2
Pur presentando caratteri similari riguardo alle finalità perseguite, tra i
due istituti non può essere fatta alcuna assimilazione, denotando
ciascuno tratti propri che lo distinguono l’uno dall’altro
4
.
Di un prototipo d’incidente probatorio, s’iniziò a parlare nei primi anni
sessanta da parte di quella dottrina che intendeva fuoriuscire dagli
schemi inquisitori, tipici del vecchio codice Rocco ed ipotizzava un
archetipo di processo dai caratteri più segnatamente accusatori
5
. La
4
La dottrina che si è occupata dell’argomento (Ibidem, p. 3), ha rilevato che essi si
distinguono, sia per il diverso contesto nel quale sono inseriti, che, soprattutto, perché
l’incidente probatorio è una figura generale applicabile a tutte le prove indicate analiticamente
dalla norma e non rinviabili al dibattimento, per cui la testimonianza si pone solo come una fra
le varie fattispecie ipotizzabili.
5
Il codice di procedura penale del 1930 si collocava nell’area dei modelli di rito cosiddetti “di
tipo misto”, in quanto ispirati ad un compromesso fra i due sistemi puri, quello inquisitorio e
quello accusatorio, attraverso lo sdoppiamento del processo in due fasi aventi caratteri opposti
e complementari. La prima fase, ricalcando i caratteri del sistema inquisitorio, era segreta e
scritta (istruzione); in essa l’organo istruttore ricercava, individuava e assumeva le prove,
documentandole in appositi verbali, ai fini dell’accertamento della verità. Se al termine le
prove emerse erano sufficienti a far ritenere l’esistenza del reato e la sua attribuibilità a carico
dell’imputato, si passava alla seconda fase. Quest’ultima, che si modellava sui canoni del
sistema accusatorio, era orale e pubblica (giudizio); in essa tutte le prove venivano escusse dal
giudice alla presenza delle parti le quali potevano esporre le proprie ragioni. L’istruzione
poteva essere di due tipi: formale, in quanto condotta dal giudice istruttore o dalla sezione
istruttoria, o sommaria, in quanto affidata al pubblico ministero in una serie di casi
tassativamente indicati e caratterizzati da facilità e rapidità di accertamento.
A gran parte degli atti istruttori non aveva diritto di partecipare la difesa: il difensore
dell’imputato poteva, infatti, soltanto a conclusione della istruzione, con il deposito in
cancelleria degli atti e documenti del processo, prendere visione degli stessi ed estrarne copia.
Il pubblico ministero, diversamente, quando non concludeva personalmente l’istruzione
(sommaria), poteva sia assistere a tutti gli atti del giudice istruttore ( il quale, prima del
compimento di quelli rispetto ai quali il pubblico ministero aveva fatto richiesta, era tenuto ad
avvertirlo, onde consentirne la presenza), nonché prendere in qualsiasi momento visione dei
relativi verbali e fare richieste.
Nel giudizio orale e pubblico le prove assunte nell’istruzione confluivano attraverso il sistema
delle cosiddette “letture dibattimentali” e godevano di una efficacia piena, pari a quella delle
prove escusse ex novo in questa seconda fase. In dibattimento, infatti, era consentita, anche
d’ufficio, la lettura dei verbali degli atti d’istruzione, senza distinzione fra atti ripetibili e
irrepetibili (artt. 463 e 465 c.p.p. 1930). In questo modo, le prove documentate nei verbali
venivano, anche formalmente, acquisite al giudizio e contribuivano a costruire il materiale
probatorio sul quale il giudice avrebbe, alla fine, preso la propria decisione.
La lettura del verbale istruttorio e il suo utilizzo erano consentiti non solo per gli atti divenuti
irripetibili, ma anche nei casi in cui l’atto era rinnovato in udienza. Non solo. Poteva anche
capitare che la nuova escussione dibattimentale desse risultati diversi, addirittura opposti a
quelli precedentemente ottenuti; questo non impediva al giudice di continuare a prestare fede al
dato emergente dalla carta istruttoria e di fondare su di esso, anziché su quanto emerso davanti
ai suoi occhi, il proprio convincimento (P. RENON, L’incidente probatorio tra vecchi e nuovi
modelli processuali, Brescia, 1998, pp. 3-5).
3
proposta di un modello più spiccatamente accusatorio, scaturiva dalla
deludente esperienza, rilevata dalla prassi giudiziaria sotto la vigenza del
codice Rocco, dove “il largo uso dei verbali, pregiudicava l’oralità e
l’immediatezza, intesa come rapporto diretto fra giudice e prova, il
contraddittorio tra le parti si sviluppava su prove già formate in segreto e
la difesa, non avendo spazio nell’istruzione, era di fatto esclusa dal
momento più importante di formazione della prova”
6
.
Risultava fallito il tentativo perseguito, almeno formalmente, dal
legislatore del ’30 di contemperare il sistema inquisitorio con quello
accusatorio a causa del maggior peso, “per non dire favore”
7
, riservato
alle prove formate nella prima fase di stampo inquisitorio
8
.
6
P. RENON, op.cit., cit., p.7.
7
Ibidem, p.7.
8
G. LOZZI in Indagini preliminari, incidenti probatori, udienza preliminare, Riv.it. dir. proc.
pen. 1989, p. 1276, infatti affermava che “le prove assunte in fase di indagini preliminari, in
fase di preistruzione ed in fase di istruzione sommaria o formale, attraverso la lettura dei
relativi verbali, trovano ingresso nel dibattimento trasformando il contraddittorio in sede di
formazione della prova in contraddittorio sulla prova già formata”.
4
2) LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA ED IL DIBATTITO
SULLA RIFORMA DEL PROCESSO PENALE
L’approvazione, nel gennaio 1948, della Costituzione repubblicana
costituì il primo passo per la trasmigrazione verso un modello di
processo con caratteri accusatori; da qui l’esigenza di “ripensare il rito
penale alla luce dei nuovi valori sanciti nella Carta fondamentale e in
particolare in quel diritto di difesa che all’art. 24 veniva proclamato
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”
9
.
Il legislatore cercò di porre dei correttivi all’impianto originario del
codice Rocco attraverso una lunga serie d’interventi normativi
10
ma con i
risultati tipici di una sbrigativa legislazione settoriale
11
: la difesa, nella
fase dell’istruzione risultava menomata, essendo impedita al difensore la
partecipazione a rilevanti atti istruttori (la testimonianza e il confronto fra
testi) e, quando gli era consentito d’intervenire, si limitava, per dirla con
autorevole dottrina, “non a partecipare, ma a constatare in una veste
quasi notarile”.
12
La fase più importante (rectius: rilevante ai fini della decisione)
rimaneva quella dell’istruzione, caratterizzata dalla presenza di
quell’organo “ibrido” che era il giudice istruttore e della cui imparzialità,
9
P. RENON, op.cit., p.7.
10
La linea operativa sottesa a tali modifiche aveva nel contempo il vantaggio di non
stravolgere, almeno prima facie, la struttura del codice, limitandosi a rendere operante anche
nell’istruzione il diritto alla difesa costituzionalmente garantito, ed, in particolare, ammettendo
in questa fase sempre più largamente la presenza del difensore dell’imputato.
L’erosione del segreto istruttorio interno venne compiendosi secondo due direttive. Da un lato,
al difensore dell’imputato fu consentito assistere ad un numero sempre maggiore di atti e/o di
prendere visione dei relativi verbali nel giorno o nei giorni immediatamente successivi al loro
compimento. D’altro canto, le medesime garanzie difensive, inizialmente disposte per
l’istruzione formale, furono progressivamente riconosciute anche nell’istruzione sommaria e,
infine, in quella preliminare, sul presupposto dell’utilizzabilità in dibattimento, al pari degli atti
dell’istruzione formale, anche di quelli compiuti nel rito sommario e nelle indagini di polizia
giudiziaria (P. RENON, op.cit., p. 8).
11
Tale soluzione di compromesso fu ribattezzata da E. AMODIO, Motivazione della sentenza
penale, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977, p. 181, come garantismo inquisitorio.
12
Testualmente P. FERRUA, Difesa (diritto di), in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, p. 480.
5
anche alla luce dei valori enunciati nella Costituzione, ci s’iniziava ad
interrogare. Il giudizio era ridotto ad una sorta di “aula di lettura”, cioè
costituiva il luogo deputato a cristallizzare, spesso attraverso lunghe
riletture, il materiale probatorio raccolto nella fase istruttoria, rendendolo
“ignifugo” alle censure dei difensori.
Come emerge da questi brevi cenni, il nodo nevralgico del modello di
processo del codice Rocco, era costituito proprio dalla fase
dell’istruzione su cui, a partire dagli anni sessanta si sviluppò un intenso
dibattito dottrinale, orientato a proporre un rito penale in cui la fase
dell’istruttoria, fosse affidata ad un unico soggetto e, pertanto, ad
eliminare il dualismo istruttorio esistente. Le soluzioni elaborate dalla
dottrina non furono univoche, articolandosi nelle tre seguenti alternative:
a) affidare l’istruttoria esclusivamente al giudice istruttore;
b) affidare l’istruttoria al pubblico ministero;
c) sostituire la tradizionale istruttoria con un’inchiesta preliminare di
parte, concepita come attività preprocessuale condotta ai soli fini
delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale dal
titolare dell’accusa, il pubblico ministero, privato, però, di poteri
di formazione della prova
13
.
13
Coloro che concordavano nell’affidare l’istruzione al giudice si dividevano sul problema
delle garanzie della difesa. C’era chi proponeva di ammettere, nel rispetto del principio di
parità fra le parti, sia il difensore dell’imputato che il pubblico ministero a tutti gli atti istruttori
di acquisizione probatoria. Soppressa l’istruzione sommaria, ridotte le attività del pubblico
ministero e della polizia giudiziaria agli atti indifferibili delle prime ventiquattro ore (i quali,
comunque, se svoltisi senza la presenza del difensore, sarebbero rimasti privi di effetto),
l’istruzione, secondo la teoria in esame, avrebbe dovuto limitarsi agli accertamenti necessari
per decidere se rinviare o meno a giudizio, articolandosi in istruttorie nelle quali concentrare, in
contraddittorio fra le parti, l’assunzione delle prove da parte del giudice.
In dissenso da siffatta illimitata apertura alla difesa, si affermava la necessità, per non
pregiudicare la ricerca delle prove, di mantenere all’istruzione un fondamentale carattere di
segretezza. Sarebbe stato, però, necessario consentire al difensore di partecipare agli atti
istruttori in condizione di parità rispetto al pubblico ministero.
La scelta del pubblico ministero come unico titolare nelle istruttorie penali si basava, invece, su
una doppia considerazione. Coloro che propendevano per questa soluzione sostenevano in
primis la superfluità della presenza di un giudice nella fase istruttoria. Non c’era ragione, ferma
l’attribuzione a quest’ultimo della decisione sul rinvio a giudizio, per non affidare la raccolta
delle prove allo stesso pubblico ministero stante la sua natura di organo giudiziario
indipendente, tale da garantire anche l’imparzialità. L’estensione dell’istruzione sommaria
6
3) LA “BOZZA” CARNELUTTI E LA PRIMA LEGGE DELEGA
(3 aprile 1974)
Nel 1962, il Ministro di Grazia e Giustizia allora in carica, Guido
Gonella, affidò ad un gruppo di magistrati, avvocati e professori in
materie penalistiche, sotto la presidenza di Carnelutti, l’incarico di
redigere, entro un anno, lo schema di un progetto di un nuovo codice di
procedura penale.
Difficoltà di varia natura e contrasti d’orientamento indussero Carnelutti
a provvedere in prima persona alla stesura di una bozza
14
composta di
227 articoli.
In tale progetto si prevedeva la separazione tra la fase dell’inchiesta
preliminare da quella del processo vero e proprio: i risultati della prima
normalmente non potevano migrare alla fase più propriamente
giurisdizionale se non in casi eccezionali
15
. Il P.M. era il dominus della
avrebbe determinato, in secondo luogo, un necessario e significativo snellimento del
procedimento.
L’istruzione si sarebbe dovuta svolgere in un regime di segretezza: il difensore dell’imputato
sarebbe stato ammesso ad assistere soltanto agli atti irripetibili, come, ad esempio, alla
ricognizione di cose o persone. In giudizio a tutti gli atti istruttori non si sarebbe potuto negare
dignità di prova piena (P. RENON, op.cit., pp. 10-11).
14
La cosiddetta bozza Carnelutti presenta particolari difficoltà per l’interprete a causa della sua
struttura, tesa a cogliere in ogni istituto il profilo essenziale. Nell’introduzione al testo lo stesso
A. scriveva: “ho cercato di dimostrare il valore di quello,che ho chiamato il principio di finalità
e vuol dire che il legislatore deve preoccuparsi prima di tutto e sopra tutto dell’esatta
indicazione dei fini, che ciascuna fase o ciascun atto del processo è destinato a raggiungere e
assai meno della struttura degli atti, mediante i quali tali fini possono essere raggiunti,
assegnando in ogni caso alle prescrizioni di struttura un valore relativo, così che il giudice
possa adattarle alle esigenze del caso singolo, sul quale deve decidere” (P. RENON, op.cit., p.
15).
Non risulta arbitrario, inoltre, ritenere che all’A. interessasse, più che offrire un testo normativo
concluso e completo, indicare delle linee guida. In tale progetto parte della dottrina vede il
primo, autentico tentativo di costruire un nuovo rito penale: un “embrione” di un futuro
processo penale che si sarebbe dovuto poi trasformare in progetto vero e proprio; ciò non
accadde, ma va detto che ancora oggi, fino alla definitiva stesura del nuovo codice, tutto il
lavoro svolto all’epoca si è mostrato assolutamente prezioso (G. ESPOSITO, Contributo allo
studio dell’incidente probatorio, Napoli, 1989 p. 6).
15
Ciò si deduce a contrario dall’art. 131 che esplicitamente consentiva la lettura in udienza dei
documenti contenenti dichiarazioni rese nell’inchiesta preliminare, soltanto in due casi: quando
ciò fosse assolutamente necessario per saggiare la veridicità dell’imputato o dei testimoni, o
7
fase preliminare, essendo del resto, ridotto al minimo il ruolo della P.G.
Lo scopo della fase preliminare, caratterizzata da una sostanziale libertà
di forme, era quello di fornire non la certezza, bensì la semplice
probabilità dell’esistenza del reato (art. 86, comma 1). Il difensore
dell’imputato continuava ad avere un ruolo passivo e marginale
essendogli concesso, durante l’inchiesta preliminare, solo di indicare
nuove vie d’indagine al pubblico ministero (art. 93).
Per i casi di prova non rinviabile al dibattimento, era previsto, nello
stesso procedimento preliminare, un particolare meccanismo, idoneo a
garantire ex ante l’utilizzabilità davanti all’organo giurisdizionale
16
.
Da rilevare da ultimo ma non per importanza, è la previsione nella bozza
Carnelutti di un principio che ha trovato cittadinanza nell’attuale codice
nel combinato disposto dagli artt. 526 e 191 c.p.p. e, precisamente, la
regola di giudizio per cui il giudice deve giudicare alla stregua delle
prove acquisite nei modi stabiliti dalla legge. Si trattava di un notevole
passo avanti assumendo la norma “il ruolo fondamentale di presidio
dell’osservanza delle nuove regole sulla formazione della prova”
17
.
Nonostante il carattere innovativo del progetto redatto da Carnelutti e che
gran parte della dottrina dell’epoca esprimesse posizioni non lontane da
quando fosse assolutamente impossibile ottenere la presenza di questi al dibattimento (P.
RENON, op.cit.,p. 17).
16
L’art. 73 disciplinava, infatti, la possibilità di un’assunzione anticipata della prova anche
durante l’inchiesta preliminare, ma solo a certe condizioni particolari, che davano all’istituto il
carattere dell’eccezionalità. La norma era così costruita: “Ogni qual volta il pubblico ministero,
il privato accusatore o il difensore abbia fondati motivi di temere che un testimonio o un’altra
prova non possa essere disponibile al dibattimento, può chiedere che il giudice del reato
anticipi gli atti necessari alla sua assunzione o alla sua ispezione. Tali atti sono compiuti
secondo le norme che regolano la formazione delle prove in dibattimento” (P. RENON, op.cit.,
p. 18).
17
P. RENON, op. cit., p. 19.
8
quelle dell’insigne studioso
18
, il Governo non fece nulla per recepire la
bozza.
Mentre il dibattito sulla necessità di una riforma del codice di procedura
penale s’infervorava e gli studiosi del rito penale si schieravano a favore
dell’una o dell’altra tesi di “reingegnerizzazione” del codice, nell’aprile
del 1965
19
, veniva presentato un nuovo disegno di legge alla Camera dei
deputati da parte del Guardasigilli Oronzo Reale.
18
Si distinguevano, in particolare, due orientamenti: il primo facente capo a F. CORDERO che
prevedeva che nel nuovo processo penale il contraddittorio, inteso come effettivo dialogo fra le
parti, dovesse assurgere a condizione necessaria di ogni atto di formazione della prova.
Si scartava, pertanto, l’ipotesi di un’istruzione affidata al pubblico ministero, atteso che lo
svolgimento del principio del contraddittorio era nel senso che le prove venissero formate, con
il concorso delle parti, da un organo imparziale il quale non poteva identificarsi nel titolare
dell’azione penale, per sua natura “parte” nel processo. L’autorevole studioso sosteneva l’idea
del processo come “dialogo di tre persone”.
Anteriormente alla domanda, era opportuno, comunque, prevedere una fase nella quale il
pubblico ministero potesse vagliare la notitia criminis e decidere in ordine alla formulazione di
un’accusa. Quando fosse apparso necessario compiere, già durante l’inchiesta preliminare, un
atto di natura probatoria destinato a valere pienamente anche ai fini del giudizio, le parti
avrebbero potuto chiedere al giudice di provvedere ad assumere la prova non rinviabile nel
rispetto del contraddittorio, mediante incidente probatorio (P. RENON, op.cit., pp.20-21).
Oltre alle cosiddette testimonianze a futura memoria, si faceva riferimento anche ad altri atti
che, se fossero compiuti o reiterati nel dibattimento, apporterebbero sensibili complicazioni
oppure risulterebbero meno utili. Si alludeva, in primis, alla perizia che richiede spesso
operazioni laboriose, inopportune da differire al dibattimento e alle ricognizioni che sono in un
certo qual modo irripetibili, per l’ovvia ragione che la seconda volta riescono meno spontanee
di quanto lo siano state la prima: l’enunciato affermativo o negativo non è scindibile da un
vario contesto di atteggiamenti espressivi; ogni traccia può risultare decisiva sotto il profilo del
giudizio di veridicità, senza contare che il valore della dichiarazione è condizionato dal rispetto
di una complessa “mise en scéne” (G. ESPOSITO, op. cit., pp. 8, 9). L’atto compiuto in sede
di incidente probatorio avrebbe acquistato valore di prova piena e il relativo verbale avrebbe
potuto esser letto ed utilizzato in dibattimento, dal quale, invece, sarebbero rimasti esclusi tutti
gli atti di indagine, con la sola eccezione di quelli irripetibili.
Il secondo orientamento facente capo a G. DELITALA, in Criteri direttivi per una riforma del
processo penale, Giuffrè, Milano, 1965, p. 298, pur richiamandosi agli stessi principi di fondo,
proponeva una soluzione più moderata. Suggeriva, infatti, che i verbali degli atti d’indagine,
una volta usati dalle parti per le contestazioni, potessero essere impiegati dal giudice
liberamente, e non solo al limitato fine di verificare l’attendibilità del teste.
19
Due anni prima, nel 1963, era stato presentato, per vero, dal sen. Bosco, allora Ministro di
Grazia e Giustizia, un disegno di legge contenente una generica delega per la riforma di tutti e
quattro i codici fondamentali. E’, comunque, interessante rilevare che tra i pochi (appena
tredici) criteri indicati per il nuovo codice di procedura penale, all’art. 5 fossero già presenti
indicazioni a favore di un’accentuazione dei caratteri propri del sistema accusatorio e di una
migliore disciplina del principio di oralità, immediatezza e concentrazione con un conseguente
riforma dell’istruttoria e per una più efficiente garanzia dei diritti della difesa e per una
maggiore speditezza. Il testo in parola non venne mai sottoposto a discussione e anzi venne
ritirato per iniziativa del subentrato Governo Moro, prima della presentazione del disegno di
legge O. Reale (P. RENON, op.cit., p.23).
9
Tale progetto di legge sfociò, dopo un travagliato decennio, nella legge
n. 108 del 3 aprile 1974 che conteneva la delega per l’elaborazione di un
nuovo codice di procedura penale. La delega, come si può cogliere dai
lavori preparatori, accolse i rilievi avanzati dalla dottrina dell’epoca
ispirandosi apertamente al sistema accusatorio e prevedendo un processo
incentrato sul dibattimento, “con investigazioni preliminari trasfuse in
semplici appunti irrilevanti sul piano probatorio”
20
.
Nonostante il ruolo centrale assegnato al dibattimento e lo sforzo attuato
per preservarlo da ogni condizionamento che potesse derivargli da atti
compiuti nella fase delle indagini preliminari, il progetto “presentava
alcuni vizi genetici rappresentati in particolare dalla previsione di una
fase anteriore al dibattimento improntata alla logica del primato del
giudice istruttore nonché dalla mortificazione delle funzioni del P.M.”
21
.
L’incidente probatorio non compariva nella legge-delega del 1974
22
, la
cui direttiva 37 stabiliva che il p.m. dovesse concludere le indagini
preliminari nel termine perentorio di trenta giorni
23
dalla notizia di reato,
chiedendo al giudice istruttore l’archiviazione, il giudizio immediato o
l’istruzione. A sua volta la direttiva 42 prevedeva, al fine di accertare se
20
S. SAU, L’incidente probatorio, Padova, 2001, p. 12. In proposito, l’art. 2 della legge-delega
conteneva importanti affermazioni di principio: il nuovo processo doveva dare attuazione, oltre
che ai “principi della Costituzione” e alle “norme delle convenzioni internazionali ratificate
dall’Italia”, ai “caratteri del sistema accusatorio”, modulati secondo una serie di principi e
criteri. Fra questi erano sanciti la “partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in
ogni stato e grado del procedimento” (art. 2, n. 2), “l’adozione del metodo orale” (art. 2, n. 5) e
“l’immediatezza e concentrazione del dibattimento” (art.2, n. 59) (P. RENON, op.cit., p. 24).
21
S. SAU, op.cit., p. 12.
22
M. BARGIS, L’incidente probatorio, in Dig.disc. pen., VI, Torino, 1992, p. 347. Di tale
mancata previsione, attenta dottrina, (C. MORSELLI, L’incidente probatorio, Torino, 2000, p.
38) né ha subito evidenziato le criticità, rilevando che “nella sua linearità, questo disegno
avrebbe portato contraddittoriamente alla dispersione proprio degli strumenti della decisione,
qualora non si fosse prevista la loro “raccolta” nella fase anteriore al dibattimento e in
dipendenza del relativo carattere di non rinviabilità rispetto a quest’ultimo. Questa la ratio
essendi dell’incidente probatorio, inteso quale meccanismo che mira alla formazione anticipata
della prova”.
23
Termini definiti per la loro brevità “iugulatori” da C. MORSELLI, op.cit., p. 37.
10
fosse possibile prosciogliere l’imputato ovvero se fosse necessario il
dibattimento, il compimento da parte del giudice istruttore di atti di
istruzione, sia pur limitati agli accertamenti generici, agli atti non
rinviabili al dibattimento ed all’assunzione delle prove il cui esito
potesse condurre all’immediato proscioglimento dell’imputato. Alle
indagini preliminari poteva, dunque, seguire una fase di atti d’istruzione,
con durata massima di tredici mesi (dir. 48): del tutto realistico il timore
da più parti espresso che tale “fase istruttoria fosse un parcours obligée
e, per altro aspetto, che quella dibattimentale si riducesse ad appendice
della prima, con conseguente svuotamento del significato autenticamente
probatorio che si intendeva assegnare al dibattimento”
24
.
Questo progetto, pur avendo il merito di aver ridimensionato l’area
d’operatività e l’importanza della fase istruttoria, mostrava evidente una
discrasia tra il piano delle enunciazioni di principio e quello delle scelte
effettuate
25
, non essendo concretamente riuscito a tradurre in pratica i
criteri direttivi che avevano ispirato la riforma.
24
C. MORSELLI, op. cit., pp. 37, 38. L’A. elogia la scelta campo del Parlamento di tagliare i
ponti con la tradizione secolare del modello napoleonico del code d’instruction criminelle
francese del 1808, che tanto influsso aveva avuto sulla nostra codificazione del 1930,
attraverso la soppressione dell’istruzione e la caratterizzazione della fase ante iudicium,
affidata alla titolarità e direzione del P.M. in senso prevalentemente investigativo e di ricerca
delle fonti di prova.
25
Com’è stato acutamente osservato (S. SAU, op.cit., p. 12) ne risultava un sistema che tradiva
sia la regola della separazione tra parte e giudice, sia quella della concentrazione della prova
nel dibattimento: la prima, per l’ambiguità della figura del giudice istruttore che cumulava
funzioni investigative e giurisdizionali, la seconda per l’insufficiente limitatezza con cui si
consentiva lo svolgimento in sede predibattimentale di una attività probatoria concepita in
termini troppo ampi per garantire un’interpretazione rigida che scongiurasse il pericolo di una
proliferazione di tali atti.
11
4) IL PROGETTO PRELIMINARE DEL 1978.
La commissione ministeriale incaricata di redigere la bozza del futuro
codice si trovò di fronte ad un’impresa ardua dovendo cercare, da un
lato, di interpretare quanto più fedelmente possibile le indicazioni della
delega, dall’altro di non tradire l’ispirazione accusatoria di fondo. Il
risultato, nonostante la premessa da cui muove la legge-delega (“il
codice di procedura penale…deve attuare nel processo penale i caratteri
del sistema accusatorio”) non fu di “un’accusatorietà piena e
completa”
26
, ma di un’accusatorietà per così dire “ibrida”.
L’opera dei compilatori del progetto preliminare perseguì due obiettivi:
da un lato, limitare l’ampiezza della fase istruttoria tipica del sistema del
codice Rocco, finalizzandola all’accertamento del fatto, ma più
semplicemente, alla raccolta degli elementi necessari per la decisione del
giudice istruttore
27
; dall’altro lato, predisporre un’attenta disciplina delle
letture dibattimentali, onde salvaguardare, ammettendo solo le deroghe
indispensabili, l’oralità del giudizio e il rapporto di immediatezza tra
giudice e prova.
Ai fini che qui interessano, conviene soffermare l’attenzione su una
disposizione in particolare, cioè sull’art. 413 del progetto preliminare
28
.
26
L’affermazione è di G. CONSO (in P.M.”parte” e G.I. “terzo” nei limiti consentiti da un
sistema di accentuata, non completa, accusatorietà, in Giust. Pen., 1978, I, c p. 456 cit. in G.
ESPOSITO, op.cit., p. 25). Ad impedirne la realizzazione globale contribuiva, secondo l’A., “il
principio di obbligatorietà dell’azione penale. Con linguaggio tecnicamente inaccettabile, ma
icasticamente efficace, si potrebbe dire che l’attuale normativa presenta un P.M. meno parte ed
un G.I. meno terzo rispetto alle prospettive di domani o, inversamente, un P.M. più parte ed un
G.I. più terzo rispetto ad oggi; mai, comunque, un P.M. totalmente parte, quale è l’attore del
processo civile, né un G.I. totalmente terzo, quale è il giudice del dibattimento tratteggiato dal
progetto”.
27
G. NEPPI MODONA, in La centralità del dibattimento nel nuovo sistema processuale, cit.
in G. ESPOSITO, op.cit., p. 26, rilevava, infatti, che “L’istruttoria non deve essere
un’anticipazione del processo, ma solo consistere in una fase, la più breve possibile, intesa a
definire se l’imputato debba o meno essere rinviato a giudizio. Se il dibattimento è la sede del
processo e se al dibattimento tutte le prove vanno riportate, tranne quelle irripetibili, in maniera
che il giudice ne possa avere un’immediata percezione, è naturale e logico che l’istruttoria la si
determini entro certi limiti”.
28
G. CONSO in Dalle indagini preliminari alla sentenza di primo grado cit. in G. ESPOSITO,
op.cit., p. 13, testualmente affermava: “Questa disposizione dovrebbe tranquillizzare le parti e
12
Tale articolo, intitolato “Limiti all’assunzione delle prove”, nel dare
attuazione al punto 42 della legge-delega, consentiva al giudice istruttore
di assumere “le prove che per la loro complessità o urgenza non sono
rinviabili al dibattimento” ed a compiere “gli accertamenti generici che
sono necessari per precisare l’imputazione, le prove il cui esito positivo
possa condurre all’immediato proscioglimento dell’imputato”
29
. Tale
disposizione mostra chiaramente come i compilatori del codice abbiano
avvertito l’esigenza “ di affrontare situazioni storico-fattuali per i quali
uno o più meccanismi probatori non possono attendere il tempo
dibattimentale”
30
, ma, al tempo stesso, prestava il fianco a critiche
31
.
Le radici dell’incidente probatorio affondano nel terreno reso fertile dal
“mutamento di prospettiva, non solo processuale, ma ancor prima
culturale”
32
, con il quale fu rivisitata la disciplina della fase anteriore al
dibattimento così come era stata disegnata dalla legge delega del 1974.
quindi anche il P.M., nonché la pubblica opinione, confermando la tesi che la fase degli atti di
istruzione è un eccezione da riservare ai casi limite. Se c’è un atto urgente da assumere, non è
necessario aprire la fase degli atti di istruzione, né tanto meno, bloccare il giudizio immediato.
Se l’urgenza è tale da far correre il rischio di arrivare al giorno del dibattimento non in tempo
per assumere la prova, l’art. 413 dà a ciascuna delle parti costituite la possibilità di rivolgersi al
presidente perché egli assuma non solo un teste a futura memoria, ma qualunque altro atto
urgente osservando le forme previste per il dibattimento. Il che consente all’atto così assunto di
attingere il rango di prova vera e propria, idonea a diventare base della decisione finale:
l’osservazione di quelle forme garantisce, infatti, il contraddittorio al cento per cento”.
29
Vedi S. SAU, op.cit., p. 14.
30
G. ESPOSITO, op.cit., p. 12.
31
Infatti, come è stato rilevato, (T. MAZZUCA, L’incidente probatorio, 1991, in Gist.pen, III,
p. 78) “appare evidente che anche il progetto del 1978 presentava in proposito cospicue zone
d’ombra: quando, infatti, si parla di atto non rinviabile e se ne offre un’ermeneutica in termini
soltanto di necessità ed urgenza, non si fa altro che dare all’interprete momenti valutativi ad
alto tasso di soggettività e, come tali, esposti ad ampio margine di discrezionalità. Si aveva
dunque, ancora e sempre, un giudice istruttore non solo presente ma immanente rispetto alle
determinazioni probatorie ed alla loro assunzione. Tutto ciò, in definitiva, faceva apparire
largamente eluso l’intendimento di informare il nuovo processo ad una architettura processuale
ad impronta accusatoria”.
32
P.L.VIGNA, Commento all’art. 392 c.p.p., in M. CHIAVARIO, Commento al nuovo codice
di procedura penale, IV, 1990, p. 459.
13
Nella legge-delega mancavano direttive specifiche per il procedimento
pretorile. In questo rito, in quanto privo della fase istruttoria, i
compilatori ritennero di inserire, con l’art. 525
33
, un meccanismo
definito poi nella Relazione “incidente d’istruzione” che costituiva
un’anticipazione di attività dibattimentale attuata, anziché in una fase di
atti di istruzione, attraverso strumenti più snelli adattabili alle esigenze
che di volta in volta si sarebbero presentate.
Per le critiche e le perplessità a cui il progetto fu sottoposto
34
, il progetto
subì un “insabbiamento”
35
con un’inevitabile rallentamento dei lavori.
Il 31 ottobre 1979, dies ad quem per l’esercizio della delega, il Ministro
Guardasigilli Morlino presentava un disegno di legge recante
“Disposizioni per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale”.
Tale disegno non si limitava a disporre un’ennesima proroga del termine
per l’emanazione del nuovo c.p.p., ma costituiva il primo segnale della
necessità di una revisione critica della legge delega del 1974, avendo
previsto una serie di emendamenti alla prima delega
36
. Tali modifiche
33
L’art. 525 del prog. prel. prevedeva che “nel corso delle indagini preliminari, il pretore, a
richiesta del pubblico ministero o dell’indiziato, assume con le forme previste per il giudizio, le
prove che per la loro complessità o urgenza non sono rinviabili al dibattimento. L’esame dei
testimoni è consentito qualora ricorrano le circostanze previste nell’art. 374”. Tale articolo
disponeva che “Quando vi è fondato motivo di ritenere che una persona non possa essere
esaminata come testimone al dibattimento per grave infermità o perché deve trasferirsi
all’estero, il giudice istruttore, a richiesta del pubblico ministero o dell’indiziato, ne dispone
l’esame” (articoli tratti da C. MORSELLI, op.cit., p. 39).
34
Si osservava da parte della dottrina (P. MOSCARINI, L’incidente probatorio, in Giur.it.,
1989, IV, c. p. 232) che il progetto del 1978 non ebbe fortuna soprattutto perché “ne risultava
sostanzialmente un sistema che, nella maggior parte dei casi, avrebbe visto seguire alle I.P. una
vera e propria istruzione formale, esaustiva della raccolta delle prove, con conseguente
svalutazione della fase dibattimentale, in particolare, dell’escussione probatoria”.
35
All’accoglimento del progetto preliminare sembravano opporsi anche le difficili condizioni
socio-politiche nelle quali versava il Paese e che parevano sconsigliare un nuovo strumento
processuale (P. RENON, op.cit., p. 32).
36
Tali emendamenti sostanzialmente suggerivano la modifica della legge delega, così da
costituire uno schema che concentrasse nelle indagini preliminari del P.M. l’attività anteriore al
dibattimento, concedendo per tali indagini un termine diverso da quello previsto dalla legge
delega. In particolare si precisava che le I.P. sono destinate non tanto all’assunzione delle
prove, quanto alla ricerca ed assicurazione delle fonti di prova ed in quanto tali le loro
risultanze non possono essere utilizzate nelle ulteriori fasi del procedimento. Inoltre, stante
l’eventualità che, durante la fase delle I.P. potesse sorgere la necessità di assumere prove
14
avrebbero consentito di superare i “ritardi culturali” insiti nella delega
del ’74 e di assicurare “sia l’immediatezza e l’efficacia delle I.P. svolte
direttamente dal P.M”
37
, sia l’esigenza di raccogliere in casi eccezionali
prove anche prima del dibattimento
38
.
destinate, per la loro urgenza, perché non ripetibili e perché soggette a pericolo di
inquinamento, ad essere utilizzate nelle ulteriori fasi del giudizio, si prevedeva che tali prove
potessero essere assunte mediante l’incidente istruttorio, con tutte le garanzie del
contraddittorio e quindi con l’intervento della difesa (S. SAU, op.cit., p. 16).
37
S. SAU, op.cit., p. 17.
38
Il pacchetto di proposte del Governo non si limitava a realizzare quell’intervento parziale di
revisione inizialmente auspicato, ma prefigurava “una nuova delega”. Non si tratta di una
questione nominalistica. L’importanza delle novità era tale da segnare uno stacco rispetto alla
legge delega del 1974. Nella disciplina della fase anteriore al dibattimento, il nuovo testo,
infatti, sfuggiva al cosiddetto “errore pendolare”, cioè al fatto che l’itinerario della riforma si
era ripetutamente manifestato un fenomeno di oscillazione tra la riproposizione dello schema
dell’istruzione formale e la creazione di un congegno sul modello dell’istruzione sommaria. Il
nuovo testo usciva da questa tradizionale alternativa ora che la prova doveva formarsi in
dibattimento (P. RENON, op.cit., p.37).