6
senza tregua la sua lingua materna, il bengalese, e quindi tutta la
letteratura indiana, arrivando ad imparare anche il sanscrito antico, da
autodidatta, per poter leggere i sacri testi indiani (i Veda, la Bhagavad
Gita, le Upanishad, il Ramayana, ecc.) in lingua originale,
collaborando inoltre alla loro traduzione, così spesso superficiale e
intrisa di ideologie occidentali che contribuivano a fraintenderne
completamente il messaggio.
Diventa quindi segretario dell’Indian Majlis, l’associazione degli
studenti indiani a Cambridge, pronuncia discorsi rivoluzionari, butta
via il suo nome britannico e si affilia ad una società segreta chiamata
Loto e Pugnale, che gli costerà la messa in lista da parte della polizia
britannica. Il che comunque non gli impedisce di prendere la licenza
classica e, subito dopo, appena promosso, di rinunciarvi. Si presenta
anche al celebre e ambito concorso dell’Indian Civil Service, che
dovrebbe aprirgli le porte del Governo indiano (a fianco, ovviamente,
degli amministratori inglesi). Supera brillantemente tutte le prove, ma
poi rifiuta di presentarsi all’esame di equitazione, venendo quindi
squalificato. Ma questa volta il decano di Cambridge insorge e scrive
alle autorità:
Che il governo dell’India si lasci perdere un uomo di tale valore soltanto
perché non é salito a cavallo, o ha mancato un appuntamento, mi sembra, lo
confesso, un monumento di miopia ufficiale difficilmente superabile.
7
La protesta del decano non ottiene peró alcun risultato e Sri Aurobindo
lascia l’Inghilterra per tornare nella sua terra d’origine. Giunge a
Bombay nel 1893, poco dopo la morte del padre, dove dapprima trova
impiego come insegnante di francese presso il Maharaja di Baroda, poi
come professore d’inglese presso il College di Stato, diventandone in
7
Purani, Life of Sri Aurobindo, London, 1958, p. 41.
7
breve il vicedirettore. Svolge anche mansioni di segretario particolare
del principe.
Corte e Università assorbono la maggior parte del suo tempo, ma al
centro dei suoi pensieri c’é sempre il destino dell’India, ridotta a
satellite dello strapotere britannico. Va spesso a Calcutta, si aggiorna
sulla situazione politica, scrive articoli contro il colonialismo inglese
che fanno subito scandalo, cerca di scuotere i suoi connazionali
prefiggendosi l’obiettivo di organizzare le energie della nazione per
poi incanalarle in un’attività rivoluzionaria. É in questa ottica che nel
1905 diviene leader del gruppo nazionalista indiano conosciuto come
Extremists per l’uso della violenza e la richiesta di indipendenza
totale. Sri Aurobindo prosegue il suo impegno politico diventando
anche editore di un giornale nazionalista bengalese, il Bande Mataram,
e di molte altre pubblicazioni parallele, finché, nel 1908, sospettato di
essere coinvolto in una vicenda di fabbricazione di bombe, viene
arrestato dalla polizia britannica ed incarcerato ad Alipore.
Questo periodo segna una svolta nella sua vita: Sri Aurobindo era
sempre stato scettico nei confronti della cosmologia indiana in
generale e dello Yoga in particolare: Uno Yoga che esiga l’abbandono
del mondo non fa per me
8
e anche Una salvezza solitaria che lasci il
mondo al suo destino mi appariva quasi disgustosa
9
. Un giorno peró,
prima dell’esperienza carceraria, gli capita di assistere ad una scena
strana, anche se banale in India: il suo fratello e compagno di
resistenza Barin si ammala di una febbre perniciosa; passa di lì uno dei
numerosi monaci che vanno errando seminudi col corpo coperto di
cenere, chiamati naga sannyasin, vede Barin avvolto in una coperta
tremante di febbre e, senza profferire parola, si fa portare un bicchiere
8
Ib. p. 102.
9
Sri Aurobindo, On Himself, London, 1953, p. 26.
8
d’acqua, traccia un segno, salmodia un mantra
10
e fa bere l’acqua
all’ammalato. Cinque minuti dopo, Barin é guarito ed il monaco
scomparso. Ovviamente Sri Aurobindo aveva certamente sentito parlare
degli strani poteri di questi asceti, ma questa volta aveva avuto
l’occasione di vedere coi propri occhi, di essere il testimone diretto di
un fatto che travalicava l’intelletto, e di colpo si rende conto che lo
Yoga puó servire a ben altro che ad evadere dal mondo.
In carcere si immerge quindi nella disciplina e nella ricerca spirituale,
meditando parecchie ore al giorno ed approfondendo la lettura dei testi
sacri già iniziata da tempo.
Dopo la scarcerazione, avvenuta un anno dopo per mancanza di prove,
prosegue ancora per un poco l’attività politica e giornalistica,
fondando, praticamente da solo, due settimanali: uno in inglese, il
Karmayogin, e l’altro in bengalese, il Dharma. Ricercato nuovamente
dalla polizia britannica, riceve "l’ordine dall’alto", l’adesh divino, di
dedicarsi solamente allo Yoga e partire per Pondicherry, colonia
francese, dove rifugiarsi dai militari inglesi.
Era il 1910, fu la rottura definitiva con la sua vita passata: a partire da
questo momento Sri Aurobindo si immerge sempre più nella pratica
dello Yoga.
Il 15 agosto del 1914 esce il primo numero di Arya, rivista filosofica
nella quale Sri Aurobindo abbandona la politica ed espone la sua
visione dell’uomo e della storia, del destino divino dell’umanità, del
percorso per raggiungerlo, dell’ascesa della società umana verso l'unità
e l’armonia, della natura e dell’evoluzione della poesia, del senso
profondo dei Veda, delle Upanishad e della Bhagavad Gita e dello
spirito e significato della cultura indiana.
É in questo periodo che Sri Aurobindo incontra per la prima volta
Mirra Alfassa, più conosciuta come Mére, La Madre, che
10
Suoni sacri che vengono ripetuti per svariati scopi.
9
successivamente diverrà la sua inseparabile compagna spirituale e
della quale lui stesso dirà: Senza di Lei la mia opera non sarebbe stata
possibile.
É difficile ripercorrere la vita di Mirra Alfassa: un pó perché lei stessa
scrisse ben poco di sé, un pó perché non nutriva interesse per le
biografie scritte da altri. Comunque, molte informazioni si possono
trovare nella sua corrispondenza e nei suoi dialoghi, e, curiosamente, il
suo passato sembra essere sotto certi aspetti speculare rispetto a quello
di Aurobindo: quest’ultimo, di nascita orientale, di educazione
occidentale, torna in Oriente e ne studia e sperimenta le radici; Mirra
Alfassa nasce in Occidente, ma, sin dall’infanzia, é attratta
dall’Oriente e dal misticismo, studia occultismo e belle arti, abbandona
l’Occidente e si trasferisce in India. Ma andiamo con ordine.
Mirra Alfassa nasce a Parigi nel 1878, figlia di una donna egiziana e di
un banchiere turco, entrambi di origine ebraica. Sin da piccolissima le
accadono delle strane esperienze mistiche: descrive esperienze extra-
corporee, improvvisi stati di trance, si ricorda di alcune vite passate, e
altre cose simili. Certo, per il lettore occidentale non é facile credere
possibli questi avvenimenti, ma, che siano avvenuti “realmente” o
meno poco importa, considerando ció che di indubbiamente reale ha
poi fatto nella sua vita. All’età di sedici anni si iscrive alla Ecole des
Beaux Arts di Parigi, tre anni dopo sposa Henri Morisset e va a vivere
con lui presso un atelier, entrando in contatto con il clima artistico e
culturale della Parigi di quegli anni. É in questo periodo che scopre il
Raja Yoga (una delle numerose forme di Yoga) e un indiano incontrato
casualmente le consiglia di leggere la Bhagavad Gita, cosa che farà
con entusiasmo, appassionandosi alla figura di Krishna.
Successivamente incontra l’enigmatico occultista Max Theon, che fu il
primo a proporle una spiegazione alle sue esperienze mistico-spirituali
e va a vivere per un pó con lui e sua moglie in Algeria, presso la loro
10
casa, studiando l’occultismo ed altre discipline esoteriche. Nel 1908
Mirra Alfassa torna a Parigi, divorzia dal marito e fonda alcuni gruppi
di “cercatori spirituali” con i quali si vede regolarmente per discutere
e condividere saperi su quei temi per lei così importanti.
Nel 1910 sposa Paul Richards, il quale era stato a Pondicherry per
ragioni politiche e qui aveva incontrato Sri Aurobindo, rimanendoci in
contatto epistolare.
Mirra Alfassa incontra Sri Aurobindo la prima volta nel 1913, durante
un viaggio di ritorno del marito a Pondicherry, e ne rimane più che
colpita: afferma infatti che di fronte alla sua figura, che riconosce
come la stessa di alcune sue visioni, tutti i pensieri sparirono, la mia
mente si acquietó di colpo, rimase solo un grande silenzio
11
.
Successivamente, a causa dello scoppio della prima Guerra Mondiale,
Mirra ed il marito devono lasciare l’India e tornare in Francia, per poi
ripartire nuovamente l’anno dopo verso il Giappone. Qui vivono per
circa cinque anni, tra Tokyo e Kyoto, finché, nel 1920, tornano insieme
a Pondicherry. Pochi mesi dopo Mirra Alfassa si trasferisce nei pressi
della Guest House dove viveva Sri Aurobindo, mentre il marito parte
come sannyasin alla volta del Nord dell’India; poco tempo dopo
divorzieranno.
Nel 1922 Mirra, ormai conosciuta dai devoti come Mére, inizia a
tenere regolarmente gruppi di meditazione e discussione, andando a
vivere con Sri Aurobindo ed affiancandolo nel suo lavoro spirituale,
finché, all’incirca dal 1926, inizia ad organizzare ció che nel frattempo
si era spontaneamente costituito come l’Ashram di Sri Aurobindo a
Pondicherry, perchè il numero di discepoli, inizialmente alcuni
compagni attivisti politici, andava aumentando.
11
AA. VV. Mother’s Agenda, Vol. 1, p. 163.
11
Poi, il 24 novembre del 1926, Sri Aurobindo scrive:
É avvenuta la discesa di Krishna nel fisico. La discesa di Krishna sta a
significare la discesa della qualità divina del Sovramentale (Overmind) che,
senza essere la Supermente (Supermind), prepara la discesa della
Supermente e dell'Ananda (la beatitudine ed estasi divine)
12
.
Da questo momento Sri Aurobindo interrompe ogni contatto diretto con
i discepoli e con il mondo, non comparendo più in pubblico, tranne che
per tre volte all’anno, in occasione dei Darshan
13
. Si dedica
interamente alla ricerca spirituale, che esprime nei suoi scritti, ora
pubblicati in libri, che sono stati per la maggior parte tradotti nelle
lingue principali ed in tantissime altre, molti anche in italiano: La Vita
Divina, La Sintesi dello Yoga, Il Ciclo Umano, L'Ideale dell'Unità
Umana, La Poesia Futura, Il Segreto dei Veda, Le Otto Upanishad, I
Saggi sulla Gita, I Fondamenti della Cultura Indiana, e altri ancora.
La sua attività é davvero considerevole: non soltanto intrattiene una
cospicua corrispondenza (oltre duemila lettere) con i suoi discepoli per
guidarli nella loro sadhana (la disciplina dello Yoga), ma, allo stesso
tempo, prosegue nella composizione del suo grande poema epico, il
Savitri, che, secondo Mére, é la rivelazione suprema della visione di
Sri Aurobindo.
Sri Aurobindo lascia il corpo fisico il 5 dicembre del 1950, Mirra
Alfassa nel 1973.
12
Sri Aurobindo, Speeches, London, 1952, p. 62.
13
Letteralmente, vista o visione. É l’evento cui si puó assistere alla visione di un essere considerato
particolarmente santo.
12
La filosofia di Aurobindo, lo Yoga Integrale, il Sogno di
Mére, la nascita di Auroville
Come abbiamo visto, buona parte della sua vita, Sri Aurobindo l’ha
dedicata alla lotta politica per la liberazione dell’India dal dominio
inglese, lotta che non escludeva neanche l’azione violenta, perché
Aurobindo era consapevole del fatto che a volte, per sconfiggere un
grande male, bisogna scendere a compromessi e “sporcarsi le mani”:
É impossibile, almeno allo stato attuale dell’umanità e delle cose, avanzare,
crescere, realizzarsi, osservando al tempo stesso realmente e
compiutamente quel principio d’innocenza che ci viene proposto come la più
elevata legge di condotta. Dovremmo usare soltanto la forza dell’anima,
senza distruggere mai nulla con la guerra o con altri mezzi difensivi
fisicamente violenti? Bene; ma intanto, in attesa che le forze dell’anima
dispieghino tutta la loro efficacia, le forze asuriche
14
presenti negli uomini
e nelle nazioni saranno completamente libere di schiacciare, demolire,
massacrare, incendiare, avvelenare ogni cosa, come vediamo fare oggi,
senza incontrare nessun ostacolo. [...] Non basta che le nostre mani restino
pulite e le nostre anime senza macchia perché la legge della battaglia e
della distruzione scompaia dal mondo: bisogna prima che quanto ne sta alla
radice scompaia dall’uomo
15
.
É forse da queste sue esperienze nella politica che quando Sri
Aurobindo inizia a studiare le proprie origini, e quindi i sacri testi
indiani in lingua originale e quindi lo Yoga nelle sue molteplici forme,
14
Gli Asura, secondo la tradizione indiana, sono i demoni, le forze del male.
15
Sri Aurobindo, Essays on the Gita, 1959, p. 55.
13
ne rimane affascinato ma anche un pó deluso:
Noi cerchiamo un’affermazione più ampia e più completa. Constatiamo che
nell’ideale dell’ascetismo indiano, la grande formula vedantina, “l’uno
senza il secondo”, non é stata interpretata alla luce di quest’altra formula
ugualmente imperativa: “Tutto é Brahman”
16
. L’aspirazione appassionata
dell’uomo verso l’alto, verso il Divino, non é stata sufficientemente riferita
al movimento discendente del Divino, che s’inclina verso il basso per
abbracciare eternamente la Sua manifestazione.
17
Per Aurobindo dunque, una disciplina come lo Yoga é una base
fondamentale di partenza, ma non puó essere un punto di arrivo, perché
quasi tutte le forme di Yoga, che letteralmente si puó tradurre con
“Unione”, portano appunto alla realizzazione di questo avvicinamento
al Divino, diciamo, “dal basso verso l’alto”, mediante la pratica della
meditazione, abbandonando il mondo materiale dell’illusione, Maya,
senza considerare, come scrive Aurobindo, il contemporaneo
movimento del Divino verso il basso, per abbracciare la propria
manifestazione.
Questo porta Aurobindo a ripensare la disciplina dello Yoga classico
creandone una forma molto personale, frutto di lunghi anni di pratica e
d’intuizioni, il Purna Yoga, o Yoga Integrale, in cui cerca di operare
una sintesi delle varie discipline yoghiche come base di partenza non
per isolarsi dal mondo ed elevarsi individualmente, ma per operarci
collettivamente in un modo il più vicino al Divino possibile.
Nella cosmologia di Sri Aurobindo, come anche nella tradizione indù,
tutto é un’emanazione di Brahman, l’Assoluto, il Divino; nelle
Upanishad infatti, vi é l’affermazione che tutti gli esseri e tutte le cose
16
L’Anima Universale, l’Essere Assoluto.
17
Sri Aurobindo, La vita divina, Grafiche Galeati di Imola, 1974, p. 36.
14
sono compartecipi dell’Anima cosmica e che come da un fuoco che
arde si sprigionano a migliaia scintille simili a lui, così dall’Essere
immutabile hanno origine esseri di ogni specie che a lui ritornano.
18
Brahman é dunque infinita perfezione, per Aurobindo é la Forza vitale,
la spinta evolutiva:
Sarà questa Forza a fare lo Yoga per noi, automaticamente (a patto che la
lasciamo fare), é Lei, e solo Lei, che si sostituirà alle nostre energie dal
fiato corto e rimedierà ai nostri sforzi maldestri, é Lei che comincerà dove
gli altri Yoga finiscono, illuminando dapprima le cime del nostro essere e
scendendo poi di livello in livello, dolcemente, tranquillamente,
irresistibilmente. [...] É Lei che universalizzerà il nostro essere intero, fino
ai livelli più bassi
19
e ancora
Tutto il necessario viene fatto da qualcosa al di là o al di sopra di noi, con
una precisione ed una infallibilità crescenti a mano a mano che ci
abituiamo a riferirci a questo Qualcosa. Ci rendiamo conto allora che non é
necessario ‘preparare le azioni’, perché una molla segreta le mette in moto
senza che lo decidiamo o ci pensiamo, facendoci fare esattamente quel che
bisogna fare, con una saggezza ed una preveggenza di cui la nostra mente
così miope non é capace.
20
Sri Aurobindo, quindi, é sicuro che la Perfezione del Divino già esista,
che sia espressa ovunque nell’Universo e latente nell’essere umano; il
problema é che quest’ultimo, “essere mentale”, é piuttosto chiuso alla
sua discesa, intrappolato com’é nei dualismi della mente:
18
Schweitzer, 1983, p. 30, cit. in Michelguglielmo Torri, Storia dell’India, Ed. Laterza, 2000, p. 50.
19
Satprem, Sri Aurobindo, l’avventura della coscienza, Roma, Ed. Mediterranee, 1991, p. 53.
20
ib. p. 56.
15
C’è un’evoluzione ascendente nella natura che va dalla pietra alle piante,
dalle piante all’animale, dall’animale all’uomo. Poiché l’uomo è, per il
momento, l’ultimo stadio alla sommità dell’evoluzione ascendente, egli
considera se stesso come lo stadio finale in questa ascensione, e crede che
non ci possa essere niente sulla terra di superiore a lui. In ciò è l’errore.
Nella sua natura fisica è ancora quasi completamente un animale, un
animale pensante e parlante, ma ancora un animale nelle sue abitudini e nei
suoi istinti materiali. Indubbiamente la natura non può essere soddisfatta
con un tale imperfetto risultato; ella lavora per far emergere un essere che
sarà per l’uomo ciò che l’uomo è per l’animale, un essere che rimarrà un
uomo nella sua forma esterna e tuttavia la sua coscienza sarà molto
superiore alla mente e alla sua schiavitù all’ignoranza. Sri Aurobindo è
venuto sulla terra per insegnare questa verità agli uomini.
21
Per Aurobindo lo Yoga puó essere considerato “psicologia pratica”:
Con questo termine [Yoga], infatti, intendiamo uno sforzo metodico di
perfezione di sé attraverso il manifestarsi di potenzialità latenti
nell’essere e la ricongiunzione dell’individuo umano con l’Essenza
universale e trascendente che vediamo parzialmente espressa
nell’uomo e nel cosmo.
22
Certo, soprattutto per il lettore occidentale, queste citazioni non
esprimono molto, perché non offrono un metodo strutturato e uguale
per tutti; del resto Sri Aurobindo, consapevole dell’unicità di ogni
essere umano, si guarda bene dall’offrire un “sistema di regole”, delle
rigide definizioni o un metodo del tipo: “Ecco, si fa così, così e così”.
Cerca invece di fornire degli strumenti che siano adattabili al percorso
21
AA. VV., Mother’s Agenda.
22
Sri Aurobindo, La sintesi dello Yoga, cit. in Selene Calloni, Guru o compagno di strada?, Mantra,
cit. p. 5.
16
di ognuno, secondo le capacità e il livello di coscienza proprie di ogni
individuo, ben sapendo che il vero metodo yoghico consiste nel trovare
il filo della nostra coscienza, quel filo luminoso di cui parlano i
Rishi
23
, tenerlo ben saldo e andare fino in fondo.
La prima tappa dello Yoga di Sri Aurobindo, che é anche il suo
obiettivo maggiore fornendoci la possibilità di ulteriori realizzazioni,
é il silenzio mentale, una sorta di meditazione; Satprem peró ci avverte
subito che si tratta di una meditazione di tipo attivo, perché, con la
meditazione di tipo classico:
Se anche raggiungeremo un relativo silenzio, appena messo piede fuori
del nostro luogo appartato ricadremo nel solito caos, e si ripresenterà
l’eterna divisione tra “dentro” e “fuori”, tra vita interiore e vita nel
mondo. Noi invece abbiamo bisogno di una vita completa, abbiamo
bisogno di vivere la verità del nostro essere in ogni istante di ogni
giorno, non solo nei giorni festivi o nella solitudine. E quindi, le
meditazioni beate e bucoliche non possono essere la soluzione.
24
Anche questa pratica puó risultare difficilissima o addirittura priva di
senso al lettore occidentale, basti pensare allo svolgimento di un
compito che richiede l’uso del linguaggio in un ambito lavorativo; ma
di nuovo Satprem, eccellente “mediatore culturale” ci viene in aiuto,
chiarendo che il silenzio mentale, dopo un pó che lo si pratica con
determinazione, diviene una sorta di abitudine alla pace della mente e
non quindi un silenzio votivo, bensì una disciplina per attutire il
ronzio di fondo, eco della cacofonia multiforme cui tutti, soprattutto in
Occidente, siamo più o meno immersi ogni giorno:
23
Saggi e profeti autori dei Veda.
24
Satprem, Sri Aurobindo, l’avventura della coscienza, Roma, Ed. Mediterranee, 1991, p. 46.
17
[con il procedere della pratica] il ricercatore sentirà qualcosa che vive
in fondo al suo essere, in secondo piano, come una piccola vibrazione
attutita. [...] La scoprirà sempre lì, presente come un’azzurra
profondità dietro ad ogni cosa, scoprirà di potercisi rinfrescare e
distendere anche in mezzo al frastuono ed alle preoccupazioni di tutti i
giorni; si accorgerà che la vibrazione silenziosa é sempre con lui,
come un calmo rifugio inviolabile. [...] E il ricercatore sentirà sorgere
dentro di sé una divisione: da un lato una profondità silenziosa che
vibra nel fondo; dall’altro una superficie piuttosto sottile percorsa da
attività, pensieri, gesti, parole. Avrà scoperto dentro di sé “il
testimone”. Sempre meno allora si lascerà prendere da quel gioco
esterno che, come una piovra, tenta continuamente di soffocarlo. É
scoperta antica quanto il Rig Veda
25
: “Due uccelli dalle splendide ali,
amici e compagni, sono posati sullo stesso ramo: uno mangia il dolce
frutto, l’altro lo sta a guardare e non mangia affatto”.
26
La disciplina del silenzio mentale dunque, se praticata con costanza,
conduce gradualmente, secondo l’esperienza di Aurobindo e Satprem, a
scoprire ed entrare in contatto con la parte più vera e reale di noi, che
é proprio il “noi stessi”, il nostro centro, quello che Sri Aurobindo
chiama “Essere Psichico” e che altri chiamano Anima.
A questo punto, insomma, avremo scoperto la Coscienza e, secondo Sri
Aurobindo, più questa si sviluppa e più cresce il suo raggio d’azione e
la quantità dei piani che é in grado di raggiungere. La Coscienza é una
forza, Aurobindo la chiama “coscienza-forza” (o discesa del
Sopramentale
27
), ma sottolinea anche che essa é Ananda, cioé gioia,
poiché una volta liberata la coscienza dalle mille vibrazioni mentali,
25
Il primo e più antico dei quattro testi sacri, risalente circa a cinquemila anni prima dell’era cristiana.
26
Ibidem, p. 55.
27
Overmind.
18
vitali e fisiche che l’assorbono, scopriamo la vera gioia, nel
ricongiungimento con l’Assoluto.
É proprio quando Sri Aurobindo é immerso nelle sue scoperte spirituali
che a Pondicherry, nel 1920, viene a stabilirsi Mére. Racconta Sri
Aurobindo:
Quando [nel 1910] arrivai a Pondicherry mi fu dettato interiormente
un programma per la mia sadhana
28
; lo seguii e, per quanto mi
riguardava progredii, ma non arrivavo a fare granché per aiutare gli
altri. Poi arrivó Mére, e con il suo aiuto trovai il metodo necessario.
29
É straordinario il fatto che la sintesi vivente fra Oriente e Occidente,
rappresentata da Sri Aurobindo, si incontri proprio con la sintesi
inversa, incarnata da Mére, dando vita ad un’unico, identico, pensiero
filosofico-spirituale: la coscienza della Madre e la mia sono una sola e
stessa coscienza.
30
Quando, nel 1926, Sri Aurobindo si ritira completamente dalla vita
pubblica, dedicandosi praticamente solo alla scrittura dei propri libri e,
in forma epistolare, alla sadhana dei propri discepoli, é infatti Mére ad
assumersi l’incarico della gestione dell’Ashram di Pondicherry. Ella
non soltanto condivide e sperimenta le stesse esperienze spirituali di
Sri Aurobindo, ma ne completa e prosegue il pensiero, arrivando a
concepire quello che chiamerà lo “Yoga delle cellule”, che é
ampliamente trattato nell’opera che conserva la testimonianza dei suoi
discorsi, “L’Agenda”, trascritti da Satprem nel corso di diciannove
anni.
28
Disciplina yoghica.
29
Anilbaran’s Diary, inedito, cit. in Satprem, Sri Aurobindo, l’avventura della coscienza, Roma, Ed.
Mediterranee, 1991, p. 373.
30
Sri Aurobindo, On Himself, 1953, p. 361.