazioni di Schelling: “Dio è Signore del mondo già prima del mondo,
padrone cioè di porlo o di non porlo. Dunque, soltanto quello che può essere creatore, è
il vero Dio; e questa affermazione è quanto mai lontana da quell’altra ben nota, che Dio
non sarebbe Dio senza il mondo”. F. W. J. Schelling, Filosofia della rivelazione,
Bompiani, Milano 2002, p. 487. Ma poi è lo stesso Schelling ad aggiungere: “Il fine
ultimo della creazione era previsto e predeterminato fin dall’eternità”. Ibidem, p. 443.
31
F. W. J. Schelling, Filosofia della rivelazione, Bompiani, Milano 2002, p. 511.
32
Cfr. V. Vitiello, Dire Dio in segreto, Città Nuova, Roma 2005.
33
“Ogni altra mistica, anche se rende possibile un approfondimento, rompe l’equilibrio
della personalità, perché il seme dell’anima, se non può nutrirsi della grazia e non
cresce in seno alla Santissima Trinità si secca e muore. Tale è per esempio la mistica
del ventre dei culti orgiastici antichi e moderni, e in parte del cattolicesimo. Tale è la
mistica della testa o dello yoga, diffusa in Oriente e specialmente in India e importata
in Europa dagli occultisti della varie tendenze e soprattutto dai teosofi”. P. A.
Florenskij, CFV, p. 325-326.
34
“Alcuni (certi tomisti) sono della ferma opinione che questo Dio possa essere
provato attraverso catene di ragionamenti serrati e costringenti; altri invece lo
riammettono attraverso la porta del sentimento; c’è poi chi si rifà più prudentemente
alla Rivelazione; ed altri infine, si credono privilegiati dell’interessamento di Dio che
17
l’evidenza stessa della Rivelazione, oppure perché è semplicemente un
dogma. Da questa ultima formulazione di assoluto, non è possibile uscirne:
o si accetta tutto in toto oppure la si nega
35
.
Le esperienze degli «Assoluti celesti» non riescono a spiegare il
confine tra i due mondi perché riportano quello terrestre (ritenuto inferiore)
nel seno di quello celeste. Con questo processo si perde sia Dio che
l’uomo. Verrebbe allora di abbandonarsi ad una visione che porti al centro
solo la figura dell’uomo, che ne salvi le sue caratteristiche. Ma anche qui
vi è il rischio di incorrere nella logica dell’Essere e quindi di contrapporre
a questi primi assoluti dei nuovi «Assoluti terrestri». Vediamo come si
caratterizzano.
Anche in questo caso ritroviamo ancora l’idealismo
36
. “Il secolo XX,
il nostro secolo, si è aperto con tre imponenti movimenti filosofici –
positivismo, idealismo e marxsismo – che, assolutizzando o divinizzando
l’uomo, pretesero, con motivazioni differenti, di cancellare ogni spazio
della fede”
37
.
Se materialisti e positivisti negano qualsiasi trascendenza, già con
Hegel le verità di fede sono unicamente un avvistamento di realtà che
successivamente la filosofia depurerà dagli elementi mitico-irrazionali e
porterà a maturazione razionale.
si comunicherebbe loro in esperienze mistiche”. D. Antiseri, Filosofia analitica e
semantica del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia 1991
4
, p. 34.
35
“La religione non resta ammissibile se non rinunciando a una Rivelazione in senso
pieno – essa resta pensabile per la metafisica solo disertando il suo ultimo
compimento”. J. L. Marion, Filosofia e Rivelazione, Studia Patavina 3 (1989), p. 426.
36
L’assolutizzazione di Dio rappresenta solo una parte del processo che porta
all’assolutizzazione del soggetto. Il Dio-necessario si inserisce in un più ampio schema
dove la fede viene riportata nell’alveo della pura ragione soggettiva.
37
G. Reale, D. Antiseri, Quale ragione?, Raffaello Cortina editore, Milano 2001, p.
222.
18
Nell’idealismo la fede è in funzione della ragione
38
. Per i materialisti
la trascendenza è illusione; per i positivisti Dio è un’ipotesi inutile
39
. Con
Marx la cose vanno anche oltre. Infatti la fede in Dio non è semplicemente
un’ipotesi inutile, ma in realtà parla di cose del tutto «immanenti»
40
. In
breve, per i marxisti come per l’ateismo psicoanalitico Dio è diventato
importuno, così come lo è per l’esistenzialismo di Sartre o Camus, e per gli
strutturalisti. “Queste sono prospettive filosofiche che nel nostro secolo [il
XX] hanno preteso di proibire lo spazio della fede. La fede nel Dio di Gesù
risulta vietata da «assoluti terrestri» che si presentano come altrettante
negazioni dell’«Assoluto trascendente»”
41
.
Entrambi gli «Assoluti», in ultima analisi, convergono nel ridurre i
due mondi ad una sola realtà e non importa che sia divina o immanente, non
c’è differenza alcuna.
38
“Fu Bruno Bauer a ben capire come stavano le cose: se si assume la prospettiva
dell’idealismo hegeliano, allora soltanto l’ateismo è vero. «Con Hegel», scriverà Bauer,
«l’Anticristo è venuto e si è rivelato»”. G. Reale, D. Antiseri, op. cit., p. 223.
39
“L’ateismo semantico è stato uno dei corollari del primo approccio della filosofia del
linguaggio, in special modo del Circolo di Vienna, ai problemi della teologia; ed esso
consiste nell’affermazione che noi in teologia lavoriamo unicamente con pseudo-
concetti, con parole ed altre entità linguistiche completamente prive di senso. È un
abbaglio chiedersi se Dio esista, se abbia o no creato il mondo, se sia uno e trino, se
sia provvidenza, ovvero se l’anima sia immortale, fin quando noi non avremo
preliminarmente stabilito quale senso e quale possibile significato abbiano parole come
«Dio», «anima», «al di là», «Provvidenza», «creazione», «immortale», o espressioni del
genere quali «Dio esiste», «Dio creò il mondo», «questo pane è il corpo di Cristo», «la
storia è guidata dalla Provvidenza», «l’anima è immortale» ecc.”. D. Antiseri, Filosofia
analitica e semantica del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia 1991
4
, p. 35-36.
40
Per Marx “la fede in Dio è dannosa per l’uomo, una malattia le cui cause sono da
combattere ed estirpare. La lotta contro la religione è la lotta contro quel mondo di cui
la religione è la quintessenza spirituale […]. La religione è il sospiro della creatura
oppressa, il cuore di un mondo spietato […]. Essa è l’oppio del popolo”. K. Marx,
Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel, in Id., La sinistra
hegeliana, Laterza, Bari 1960, p. 425,cit. in G. Reale, D. Antiseri, Quale ragione?,
Raffaello Cortina editore, Milano 2001, p. 223.
41
Ibidem, p. 224. In questo consiste la mia vicinanza con il pensiero di Antiseri ma
anche la differenza. Sono convinto che nemmeno di Dio si possa parlare in termini di
assoluto. Centrale sarà sempre la dimensione umana che riconosce i limiti sia della fede
che della ragione. Questi limiti sono invalicabili, ma appunto perciò consentono di
accostarsi all’alterità di Dio attraverso la comunità di ogni uomo. È possibile
conservare, nel loro statuto ontologico, Dio e l’uomo solo se entrambi si presentano
come possibili: Dio-possibile per un possibile-uomo.
19
Tutti questi sistemi, però, hanno trovato, via via, sempre maggiori
ostacoli al loro principio di assolutezza, destinandosi ad una fine grama o
all’allontanamento da qualsiasi realtà veramente vivente, alla costruzione
di un mondo parallelo che nulla ha a che fare con «questo» mondo
42
.
Il tramonto inesorabile dell’ottimismo razionalistico di fronte alla
fallacia della ragione che non riesce a motivare la sua incessante ricerca di
senso, l’esplodere del problema della tecnica, la fallacia scientifica di
costruire modelli onnicomprensivi, l’abbandono della filosofia delle
costruzioni onnicomprensive, la riproposizione delle domande fondamentali
sull’origine e il fondamento ultimo di ogni cosa, il senso di oppressione
dato dalle chiese ufficiali (religiose, statuali o ideali che siano), la rinuncia
ad una metafisica considerata troppo «ingombrante», apre di nuovo la
possibilità di interrogare l’uomo posto sul confine tra i due mondi. È una
domanda che guarda contemporaneamente all’Empireo e alla Terra, e cerca
di coglierli in un sol gesto.
Si apre così la strada ad un nuovo proficuo incontro tra il sapere
della ragione e la credenza della fede (o tra il credo della ragione e la
conoscenza della fede). Bisogna indubbiamente abbandonare ogni desiderio
di gerarchizzare tale rapporto. È finito il tempo di considerare la filosofia
ancilla theologiae, come pure si è infranta ogni pretesa assolutistica del
42
“Se il Novecento si è aperto con imponenti movimenti filosofici, accomunati
dall’idea che homo homini deus est, sempre questo nostro secolo si è chiuso con la
lucida consapevolezza di una riconquistata contingenza, con una luce chiara sui limiti
della ragione umana. Sono state, insomma, devastate progressivamente, ma sempre con
maggior consistenza le illusioni di quelle concezioni filosofiche che hanno tenuto
incatenate le menti di tanti uomini e donne, e che avevano sequestrato intelligenze
proibendo loro qualsiasi apertura all’esperienza religiosa. […] È scomparsa la
presunzione fatale stando alla quale l’uomo sarebbe stato e sarebbe capace di
autosalvezza, di riscattare se stesso dalla voragine dell’assurdo”.Ibidem, p. 225.
20
raziocinio, di fronte alla complessità del reale. La fede
43
come la ragione
devono smettere l’abito di una esauriente «metafisica dell’essere». Se
vogliono ancora trovare posto nel mondo del «dialogo tra i vivi» sono
costrette a spogliarsi del motivo autoreferenziale che le ha contraddistinte
finora.
È necessario, però, chiarire meglio cosa significhi l’affermazione
«uscire dalla metafisica dell’Essere» perché rappresenta la categoria di
sfondo con cui mi approccio, e critico, la filosofia di Florenskij.
È possibile praticare questa via? “Che cosa significa
«oltrepassamento (Ueberwindung) della metafisica»?”
44
. Rinunciare
all’Essere come categoria non significa affatto rinunciare a pensare alla
filosofia, significa solo ri-pensarla in modo diverso, declinarla in altri
modi. La problematica filosofica nasce dall’originarietà della
domanda:«Perché è in generale l’ente e non piuttosto il Ni-ente?»
45
. Perché
l’Essere e non il nulla? È nel cuore stesso della domanda che può sorgere
tale superamento.
Da qui, partono le strade divergenti della metafisica e del nuovo
pensiero-possibile.
43
Almeno quella che non si riferisce a nessuna istituzione religiosa particolare ma è
espressione della singolarità della persona umana.
44
M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano
1991, p. 45. “Questa espressione dà luogo a numerosi fraintendimenti; non lascia infatti
che l’esperienza pervenga al fondamento sulla cui base, soltanto, la storia dell’essere
manifesta la propria essenza. Questa è l’evento appropriante-esporpriante (das Er-
eignis) in cui l’essere stesso viene accettato e approfondito (verwunden). Soprattutto,
oltrepassamento non vuol dire che una certa disciplina venga messa da parte ed esclusa
dall’orizzonte della «cultura» filosofica”. Ibidem, p. 45.
45
M. Heidegger, Che cos’è metafisica, Adelphi, Milano 2001, p. 67.