6
produzione, reddito e occupazione, ma come strumento che arricchisce le
competenze e le specializzazioni locali.
Partendo proprio da questi presupposti il lavoro intende
sviluppare, quelle che sono le tematiche inerenti lo sviluppo locale,
facendo particolare riferimento al territorio madonita.
Nel primo capitolo si individuano gli aspetti generali dello
sviluppo locale, quale la contrapposizione tra modello di sviluppo
endogeno (o sviluppo dal basso) e modello di sviluppo esogeno (o
sviluppo dall’alto); la classificazione delle politiche di sviluppo locale,
con particolare attenzione alle politiche del lavoro e sulle politiche
industriali; le fasi della progettazione dello sviluppo locale; le condizioni
per lo sviluppo dei sistemi produttivi locali e dei distretti industriali.
Nel secondo capitolo si procede alla ricostruzione del quadro
normativo a partire dal livello comunitario, ma con particolare attenzione
alla disciplina legislativa economica nazionale e regionale.
Si parte, dunque, dall’adozione dell’Atto Unico Europeo e quindi
poi con la Riforma delle Politiche Regionali e dei Fondi Strutturali, si
approfondisce la programmazione 2000- 2006 nota come Agenda 2000.
Il terzo capitolo entra “nel cuore” dello sviluppo locale mettendo
in evidenza i risultati che, a partire dall’esperienza del Pit Madonie, sono
stati raggiunti nel territorio in considerazione dal punto di vista
ambientale, demografico ed economico.
Infine nel quarto capitolo si sviluppa l’analisi di uno degli aspetti
più importanti del territorio di riferimento in termini di sviluppo locale,
ovvero le offerte turistiche, grazie ai dati Istat e in particolare grazie
all’analisi di contesto fornita dalla So.Svi.Ma (Società Sviluppo
Madonie).
7
In successione dell’analisi dei dati infine, è stato possibile, creare
degli indicatori che mostrino l’evoluzione che ha subìto, nel periodo
2001- 2004 , il settore particolare della ricettività facendo riferimento sia
alle strutture e numero di posti letto della ricettività alberghiera che di
quella extra- alberghiera.
8
CAPITOLO 1
LA DIMENSIONE ECONOMICA DELLO SVILUPPO
LOCALE
1.1 Lo sviluppo locale. Cosa è e da cosa è
caratterizzato
I percorsi di sviluppo affermatisi rispetto al passato, hanno
modificato attori e strategie di intervento. Essi infatti, non sono
più il frutto di scelte derivanti dal centro (cioè da politiche
nazionali dello Stato), ma scelte correlate a protagonisti quali i
soggetti istituzionali locali.
Nasce così lo sviluppo locale, Il cui elemento distintivo, è
costituito, dalla capacità dei soggetti istituzionali locali di
cooperare, allo scopo di avviare e condurre percorsi di sviluppo
condivisi, e che abbiano la capacità di mobilitare risorse e
competenze locali.
Tale sviluppo dunque, si basa, sulla centralità dei processi
decisionali degli attori locali e sulla loro capacità di controllare ed
internalizzare conoscenze ed informazioni esterne
1
(Trigilia,
2005).
Ciò che in particolar modo lo definisce e quindi lo
caratterizza è :
- L’ utilizzazione delle risorse locali: parliamo infatti di
lavoro, capitale storicamente accumulato a livello locale,
imprenditorialità, conoscenze specifiche sui processi di
produzione, professionalità specifiche, risorse materiali;
1
Trigilia, (2005).
9
- La capacità di controllo a livello locale del processo di
accumulazione;
- Il controllo delle capacità di innovazione;
- la capacità di sviluppare le interdipendenze produttive, sia
di tipo intrasettoriale che intersettoriale, a livello locale.
Lo sviluppo locale però, non intende diventare sinonimo di una
rigida chiusura all’esterno, ad esempio con i mercati esterni, e/o con
la produzione di conoscenze e tecnologie che sono prevalentemente
prodotte all’esterno del sistema locale. Il processo di sviluppo di un
territorio infatti, è favorito ed agevolato quando i soggetti istituzionali
locali riescono ad attrarre in modo intelligente risorse esterne, sia di
tipo politico, come investimenti pubblici qualificati o risorse per
attirare imprese private, sia di tipo economico e culturale, allo scopo
di fare crescere le competenze e le risorse locali.
La caratteristica dello sviluppo locale, quindi, è la capacità di
utilizzare le risorse esterne per valorizzare quelle interne: attirare a sé
investimenti, imprese, risorse scientifiche o culturali, non solo come
occasioni per la crescita della produzione, reddito e occupazione, ma
come strumento che arricchisce le competenze e le specializzazioni
locali.
10
1.2 Aspetti teorici e implicazioni politiche dello sviluppo
locale. I distretti industriali
Un importante contributo alle problematiche teoriche dello
sviluppo locale è dato dagli studi sui distretti industriali.
Becattini (2000), definisce il distretto industriale come
"un'entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva,
in un'area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente
determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di
imprese industriali". Nel distretto dunque, "la comunità e le imprese
tendono a interpenetrarsi a vicenda".
La comunità viene considerata come l' insieme di una forma
oggettiva, data in funzione di vincoli naturali e della storia passata, e di
una costruzione soggettiva, prodotta in ogni momento dalle passioni,
dalle emozioni, dalle intenzioni razionali degli uomini
2
. La sua
caratteristica principale è data dal sistema, sufficientemente
omogeneo di valori, che essa presenta, e che si esprime in termini di
etica del lavoro, della famiglia, della reciprocità e del cambiamento.
In questo quadro teorico, la comunità dunque, diventa un
requisito preliminare per la costituzione del distretto ma anche una
condizione imprescindibile per la sua riproduzione.
Becattini sottolinea inoltre che, per avere una completa
definizione di distretto, altri importanti elementi da considerare sono
la rete stabile di relazioni tra questo e fornitori e i clienti che si
trovano all'esterno, e le intenzioni tra questa rete e gli elementi più
propriamente locali.
2
Rullani (1998);
11
L’importante risultato a cui le analisi sui distretti giungono è
quindi dato dalla consapevolezza che “ lo sviluppo economico non è
frutto di una dinamica completamente endogena all'economia, ma
nasce dall'interazione tra sistema economico e sistema sociale,
quest' ultimo considerato nei suoi aspetti culturali politici, storici,
istituzionali, antropologici”
3
.
Attraverso questi studi si è affermata l'idea che, il territorio,
diventa un luogo in cui si sedimenta l'apprendimento evolutivo di
lungo periodo, premessa delle dinamiche di apprendimento
localizzato che ivi si realizzano.
Queste conclusioni sembrerebbero presentare il rischio di
considerare lo sviluppo locale come il prodotto di un determinismo
che ingloba gli attori nella storia già vissuta, e utilizza il territorio come
mezzo fisico cui si trasmette la "dipendenza dal percorso storico" (
path dependance).
Gli studi compiuti sui distretti hanno, invece, evidenziato che,
un determinismo di questo tipo, non trova riscontro nella realtà, in
quanto, il territorio, si caratterizza non solo per la dinamica
dell'apprendimento localizzato, ma anche per gli attori che ospita,
per le loro strategie, per la condivisione delle esperienze, dei
significati, delle relazioni.
Se, da un lato, gli attori sono il risultato dell'apprendimento
evolutivo che hanno alle spalle, e la loro interazione assume forme non
preordinate ma è risultato dell'evoluzione, dall'altro, gli attori, usando
la loro capacità di prefigurazione e di azione finalizzata, sono in grado
di costruire il loro futuro. Gli individui comunicano, interpretano e
agiscono intenzionalmente; i mezzi di comunicazione a disposizione
3
Becattini (1989); Bagnasco (1977); Bagnasco e Trigilia (1984,1985); Garofolo (1991).
12
consentono loro di passare dal micro al macro, dando vita ad istituzioni
che li pongono in grado di essere, contemporaneamente, individui e
soggetti collettivi. La razionalità degli attori non può quindi essere
ridotta né a calcolo (determinismo causale), né a reazione adattiva al
contesto (determinismo storico); al contrario, è la complessità che le è
propria a farle acquisire margini di libertà. In quanto razionalità
complessa, l'azione degli attori costituisce, dunque, una forza
intenzionale che, nell'evoluzione, eccede la path dependance, in forme non
definibili a priori .
La teoria del territorio diventa anche una teoria degli attori che in
esso vivono, e dei presupposti, informali e formali, su cui si fonda la
loro interazione. Il cambiamento non è frutto dell'evoluzione cieca
degli eventi, né della legge delle convenienze calcolate, ma è il
risultato di strategie individuali e collettive, e delle istituzioni che
regolano l'interazione degli attori.
Il grado di successo di una strategia impiegata sul territorio
viene dato dalle forme che ordinano l'interazione tra gli attori,
ossia dalle istituzioni, intese in senso lato, che intervengono "come
la cornice che l'azione sociale e politica genera per ordinare il
comportamento individuale degli operatori eco-nomici in forme più
o meno organizzate e coerenti”.
Le istituzioni non vengono dunque più considerate come
qualcosa di dato, di delegato alla politica e all'ordinamento
giuridico. Ovviamente, non viene negata la possibilità che si
manifestino dei conflitti; tuttavia, questi vengono, normalmente,
percepiti e definiti in forme simili, all'interno di un quadro che
individua una sorta d'interesse superiore di tipo comunitario,
interiorizzato dalla popolazione locale.
13
L'individuazione di un distretto è possibile quando, oltre al
sistema di valori che permea la comunità, si forma un sistema di
istituzioni che diffonde quegli stessi valori, li garantisce, e li
trasmette da una generazione ad un'altra.
Il termine istituzioni, nell'accezione qui considerata, non sta ad
indicare solo le istituzioni amministrative e politiche, ma anche le
associazioni, le varie entità, economiche, politiche, culturali,
assistenziali, religiose ed artistiche.
Le forme in cui si realizza la governance e
l'istituzionalizzazione delle relazioni sul territorio non sono
preordinate, non rispondono a schemi astratti precostituiti rispetto
alla vita economica e sociale che devono ordinare.
Le istituzioni che regolano e sostengono l'interazione
comunicativa sono generate, invece, da processi storici ed evolutivi
specifici di ogni luogo. Questo non significa che siano il risultato di
una dialettica solo locale: al contrario, si configurano sulla base di
un'implicita competizione tra i territori.
Un assetto istituzionale capace di organizzare in maniera
efficace l'evoluzione di una sistema locale si fonda perciò
sull'intreccio di tre elementi:
1) la dialettica politica tra le forze con maggiore peso
specifico in termini di potere o di consenso;
2) il grado di efficienza con cui le diverse soluzioni ordinano le
interazioni locali;
3) il grado di efficienza con cui le diverse soluzioni servono i
bisogni della divisione del lavoro tra il sistema locale e l'esterno.
4
Le istituzioni sedimentate nel territorio in qualche modo
4
Rullani (1998);
14
inglobano una storia costituita da accadimenti contingenti, fattori
strutturali e creatività degli uomini o degli attori politici, sociali ed
economici espressi dal sistema locale.
L' affermazione delle istituzioni in grado di realizzare una
molteplicità di equilibri e di funzioni è un processo auto
organizzatore che non si può costruire a tavolino, ma che emerge
attraverso l'evoluzione di una serie di comportamenti tra loro
interconnessi
5
. Questo tipo di apprendimento evolutivo non deve
ottimizzare una prestazione definita, ma, piuttosto, cercare la
strada per rendere compatibili (o integrabili) diversi equilibri che
si realizzano contemporaneamente, non potendosi conseguire
l'uno a scapito dell'altro. È per tale motivo che il sentiero evolutivo
percorso da ogni sistema locale deve realizzare, insieme, l'equilibrio
tra sapere personale e collettivo, tra concorrenza e cooperazione, tra
conflitto e partecipazione
6
.
Un'altra importante conclusione degli studi distrettuali è
quella di aver rilevato che, quando le risorse nascoste nel patrimonio
culturale di una società locale vengono riconosciute, queste possono
essere attivate, innescando, in tal modo, un processo di sviluppo. Nel
caso dei distretti si è trattato di un' attivazione spontanea, non guidata
da esplicite politiche; ma, piuttosto, conseguenza di iniziative in
diversi settori che hanno favorito la creazione di circostanze
favorevoli.
L’analisi comparativa ha reso chiaro come le modalità di
organizzazione e di connessione tra la società e le piccole imprese
siano molteplici e come, a rigore, non esista un caso esattamente
5
Allen (1997);
6
Brusco (1994);
15
uguale ad un altro. Le risorse individuate e costruite, i meccanismi
di interazione tra pubblico e privato, la ricerca di alternative
funzionali, le modalità di introduzione dell'innovazione sono
diverse.
Da questa considerazione deriva che non è pensabile costruire
una teoria generale dello sviluppo capace di spiegare ogni processo.
L’esperienza ha piuttosto mostrato che, per una teoria dello sviluppo
locale, è necessario ricorrere a spiegazioni secondo modelli di
attivazione della crescita, che se, in un caso, possono essere utili, non
necessariamente lo saranno in un altro. È necessario individuare
sempre più meccanismi, perché ciò ci consente di riconoscerne di
nuovi, combinando, adattando e superando i precedenti
7
.
Partendo dalle valutazioni effettuate sulla base dello studio dei
distretti, si sono tratte valutazioni anche su come le politiche
territoriali debbano cambiare per non limitarsi ad affrontare i
problemi, quando questi si manifestano, e presentare invece una
strategia per il conseguimento di obiettivi chiari, individuati sulla
base di una interpretazione condivisa delle necessità del territorio.
Nelle economie post- fordista il ruolo svolto dal pubblico,
tende a mutare nel suo contenuto, così come il rapporto pubblico-
privato
8
. Questo significa, in primis, che la regolazione pubblica
dovrebbe, almeno in parte, trasformarsi in autogoverno degli attori
(individuali e collettivi) tramite l'adozione del principio di
sussidiarietà. Solo quando quest’ ultimo non funziona, o opera in
maniera distorta rispetto all'interesse generale, la regolazione
pubblica dovrebbe intervenire. Non è, però, possibile semplicemente
7
Bagnasco (1999);
8
Vaccà (1996);
16
decentrare il potere dal centro alle periferie perché questo avvenga,
ma è necessario, innanzi tutto, riqualificare il potere pubblico
rendendolo meno prescrittivo.
Il ricorso all'autogoverno locale, bilanciato da chiare regole di
concorrenza tra i territori, rappresenta un modulo costruttivo di base
con cui lo Stato post- fordista deve fare i conti. Le istituzioni dei
sistemi locali non sono più solo quelle ereditate dallo Stato, quali le
Regioni, i Comuni e le Province, ma anche quelle che emergono
dalla società civile. Iniziative private o pubblico-private danno
luogo ad attori collettivi in funzione dei bisogni da soddisfare o delle
capacità, espresse dal territorio, da presidiare e valorizzare.
Gli studi dei distretti hanno, infine, evidenziato altre due
problematiche importanti ai fini di questo lavoro: la prima è
connessa con il problema del finanziamento delle istituzioni. Se
questo rimane completamente pubblico, non si consegue una reale
auto-organizzazione competitiva.
E quindi, opportuno che i privati si accollino una parte del
finanziamento; affinché ciò avvenga, è necessario che gli
investimenti programmati rendano.
Quest' ultima affermazione trova, però, dei naturali limiti in
alcuni tipi di interventi, per esempio, sociali o ambientali, che non
sempre producono dei ritorni propriamente economici. Ciò non
implica che tali investimenti non vadano realizzati; ma è necessario,
in tal caso, trovare delle appropriata soluzioni come, per esempio, la
copertura, totale o parziale, del prezzo del servizio fornito da parte
dell'ente pubblico.
La seconda, riguarda la considerazione che, l'unità elementare
per praticare l’autogoverno, deve essere relativamente piccola, se
17
vuole mobilitare sensi di appartenenza e di identità
sufficientemente forti. Non è possibile, a priori stabilire i confini
dell'autogoverno; tuttavia, una indicazione importante deriva dalla
necessità di arrivare ad una massa critica che garantisca la scala
necessaria per investire in risorse rare e competenze specifiche. È
quindi opportuno, prevedere un meccanismo che renda flessibili sia
l'attribuzione dei compiti, sia i confini operativi superando le rigidità
amministrative.
1.3 Modelli di sviluppo locale
Per quanto riguarda i modelli di sviluppo locale, il punto di
partenza è costituito da una contrapposizione ormai classica: quella
tra modelli di sviluppo endogeno e modelli di sviluppo esogeno.
1) lo sviluppo endogeno, o dal basso, è un percorso di sviluppo
fondato sulla valorizzazione delle molteplici risorse locali (naturali,
materiali, umane e di conoscenza), sulla centralità dei processi
decisionali degli attori sociali locali e sulla loro capacità di
controllare ed internalizzare conoscenze ed informazioni esterne.
Il modello di sviluppo endogeno è caratterizzato da:
- capacità di utilizzare le risorse locali;
- capacità di controllare a livello locale il processo di
accumulazione;
- controllo della capacità di innovazione;
- capacità di sviluppare le interdipendenze produttive, sia di
tipo intersettoriale, sia di tipo intrasettoriale, a livello locale.
Lo sviluppo endogeno non implica l’idea di chiusura verso
l’esterno; infatti agli attori locali viene affidato il compito di
18
realizzare il giusto equilibrio tra apertura verso l’esterno e
conservazione dell’identità locale.
Sviluppo endogeno significa:
- capacità di trasformazione del sistema economico-sociale;
- capacità di reazione alle sfide esterne;
- capacità di introdurre forme specifiche di regolazione sociale
a livello locale che favoriscano i punti già elencati.
2) Lo sviluppo esogeno, o dall’alto, assume caratteri opposti,
infatti il territorio ha un ruolo passivo di fronte alle decisioni maturate
da soggetti esterni.
Nel modello di sviluppo esogeno le decisioni fondamentali del
processo di sviluppo sono prese da operatori esterni all’area: il
territorio rappresenta l’insieme delle condizioni che staticamente
consentono un vantaggio localizzativo per l’impresa esterna (bassi
salari, basso costo della terra, incentivi finanziari e fiscali per la
localizzazione industriale).
1.4 Percorsi - tipo di sviluppo locale
Si traccia adesso una mappa, di una serie di percorsi-tipo di
sviluppo locale, che differiscono per una serie di aspetti, ad esempio
il tipo di risorse utilizzate, il diverso ruolo giocato dalle istituzioni
locali ed il diverso grado di coinvolgimento e di partecipazione delle
popolazioni locali; da ciò risultano 4 tipologie (o modelli) di sviluppo
locale:
1) Modello di sviluppo locale per Invito- Attrazione
E’ il modello più tradizionale, che consiste nel tentativo di
attrarre dall’esterno imprese ed attività che vengono ad insediarsi nel
19
territorio in questione; questo modello ha dei precedenti nello
sviluppo economico degli anni ’60. In pratica si tratta di rendere
attrattivo il territorio per l’insediamento di attività economiche
attraverso:
- la realizzazione di infrastrutture di base (strade, porti,
aeroporti, zone industriali attrezzate);
- la messa a punto di incentivi specifici per le imprese che
decidono di insediarsi nel territorio;
- la promozione di operazioni di marketing territoriale che
promuovono un’immagine positiva per le imprese e per il territorio in
cui le imprese operano.
Il coinvolgimento delle popolazioni locali è molto limitato, e
questo potrebbe rappresentare un limite successivo, perché
potrebbero verificarsi opposizioni da parte delle popolazioni locali; le
popolazioni locali potrebbero opporsi a particolari insediamenti con
impatto ambientale negativo. Non c’è un settore di attività
particolarmente privilegiato, nel senso che qualunque settore
produttivo si adatta a questo modello. Si punta tutto sulla vitalità e
sulla convenienza dell’impresa privata, nel senso che gli insediamenti
produttivi porteranno dei benefici sia per il territorio, sia per la
popolazione.
Un elemento positivo di questo modello è che si avranno
insediamenti produttivi, creazione di occupazione e di reddito, e si
possono creare nuove attività di origine locale che possono innescare
un meccanismo di crescita economica autopropulsiva.
I rischi che si incontrano sono due: il primo è che gli
investimenti, per rendere attrattivo il territorio, non riescono a
perseguire gli obiettivi prefissati, limitandosi solo alla creazione di