uno specifico potere: il potere di chiedere alle Camere, con messaggio
motivato, una nuova deliberazione della legge, al cui eventuale esercizio
consegue però l’obbligo di promulgazione, se le Camere approvano
nuovamente la legge medesima. Anche se parte della dottrina si è opposta (e si
oppone ancora oggi) alla possibilità di fornire un singolo soggetto del potere di
arrestare la volontà delle assemblee elettive, il potere di rinvio è stato da subito
riconosciuto come prerogativa propria del Presidente della Repubblica.
L’articolo 74 nel disciplinare l’istituto prevede che il messaggio presidenziale
sia motivato; occorre cioè che esso esprima i motivi che lo giustificano e ciò
per evitare un uso arbitrario dello strumento indicato. Vero è che dall’entrata in
vigore della Costituzione repubblicana la norma ha avuto nell’insieme
applicazioni modeste e di scarso rilievo nell’esperienza costituzionale. Se si
eccettua la presidenza Cossiga (1985-1992), caratterizzata da ben ventidue
rinvii, i vari Presidenti che si sono alternati alla guida del Paese hanno fatto un
uso piuttosto scarso del potere di chiedere alle Camere il riesame di una legge,
procedendo complessivamente ad effettuare soli cinquantanove rinvii. Basti
pensare che il Presidente Saragat (1964-1971) non si avvalse mai di detto
potere, mentre Leone (1971- 1978) solo in una occasione rinviò un testo di
legge alle Camere (nello specifico rinviò la legge contenete «norme sulla
composizione e sull’elezione del CSM»). In generale, inoltre, la maggioranza
dei rinvii furono motivati dalla mancanza di un’adeguata copertura finanziaria
mostrando così come per alcuni l’unico possibile oggetto del rinvio potesse
essere la verifica del rispetto di alcune norme costituzionali, soprattutto sotto il
profilo formale. Basti pensare che addirittura trentanove rinvii riguardavano la
copertura finanziaria della legge. Solo con la Presidenza Ciampi (1999-2006)
si assiste ad una inversione di tendenza. Prova ne sia che delle otto leggi
rinviate dal decimo Presidente, solo per due provvedimenti si lamentava la
mancata copertura finanziaria.
È comunque da sottolineare come la scarsità dei casi di rinvio dimostra la
difficoltà di individuare un ambito certo di applicazione dell’istituto del rinvio
e, ancora prima, un disegno chiaro della figura presidenziale. Si può
5
certamente osservare come proprio l’istituto del rinvio assuma una tale
importanza da mettere in gioco la posizione del Capo dello Stato rispetto al
Governo e al Parlamento. Sennonché, è proprio detta ambiguità e
indeterminatezza dell’istituto che impongono un’analisi più dettagliata che
consenta di restituire al potere un’esatta o, quanto meno più precisa
configurazione dell’istituto. Appare quindi opportuno procedere ad un esame
dettagliato dell’iter storico che ha portato alla formulazione finale dell’articolo
74 e ciò per comprendere le ragioni che hanno spinto l’Assemblea Costituente
ad usare quella terminologia e quella collocazione dell’istituto. Detta
ricostruzione sarà poi la base per affrontare il problema della natura giuridica
del potere presidenziale di rinvio, cercando di identificare i caratteri più stabili
e fermi che l’istituto è riuscito ad assumere. Sarà poi necessario operare una
ricostruzione dell’istituto alla luce degli atti costituzionali che sono arrestabili
attraverso l’esercizio del potere di richiesta di riesame, soffermando
l’attenzione su quelle ipotesi particolarmente discusse in dottrina, come nel
caso di rinvio esercitato in periodo di scioglimento delle Camere. In
conclusione soffermeremo la nostra attenzione su alcuni rinvii collegabili
all’appena conclusa presidenza Ciampi. Ipotesi, queste, rilevanti non solo
perché sottolineano la volontà del Presidente di utilizzare un potere
espressamente riconosciutogli dalla Costituzione, anche se ampiamente
contestato, ma altresì e, soprattutto, per i rilievi mossi che permettono di
recuperare non solo l’istituto del rinvio ma anche, e principalmente, la figura
costituzionale di un Presidente dotato di effettivi poteri. Poteri che devono
essere evidenti, oltre che nei momenti di crisi, anche nello svolgimento
dell’attività statuale, attraverso l’esercizio di talune facoltà di controllo e
indirizzo. Il compito essenziale del Presidente della Repubblica è di assicurare
la difesa dei fondamentali interessi dello Stato che risultano dalla Costituzione
e di favorire l’adeguamento dell’azione degli organi costituzionali politici alle
istanze unitarie della società nazionale.
6
CAPITOLO I
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELL’ORDINAMENTO
COSTITUZIONALE
1. La figura del Presidente della Repubblica nei lavori della
Costituente
Nel secondo dopoguerra i paesi più duramente colpiti si trovarono a rivedere i
propri ordinamenti costituzionali. In Italia il cammino iniziò il 2 giugno 1946
quando gli elettori
1
furono chiamati ad esprimersi sia sulla scelta monarchia-
repubblica
2
, sia sull’elezione dell’Assemblea Costituente, la cui creazione era
prevista dal decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, n 151
3
. Ad essa il decreto
luogotenenziale 31 luglio 1945, n. 435 affidò il compito di redigere e
approvare la nuova Costituzione. Con la liquidazione della monarchia e la
creazione della nuova Assemblea si imprimeva una svolta essenziale nel
processo di ricostruzione. La Costituente, formata da 556 membri, si aprì il 22
giugno 1946 in un’atmosfera di cooperazione tra i grandi partiti di massa: da
una parte i democristiani, dall’altra i socialisti e i comunisti. La presidenza
della stessa fu affidata a Giuseppe Saragat
4
mentre il liberale Enrico De Nicola
fu eletto Capo provvisorio dello Stato
5
. Preso atto che un’assemblea così
numerosa non poteva elaborare un testo costituzionale, si decise, sin dal 15
luglio, di istituire una commissione ristretta di 75 deputati, con il compito di
1
Per la prima volta si parlò di suffragio universale per l’estensione del diritto di voto anche alle
donne.
2
Il decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946, n. 98 non ritenne di affidare ad una istituenda
Assemblea Costituente la scelta sulla «questione istituzionale», ma optò per un coinvolgimento
diretto del popolo attraverso un referendum popolare.
3
Emanato da Vittorio Emanuele III con il quale si ritirò a vita privata, il decreto istituì una
luogotenenza a favore del principe Umberto e affidò ad un’Assemblea Costituente, da eleggersi
appena possibile, il compito di scegliere fra monarchia e repubblica.
4
Saragat, dimissionario il 6 febbraio 1947, fu sostituito da Terracini, nominato Presidente l’8
febbraio 1947.
5
La scelta fu emblematica: l’avvento di un grande liberale al vertice dello Stato in un momento
politico nel quale non si sapeva chi avrebbe stabilmente governato la neonata democrazia, fu la
risposta alle istanze e modelli fascista che avevano preceduto l’avvento della Costituzione stessa.
7
elaborare e predisporre un progetto di Costituzione. Essa fu, inoltre, affiancata
da un comitato di redazione, composto da 18 membri ma aperto alla
partecipazione informale di altri componenti della Commissione.
Gli argomenti affrontati ed esaminati furono i più disparati: si va dal concetto
stesso di Costituzione
6
, alla sua forma; e dalla necessità di introdurre diritti e
doveri dei cittadini, fino alla forma di Stato.
La Costituente affidò il progetto di Costituzione ad una commissione interna
all’Assemblea stessa, la c.d. commissione dei 75 presieduta dall’onorevole
Ruini
7
.
La Costituzione italiana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Essa fu una
costituzione popolare, deliberata da un’assemblea rappresentativa eletta dal
popolo con metodo democratico. Nonostante il carattere di compromesso
politico di non poche disposizioni, la nuova Costituzione presentava elementi
per uno sviluppo positivo in misura anche maggiore rispetto alle altre
costituzioni di paesi a più lunga esperienza democratica.
Passando ad esaminare i lavori della Commissione dei 75, notiamo che il
ricordo della recente involuzione del sistema istituzionale a favore di un
esecutivo dittatoriale vi esercitò un notevole influsso e, conseguentemente, da
molti si sostenne la necessità di attribuire più limitati poteri al Capo dello Stato
per evitare di cadere negli errori della Costituzione tedesca
8
che, col
rafforzamento dell’esecutivo, aveva preparato la strada all’avvento di Hitler.
Dalle discussioni e dai voti dell’Assemblea risultò consolidata l’opinione
prevalente secondo la quale la figura del Presidente della Repubblica avrebbe
dovuto collocarsi al di fuori dei tre tradizionali poteri dello Stato, non facendo
parte del legislativo, non disponendo del giudiziario (salvo la presidenza del
Consiglio Superiore della Magistratura) e non essendo né «il detentore» né «il
6
«la base dell’ordinamento giuridico dello Stato; l’intera struttura, onde si organizza e si esplica il
potere sovrano dello Stato, indipendentemente tanto dalle modalità che la Costituzione può
assumere, quanto dal riconoscimento di questo o quel governo»M. RUINI, La nostra e le cento
costituzioni del mondo. Come si è formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 7.
7
La stessa risultava a sua volta suddivisa in tre sottocommissioni: la prima competente per i diritti
e doveri civili e politici del cittadino era presieduta dall’on. Tupini, la seconda competente per
l’organizzazione costituzionale dello Stato, era presieduta dall’on. Terracini, la terza competente
per i rapporti economici e sociali era presieduta dall’on. Ghidini.
8
Nota anche come Costituzione di Weimar, entrò in vigore l’11 agosto del 1919.
8
capo» del potere esecutivo alla maniera dello Statuto Albertino come ebbe a
precisare l’onorevole Ruini a nome della Commissione dei 75
9
. Ciò che più
conta, fu l’affermarsi della tesi secondo la quale il Presidente debba rimanere
estraneo alla funzione di indirizzo politico tanto che Preti ripropose l’idea che
convenisse sopprimere la denominazione di «capo dello Stato»
10
riconoscendo
con ciò la preminenza del Parlamento ovvero del raccordo di maggioranza
Parlamento-Governo
11
.
Chi voglia stabilire, in positivo, quale i costituenti intendevano che fosse il
compito essenziale del Presidente della Repubblica, si trova dinanzi una serie
estremamente ripetuta di espressioni retoriche o comunque sfumate.
Nell’ambito dell’Assemblea Costituente, il punto fu sottolineato con
particolare insistenza da parte di Tosato sia quando egli riconobbe al Capo
dello Stato la «funzione fondamentale di tutore e di guardiano della
Costituzione»
12
sia quando lo affiancò alla Corte costituzionale quanto al
compito «di salvaguardare e tutelare l’osservanza della Costituzione nello
svolgimento dell’attività degli organi costituzionali»
13
, con particolare riguardo
al rinvio delle leggi.
In breve sotto molteplici aspetti relativi al ruolo del Presidente nella nuova
Repubblica, la disciplina costituzionale rimase allo stadio quasi di un abbozzo.
Al riguardo, però fu lo stesso Orlando che ne offrì la giustificazione quando
osservò: «Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione,
con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atto di una volontà…»
14
.
Con queste premesse, è lecito affermare che la Presidenza della Repubblica si
mostra la più difficile e la più sfuggente fra le cariche pubbliche previste dal
nostro ordinamento costituzionale. Infatti, quei dati normativi che dovrebbero
fissarne la fisionomia, se non altro nei tratti essenziali, non sempre sono
9
Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, in www.camera.it.
10
L’attuale intitolazione degli artt. 83-91 Cost., che fa riferimento al Presidente della Repubblica
anziché al Capo dello Stato, si deve infatti ad un emendamento dell’ultima ora, presentato dall’on.
Preti e subito accolto dall’on. Perassi, a nome della commissione dei 75 Atti, cit., 23 ottobre 1947.
11
Atti, cit., 22 ottobre 1947.
12
Atti, cit., 23 ottobre 1947.
13
Atti, cit., 22 ottobre 1947.
14
Atti, cit., 23 ottobre 1947.
9
adeguati allo scopo. Incerte e polivalenti risultano molte fra le indicazioni
testuali che si traggono dalle norme dedicate dalla Costituzione alla figura del
Presidente. A tal proposito basta ricordare che la Costituzione dedica al
Presidente della Repubblica un ristrettissimo numero di articoli e non esistono
altre leggi, costituzionali o ordinarie, che si occupano di tale organo. Tuttavia,
per quanto sfumata si presenti la configurazione costituzionale del Capo dello
Stato, un punto fermo di fondamentale importanza consiste pur sempre in ciò
che tale ufficio si colloca entro un determinato sistema giuridico-politico di cui
bisogna tenere in debito conto nell’affrontare e nel risolvere i problemi
interessanti il ruolo complessivo come pure le singole funzioni dello stesso
Presidente.
La Costituente ha infatti deciso in modo univoco che si sarebbe trattato di un
Capo dello Stato operante in un regime partitico-parlamente, con tutti i
condizionamenti che necessariamente ne discesero; ed è precisamente di
questo regime che il Presidente fu fatto custode e garante. Del resto, il
Presidente Einaudi, fin dal messaggio di insediamento del 12 maggio 1948,
precisò che la legge fondamentale della Repubblica lo aveva fatto «tutore della
sua osservanza»
15
.
Si può quindi affermare che «la figura del Presidente della Repubblica Italiana
sia determinata in modo sufficientemente elastico da permetterle un efficace
adattamento all’evoluzione storica propria della dialettica intercorrente tra le
forze politiche, nonché di quella fra queste e la collettività nazionale nel suo
complesso. Nello stesso tempo, però, la posizione del Presidente è altrettanto
sufficientemente definita in modo tale da non poter permettere una ricaduta
della stessa verso modelli storicamente superati ovvero una fuga verso modelli
inadatti allo stadio attuale della evoluzione politica della società italiana»
16
.
15
Cfr www. quirinale.it/ex_presidenti/Einaudi/dichiarazioni.
16
A. BALDASSARRE e C. MEZZANOTTE, Presidente della Repubblica e maggioranza di
governo, in AA.VV. La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema
costituzionale italiano, Atti di un Convegno, a cura di G. Silvestri, Messina, 1985, p. 84 ss.
10
2. Segue. Il potere neutro di garanzia
La figura presidenziale era stata congegnata come fonte di armonizzazione e di
stabilità del sistema di governo parlamentare al fine di assicurare l’equilibrio
costituzionale tra i diversi poteri costituzionali nei primi fragili anni della
Repubblica.
La stessa procedura elettiva, adottata dai padri costituenti, voleva allontanare il
Presidente dalle tentazioni di un ruolo attivo nel gioco politico, nonché
dall’eccessiva personalizzazione del potere. In realtà, l’eterogenea natura e la
grande complessità delle funzioni presidenziali non ha mancato di
differenziare le une dalle altre presidenze del periodo repubblicano: nel senso
che ogni Presidente si è ritagliato il suo ruolo – entro le generiche previsioni
costituzionali – secondo le caratteristiche umane e politiche della propria
personalità, oltre che in vista delle concrete occasioni che la situazione del
momento gli veniva offrendo.
L’aula, esaminando le diverse proposte elettive per la Presidenza della
Repubblica, approvò il modello del Parlamento riunito in seduta comune,
integrato da 58 rappresentanti delle Regioni, scartando l’elezione diretta
popolare
17
. Inoltre, apparve eccessivo il potere che avrebbe potuto ottenere un
Presidente eletto tramite questo sistema, con il rischio di una potenziale svolta
autoritaria come era avvenuto nella Repubblica di Weimar dal 1925 in poi.
L’ampliamento del numero dei grandi elettori presidenziali rispondeva, invece,
all’esigenza di non relegare il Presidente in una netta posizione di subalternità
verso il Parlamento. Gli oppositori di tale sistema lessero questa soluzione
come una grave alterazione dell’equilibrio delle forze parlamentari, essendo
nominati dai Consigli regionali 58 persone sostanzialmente estranei al
Parlamento, mentre i favorevoli accolsero entusiasticamente questa proposta
17
Rispetto all’elezione parlamentare, quella popolare sarebbe stata fatalmente dominata dai partiti
e dalle relative lotte per la prevalenza. Il problema fu svolto specialmente da Nobili e da Fuschini
che dichiarò: «La nomina da parte del popolo del Presidente della Repubblica non ci preoccupa,
ma ci preoccupano gli inconvenienti che possono derivare da una campagna elettorale relativa ad
una carica di così alto rilievo. Anche quel candidato che riuscirà vittorioso non sarà stato
risparmiato dagli attacchi della passione politica e il suo prestigio personale riuscirà in qualche
modo ferito» Atti, cit., 21 ottobre 1947.
11
poiché allargava l’elezione della massima carica istituzionale alle parti sociali
e soprattutto potevano scorgere una base elettorale più ampia della
maggioranza governativa, anche se ritenevano il numero proposto
assolutamente insufficiente per influire effettivamente sull’elezione
presidenziale.
Il sistema previsto dall’art. 83 Cost.
18
dovrebbe garantire l’elezione di un
uomo, indipendentemente dalla scelta di un programma o di una formula
politica. Ciò non toglie, ovviamente, che si tratti di una vicenda fortemente
politicizzata, come è dimostrato dalla grande importanza che le forze
rappresentate in Parlamento attribuiscono all’occupazione del Quirinale, ma le
modalità previste dall’ultimo comma dell’art. 83 Cost. contribuiscono in un
duplice senso al conseguimento dello scopo che la Costituzione si prefigge.
Una prima garanzia di non dipendenza del Presidente della Repubblica, nei
confronti dei vari settori politici determinati, sta nella prescrizione dello
«scrutinio segreto», con la conseguenza che all’atto della scelta ciascun
parlamentare non subisce nessun vincolo esterno alla propria coscienza.
Dall’altra parte, è sempre dal diritto-dovere di segretezza che discende
l’impossibilità di avanzare candidature ufficiali, nonché di valutare i meriti di
quanti assumono in fatto la veste di candidati, discutendone entro lo stesso
Parlamento in seduta comune
19
. La circostanza che, in tutte le elezioni
presidenziali svoltesi dal 1948 in poi, le candidature siano rimaste ufficiose e
spesso non abbiano nemmeno ricevuto la preventiva adesione degli interessati,
non è pertanto dovuta a una lacuna dei regolamenti parlamentari o delle
convenzioni costituzionali. A ciò si aggiunge l’ulteriore garanzia delle
maggioranze qualificate, che devono essere raggiunte per eleggere il capo
dello Stato. Infatti, la frammentazione delle forze politiche che ha
contraddistinto i Parlamenti dell’Italia repubblicana, ha fatto sì che la stessa
18
«Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.
All’elezione partecipano tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio comunale in modo che
sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione
del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi
dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». Art. 83 Cost.
19
L. PALADIN, Il Presidente della Repubblica, in Enc. Dir., XXXV,1986, p. 174 ss.
12
maggioranza assoluta sia valsa ad escludere l’elezione di un candidato voluto
ed imposto da un singolo gruppo parlamentare.
Tuttavia se la scelta del sistema elettorale riconduceva la figura presidenziale a
«potere neutro» entro il modello classico parlamentare, riassumibile nelle
funzioni di controllo e di garanzia, di rappresentanza dell’unità nazionale e di
arbitro imparziale di fronte al continuo divenire politico delle estemporanee
maggioranze politiche
20
, lo stesso concetto di potere neutro rischia di rimanere
una formula priva di significato se non si chiariscono i contenuti e la natura
dell’autonomo potere presidenziale.
Innanzi tutto va precisato se l’accento deve cadere su quello che è il concetto
di «potere» che il Presidente verrebbe comunque chiamato ad esplicare o sulla
necessaria «neutralità» della sua posizione.
Il primo tentativo di definizione di «potere» neutro si ebbe ad opera del Barile
il quale attribuiva al Presidente della Repubblica il compito di svolgere un
«indirizzo politico generale (o costituzionale)»
21
. In questo caso il termine
neutralità consisterebbe nel rifarsi ai fini che la Costituzione prescrive alla
Repubblica, diversamente dal puntuale indirizzo politico governativo che il
Capo dello Stato non potrebbe codeterminare se non per conformarlo alla
Costituzione stessa. Ma il tentativo non ha raccolto un sufficiente seguito.
Nella seconda direzione, d’altra parte, un diffuso sforzo è stato rivolto ad
affermare l’«imparzialità» del Presidente della Repubblica, cui
corrisponderebbe la neutralità del suo potere: ma, anche in tal senso gli esiti
non sono stati soddisfacenti. Per meglio dire, non vi è dubbio che il Presidente
debba essere imparziale in quanto indipendente dalle parti politiche in lotta
senza identificarsi con alcuna fra di esse e senza mantenere in particolar modo
alcun legame con il partito di originaria appartenenza.
Il potere neutro è stato, infine, concepito come intermediario e risolutore di
conflitti sia sul piano istituzionale che su quello strettamente politico. Ma nella
realtà dello stato contemporaneo i conflitti istituzionali sono stati sempre
20
L. MARESCA, La procedura di risoluzione delle crisi di Governo: dalle regole formali alla
prassi presidenziale, in www. Tramontana.it/La rivista, n. 6 1999/2000.
21
P. BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. Trim. dir. Pubbl.1958, p. 307 ss.
13
conflitti politici o di rilevanza politica per cui il «potere neutro» in tanto può
trovare una giustificazione in quanto si colloca come un potere coinvolto meno
degli altri nello scontro politico e quindi più idoneo a fornire soluzioni
«obiettive» dei conflitti
22
. In particolare il nostro ordinamento costituzionale
riserva al Presidente della Repubblica la soluzione dei conflitti eminentemente
politici, assegnando allo stesso strumenti non puramente formali.
La nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri e lo scioglimento delle
Camere si qualificano in concreto come strumento di superamento di conflitti
politici e strumento di risoluzione delle crisi nei rapporti tra Parlamento e
Governo, nel senso che pone le premesse di un rinnovato rapporto fiduciario e
nello stesso tempo realizza una mediazione tra le forze politiche che erano
venute in disaccordo. Il potere neutro è quindi considerato tale in quanto
separato dalle parti in contrasto. Infatti, la funzione riconducibile alla figura
del Presidente della Repubblica non è sicuramente quella legislativa, a ciò
ostando in modo insuperabile il principio, sancito espressamente dall’art. 70
Cost., secondo il quale la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere
restandone conseguentemente escluso il Capo dello Stato, né può farsi
consistere la funzione propria del Presidente della Repubblica nella funzione
governativa-esecutiva ormai attribuita sia per la sua titolarità che per il suo
esercizio, ad un solo organo, o meglio «complesso organico»
23
, data la sua
formazione composita, e cioè al Governo. Tuttavia, se il potere del Presidente
consiste nello svolgimento di un ruolo attivo che non è indifferenza o assenza
di opinioni rispetto alla contesa il problema è di stabilire come questo potere
possa essere «neutro».
Alla struttura di un Presidente della Repubblica così come veniva disegnata
dall’Assemblea costituente, quale organo neutrale, garante imparziale del
funzionamento del sistema deve ricollegarsi la posizione di un Presidente che
titolare di un potere specifico, cioè che non partecipa (anche se attentamente lo
22
G. SILVESTRI, Il Presidente della Repubblica: dalla neutralità – garanzia al governo della
crisi, in AA. VV. La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica, cit., p 458 ss.
23
RUGGERI, Il consiglio dei ministri, L. VENTURA, Il governo a multipolarità diseguale,
Milano, 1988.
14
osserva) al gioco politico e che, essendo collocato al di fuori delle parti, non
svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nell’attuazione
dell’indirizzo politico
24
. Potere neutro, però, non vuol significare potere
passivo; ed infatti le attribuzioni costituzionali proprie dell’organo gli
conferiscono una notevole «forza politica» che il Presidente può esercitare nei
confronti e delle Camere e del Governo.
A questo punto, il constatare che, nel riassetto della forma di governo, il
Costituente avesse ritenuto di mantenere una struttura come il Capo dello
Stato, rinnovato nella figura di un Presidente della Repubblica, e l’avesse
voluto quale rappresentante dell’unità nazionale, porta all’ovvia conclusione
che tutto ciò esclude la possibilità di ridurre la figura del Presidente ad una
presenza simbolica formalmente rappresentativa. Il Presidente della
Repubblica di una Costituzione fortemente improntata al principio della
razionalizzazione del potere non poteva tradursi in un’entità svuotata di ogni
effettiva funzione giuridica. È quindi un dato acquisito in dottrina essere il
Presidente della Repubblica un potere autonomo dello Stato, con una precisa
funzione di garanzia. La forma di governo parlamentare – almeno nel modo in
cui è configurata nella nostra Costituzione – attribuisce al Presidente della
Repubblica «poteri propri» (ivi compreso il potere di esternazione)
riconducibili alla sua posizione di «garante politico» della Costituzione.
3. Il Presidente della Repubblica garante della Costituzione e simbolo
dell’unità nazionale
La ricostruzione della figura e del ruolo del Presidente della Repubblica come
struttura di garanzia costituzionale è pressoché coeva, nella sua prima
formulazione, all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Affermare
che nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica è «guardiano o
tutore della Costituzione» equivale a delineare la funzione giuridica
dell’organo in esame alla luce delle prime affermazioni emerse in sede di
24
T. MARTINES, il potere di esternazione, in La figura e il ruolo del Presidente, cit., p. 137.
15