2
della povertà). E infine gli scettici che considerano una vera utopia, che non potrà
mai essere realizzata, il progetto di regolare ulteriormente l’economia mondiale…
“ ed il cui progresso ha finora realizzato disgregazione sociale e instabilità
economica e politica su larga scala”. Da questi brevi cenni si può intuire come
l’argomento globalizzazione divida studiosi e decisori politici: da un lato chi
ritiene che i processi produttivi, anziché uguagliare le condizioni di vita nei diversi
paesi, accentui le differenze già esistenti; e chi, dall’altro lato, sostiene che “… la
globalizzazione è, forse, quanto di meglio è accaduto al mondo”. Altrettanto vero è
che il significato corrente della globalizzazione si riduce a quello di una
“globalizzazione economica”: così, accanto a chi considera il “libero mercato”
come condizione per accrescere il benessere economico di tutta l’umanità, ci sono
coloro che sottolineano i rischi reali di conseguenze economiche e sociali
disastrose per l’umanità stessa, qualora regole, correttivi e garanzie non vengano
prontamente predisposti per equilibrare lo sviluppo economico con le esigenze di
giustizia e garanzia di fondamentali diritti umani. Ed è principalmente quest’ultimo
problema, degli aspetti negativi che il processo di globalizzazione produce non già
sul piano economico, quanto piuttosto su quello generalmente umano, il tema
trattato. Infatti, ciò che ha dato la globalizzazione, di cui tanto si parla, è prima di
tutto una spinta economica e il progresso delle comunicazioni, grazie al quale tutto
può essere reso contemporaneo di tutto. In secondo luogo, ma non meno
importante, il progresso scientifico: non solo nuove scoperte scientifiche di mezzi
3
sempre più veloci di trasmissione, ma anche rivoluzione del modo stesso di
concepire la scienza, ovvero la rivoluzione informatica. Questo è, se pur
sinteticamente, il quadro che presenta oggi la storia della globalizzazione che tende
a dissolvere vari tipi di frontiere fra popoli, stimola e produce migrazioni massicce,
mescolanze di tradizioni e culture e sembra proiettare il futuro verso l’esistenza di
una società planetaria. Mentre, dall’altro canto, pullulano sempre più
particolarismi, ingiustizie, sanguinose contese tribali, intolleranze etniche, razziali
e religiose. E non solo: ulteriori problemi morali che investono l’età della
globalizzazione derivano proprio dal primato del computer e di internet come
mezzi di comunicazione. Vero è che non vi sarebbe globalizzazione se il modo di
comunicare passasse attraverso vie tradizionali d’informazione, ma è altrettanto
vero che tutto ciò impone la necessità di un’azione educativa e politica a difesa di
quei valori che la stessa comunicazione telematica sembra porre in crisi, ossia la
riservatezza, il rispetto, l’inviolabilità della persona. Forse, la virtù che dovrebbe
accompagnare il processo di globalizzazione dovrebbe essere “ l’autolimitazione”,
il senso del limite nel rispetto dei diritti fondamentali. Ciò di cui si tratterà
all’interno di questo lavoro, infatti, è, non ciò che crea la globalizzazione, ma ciò
che essa tende a sacrificare se non perfino a demolire: i diritti umani fondamentali.
Il gioco della globalizzazione, pur essendo un gioco con esiti anche positivi,
determina vincitori e vinti; se è vero che, ad esempio, i lavoratori qualificati
migliorano la loro posizione di benessere, è anche vero che quelli dequalificati
4
vedono peggiorate, rispetto al passato, le loro condizioni di vita. Quindi: quali
diritti, attraverso quali mezzi o processi, quanta tutela e rispetto esistono per i
diritti di tutti nell’era della globalizzazione? Ed è a questa domanda che si cercherà
di dare una risposta nelle pagine che seguono, trattando dei problemi della
globalizzazione proprio dal punto di vista della condizione umana, della necessità
di conciliare un’evoluzione globale, pur sempre produttiva e accentuata, con
l’uomo e i suoi diritti, tale che ne garantisca essa stesa la sopravivenza. Dopo un
primo capitolo ove si tratterà ampiamente della storia e del significato, vecchio e
nuovo, nonché degli effetti attuali, positivi e negativi, della globalizzazione,
l’attenzione sarà poi rivolta ai diritti dei lavoratori, alle loro condizioni,
all’introduzione delle macchine, spesso guidate da un computer, dirette a sostituire
il lavoro umano e a generare disoccupazione. Senza dimenticare la manodopera
femminile, sicuramente aumentata ma diretta a produrre sfruttamento, mancanza di
diritti certi e di sicurezza, incertezza, paura. E il lavoro dei minori: è il basso costo
della manodopera minorile che ne accresce l’utilizzo, per non parlare di come i
bambini siano meno coscienti dei propri diritti, più remissivi, più controllabili.
Con altrettanto interesse si tratterà di un altro diritto fondamentale d’ogni essere
umano: quello della salute, riconosciuto come una condizione indispensabile alla
pace e alla sicurezza del mondo. Non mancano, tuttavia, scenari in cui tale diritto
rischia di essere vanificato: è noto che i tassi di mortalità, soprattutto quello
infantile, sono in riduzione quasi ovunque per i grandi progressi della medicina e
5
della produttività. Ma molti sono i paesi che ne hanno poco beneficiato per vari
motivi: povertà perdurante o crescente, iniqua distribuzione dei redditi, politica dei
brevetti e dei farmaci per curare i nuovi grandi mali da parte delle multinazionali.
D’altro canto nessuno avrebbe mai pensato che lo sviluppo potesse generare
conflitti; tuttavia, il perfezionarsi e il diffondersi di una nuova economia, della
scienza, delle comunicazioni, rende la globalizzazione stessa inevitabile, perciò
sarebbe più opportuno tentare di guidarla. Il lavoro di ricerca si concluderà con un
ultimo e quarto capitolo che tratterà del difficile rapporto tra globalizzazione e
diritti umani, un rapporto spesso conflittuale ma anche di complicità reciproca.
Vale a dire: se è vero che la globalizzazione consente uno sviluppo (economico,
politico, istituzionale) di tipo planetario, allo stesso modo consente di diffondere la
conoscenza ed il rispetto dei diritti umani. Ma vero è che sono altrettanto
indispensabili gli stessi diritti umani a cui si deve necessariamente ricorrere per
porre un freno all’uso ed abuso della globalizzazione. Perché resistere alla
globalizzazione è impossibile, “…significa condannare una società ad arretrare
verso una sorta di preistoria”, e ciò su cui si deve puntare è uno sviluppo armonico,
controllato, non privo di cautela, attento soprattutto a curare il rispetto della
persona. Anzi: forse solo prendendo atto del dilagare della globalizzazione e in
particolare degli effetti indesiderati da essa spesso derivanti, sarà possibile non
rendere vani ogni tentativo di tutela dei diritti dell’uomo.
6
Capitolo I
LA GLOBALIZZAZIONE E I SUOI EFFETTI.
1. Profili storici.
La Globalizzazione è un’espressione oramai estremamente diffusa, ma che assume
significati spesso diversi e contraddittori: il significato più neutro è quello di
“libera circolazione di merci, capitali e persone a livello mondiale”, ma in realtà,
sebbene attualmente tutti parlino di globalizzazione, quanti siano in grado di
cogliere a pieno il senso di tale espressione è difficile dirlo. L’unica cosa certa è
che ognuno lo interpreta come un processo inarrestabile che coinvolge l’intero
pianeta, ma solo pochi si accorgono che presenta molti più aspetti di quanto
comunemente non si pensi; anzi, potremmo dire, che tutti i cambiamenti che hanno
investito l’umanità in questo secolo possono essere riassunti nell’espressione di
“globalizzazione”. Si parla di “globalizzazione dell’informazione”, con riferimento
alle nuove tecnologie della comunicazione che hanno consentito di superare le
barriere fisiche dello spazio ed hanno reso gli abitanti della terra membri di un
unico “villaggio globale”
1
. Si parla di “globalizzazione culturale” quando si vuole
1
F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Ed. il Mulino, Milano 2005.
7
evidenziare come alcuni stili di vita e alcune abitudini si diffondono rapidamente
da un luogo all’altro della terra, spesso a scapito delle tradizioni locali che vanno
scomparendo.
2
Ma ancor più se ne parla come di un fenomeno economico e
politico: lo sviluppo delle telecomunicazioni e l’intensificarsi degli scambi
commerciali hanno, negli ultimi decenni, rivoluzionato l’economia mondiale,
rendendola, appunto, “globale”, e provocato la caduta delle barriere doganali e la
conseguente dilatazione dei marcati. In estrema sintesi, si potrebbe affermare che
la globalizzazione è quel processo d’unificazione economica, ma in qualche modo
anche culturale e politica del mondo,
3
tale da poterle attribuire il concetto di vera
Rivoluzione, di rottura col passato.
4
Anche se le contestazioni rivolte alla
globalizzazione sono un fenomeno recente, essa, al contrario, non è un evento
circoscrivibile agli ultimi anni: in un certo senso essa accompagna, come tendenza,
tutta la storia dell’umanità. I flussi transnazionali di merci, somme di denaro,
cultura e persone non sono certo un fenomeno nuovo, avendo avuto grande
sviluppo altre volte nella storia. Non è un caso, infatti, che fin dai tempi più lontani
2
V. Ardore, Il pianeta delle differenze. La globalizzazione spiegata da un fotoreporter ai suoi figli, Ed. Simone,
Napoli, 2005.
3
U. Beck, Che cos’è la globalizzazione: Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci Editore, Roma, 1999.
4
Parla di rivoluzione la M.T. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società
transnazionale, il Mulino, Bologna, 2000, pag. 12, che vede nella globalizzazione “i tratti di una cesura più che di
una continuità”.
8
ogni popolo ha cercato di allargare i propri rapporti, in modo più o meno pacifico,
allacciando relazioni commerciali, o colonizzando o stringendo alleanze con altri
popoli.
5
Per ricostruire la nascita e la storia della globalizzazione, infatti, dovremmo
forse risalire al 1492, data della conquista dell’America, quando l’Occidente prese
coscienza della rotondità della terra per scoprirla e imporre le proprie conquiste,
accelerando gli scambi di ogni genere di prodotto, ma anche di malattie. Per
l’Africa, però, quella evoluzione ha significato la tratta dei negri…
6
; le navi
partivano dall’Inghilterra vuote, arrivavano in Africa e, dopo essersi riempite di
schiavi neri, si dirigevano in America, ove i sopravvissuti erano venduti come
schiavi e le navi erano caricate di materie prime, con meta Inghilterra, dove
sarebbero state lavorate. E’ proprio l’Inghilterra, con il regno di Elisabetta la
Grande, a divenire una potenza economica; essa inizia, infatti, ad usare a pieno
ritmo i numerosi e splendidi porti e a controllare in modo autonomo i suoi
commerci, senza più bisogno della intermediazione dei mercati tedeschi né di
quelli italiani.
7
Il secondo episodio di globalizzazione è riconducibile al
capitalismo industriale, fenomeno per cui si produce molto e in modo conveniente:
da questo deriva, infatti, nella seconda metà del ‘700, l’ascesa industriale della
5
W. Ellwood, La globalizzazione, Carocci editore, Roma 2003
6
S. Laouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati&Bolinghieri, Milano 1997.
7
R. Romano, L’Europa tra due crisi. XIV e XII secolo, Einaudi 1980.
9
Gran Bretagna e la sua conquista dei mercati mondiali. Nella prima metà del 1800,
oltre all’Inghilterra, che è al primo posto, si trovano in buona posizione anche la
Francia e il Belgio; nella seconda metà del ‘800 si aggiunge la Germania con un
ripresa rapidissima grazie all’intreccio di scienza e tecnica, mentre
l’industrializzazione italiana avvenne solo negli anni ’80 e con vistosi limiti. Nei
processi produttivi delle industrie entrano in funzione macchine sempre più
complesse ( ad esempio a vapore) che producono a ciclo continuo su larga scala; ci
si avvale della divisione del lavoro, ed emerge la figura degli imprenditori, che
investono il loro capitale diventando proprietari dei mezzi di produzione con le
quali sono prodotte merci grazie ai salariati, ovvero coloro che vendono la propria
forza lavoro in cambio di uno stipendio. Nell’ultimo decennio del XIX secolo e nel
primo del XX, lo sviluppo industriale delineato raggiunse la sua piena maturità,
tanto che si può parlare di una “seconda rivoluzione industriale”, caratterizzata
dalla concentrazione dei capitali e della produzione, dal predominio delle grandi
aziende e delle società per azioni, dall’affermarsi del capitale finanziario e dei
monopoli.
8
Lo sviluppo industriale fu sostenuto da nuove invenzioni scientifiche e
tecnologiche che permisero un migliore sfruttamento delle materie prime; nuove
fonti di energia, il petrolio e l’elettricità vennero poi ad aggiungersi al carbone che
8
G. Perugi, Dal XIV secolo a oggi, Zanichelli, Torino 1998.
10
aveva costituito, fin agli anni ’70 del XIX secolo, l’unica fonte di energia capaci di
azionare le macchine industriali; inoltre, l’applicazione delle scoperte scientifiche
alla produzione determinò un notevole sviluppo dell’ industria chimica, soprattutto
nel settore dei medicinali, e con effetti diretti anche sull’agricoltura che venne
fortemente meccanizzata.
9
Contemporaneamente allo sviluppo industriale si ebbe
anche quello del capitale finanziario che ebbe un ruolo decisivo nel fondare nuove
industrie e negli investimenti esteri, sia attraverso il finanziamento di importanti
opere, sia mediante l’esportazione di grosse masse di capitali in paesi
economicamente arretrati, ma ricchi di materie prime e manodopera a buon
mercato, sotto forma di prestito o investimenti produttivi. Tutto ciò giovò
all’unificazione mondiale del mercato e portò ad una sempre più stretta
interdipendenza fra le singole economie nazionali; in particolare, gli USA, grazie
anche all’insieme di condizioni favorevoli che li riguardarono, come la presenza
sul territorio di petrolio, furono la vera nuova grande potenza in ascesa del
capitalismo mondiale
10
. E proprio alla Seconda Rivoluzione Industriale è legata,
poi, una nuova ondata espansionistica in ambito coloniale, che incentivò la
conquista di nuove terre: fu questa l’età dell’imperialismo. Gli Stati
9
A. Giovagnoli, Storia e globalizzazione, il Mulino, Bologna 2003.
10
AA.VV. , Dall’espansione alla sviluppo. Una storia economica dell’Europa, Giappichelli editore, Torino 2002.
11
industrializzati, fra cui specialmente Francia, Germania, Inghilterra, volevano
controllare nuovi e più vasti mercati che assicurasse loro sia il rifornimento delle
materie prime necessarie alla produzione, sia lo smercio dei manufatti, sia
l’impiego di capitali sempre più alti, tanto che nel giro di pochi anni le potenze
industriali si spartirono tutto ciò che era conquistabile; ciò determinò, potremmo
dire quasi inevitabilmente, un’aumentata conflittualità tra esse; gli USA, inseriti
nel quadro coloniale solo alla fine dell’Ottocento, attuarono un controllo diverso,
ossia non impiantando governi stabili quanto legando a sé quelli già esistenti.
11
All’origine della Prima Guerra mondiale stanno tutti i conflitti ora descritti e che
sommati costituiscono un potente esplosivo per il primo vero episodio storico di
“globalizzazione” reale. A questa “grande guerra”, infatti, hanno partecipato, oltre
agli Stati europei, gli USA, la Cina e anche il Giappone, dal cui conflitto uscirono
sconfitte l’Austria e la Germania; gli Stati Uniti, in particolare, dopo la vittoria
della guerra, si erano isolati come politica estera dal resto del mondo, passando
attraverso la grande crisi del 1929 e uscendo successivamente da essa, e reinseritasi
poi di prepotenza nel quadro internazionale con la loro decisiva partecipazione alla
Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), entrando nel conflitto nel dicembre 1941.
11
R. Romano e M. Soresina, “Homo faber”. Economia, industria e società dal medioevo alla globalizzazione,
Mondatori Università, Milano 2003.
12
Gli orrori e le distruzioni del Secondo conflitto superarono di gran lunga quelli
della prima; viceversa, l’instabilità e la crisi dell’economia mondiale del periodo
tra le due guerre non ebbe nessun eco nel secondo dopoguerra.
12
Dopo una veloce
ricostruzione economica, il mondo, e non solo l’Occidente, fu investito della più
grande crescita economica mai sperimentata. Ciò fu possibile in quanto, a
differenza di trent’anni prima, il secondo dopoguerra mondiale fu affrontato con la
ferma volontà di cooperazione da parte dei governi dei Paesi occidentali e,
principalmente, degli Stati Uniti, e convinti della necessità di stabilire alcune
regole del gioco accettabili e accettate da tutti, per scoraggiare il pericolo di una
ripetizione delle politiche di impoverimento del vicino praticate negli anni Trenta;
quelle politiche che avevano fatto sprofondare il mondo nella peggiore recensione
della storia.
13
Gli aiuti umanitari e gli ingenti finanziamenti garantirono una rapida
ricostruzione, ma per rilanciare lo sviluppo si ritenne altresì necessario creare
un’architettura di governo dell’economia che garantisse un commercio
multilaterale libero e che controllasse i pagamenti internazionali e i movimenti di
capitale. Erano questi il fine degli accordi seguiti alla grande conferenza
economica internazionale che si celebrò nel giugno del 1944 nella cittadina
12
J. Foreman-Peck, Storia dell’economia internazionale dal 1850 a oggi, il Mulino, Bologna 1999.
13
R. Romano, I meccanismi della conquista coloniale, Mursia (Gruppo Editore) 1992.