Introduzione
2
L’autore, colpevole di una narrativa ancora fondata sui sentimenti e
sulle strutture tradizionali del racconto come la vicenda e l’ambiente,
venne ridotto al rango di scrittore di intrattenimento e definito, con
Moravia e Bassani, Liala del ’63, con sprezzante allusione a una nota
scrittrice di romanzi rosa.
Anche gli ultimi anni dell’attività letteraria di Cassola, dedicati
all’impegno pacifista nel tentativo di sensibilizzare l’opinione
pubblica nei confronti dei grandi problemi del pianeta, in particolare
contro la strategia di crescente militarizzazione perseguita dagli stati
nazionali, ha suscitato dure critiche. Molti hanno visto in questa svolta
semplicemente il declino dello scrittore che aveva visto affievolirsi
l’ispirazione della sua narrativa.
Nonostante tutte le polemiche, spesso di natura ideologica, di cui
Cassola è stato protagonista, l’unica colpa dell’autore è forse quella di
essere sempre rimasto fedele a se stesso, mai allineato a priori ad una
linea di pensiero e forse proprio per questo più soggetto agli attacchi
di chi non la pensava come lui. Per Cassola fedeltà a se stesso ha
significato essenzialmente fedeltà alla sua poetica, il cui compito
designato è sempre stato quello di esprimere il senso della vita, la sua
segreta pulsazione. Fin dagli esordi dei primi racconti de La visita e
Alla periferia usciti nel 1942, l’ispirazione di Cassola nasce
dall’osservazione dell’esistenza nella sua nudità, nella particolarità e
unicità di ogni persona.
Cassola amava la vita, e questo suo amore lo ha sempre portato a
cercare di rappresentarla e difenderla. Lo spettacolo della vita,
“l’impressione che danno certe mattine limpide e luminose, quando i
Introduzione
3
rumori della città e l’affaccendarsi della gente mettono addosso una
piacevole eccitazione, e si sente il desiderio di fare, di muoversi, di
partire in cerca d’avventure”
2
, è quello che secondo lui la poesia deve
cercare di catturare, rappresentare e trasmettere al lettore. Questa
chiave di lettura fa cadere nel vuoto la maggior parte delle critiche
elencate in precedenza, che vanno a cogliere aspetti marginali di ciò
che l’autore ha voluto comunicare.
La militanza antifascista e l’impegno politico del dopoguerra hanno
sicuramente influenzato le sue opere, ma la ricerca fondamentale di
Cassola, quella che gli ha permesso di scrivere le sue pagine più
sublimi e rarefatte, è il tentativo di esprimere la vita spogliandola della
drammaticità degli eventi, cercando di esprimere l’inesprimibile
nascosto nel grigiore della quotidianità.
Cassola ha cercato e trovato nella gente e nei luoghi della Maremma
toscana in cui ha vissuto i frammenti di realtà su cui si proiettava il
suo sentimento dell’esistenza. I suoi personaggi così umili, appena
tracciati, appartenenti al mondo contadino dell’asse Cecina-Volterra,
sono gli anti-eroi la cui esistenza semplice e povera di avvenimenti e
di scossoni viene ulteriormente scomposta nel tentativo di scoprirne
l’essenza più vera.
Il presente lavoro prende spunto dall’interesse nei confronti della
produzione letteraria di Cassola, in modo particolare di quei racconti e
romanzi tesi a raccontare il sentimento dell’esistenza (come sopra è
stata descritta). All’interno di questa poetica esistenziale, si è scelto di
approfondire il romanzo Un cuore arido, perché è considerato uno
2
Carlo Cassola, Scoperta di Joyce, in La visita, Torino, Einaudi, 1962, p. 205.
Introduzione
4
degli esempi più compiuti e riusciti di questa poetica, oltre che per le
emozioni suscitate dalla sua lettura.
Il percorso che si seguirà nello svolgimento del lavoro prevede
dapprima uno studio dell’autore, della sua narrativa e delle fasi in cui
si può suddividere la sua vita letteraria, per poi passare ad analizzare
in modo più approfondito la poetica esistenziale e Un cuore arido.
Nel primo capitolo si fornirà un inquadramento storico-biografico
della vita di Carlo Cassola, per poter comprendere il contesto in cui è
maturata la sua vocazione letteraria e le vicende personali e storiche
che hanno accompagnato e influenzato la sua vita artistica.
Il secondo capitolo proporrà uno studio del percorso letterario dello
scrittore, dagli esordi fino alla produzione degli ultimi anni. Seguendo
e interpretando gli studi più accreditati della critica, l’opera di Cassola
viene suddivisa in quattro periodi fondamentali: la narrativa
esistenziale, la narrativa dell’impegno, il ritorno alla narrativa
esistenziale, la fase pacifista. Questa scansione periodica è utile per
consentire uno studio più metodico dell’autore, anche se va
sottolineato che il motivo di fondo della vita come rivelazione e come
salvezza è presente in ogni periodo ed è quindi un riferimento
imprescindibile.
Secondo la periodizzazione appena riportata sono due le fasi della
poetica esistenziale di Cassola: il primo periodo, che comprende gli
esordi dello scrittore e arriva fino alla stesura de Il taglio del bosco
(1949), e il terzo periodo, che inizia con Un cuore arido (1961) e
termina con La disavventura (1977). Ai fini di questo lavoro verrà
approfondito quest’ultimo periodo, quello del ritorno alla narrativa
Introduzione
5
esistenziale; a questo studio sarà dedicato il terzo capitolo. In realtà, i
legami tra il primo e il terzo periodo sono così forti (tant’è che molti
romanzi del terzo periodo sono ripresi dai racconti giovanili de La
visita) da suggerire una visione quasi unitaria dei due.
Nel quarto capitolo si approfondirà il romanzo Un cuore arido.
Questo romanzo, da alcuni considerato come il punto più alto
dell’intera produzione di Cassola
3
, sarà analizzato per cercare di
comprenderne il significato più vero sulla scorta della visione
esistenziale introdotta nel capitolo precedente. Il personaggio di Anna
Cavorzio, emblema degli umili personaggi cassoliani della campagna
toscana, sarà seguito nel suo percorso umano che potrà risultare utile
per decifrare anche le “Anna” presenti in altri racconti di Cassola.
Sarà inoltre presentata, in Appendice, un’intervista al Prof. Vittorio
Spinazzola, uno dei maggiori studiosi dell’opera di Cassola, per
approfondire alcuni temi riguardanti la poetica e il successo di
pubblico dell’autore al fine di avere una visione più completa
dell’attività letteraria dello scrittore.
Il proposito fondamentale di questo lavoro è quello di effettuare
un’analisi dell’opera di Cassola che si può ricondurre alla fase della
poetica esistenziale, con particolare riferimento a Un cuore arido. Ci
si avvarrà, oltre che delle opere dell’autore e degli altri suoi scritti, dei
lavori dei numerosi studiosi che si sono occupati di Cassola.
Recentemente l’attenzione della critica e del pubblico nei confronti
dello scrittore è diminuita, nonostante il grande successo che hanno
3
A questo proposito si veda l’articolo di Pietro Citati, Cassola ha scritto il romanzo che sognava
a vent’anni, «Il Giorno», 7 novembre 1961.
Introduzione
6
avuto i suoi romanzi e le pagine di alta poesia che ci ha consegnato.
La voce di Carlo Cassola, anche negli ultimi anni della sua vita, in cui
si è fatta più ostinata e dolorosa nella denuncia della guerra e del
militarismo, è sempre stata autorevole e libera da ogni
condizionamento politico e letterario. Questa voce, forse
ingiustamente oscurata, mantiene ancora oggi la sua forza espressiva e
meriterebbe di essere riascoltata.
Capitolo I – La vita e le opere
7
CAPITOLO I – LA VITA E LE OPERE
La letteratura è una parafrasi della vita.
E la vita è lì pronta a farsi parafrasare.
Carlo Cassola, Fogli di diario
Carlo Cassola è nato a Roma il 17 marzo 1917, da madre volterrana e
da padre trapiantato da lungo tempo a Volterra. Il nonno, Carlo, era
stato un ardente patriota e aveva partecipato alle Dieci Giornate di
Brescia. Il padre, Garzia, dall’originario socialismo si convertì al
nazionalismo. Cassola scrisse:
Mio padre era un uomo dell’800. Io lo ricordo così, e non credo di
ricordarlo male. Non si rendeva conto che nel nostro secolo i problemi
erano cambiati. Non si rendeva conto soprattutto che il nazionalismo
avrebbe fatto solo del male e, nell’era atomica, un male irreparabile.
1
Cassola visse un’infanzia che era diversa da quella di un bambino o di
un ragazzo felice. Le cagioni della sua infelicità, o per lo meno di non
amore della sua infanzia, erano rappresentate dai fratelli molto più
grandi, tanto che lui si sentiva una specie di figlio unico. Altri motivi
di infantile infelicità erano il suo scarso spirito di iniziativa e la
mancanza di carattere, l’inclinazione all’isolamento e la coscienza
frequentemente avvertita di essere diverso dagli altri, spesso motivo di
svantaggio per lui.
Cassola non ebbe un’educazione religiosa, appartenne ad una famiglia
1
Carlo Cassola, Mio padre, Milano, Rizzoli, 1983, p. 13.
Capitolo I – La vita e le opere
8
non credente; frequentò il ginnasio al “Tasso” e il liceo all’“Umberto
I” a Roma. A posteriori considerò l’esperienza della scuola come
fallimentare: “Scuola di criminalità, ecco cos’è la scuola oggi, non
solo da noi ma dappertutto. E la colpa risale alla cultura laica o
religiosa che sia. A questa grande spacciatrice di droghe; a questo
autentico oppio del popolo”, così scriveva Cassola nel 1969.
Cassola di quegli anni ricorda soprattutto il disgusto per la letteratura,
un disgusto che gli era procurato dai classici e dal modo in cui gli
erano propinati. Dovrà scoprire per conto proprio gli autori
contemporanei per iniziare ad amare la letteratura. Tra gli studenti che
frequentavano il suo stesso liceo c’erano i figli di Mussolini e c’erano
anche Mario Alicata e Ruggero Zangrandi. Quest’ultimo era uno degli
studenti più intraprendenti sia nelle iniziative giornalistico-letterarie
che politiche. Frequentava casa Mussolini come compagno di classe di
Vittorio; fu collaboratore di una rivista studentesca che inizialmente si
chiamava «La penna dei ragazzi» e, a partire dal 1934, assunse il
nome di «Anno XII» (che segnava la data dell’“era fascista”; con
«Anno XIII» la rivista finì perché i suoi fondatori finirono il liceo).
Cassola collaborò alla scrittura di queste riviste insieme ad altri
coetanei che in seguito si distinsero nella vita nazionale.
Fu proprio nel numero del 10 gennaio 1935 di «Anno XIII» che
Cassola ebbe il suo primo riconoscimento di scrittore. Alla
pubblicazione dell’Almanacco di «Anno XIII», raccolta di opere
letterarie dei giovani collaboratori, ci furono delle critiche da parte del
regime fascista che vide in quella produzione dei tratti non in linea
con l’ideologia del partito.
Capitolo I – La vita e le opere
9
Il 16 marzo 1933 Zangrandi, insieme a Vittorio Mussolini e altri
cinque ragazzi, fondò il “novismo”: movimento antifuturista che
scatenò immediatamente delle vivaci reazioni sul settimanale
«Futurismo». Cassola aderì al movimento novista, partecipò alle
riunioni che ebbe pure occasione di ospitare nella sua cantina. Durante
quelle assemblee si discuteva di problemi filosofici e ideologici di
ogni sorta e non potevano mancare dibattiti sul fascismo e sul rapporto
con il regime. Dal verbale del 17 ottobre 1933 si capiva come Cassola
fosse contrario alla volontà di alcuni novisti, i quali insistettero al fine
di rendere obbligatoria l’iscrizione al fascio per gli aderenti al gruppo.
Due mesi dopo il novismo finì. In quello stesso 1933 il gruppo di
ragazzi iniziò ad avvicinarsi al mondo operaio. “Avevamo sedici o
diciassette anni quando una inconscia smania di conoscere da vicino ‘i
fratelli oppressi’, di legarci con loro per una ‘rivolta sociale’ che non
aveva ancora, per noi, definizione politica ci spingeva ad andarli a
cercare”
2
, così scrisse Zangrandi. Anche questa esperienza durò poco,
era troppo difficile ottenere quello che andavano cercando.
Nell’ottobre del 1935 scoppiò il conflitto etiopico. Cassola non era
affatto entusiasmato dall’entrata in guerra dell’Italia; mentre
Mussolini dal fatidico balcone annunciava l’inizio delle operazioni, lui
preferiva studiare il comportamento della folla invece che seguire il
discorso del dittatore. Nel frattempo la polizia iniziò a mettersi sulle
tracce di quei giovani le cui attività assumevano delle connotazioni
sempre più chiaramente antifasciste. All’interno del gruppo si
formarono delle spaccature dovute proprio alla questione dei rapporti
2
Ruggero Zangrandi, Lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1962.
Capitolo I – La vita e le opere
10
con il fascismo.
Nel 1936 Cassola si allontanò dal gruppo insieme al suo più intimo
amico Manlio Cancogni, il compagno dei giochi infantili di Villa
Borghese e Parco dei Daini. Fu lo stesso Cancogni a parlare di
quest’amicizia nel suo primo romanzo La linea del Tomori.
3
Proprio a fianco di Cancogni Cassola maturò la sua vera vocazione,
quella di scrittore. È lo stesso Cassola che ci fornisce preziosi elementi
della sua inclinazione artistica all’interno dei sui Fogli di diario, in cui
scriveva nel ’71: “La formazione del mondo di uno scrittore è
precoce” e poi “Le sole età formative sono l’infanzia e l’adolescenza.
Dopo l’esperienza ha un senso?”. La formazione di cui parla Cassola
non è quella data dalla scuola, ancora una volta condannata senza
appello:
Per acquistare un’autocoscienza, e quindi un coscienza poetica, il
bambino dovrà diventare grande. Solo allora si renderà conto che ciò che
gli è stato insegnato a casa o a scuola è tutto da buttar via. Che i nobili
sentimenti, gli austeri principi morali eccetera, sono invenzioni delle
canaglie. Che la sola parte viva della letteratura è la poesia. E che la
poesia è possibile solo se si esprime quello che si prova.
Intanto stava nascendo in lui un modo di vedere la realtà e un modo di
mettersi in rapporto con essa che già potrebbe definirsi letterario.
Cassola ci fornì la chiave di lettura di quella primissima maturazione
verso l’arte con il ricordo di un episodio:
3
Manlio Cancogni, La linea del Tomori, Milano, Mondadori, 1965.
Capitolo I – La vita e le opere
11
Una volta mio fratello disse qualche cosa a proposito di un tale che
andava tutti giorni in motocicletta a Settecamini. Venni a sapere che
Settecamini era vicino a Roma. Ora Roma mi pareva una città morta,
appunto perché ci stavo. Malgrado ciò, quella borgata divenne per me un
posto meraviglioso. Ci fantasticai per mesi. Settecamini! Non era un puro
nome, si associava ad esso l’immagine di quel tale che ci andava in
motocicletta. Ma supponiamo che mio fratello mi avesse detto: andiamo a
Settecamini. Che magari mi avesse proposto di condurmici in
motocicletta. Credo che avrei rifiutato. Perché? Perché sapevo in partenza
che sarebbe stata una delusione. La Settecamini vista con i miei occhi non
avrebbe mai posseduto l’incanto della Settecamini evocata dalle parole di
mio fratello.
4
Questo brano sottolinea come inizialmente per Cassola fosse più
importante l’immagine che ci si crea della realtà che non la realtà
stessa. L’immagine coincide con la parola che la evoca con tutto
l’incanto che l’esperienza di fatto non può mai avere. Partire dal dato
reale per giungere all’immaginazione: ecco il nucleo della poetica
cassoliana nel suo stadio iniziale.
Dunque per Cassola quello che apprendeva indirettamente, magari con
l’evocazione di un nome, aveva senso e peso conoscitivo maggiore
rispetto alle cose che vedeva, con le quali veniva a contatto. Fin
dall’infanzia, da quando imparò a leggere, i volumi illustrati di Figuier
sui Mammiferi e sugli Uccelli, i romanzi d’avventura di Salgari e
Verne gli aprirono spazi geografici e incontri meravigliosi. In seguito
furono le poesie del Carducci a regalargli fantastiche immagini della
4
Carlo Cassola, Fogli di diario, Milano, Rizzoli, 1974.
Capitolo I – La vita e le opere
12
Toscana (la Maremma, il Chiarone, la torre di Donoratico, i cipressi di
Bolgheri). Non mancò Pinocchio ad arricchire quel panorama che
Cassola amò per tutta la sua vita: Volterra, Cecina, Pomarance,
Pontassieve, Grosseto, le campagne toscane piene di sole, le borgate e
le strade nell’ora del tramonto. Sono le stesse parole di Cassola a
testimoniare il fervente amore per la Toscana:
Perché una terra che ho amato quasi per tutta la vita, Volterra, Cecina, la
Toscana, l’ho popolata bensì di presenze straordinarie, l’ho riempita di un
movimento ineguagliabile: ma non ci ho mai scorto niente di
soprannaturale o di surreale. Era proprio la natura, la realtà, ad apparirmi,
illusoriamente meravigliosa.
5
Manlio Cancogni, una delle presenze costanti nella vita di Cassola,
narrò la profonda amicizia che li legava nel suo romanzo Azorin e
Mirò, due personaggi simboleggianti rispettivamente Cancogni e
Cassola. Così vengono affettuosamente ricordate le passeggiate al
crepuscolo dei due amici:
Le vie del quartiere erano animate, le vetrine e le botteghe avevano accese
le luci. La gente attraversava la strada, entrava e usciva dai portoni. Tutti
e due amavamo quell’ora in cui la vita, fatta di operazioni consuete,
modeste, riprende, dopo la pausa pomeridiana, all’ombra di cose
familiari.
6
5
Carlo Cassola, Fogli di diario, op. cit., pp. 94-95.
6
Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, Milano, Rizzoli, 1968.
Capitolo I – La vita e le opere
13
I due amici sceglievano le vie meno popolose, le più strette e le più
buie, le vie umide e nebbiose dove abitava la povertà che toccava il
cuore. Cancogni preferiva le viuzze del centro, Cassola preferiva la
periferia, quella periferia che entrò a far parte della sua prima
produzione narrativa. Quando Azorin-Cancogni e Mirò-Cassola
parlavano della vita pensavano non fosse fatta “di grandi passioni, di
gesti clamorosi, di sentimenti ormai ben classificati”. Mentre l’arte e
la letteratura fascista esaltavano l’anti-individualismo e il
nazionalismo nella continuità della tradizione Impero-Comuni-
Risorgimento-Fascismo, celebrando valori etici e razziali da verificare
nei contenuti di patria, famiglia, religione, virtù guerresche, ecc.,
Cancogni e Cassola sono convinti che i gravi problemi, l’ideologia e
la politica, i clamorosi drammi sentimentali abbiano poca importanza.
Cosa resta allora? Resta la vita, la sostanza quotidiana della vita, ciò
che è vero, immutabile, essenziale della condizione umana.
7
I due amici decisero di dare a questo modo di sentire le cose il nome
di “subliminare”, definizione coniata da Cancogni. Chiarirono subito
come il subliminare appartenesse più al sentire che al comprendere.
Cancogni scrisse che “il subliminare era come la grazia; quando
arrivava, tutto ciò che cadeva sotto i loro occhi e i loro sensi (ne
possedevano uno ancora più profondo di quelli conosciuti) rinasceva;
come se i sensi parlassero loro per la prima volta, avendoli fino a quel
momento solo informati, per così dire dell’esistenza delle cose. Gli
uomini, diceva Azorin, generalmente vedono sempre le cose nel
presente… Il subliminare dava loro la sensazione, per un attimo, del
7
Renato Bertacchini, Carlo Cassola, Firenze, Le Monnier, 1977, p. 5.
Capitolo I – La vita e le opere
14
tempo che scorre, per cui un istante e ogni cosa non si ripete più ed è
in una certa maniera eterna proprio per la sua provvisorietà”.
8
Lo stesso Cassola, giunto nel pieno della maturità artistica, dichiarò
che quel nome fu pienamente azzeccato:
Subliminare significa infatti sotto la soglia, cioè sotto la soglia della
coscienza pratica. Così appunto stanno le cose: l’emozione pratica non
appartiene alla sfera della coscienza pratica, ma alla coscienza che sta
sotto, alla coscienza subliminare. Il sublimine è l’oggetto spogliato di
ogni suo attributo ideologico, etico, psicologico, ecc. Coincide cioè con
l’esistenza e col suo attributo reale che essa comporti, la coesistenza dei
sessi. L’esistenza-coscienza dei sessi doveva diventare il solo oggetto
della rappresentazione letteraria.
9
Cancogni nelle sue pagine non si limitò a descrivere l’espressione
delle sue emozioni ma ne elencò anche i contenuti privilegiati dando
un’anticipazione di alcuni futuri racconti di Cassola:
Il sublimine era lungo le strade ferrate, i passaggi a livello, sui visi della
gente in bicicletta che aspetta con un piede a terra, che vengano sollevate
le sbarre. Era negli anditi scuri, pieni di ombra, dove sta sospeso il fiato di
vite sconosciute; nei bordelli dove le ragazze vendono senza rancore il
loro corpo, il fumo delle sigarette si attorciglia azzurrino sotto il
lampadario nei salottini profumati; nelle fotografie di altri tempi dove i
visi hanno assunto un’espressione immobile, non si sa se provvisoria o
eterna; nei titoli dei vecchi giornali annuncianti grandi catastrofi,
8
Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, op. cit., p. 24.
9
Tratto da un articolo di Carlo Cassola, Mi si può definire uno scrittore realista?, apparso
sull’«Avanti!» del 7 aprile 1963. Sempre in questo articolo, Cassola annuncia la scoperta
illuminante di Joyce.
Capitolo I – La vita e le opere
15
terremoti, guerre, rivoluzioni; nelle date, nei baffi, nel colletto, nei polsini
di uomini dal fare equivoco, bari, frequentatori di biliardi e di salecorse,
in un pezzo di discorso preso a volo fra due persone sconosciute; negli
elmetti piatti dei soldati che aspettano sotto i sacchetti e i reticolati di una
trincea; sulle banchine di un ponte dominate dai fianchi poderosi delle
navi che si apprestano a salpare…
10
Nell’indicare questi come possibili contenuti futuri della narrativa
cassoliana si potrebbe intravedere un’affinità con il naturalismo, ma
l’opposizione di Cassola a questa corrente fu piuttosto netta e si
consolidò nel tempo. L’attività poetica di Cassola ebbe inizio con la
presa di coscienza dei pericoli del naturalismo il quale, come egli
stesso dichiarò, “lega le mani allo scrittore perché gli impone una
realtà definita, classificata, analizzata, valutata dal pensiero: e cioè
dall’ideologia, dalla psicologia, dalla scienza”. In tal modo lo scrittore
“non è più libero di dare un diverso ordine ai fatti, di valutarli
altrimenti da come li ha valutati la cultura del suo tempo”.
11
Ciò che
invece affascinava Cassola era la vita nel suo naturale svolgimento,
nella sua imprevedibile naturalezza, nei suoi gesti più semplici, quelli
più ricchi di autenticità.
Cassola si ritrovava così in una posizione vistosamente divergente
rispetto alla linea primaria lungo la quale si stava muovendo la
narrativa italiana degli anni trenta. Dagli Indifferenti di Moravia a
Gente in Aspromonte di Alvaro, da Tre operai di Bernari ai primi
romanzi di Jovine fino a certi esiti della rivista fiorentina «Solaria»
10
Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, op. cit., p. 33.
11
Carlo Cassola, M isi può definire un scrittore realista?, «Avanti!», 7 aprile 1963.