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imparare a usare, creare e diffondere meglio la conoscenza nel sistema economico. La
risposta dei distretti alla globalizzazione si gioca in ultima sull' economia e la gestione
della conoscenza, e l'internazionalizzazione rappresenta un esito necessario ma anche
fonte di nuovi stimoli ed opportunità.
Secondo la nostra visione infatti, l' internazionalizzazione costituisce anzitutto un
fenomeno cognitivo: si va all' estero per replicare in altri mercati le conoscenze di cui si
è già dotati (knowledge exploiting), ma anche per accedere ed acquisirne di nuove così
da arricchire il proprio patrimonio cognitivo (knowledge seeking). In altre parole, una
competizione sempre più knowledge based come quella nell' attuale scenario globale
necessita, da un lato di conseguire le necessarie economie di scala di conoscenza
ripartendo su base globale i crescenti investimenti immateriali sostenuti e così
alimentarne di nuovi; e dall' altro necessita l' apprendimento di una base maggiore di
conoscenze utili alla produzione, ovunque esse siano disperse globalmente.
Si impone dunque una maggior apertura internazionale delle imprese distrettuali, che si
traduce in maggior apertura cognitiva verso i potenziali utilizzatori e produttori di
conoscenze dispersi su scala globale. Si impongono in altre parole modalità di
internazionalizzazione più consistenti ed efficaci alla competizione globale delle piccole
medie imprese distrettuali.
Fino ad ora, esse hanno infatti adottato forme di internazionalizzazione principalmente
mercantili (import/export): gli unici scambi verso l' estero sono stati costituiti da materie
prime a monte e prodotti finiti a valle, mentre il complesso delle risorse e conoscenze
utili al processo produttivo è provenuto quasi esclusivamente dal territorio locale. Oggi
però il presidio diretto dei mercati, la ricerca di maggiore efficienza e di nuovi e
continui stimoli all'innovazione su scala globale divengono obiettivi prioritari che un'
internazionalizzazione basata solamente sull' export non riesce ad assicurare. Si propone
perciò un salto o meglio un' evoluzione della strategia internazionale dell' impresa
distrettuale, che le permetta non solo di non rinunciare a competere ma soprattutto di
guardare alle nuove opportunità offerte dalla trasformazione economica in atto. La
tipica internazionalizzazione delle multinazionali, che domina anche da un punto di
vista teorico, non rappresenta tuttavia la via meglio percorribile dall' impresa del
distretto.
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Risulta invece più adatta ed attuale, incontrando crescenti verifiche empiriche, una
strategia di internazionalizzazione a rete transnazionale che si pone a livello intermedio
tra il modello mercantile (import/export) e quello gerarchico delle grandi multinazionali
(controllo proprietario tramite investimenti diretti all' estero). La modalità reticolari
permettono infatti una crescita internazionale molto meno vincolata dalle risorse interne
ed orientata invece sull' aspetto relazionale e dunque sulla costituzione, sul
mantenimento e sulla valorizzazione di relazioni collaborative con altri soggetti esterni.
Trovando in tal modo nuovi utilizzatori delle proprie conoscenze ma anche e soprattutto
nuovi contributi esterni dai quali attingere per quelle attività sulle quali non si è
specializzati.
Da questo punto di vista gli attori distrettuali, abituati a fare rete su scala locale,
ereditano già una certa capacità di operare in un simile paradigma: si tratta in questo
senso di estendere la scala delle relazioni locali a livello transnazionale passando cioè
da reti corte ad altre lunghe ma anche differenti e più complesse. Tale passaggio non è
sicuramente immediato e richiede competenze e risorse spesso non ritrovabili nelle
piccole e medie imprese del distretto. Nascono inoltre nuovi ostacoli nel fare rete,
dettati dall' assenza del territorio comune (valori, fiducia, cultura, etc.), elemento che ha
rappresentato le fondamenta per la nascita, lo sviluppo ed il successo del modello
distrettuale a livello internazionale.
Per inserirsi efficacemente nell' economia delle reti transnazionali è necessario
innanzitutto un efficace allineamento rispetto al processo di smaterializzazione che sta
caratterizzando i fenomeni economici: le imprese distrettuali non potranno più essere
tutte focalizzate come in passato sulle attività manifatturiere, ma dovranno invece
proporsi all' economia globale con attività maggiormente immateriali, più adeguate ad
un' economia fondata sulla conoscenza. Questo passaggio sarà più agevole per quelle
imprese operanti sui mercati finali, a stretto rapporto con le esigenze della domanda,
mentre sarà probabilmente più problematico per gli stadi intermedi delle filiere
distrettuali. In tali stadi, fornitori e subfornitori potranno però riqualificare le proprie
forniture a livelli qualitativi e di servizio superiori, seguire le imprese leaders nei loro
percorsi di internazionalizzazione così da non perdere importanti occasioni di
apprendimento ma anche obbligatoriamente aprirsi esse stesse in maniera attiva ed
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autonoma all' economia globale, per valorizzare la propria specializzazione su ampia
scala e beneficiare dell' internazionalizzazione cognitiva.
Operare nelle reti lunghe significa altresì saper destreggiarsi fuori dal contesto locale,
interagire efficacemente con attori lontani, con differenti linguaggi, tradizioni, culture e
modalità di organizzazione del lavoro. Sono fondamentali perciò adeguate capacità
manageriali, sistemi di comunicazione, garanzia, logistica ed in generale un' insieme di
capacità relazionali e risorse connettive trascurate nel momento in cui le relazioni erano
solo locali ed i rapporti spesso informali. I notevoli progressi effettuati dalle nuove
tecnologie dell' informazione e della comunicazione possono e devono costituire
supporti strategici al mantenimento di relazioni stabili e di fiducia con i nuovi partner
internazionali e promettono per il futuro soluzioni sempre più avanzate per la gestione
delle conoscenze entro i network transnazionali.
Tutte queste capacità, risorse e competenze per operare nelle reti lunghe dovranno in
ogni caso essere diffuse in un ampio numero di attori distrettuali, dato che nell'
economia della conoscenza non è più conveniente appoggiarsi solo a circuiti locali di
divisione del lavoro. I percorsi di apertura internazionale è bene perciò non siano
oggetto di pochi attori (le sole imprese leaders) ma riguardino invece il sistema
distrettuale nella sua interezza, pena un eccessivo discostamento tra i percorsi strategici
delle singole imprese ed il potenziale rischio di dissoluzione del modello distrettuale
stesso.
L' internazionalizzazione dell' impresa distrettuale spinge dunque verso una
riorganizzazione transnazionale della catena del valore in cui le risorse divengono
distribuite e specializzate secondo gradi di decentramento (centralizzazione) più o meno
elevati a seconda della strategia perseguita. E' necessario cioè, scelta una linea di
specializzazione distintiva sulla quale concentrare i propri investimenti immateriali,
ricorrere all' outsourcing per le attività restanti. Quindi aprire maggiormente la filiera
distrettuale a monte per garantirsi i necessari margini di efficienza ed a valle allo scopo
di raggiungere in maniera puntuale i potenziali consumatori nei mercati globali. In tale
processo di apertura, il territorio locale del distretto può valorizzare le sue competenze
distintive e focalizzarsi su una serie di attività a maggior valore aggiunto (progettazione
e sviluppo nuovi prodotti, ricerca, marketing, produzione top di gamma, etc.), di
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intelligence, così da divenire lo snodo cognitivo di reti di fornitura e distribuzione estese
su scala globale.
In questa configurazione emergente, l' interdipendenza tra i diversi nodi diviene
elemento essenziale al funzionamento del modello transnazionale stesso, e l'aspetto
relazionale ovvero lo scambio di conoscenza costituisce il fulcro del processo di
internazionalizzazione. Solo attraverso un' efficace condivisione della conoscenza all'
interno della rete risulta infatti possibile intercettare prontamente i nuovi stimoli, a
qualunque livello cognitivo essi siano stati generati, e combinarli con le conoscenze già
in possesso per lo sviluppo di nuove soluzioni.
L' azienda Lotto Sport Italia, rappresenta una realtà leader del distretto dello
sportsystem di Montebelluna, nonché un brand riconosciuto a livello internazionale.
Risulta un case study molto interessante per come, nella sua storia, ha saputo rispondere
dinamicamente alle nuove sfide proposte dallo scenario competitivo. Già attiva da vari
anni con forme di internazionalizzazione più consistenti del mero export, essa ha
risposto negli anni più recenti di forte globalizzazione con un una ulteriore
accelerazione del processo di apertura internazionale.
La sua internazionalizzazione coinvolge sia una serie di attività della catena del valore
sotto i confini proprietari e sia all' esterno, un insieme di relazioni con altri attori
dispersi su scala globale. In altre parole, l' agire strategico di Lotto Sport Italia è
interpretabile entro un' ottica di rete transnazionale, che connette e mobilita le
conoscenze di numerosi nodi interni (proprietari) ed esterni (indipendenti) localizzati in
diversi contesti locali. L' azienda leader montebellunese concentra i suoi maggiori sforzi
nel processo di sviluppo delle nuove collezioni e nelle attività più creative che
imprimono al prodotto dei vantaggi immateriali (design, stile, estetica, significati) che
vanno oltre gli aspetti funzionali, in un' ottica di smaterializzazione del valore. La
ricerca di nuove soluzioni tecnologiche di prodotto (come il progetto Zhero Gravity) e
di processo sono altrettanto alla base della strategia innovativa di Lotto, ed una volta
sviluppate le nuove soluzioni, la loro brevettazione permette la difendibilità e lo
sfruttamento su ampia scala.
Tali attività creative sono presidiate direttamente all' interno dell' headquarter
montebellunese e comunque appaiono ancora profondamente legate al territorio
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distrettuale, fatta eccezione in particolare per il margine “innovativo” concesso ai
licenziatari. All' interno del distretto montebellunese vi è infatti un patrimonio
conoscitivo unico a livello internazionale per il settore dello sportsystem ed esso
rappresenta per l' azienda una piattaforma di lancio dalla quale espandere il proprio
business su scala globale. La rete distrettuale permette di attivare delle relazioni di
fiducia e di collaborazione continua con partner locali strategici nelle fasi di
progettazione, design, prototipazione ma anche con istituzioni locali rilevanti nel
processo di innovazione tecnologica e formazione delle risorse umane (Museo dello
Scarpone, Treviso Tecnologia, etc.). Il distretto è dunque ancora importante per le
competenze distintive relative alle attività a maggior contenuto conoscitivo, per la
fiducia che tali relazioni riescono a garantire ma anche per il grado di flessibilità con cui
i diversi partner riescono a rispondere alle nuove esigenze di Lotto Sport. Flessibilità in
particolare per la scelta dell' azienda di mantenere una quota ridotta di fornitori
manifatturieri per produzioni top di gamma.
A monte e a valle la catena del valore di Lotto Sport risulta invece fortemente proiettata
all' economia globale. La quasi totalità della produzione è stata esternalizzata tramite
relazioni con fornitori localizzati in paesi dal basso costo della manodopera, ma
comunque seguita e controllata direttamente attraverso delle società intermediarie in
loco. La manifattura si è ritenuto infatti non costituisse competenza distintiva sulla
quale concentrarsi all' interno (neanche del distretto) ma potesse essere replicata, in
grande scala, a livelli qualitativi adeguati ed a costi molto minori, da altri specialisti
esterni. Il fatto di competere direttamente con “giganti” quali Nike e Adidas, ha
chiaramente accentuato tale scelta delocalizzativa. Il presidio diretto dei mercati esteri
costituisce d' altro canto un' aspetto fondamentale per replicare su larga scala gli elevati
sforzi innovativi sostenuti, e l' aiuto iniziale di partners in loco permette un' ingresso
più agevole. Le numerose relazioni collaborative (joint-venture, licensing, etc.)
intrattenute dall' azienda montebellunese nei mercati a valle (specie quelli più critici)
evidenziano in tal senso quanto sia rilevante il contributo di soggetti esterni per
economizzare le conoscenze in contesti nuovi e differenti, ma in prospettiva molto
interessanti, quali sono i mercati del Far East.
Lotto Sport Italia appare in definitiva consapevole della maggior apertura cognitiva
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richiesta dall' economia globale ed opera secondo un modello a rete aperta a monte e a
valle. La sua strategia risulta infatti per molti versi in linea con la nostra prospettiva di
internazionalizzazione cognitiva e dunque di valorizzazione della competitività dell'
impresa distrettuale.
Il lavoro viene suddiviso in quattro capitoli, introducendo inizialmente da un punto di
vista teorico i concetti che ci serviranno per discutere il fenomeno dell'evoluzione
transnazionale dei distretti ed avere un riscontro empirico per mezzo di un case study.
Il primo capitolo si concentra sul concetto di distretto industriale prendendo a prestito
dalla teoria i noti contributi offerti da Marshall e successivamente Becattini. Viene
inoltre presentata una lettura del distretto da un punto di vista dell' economia della
conoscenza ponendo l'accento sui flussi cognitivi che caratterizzano le relazioni tra i
diversi nodi appartenenti a questo sistema. Tale lettura cognitiva risulta utile per
analizzare il passaggio dalla rete locale a quella transnazionale nella quale l'aspetto
relazionale costituisce l' essenza del fenomeno dell'internazionalizzazione. Si inserisce
dunque il concetto di distretto nella realtà economica italiana evidenziando le
motivazioni che hanno decretato il suo successo come modello alternativo alla grande
impresa. Infine si introduce il “contrasto” locale-globale aperto dal recente impatto con
la globalizzazione che rende necessario un coinvolgimento più ampio dell'impresa
distrettuale nel processo di internazionalizzazione.
Con il secondo capitolo si dà innanzitutto una definizione più approfondita del concetto
di internazionalizzazione e lo si analizza alla luce del processo di globalizzazione in
corso. Si propone una classificazione delle principali direzioni subite dal fenomeno dell'
internazionalizzazione facendo riferimento alle diverse fasi storico-economiche in cui
esse sono maturate (mercato, gerarchia e reti). L' accento è posto in particolare sull'
ultima direzione, quella emergente nell' economia globale ed al centro del nostro lavoro:
l' internazionalizzazione comunicativa delle reti. Evidenziamo con alcuni esempi come
l' economia globale, agevolata dal recente sviluppo nelle tecnologie dell' informazione e
della comunicazione, stia producendo una frammentazione internazionale dei processi
produttivi un tempo integrati verticalmente in un unico luogo e di conseguenza come si
stiano verificando nuove modalità di governance reticolari, intermedie tra mercato e
gerarchia. Si sottolinea inoltre, senza scendere nei particolari, l' attenzione quasi
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esclusiva posta dalla teoria sulle prime due direzioni intraprese dall'
internazionalizzazione (mercato e gerarchia) ed in particolare sulle grandi corporation,
quali unici soggetti economici in grado di attuare consistenti strategie di crescita
internazionale. Con l' emergere delle reti l'internazionalizzazione appare accessibile
anche a quest' ultime, le quali necessitano dunque anch' esse di nuovi approcci teorici.
Un approccio organizzativo utile in questo senso è quello dell' impresa transnazionale di
Bartlett e Ghoshal che andremo a descrivere e riprenderemo in alcuni passi dei capitoli
successivi. Alla luce di quanto esposto nel corso del capitolo, presentiamo così una
prospettiva cognitiva del processo di internazionalizzazione, servendoci in particolare
del pensiero di alcuni autori, su tutti quello di Grandinetti e Rullani (1996) e di un
recente studio di Castellani e Zanfei (2006). Tale prospettiva, utile a comprendere
fenomeni altrimenti <<invisibili>> (Rullani, 2005), ci permetterà di sviluppare la nostra
tesi nel corso del lavoro.
Nel terzo capitolo, grazie ai concetti precedentemente esposti, siamo in grado di
argomentare una via all' internazionalizzazione dell' impresa distrettuale. Essa è
appunto quella della rete transnazionale, modello che a ben vedere ricalca su scala
globale molti caratteri peculiari del funzionamento della rete locale-distretto. Viene
auspicato alla generalità delle imprese distrettuali un maggior allineamento al processo
di smaterializzazione del valore in corso così da inserirsi efficacemente nei circuiti di
divisione internazionale del lavoro e beneficiare dei vantaggi dell'
internazionalizzazione cognitiva. Si analizzano nello specifico le tre leve strategiche
(accessibilità, creatività e moltiplicazione) su cui deve puntare l' impresa distrettuale per
alimentare la sua competitività internazionale e le principali funzioni connettive
necessarie per operare nelle reti transnazionali. La presentazione di un recente studio ad
opera del centro ricerche Tedis ci dimostra inoltre come una quota di imprese leaders, se
pur ancora ridotta, stia dirigendosi verso un modello a rete aperta; e cosa più
interessante, lo studio dimostra come tale modello emergente si riveli vincente quando
costruito sulla prospettiva cognitiva da noi sostenuta. Concludiamo infine il capitolo
rilevando il peso che possono avere i percorsi internazionali delle imprese leaders
rispetto alla sostenibilità del modello distrettuale ed auspichiamo in questo senso un
ruolo strategico della politica industriale nel mantenere ancora “attraente” la
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localizzazione entro il territorio distrettuale.
Il quarto ed ultimo capitolo è costituito dal case study ovvero l'impresa Lotto Sport
Italia S.p.a. con sede a Trevignano (TV) ed appartenente al distretto dello sportsystem
di Montebelluna. Essa rappresenta il sostegno empirico all'evoluzione dell'impresa
distrettuale verso un modello a rete transnazionale. Ci proponiamo quindi di riprendere
molti dei concetti esposti precedentemente in particolare nel capitolo tre, per andare a
verificare nella realtà, sulla base dei dati a disposizione, come questa evoluzione si sta
sviluppando. La motivazione di analizzare un'impresa del distretto di Montebelluna è
dettata dal fatto che il distretto dello sportsystem costituisce uno dei sistemi locali più
caratteristici e distintivi a livello italiano ed internazionale. Un distretto contraddistinto
da un forte legame con il territorio ma allo stesso tempo anche da una forte vocazione
all' internazionalizzazione non solo mercantile. Daremo innanzitutto uno sguardo alle
dinamiche generali di internazionalizzazione del distretto in accordo con l' idea che
l'internazionalizzazione debba caratterizzare in maniera diffusa l' intero distretto e non
solo la singola impresa. Passando all' analisi di Lotto Sport Italia, l'obiettivo sarà far
emergere le caratteristiche a rete transnazionale assunte dall' architettura organizzativa
enfatizzando l' aspetto cognitivo che sta alla base della crescita internazionale dell'
impresa. L'analisi si concentrerà in particolare sulla strategia d' internazionalizzazione
intrapresa dall' azienda in seguito al 1999, anno in cui dopo un periodo di crisi, viene
rilevata da una serie di imprenditori locali già attivi nel settore dello sportsystem. Da
questo momento, l'azienda subisce infatti una forte spinta nei processi di
internazionalizzazione e innovazione, e continua a presentare tassi di crescita
significativi.
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Capitolo 1. Il distretto industriale: logica di
funzionamento di una rete locale
1.1 Definizione di un concetto: il distretto industriale neo-
marshalliano
Il fenomeno del distretto industriale si ripropone negli ultimi anni al centro del dibattito
economico, con particolare riguardo alla sua sostenibilità ed evoluzione in relazione all'
avanzare del processo di globalizzazione economica. Dobbiamo tuttavia risalire a più di
un secolo fa per assistere alla nascita del concetto di distretto industriale ad opera di
Alfred Marshall, il quale analizzando le concentrazioni di industrie specializzate in
località particolari quali le zone di Sheffield e Solingen per la metallurgia ed il
Lancashire del Sud per il tessile, riconobbe un modello alternativo alla grande impresa
verticalmente integrata ed esclusivamente al centro del dibattito economico. Scriveva
infatti Marshall:
Troveremo che alcuni vantaggi della divisione del lavoro si possono ottenere solo nelle fabbriche molto
grandi, ma che molti di essi, più di quanto sembri a prima vista, possono essere conseguiti da piccole
fabbriche e laboratori, purchè ve ne sia un numero molto elevato nella stessa attività.
La fabbricazione di un prodotto spesso si compone di diversi stadi distinti, a ciascuno dei quali è riservato
uno spazio separato nella fabbrica; se però il volume complessivo della produzione è molto grande può
essere conveniente destinare piccole fabbriche separate a ciascuna fase. Se vi sono molte fabbriche,
grandi e piccole, tutte impegnate nello stesso processo produttivo, sorgeranno industrie ausiliarie per
soddisfare i loro bisogni particolari.[...] Ma le piccole fabbriche, qualunque sia il loro numero, si
troveranno in forte svantaggio rispetto alle grandi, a meno che non ve ne siano molte addensate in uno
stesso distretto. E' quindi opportuno considerare i vantaggi della localizzazione dell' attività produttiva
[...]
Dove larghe masse di persone si dedicano ad uno stesso genere di attività si educano a vicenda. Abilità e
gusto necessari per il loro lavoro sono nell'aria e i ragazzi li respirano crescendo. [...] un lavoratore
specializzato è sicuro di trovare un lavoro adatto a sè; un datore di lavoro può trovare facilmente chi
occupi un posto vacante tra i suoi capioperai e, in genere, la migliore utilizzazione dell' abilità può essere
conseguita meglio che in uno stabilimento isolato, anche se di dimensioni maggiori. Sia le grandi che le
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piccole aziende traggono dunque benefici [...], ma questi benefici sono più importanti per le piccole
aziende, perchè le liberano da molti degli svantaggi nei quali dovrebbero operare altrimenti in
concorrenza con le grandi aziende.
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Marshall introduce quindi all'interno della letteratura economica una nuova unità
d'indagine: il distretto industriale, definito da lui stesso come <<località particolare nella
quale è presente una forte concentrazione di industrie specializzate>>. Si porta così alla
ribalta un modello alternativo alla grande impresa caratterizata dalla concentrazione del
capitale e delle conoscenze.
La citazione riportata, risulta estremamente significativa per analizzare il concetto di
distretto industriale ed inquadrarlo in un epoca più attuale quale lo sviluppo economico
italiano successivo al secondo dopoguerra. Analisi che per primo opera Giacomo
Becattini negli anni settanta riprendendo molti dei concetti inaugurati da Marshall ed
aprendo un filone di studi che, seppure a fatica, comincia ad emergere e ad acquistare
un ruolo rilevante nel dibattito economico-politico italiano e internazionale solo a
partire dai primi anni novanta (Becattini, 2000a).
Per Becattini il distretto industriale rappresenta infatti <<un'entità socio-territoriale
caratterizzata dalla compresenza attiva, in un'area territoriale circoscritta,
naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una
popolazione di imprese industriali>> (Becattini, 1989). Da questa definizione si evince
che l' idea di distretto industriale non è solo quella di un'agglomerazione di imprese ma
comprende, implicitamente, anche un progetto sociale: la crescita della produttività non
è solo l' esito di investimenti in macchine, tecnologia e organizzazione scientifica del
lavoro ma, soprattutto della condivisione di saperi comuni, di motivazioni personali e
valori collettivi (Corò, Micelli, 2006). Viene dunque sottolineato il carattere
interdisciplinare del concetto di distretto, derivante dalla compenetrazione reciproca tra
comunità sociale e sistema economico (Becattini, 1987), ponendo in primo piano il
ruolo del territorio sul quale il modello distrettuale prende vita e si sviluppa.
Il primo riconoscimento giuridico del sistema disrettuale a livello italiano avviene con
la legge nazionale n. 317 del 1991 che definisce i distretti industriali <<come sistemi
1 A. e M.P. Marshall, Economia della produzione, ISEDI, Milano 1975, pp. 72-74 (ed. or. The Economy
of Industry, Macmillan, London 1879)
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produttivi locali omogenei, caratterizzati da un' elevata concentrazione di imprese
industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall' elevata
specializzazione produttiva>>. Nello stesso anno l' ISTAT opera la prima
identificazione statistica dei distretti in Italia, che vengono fissati nel numero di 199.
In seguito alla ripresa del pensiero economico marshalliano da parte di Becattini, il tema
del distretto quale modello di sviluppo locale viene poi approfondito da numerosi
studiosi a livello internazionale, spesso utilizzando il termine di “industrial cluster”.
Una definizione internazionalmente accolta di cluster è quella proposta da Michael
Porter, che sulla base di varie indagini a livello internazionale specie in alcuni distretti
italiani, definisce i cluster come <<concentrazioni geograficamente ristrette di imprese
interconnesse ed istituzioni di un particolare settore industriale, caratterizzate dalla
condivisione di tecnologie e competenze>>. Essi, in un' ottica ampia comprendono
dunque un' insieme di industrie collegate ed altre entità rilevanti per la competizione del
cluster stesso, quali ad esempio fornitori di componenti, di macchinari, e di servizi
nonchè unversità, centri di ricerca e qualunque istituzione che possa supportare lo
svolgimento dell' attività principale attraverso formazione, supporto tecnico e scambi di
conoscenze utili (Porter, 1998).
Così definito, approfondiamo le principali caratteristiche del distretto marshalliano ed
alcuni dei concetti fondamentali rivisitati e ampliati da altri studiosi in seguito alla
“riscoperta” del modello distrettuale da parte di Becattini. Tali concetti risulteranno utili
nel prosieguo del lavoro per argomentare in maniera consapevole e critica l' evoluzione
dell' impresa distrettuale verso la rete transnazionale.
1.1.1 Le economie esterne distrettuali
Marshall, nella nota opera “Principles of Economics” del 1890 dimostra un forte
interesse per il tema della localizzazione della produzione come elemento per il
vantaggio competitivo dell' impresa ed introduce così per la prima volta il concetto di
economie esterne. Tali economie, rispetto a quelle interne che sono dipendenti dalle
risorse appartenenti alle singole imprese, derivano invece dallo sviluppo dell'industria
nel suo insieme e dunque si verificano per mezzo della concentrazione di molte piccole
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imprese similari in una specifica località. I distretti industriali rappresentano perciò una
manifestazione di queste economie esterne e le imprese che vi appartengono possono
sfruttare i vantaggi conseguenti all' inserimento dell'unità produttiva nel complesso delle
relazioni esistenti in un certo contesto territoriale.
In particolare, secondo una rilettura di Krugman (Krugman, 1995), Marshall identifica
tre particolari vantaggi, ovvero tre esternalità positive derivanti dalla localizzazione
comune delle imprese distrettuali. Innanzitutto, la concentrazione di numerose imprese
di un'industria nello stesso luogo fa sì che si crei un mercato specializzato del lavoro che
avvantaggia sia le imprese che i lavoratori. Infatti:
Gli imprenditori affluiranno ad ogni luogo ove abbiano la probabilità di trovare una buona scelta di operai
dotati della capacità speciale di cui essi hanno bisogno; mentre coloro che cercano occupazione accorrono
naturalmente dove vi sono molti imprenditori che hanno bisogno di un lavoro specializzato quale quello
che essi offrono e dove è quindi probabile trovare a buon mercato.
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Marshall enfatizza dunque il ruolo della specializzazione del lavoro nell' attività
economica, che nel caso sia localizzata in una ristretta zona geografica, farà sì di attirare
nello stesso luogo sia l'offerta di lavoro che la domanda stessa dando vita ad un mercato
congiunto vantaggioso per le imprese e per i lavoratori.
Una seconda forma di economia esterna deriva invece dall' approvvigionamento di input
intermedi e servizi specializzati. Si formeranno infatti accanto alle imprese dell'industria
principale del distretto una serie di fornitori specializzati locali che porteranno un
beneficio di efficienza nei confronti di quell'industria:
E frattanto sorgono nelle vicinanze industrie sussidiarie che provvedono a quella principale strumenti e
materiali, ne organizzano i traffici, e conducono in più modi all' economia dei materiali che essa adopera.
Inoltre l' uso economico di macchine costose si può talora conseguire in sommo grado in una zona in cui
esista una forte produzione complessiva dello stesso genere, anche se nessun capitale singolo impiegato
nell' industria è molto forte. Infatti le industrie sussidiarie, che si dedicano soltanto a un piccolo ramo del
processo di produzione e lo esercitano per un gran numero di industrie vicine, sono in grado di tenere
continuamente in attività macchine specializzate al massimo grado, e di ottenere che questa utilizzazione
2 A. Marshall, Principi di Economia, UTET, Torino 1972, p. 396 (ed. or. Principles of Economics, an
introductory, eight edition, MacMillan and Co., London 1920)