Prefazione II
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esistenti. Un lavoro oggi completato con la recentissima legge “Simeone” varata
dalla XIII legislatura. La riforma sviluppatasi in Italia dal 1975 ad oggi viene
articolandosi sugli obiettivi della individuazione della pena, alla quale si connettono
la giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale, l’organizzazione dell’esecuzione
stessa in funzione del recupero sociale del condannato, l’apertura del carcere alla
comunità esterna, la costituzione di nuovi operatori in particolare gli educatori ed
assistenti sociali. Nel periodo di tempo trascorso dal 1975 ad oggi sono intervenute
molte e notevoli novità che hanno interessato direttamente il corpo legislativo
dell’ordinamento, ed altre di non minore rilevanza, che hanno inciso sugli aspetti
organizzativi e strutturali del sistema. Si pensi, in tal senso, al decreto legislativo
sulle competenze penali dei giudici di pace, e la previsione, per i delitti di “facile
accertamento”, della permanenza domiciliare( una semilibertà con l’obbligo di
rimanere a casa) nei week-end. Così non meno importante, in tema di partecipazione
al procedimento penale, è la legge del 5 ottobre 2001 n. 367 recante “modifiche al
codice penale e di procedura penale”, che all’art.15 prevede l’inserimento nelle
norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. dell’art. 205-ter che
sancisce per l’imputato detenuto all’estero, che non possa essere trasferito in Italia, la
partecipazione all’udienza mediante collegamento audiovisivo a condizione che lo
stato estero assicuri la possibilità di presenza del difensore o suo sostituto nel luogo
in cui viene assunto l’atto e la possibilità di colloquio riservato. Ed ancora, la legge
del 25 febbraio 2000, n. 35 in materia di “Giusto Processo”, che per garantire
l’affermazione dei postulati tipici di un modello processale ”adversary” (oralità,
concentrazione, immediatezza), ha sancito la diretta applicabilità dei principi del
dovuto processo legale, (terzietà ed imparzialità del giudice, diritto dell’imputato di
conoscere tempestivamente l’accusa e difendersi con la garanzia dell’ assunzione
della prova in contraddittorio) già espressi, in verità, in trattati internazionali cui
l’Italia aveva aderito e recepito nel proprio ordinamento ma ritenute dalla
giurisprudenza come il contenuto di norme programmatiche, non immediatamente
precettive.
Prefazione III
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Così come, fondamentale per la strada del doppio binario sono:
a) sia il varo governativo del decreto legge sull’emergenza giustizia del 24
novembre 2000 n. 341 diretto a garantire 1) la celebrazione dei processi per i
reati di criminalità organizzata con l’agevolazione della separazione dei processi
con imputati detenuti; 2) la possibilità di recuperare la custodia cautelare non
scontata in altre fasi o nei gradi precedenti eliminando o riducendo il rischio delle
scarcerazioni “facili” per decorrenza dei termini; 3) l’ammissibilità del giudizio
abbreviato anche per i reati puniti con la pena dell’ ergastolo; 4) la notifica in
luogo della consegna (vedi legge Simeone) dell’ordine d’esecuzione e del
decreto di sospensione; 5) la proroga e modifica delle disposizioni in materia di
applicazione dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario e di videoconferenze,
6) l’introduzione del c.d. “Braccialetto elettronico” nei confronti di chi si trova
agli arresti domiciliari o in stato di detenzione domiciliare;
b) sia la legge del 13 febbraio 2001 n. 45 recante “la modifica della disciplina della
protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la
giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza”.
Sempre in tema di partecipazione al procedimento penale, mon meno importante e,
non ultima, se non per comodità espositiva, vista la priorità temporale di
promulgazione è la legge 7 gennaio 1998, n. 11, recante “la disciplina della
partecipazione al procedimento penale a distanza e dell’esame in dibattimento dei
collaboratori di giustizia, nonché modifica della competenza sui reclami in tema di
articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario”, che in quanto coinvolge la
disciplina di diritti all’imputato, forse, maggiormente incide, oggi, sull’aspetto
strutturale, organizzativo, operativo e giurisdizionale del sistema penitenziario.
A completamento della stessa, si sono poi aggiunte, a distanza di anni altre novità
legislative. Innanzitutto la legge 5 ottobre 2001, n. 367, di ratifica dell'accordo tra
Italia e Svizzera, stipulato a Roma il 10 settembre 1998 a completamento della
Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, che disciplina le
ipotesi di utilizzo nel processo penale di collegamenti audiovisivi tra luoghi lontani,
situati in Paesi diversi. L'art. 16 della legge, infatti, introduce l'art. 205- ter in tema
di « partecipazione al processo a distanza per l' imputato detenuto all'estero » tra le
disposizioni d’attuazione al codice di rito relative ai rapporti con le autorità straniere.
Prefazione IV
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L'art. 17, invece, inserisce nel codice penale l'art. 384- bis relativo alla punibilità dei
fatti commessi in tele-collegamento nel corso di una rogatoria dall'estero.
Dopo oltre un ventennio, poi, è stato riscritto il regolamento di esecuzione della
legge 26 luglio 1975 n. 354 in materia di ordinamento penitenziario. La novella
regolamentare, il d.P.R. 30 Giugno 2000, n. 230, è stata salutata dai mass media e
da una parte degli addetti ai lavori con positività in quanto "rende al carcere un volto
(un po') più umano". Ed invero, dagli articoli del testo in commento, traspare
evidente l'intento di "umanizzare" le condizioni di vita dei detenuti. Così come con la
legge dell’ 8 aprile 2004 n. 95 recante “Nuove disposizioni in materia di visto di
controllo sulla corrispondenza dei detenuti”, l’ordinamento penitenziario si
arricchisce di una disciplina organica dei controlli attivabili dall’amministrazione
penitenziaria e dall’autorità giudiziaria sull’esercizio di un diritto fondamentale della
persona – quello della libertà e segretezza della corrispondenza – presidiato da
garanzie costituzionali(art.15 Cost). La legge n.95/2004 rappresenta – in tale cornice-
la più recente manifestazione dello sforzo del legislatore nazionale di adeguare la
normativa penitenziaria interna ai principi stabiliti a livello europeo, realizzando il
necessario contemperamento tra le esigenze preventive e di controllo sull’ordine e la
sicurezza degli istituti di pena e il diritto dei detenuti all’esercizio dell’attività di
corrispondenza con la società civile esterna al carcere. L’art. 12, invece, del capo VI
del decreto legge 24 novembre 2000, n. 341, nell’iter parlamentare di conversione
nella legge del 19 gennaio 2001 n. 4, in prossimità della scadenza fissata dalla legge
26 novembre 1999 n. 446, per il 31 dicembre 2000, con un intervento sull'art. 6 della
legge 7 gennaio 1998, n. 11, ha coniugato, ancora una volta, il destino della
disciplina sulle videoconferenze con quella dell’articolo 41-bis ord. penit
imponendone un periodo di vigenza comune fino al 31 dicembre 2002. Con l’art. 13
della stessa legge, il legislatore, al comma 1 dell’art.146-bis delle norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p., ha aggiunto il comma 1-bis,
sancendo la partecipazione a distanza al dibattimento anche quando si procede nei
confronti di detenuto al quale siano state applicate le misure di cui all’articolo 41-bis
comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Con l’art.
14, invece, aggiungendo all’art. 134 delle norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del c.p.p., l’art. 134-bis, il medesimo provvedimento, ha esteso la
Prefazione V
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partecipazione dell’imputato a distanza anche al caso di giudizio abbreviato, purché
svolto in pubblica udienza. La legge 23 dicembre 2002 n. 279, invece, recante “la
modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di
trattamento penitenziario”, che con l’abrogazione dell’art. 6 della legge 7 gennaio
1998, n. 11, ha prorogato come tutti i provvedimenti a termine, l’istituto della
partecipazione a distanza mediante le videoconferenze, fino al 31 dicembre 2003, poi
prorogato fino alla fine della legislatura in corso e si pensa di renderlo definitivo.
Così come, con lo stesso provvedimento è stata decisa la stabilizzazione dell'art.
41-bis che finora è stato, almeno formalmente, una norma a termine, estendendone,
nel frattempo, l’applicazione a tutti i detenuti particolarmente pericolosi. Il regime di
“carcere duro”dunque non solo ai boss mafiosi, ma anche chi è stato condannato per
reati di terrorismo o traffico di persone. Il provvedimento legislativo, inserisce così, i
reati commessi per finalità di terrorismo tra i reati gravi associativi previsti dall’art.4-
bis della legge n. 354 del 1975, per i quali è necessario il requisito della
collaborazione per l’accesso ai benefici penitenziari. Non solo, ma è stato aumentato
il periodo di applicazione del regime speciale che passa dagli attuali sei mesi (sempre
indefinitamente prorogabili e di fatto prorogati) a un periodo che va da un minimo di
un anno a un massimo di due anni, periodi ovviamente sempre prorogabili. Il
superamento della concezione di tali misure come provvedimenti di emergenza, fa si
che essi entrino infatti a far parte stabilmente del tessuto normativo vigente. Ci
troviamo, quindi, di fronte ad una realtà che, se da un punto di vista formale –
legislativo conserva nella sua architettura la fisionomia originaria, dal punto di vista
culturale e operativo, mostra caratteri fortemente mutati, al punto di richiedere anche
nel commento alla legge c.d. delle “videoconferenze”, che costituisce l’oggetto
specifico della presente tesi, una valutazione critica, che sappia cogliere il reale
significato dell’attuale dettato legislativo nel complesso delle regole che governano il
sistema penitenziario ed i principi cardini del codice di procedura penale e del dovuto
processo legale.
Introduzione 1
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INTRODUZIONE
Sommario: 1) Il dovuto processo legale e le garanzie processuali minime. - 2) Il "turismo giudiziario"
ed esigenze di riforma. - 3) La “telepresenza” in tribunale: le ragioni dell’innovazione. 4) La legge 7
gennaio 1998, n.11 e il suo iter legislativo.
1) Il dovuto processo legale e le garanzie processuali minime.
L’articolazione dell'intero procedimento penale nelle distinte prospettazioni del
procedimento per le indagini preliminari e del processo, consente meglio di
evidenziare il fine al quale tende e di individuare la funzione che, nel suo ambito è
chiamato a svolgere il processo.
Avviato per accertare se un fatto abbia i caratteri dell'illecito, il procedimento penale
si tramuta da procedimento per le indagini preliminari in processo per assicurare a
chi è raggiunto da un’imputazione che, l'accertamento si svolga nel rispetto di quelle
garanzie che la tutela costituzionale della persona individua com’essenza della
giurisdizione.
Il procedimento penale ha dunque ad oggetto il fatto-reato e, nel suo ambito, il
processo assolve ad una funzione di garanzia. La parità di trattamento è un obiettivo
che, nel procedimento, si persegue per mezzo di prescrizioni intese a definire la
funzione dell'organo che dà impulso al procedimento stesso, il ruolo dei soggetti
investiti della giurisdizione e la posizione di chi al procedimento è sottoposto.
Accusa, giudizio, e difesa si pongono quindi quali poli primari di aggregazione della
rilevazione, anche costituzionale, delle regole che governano il procedimento penale
e che danno contenuto al "dovuto processo legale" o “giusto processo"
1
.
E' legale infatti, il processo che, assicuri una condizione di parità delle parti e
l'assenza di condizionamenti o di pregiudizi di sorta per il giudice. Ma è il quadro dei
principi costituzionali che, costituisce il punto di riferimento costante nell'approccio
alla regolamentazione del procedimento penale.
1
Con riferimento ai “principi naturali del giudizio” v.DALIA-FERRAIOLI, “Manuale di diritto processuale
penale”, Padova, 1997, p.583
Introduzione 2
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Non a caso, la stretta interdipendenza che si coglie tra garanzia costituzionale del
diritto di agire in giudizio e garanzie costituzionale del diritto di difendersi sta a
significare quale ne sia il contenuto, il contraddittorio, e che quest'ultimo sia valore
assoluto che si esprime attraverso il diritto di difesa, ma postula necessariamente,
proprio perché la difesa sia efficace, che sia formulata un'accusa.
Inviolabilità del diritto di difesa e possibilità di agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti, significa che il contraddittorio deve essere rispettato nel nucleo
essenziale ed irriducibile in ogni specie di giudizio, quale sia la struttura del relativo
procedimento e, in questo suo nucleo essenziale, non esige la parità formale delle
parti, né postula che la neutralità del giudice, ma richiede semplicemente che gli
interessati siano posti in grado di influire attivamente sull'esito del giudizio. Ma il
contraddittorio inteso come rappresentazione al giudice delle ragioni delle parti, si
esprime nella fase del dibattimento, in quella fase cioè, in cui il giudice ricostruisce il
fatto sulla base dei risultati conseguiti all'esito dell'esperimento dei mezzi di prova.
La rappresentazione integra la dialettica dibattimentale, che vede le parti
contrapposte nell'intento di influire con le loro argomentazioni sulla formazione del
giudizio.
Esso prende avvio dall'illustrazione delle richieste probatorie, si specifica
nell'assunzione dei mezzi di prova e si conclude con la valutazione che ciascuna
parte dà dei risultati conseguiti. Nella sua massima espansione, il contraddittorio
postula l'attuazione dei principi tipici del dibattimento, vale a dire, la pubblicità,
l’oralità, la concentrazione e l’immediatezza, la cui idoneità a porsi come forma di
manifestazione d’ogni accertamento che voglia dirsi giurisdizionale è così pregnante
da indurre a designarli come "principi naturali del giudizio". Nel modello così
strutturato, il diritto al contraddittorio, si delinea come diritto ad essere informato,
per accusare o difendersi, provando.
Il dibattimento è quindi, occasione d’espressione massima di giurisdizionalità, perché
realizza l'incontro delle parti, legittimato al pieno esercizio dei propri diritti con il
giudice, abilitato ad esprimere il più completo potere decisionale. Il complesso degli
atti che costituiscono il dibattimento in tutte le sue fasi, deve concentrarsi sia nello
"spazio" sia nel "tempo". Con riguardo allo spazio la concentrazione si specifica nel
principio di "localizzazione" che impone che, il dibattimento si attui, tutto intero, in
Introduzione 3
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apposito luogo predisposto ed attrezzato allo scopo (aula d’udienza). La continuità
invece, impone che, una volta iniziato il dibattimento si svolga senza soluzioni per
raggiungere rapidamente la conclusione.
L’oralità garantisce che il giudice non ometta il momento del dialogo limitandosi
alla passiva rilettura di protocolli da altri formati, ed è regola posta per la
valorizzazione massima della contestuale valutazione per opera di giudice e parti,
degli atti del dibattimento e soprattutto delle prove.
Il principio dell'oralità ha così, funzione strumentale rispetto agli altri principi
naturali del giudizio, assicurando che gli atti compiuti nel dibattimento, non siano atti
scritti formati in una precedente fase del procedimento penale, ma atti "originari" la
cui formazione avviene oralmente, in pubblica udienza nel contraddittorio delle parti,
nel momento e nel luogo del dibattimento.
Espressione dell'oralità è invece l’immediatezza, che, designa il contatto diretto
senza intermediazione di sorta tra le fonti di prova ed il giudice.
L'essenza del contraddittorio è valentemente espressa nel brocardo Auditiur et Altera
Pars, per significare che, in tanto c'è contraddittorio in quanto c'è un terzo disposto
ad audire e che l'audire consiste nell'ascoltare l'una pars e l'altera
2
. L’udienza indica
proprio la condizione ambientale - vale a dire, il luogo ed il momento - la dimensione
spazio-temporale in cui le parti si presentano innanzi al giudice che acquisisce le
informazioni necessarie per assumere la sua decisione.
Dunque, l'udienza pubblica è la sede naturale del giudizio, perché è il momento in
cui si svolge il dibattimento. In aula le parti possono esporre le rispettive ragioni,
chiamando il giudice a rendere la decisione sul fatto contestato con l'imputazione,
l'assunzione dei mezzi di prova che adducano a fondamento della propria tesi.
Ma è soprattutto momento in cui, maggiormente si valorizza l’equidistanza delle
parti di fronte al giudice. La par condicio che ne caratterizza i poteri e le facoltà è
premessa irrinunciabile per l’imparzialità della decisione pronunciata all'esito
dibattimentale.
La garanzia del giudizio pubblico non si coglie tanto nella presenza del giudice,
quanto nelle forme attraverso le quali il giudice perviene alla decisione. La sede
dibattimentale è garanzia non solo e non tanto perché le parti sono dialetticamente
2
Con riferimento ai “principi naturali del giudizio” v. DALIA FERRAIOLI, op. cit., p.583.
Introduzione 4
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contrapposte in presenza del giudice che dispone di strumenti d’apprendimento che
tendono ad escludere ogni possibile mediazione con fonti mediazione con fonti
probatorie.
Il principio d’oralità-immediatezza esige infatti, la contestuale presenza di tutti i
soggetti interessati al contraddittorio. Il dato di conoscenza utile ai fini della
decisione deve essere percepito simultaneamente non solo da chi è destinato al
giudizio, ma da chi ad esso abbia interesse, perché solo il controllo sul regolare
ingresso del dato di prova nel patrimonio conoscitivo del giudice, prelude alla
legalità del giudizio
3
.
La regola del contraddittorio ha, dunque, un nucleo irriducibile nella partecipazione
degli interessati al processo, che deve svolgersi in condizioni di completa ed effettiva
uguaglianza. La Corte Costituzionale afferma, infatti, che in relazione all’art.24 Cost.
è insito il riconoscimento di un vero e proprio diritto di presenza al dibattimento di
merito da parte dell’accusato. In tale ottica, si è sostenuto che l’imputato ha diritto di
assistere a tutto il dibattimento, che la sua presenza all’udienza è imposta a tutela non
solo dei diritti della difesa ma anche di un più attendibile accertamento della verità,
che pertanto solo la volontaria rinuncia a presenziare al dibattimento, come libera
scelta difensiva, può giustificare sul piano costituzionale la limitazione del
contraddittorio che in tal modo si attua
4
. Analoghe considerazioni si rinvengono nelle
pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, con riferimento al diritto
all’udienza riconosciuto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e
delle libertà fondamentali. Infatti, sebbene solo il Patto Internazionale relativo ai
diritti civili e politici preveda esplicitamente all’art.14 par.3 lett. d) il diritto
dell’accusato d’essere presente al processo, la giurisprudenza della Corte Europea ha
chiarito come il diritto dell’imputato di prendere parte alla procedura ed in primo
luogo all’udienza trovi esplicito riconoscimento quale espressione del fondamentale
principio dell’equo processo.
La Corte collega, in particolare, il diritto alla presenza dell’imputato con la
possibilità concreta di poter esercitare i diritti enunciati nell’art.6 par.3 considerati il
nucleo essenziale delle facoltà difensive (diritto di difesa, diritto di interrogare i
testimoni, diritto ad un interprete). La stessa interpretazione funzionale del diritto
3
Con riferimento al “principio di oralità-immediatezza” v. FERRAIOLI, op.cit. , p.8
4
Sentenza n.186 del 1973; sentenza n.213 del 1974; ordinanza n.98 del 1983, in Cass.pen. 1984, p.1245.
Introduzione 5
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all’udienza appare adeguata anche in relazione alle disposizioni contenute nel Patto
Internazionale sui diritti civili e politici. La lettera d) par.3 art.14 afferma, infatti, il
diritto dell’accusato d’essere presente al processo innanzi tutto in rapporto alla
possibilità dell’autodifesa ed al concreto esercizio di una serie di diritti difensivi, tra
cui il diritto alla difesa tecnica, all’uso di una lingua comprensiva, all’interprete ed ad
interrogare e a far interrogare i testimoni a carico e quelli indicati dalla difesa
5
.
In definitiva si può affermare che, tanto nella Costituzione quanto nelle fonti
convenzionali citate, la partecipazione al processo da parte dell’imputato va intesa in
termini sostanziali, nel senso che vi è partecipazione contraddittorio con l’accusa
6
.
5
Con riferimento ai “diritti internazionali della persona”, v. DALIA-FERRAIOLI, op.cit., p.10
6
Con riferimento al “contraddittorio e al diritto di difesa”, v. F.ALESSANDRONI “In video testimonianza,
esigenze del contraddittorio e diritto di difesa”, Cassazione Penale, 1997, p.2289 oppure v. D.CARCANO, Note
di cronaca sul seminario di studi organizzato dal Ministero di Grazia e Giustizia spagnolo in tema di
utilizzazione nel processo dei mezzi di audizione a distanza, Madrid, 14-15 maggio 1998, Cassazione Penale,
1998, p.2626.
Introduzione 6
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2) Il “turismo giudiziario” ed esigenze di riforma.
La minaccia che promana dalla commissione di delitti particolarmente gravi –
ascritti, cioè, ad imputati che debbono essere considerati pericolosi perché, non
collaborando con la giustizia, hanno fornito prova di non aver rescisso il legame con
il crimine organizzato – ha giustificato già da qualche tempo la sostituzione della
“presenza fisica” dell’imputato nell’aula d’udienza con una “presenza virtuale” e,
probabilmente, anche l’eventuale sacrificio del fondamentale diritto dell’imputato ad
essere presente al suo processo per la percezione diretta di quanto vi accade e per
farsi, altrettanto direttamente, percepire.
Quando il delitto è particolarmente grave, il meccanismo accertativo deve, di
necessità, essere alleggerito. Il sistema del “doppio binario” prevede che, nel sistema
processuale penale, operino procedure differenziate in relazione al tipo
d’imputazione contestata; vale a dire che a fattispecie di reati particolarmente gravi
per la loro connotazione di mafiosità o comunque di criminalità, susseguano effetti
processuali con un grado d’incidenza maggiore sul piano delle garanzie processuali.
Quelle stesse garanzie che una legge processuale deve assicurare affinché possa
essere ritenuta espressione di civiltà giuridica, nonché forma di tutela necessaria per
qualificare l’accertamento penale con un giusto processo, e rappresentare la
testimonianza più significativa sul rispetto dei diritti inalienabili della persona.
È altrettanto vero, però, che queste stesse garanzie spesso hanno determinato sicuri
squilibri sia nei meccanismi processuali sia sul versante della tutela sostanziale. Non
a caso si è assistito di frequente al rinvio a giudizio d’esponenti di primo piano
d’associazioni criminali di stampo mafioso in seguito all’attività d’indagine svolta
dalle direzioni distrettuali antimafia, poi arenatasi durante la fase dibattimentale a
causa dell’allungamento dei tempi di definizione con il conseguente rischio di
scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini massimi di custodia
cautelare.
Negli ultimi tempi si era, infatti, registrato un preoccupante fenomeno di “gigantismo
processuale”, dovuto al sempre crescente numero di procedimenti per reati di
criminalità organizzata, caratterizzati dalla pluralità d’imputazioni o d’imputati che
aveva creato non pochi problemi, anche per il conseguente, frenetico, spostamento
dei detenuti.
Introduzione 7
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Tutto ciò vanificava gli importanti risultati, ottenuti grazie allo sviluppo di rapporti di
coordinamento e di collegamento tra i diversi organi investigativi al fine di una
maggiore speditezza in fase d’indagini preliminari, nell’azione di contrasto alla
criminalità organizzata.
Ulteriore fattore d’allungamento dei tempi dibattimentali, aggiunto a quelli comuni a
tutti i maxi-processi, era ed è rappresentato dalla contemporaneità dei procedimenti e
dalla circostanza che molti imputati, per lo più in stato di detenzione, si trovano a
dover partecipare simultaneamente a più giudizi, spesso in sedi diverse, con
conseguente perdita di continuità nella trattazione dei singoli processi. A ciò va
aggiunto il fatto che la gran parte degli imputati si è avvalsa del riconosciuto diritto
di presenziare personalmente all’udienza, rendendo necessarie continue traduzioni da
una sede all’altra. Ciò ha comportato che i processi “rallentati” continuamente dalle
“pause” imposte dall’impossibilità di assicurare contemporaneamente in più sedi
giudiziarie la presenza fisica dell’interessato, raggiungessero una durata
irragionevole, con l’ulteriore conseguenza della maturazione dei termini massimi
della custodia cautelare e la scarcerazione di persone gravate da una preoccupante
prognosi di pericolosità sociale. La necessità poi di esaminare collaboranti in luoghi
distanti dal processo (per ovvie ragioni di sicurezza), creava non poche difficoltà
organizzative a causa del ridotto numero d’aule protette disponibili e del necessario
spostamento dell’intero collegio giudicante.
I frequenti spostamenti d’imputati mafiosi, poi, resi necessari per garantire la
presenza fisica, non solo alle udienze dibattimentali ma anche a quelle camerali,
comportavano, inconvenienti d’altro genere e non di poco conto. Al gravoso
impegno richiesto alle forze dell’ordine ed agli inevitabili pericoli per la sicurezza e
l’ordine pubblico, si aggiungeva il rischio che i continui trasferimenti potessero
pregiudicare l’effettività dei provvedimenti di sospensione delle regole di trattamento
penitenziario adottate nei confronti di detenuti più pericolosi ai sensi dell’art.41-bis
comma 2 ord. penit.; provvedimenti che appaiono, viceversa, come strumento
essenziale per l’interruzione dei rapporti tra gli associati mafiosi in vinculis ed il
resto dell’associazione. In particolare, bisognava eliminare qualsiasi possibilità di
comunicazione tra gli associati in occasione della comune partecipazione ai processi.
Introduzione 8
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In tema di traduzioni dei detenuti sottoposti a regime di massima sicurezza, si deve
considerare, tra l’altro, che gli stessi dovessero essere custoditi in appositi istituti
penitenziari; questo comportava, visto l’elevato numero di soggetti interessati e le
difficoltà ricettive degli istituti di pena, notevoli disagi per i detenuti comuni ai quali
venivano sospesi, anche se temporaneamente, gli ordinari benefici penitenziari
previsti, con conseguente lesione dei diritti fondamentali anche di tali soggetti.
Infine, il problema dei costi che assunse dimensioni non marginali in termini d’oneri
finanziari ed impegno di risorse umane. Il Ministero dell’Interno, in una relazione al
Parlamento sui “programmi di protezione dei collaboratori di giustizia”, rappresentò
che, solo nei primi mesi del 1996, furono registrate circa ottomila citazioni a
comparire, per una media di cinquanta - sessanta collaboratori al giorno che si
spostavano lungo il territorio nazionale
7
. Secondo questa stessa linea di tendenza, in
un anno furono effettuati mediamente circa sedicimila servizi d’accompagnamento e
scorta per altrettanti collaboratori di giustizia. Se solo si considera che sedicimila
citazioni comportano il dispiego di almeno trentaduemila uomini, con relative spese
di missione, viaggio, vitto e alloggio, e apparso evidente la necessità di dover
intervenire con uno strumento legislativo che consentisse di assicurare garanzie in
materia di sicurezza e risparmi economici, in termini d’uomini e mezzi impiegati
8
.
Un indubbio contributo al conseguimento di tale obiettivo, non poteva che essere
rappresentato dalla previsione di una forma di partecipazione al procedimento
penale, già sperimentata con successo in altri paesi, attraverso l’installazione di un
collegamento audiovisivo tra l’aula d’udienza ed il diverso luogo in cui il detenuto-
imputato si trova. La legislazione di alcuni Paesi europei, precedendoci, aveva già
consentito, in alcune ipotesi predeterminate, l’assunzione di prove a distanza. A tale
proposito, in Islanda ed in Svezia, era possibile raccogliere dichiarazioni per mezzo
del telefono in presenza di contingenti condizioni climatiche o di particolari
situazioni geografiche. In Danimarca, era già prevista la videoconferenza nell’ambito
di processi aventi per oggetto reati sessuali in danno di minori. In Irlanda, era
ammesso il tele-esame nell’assunzione delle disposizioni, sia nella fase delle indagini
che in quella del dibattimento, qualora si procedesse per reati commessi con violenza
7
Relazione del Ministero dell’Interno al parlamento sui programmi di protezione dei collaboratori di giustizia,
1996.
8
In tal senso, cfr. la relazione dell’On. Folena presentata in Commissione Giustizia della Camera nella seduta del
15 luglio 1997, e, tra gli altri, gli interventi degli On. Mantovano e Gazzilli nella seduta del 17 luglio 1997.
Introduzione 9
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o minaccia o per reati sessuali. In Austria, era contemplata l’audizione a distanza del
testimone, quando non fosse stato possibile (ad esempio per ragioni di salute) oppure
opportuna la comparizione personale in udienza. Negli Stati Uniti d’America, infine,
il ricorso alla videoconferenza costituiva da tempo, modalità ordinaria di assunzione
della prova nei processi in cui la vittima fosse minorenne
9
.
Anzi nello Stato del Michigan addirittura è stato già approvato dal suo governatore
John Engler il progetto del Cyber - tribunale. Un tribunale virtuale con udienze e
arringhe in
tele-conferenze, documenti e prove da inviare ai giudici via e-mail. Il tribunale via
web e teleconferenze si occuperà di trattare solo dispute e cause legali di business
riguardanti fatti e controversie che riguardano il mondo degli affari e del lavoro che
avranno per contenzioso importo di almeno 25 mila dollari. Quello che già si fa nelle
aule di tribunale nostrane, per ascoltare le testimonianze e interrogare i collaboratori
di giustizia protetti per motivi di sicurezza, diventerà presto negli States, la norma
per risolvere i contenziosi di business tra società e aziende con un costo che
dovrebbe andare dai 250mila ai 500mila dollari. Questo tribunale virtuale permetterà
agli avvocati di svolgere incontri, deposizioni e riunioni on-line in funzione
dell’udienze, presentare e archiviare la documentazione relativa al processo via
Internet, comprese prove documentali, atti e certificati, e soprattutto si potrà
comparire in udienza, testimoniare, rispondere alle domande di giudici e avvocati, e
svolgere tutte le fasi del processo in teleconferenza.
Un obiettivo, per il momento delle sole videoconferenze, che il nostro legislatore ha
raggiunto con l’approvazione della legge 7 gennaio 1998 n.11, recante, appunto, la
disciplina della partecipazione al procedimento penale a distanza e l’esame in
dibattimento dei collaboratori di giustizia
10
.
L’innovazione, per la verità, non ha assoluto carattere d’originalità, anche nel nostro
ordinamento, in quanto la partecipazione mediante collegamento audiovisivo era
9
Per un’ampia e interessante rassegna di esperienze straniere in tema di videoconferenza, cfr. A. MESTITZ, La
documentazione nel processo penale e la videoregistrazione: esperienze e ricerche, in Doc.giust., 1992, c.365.
10
Per l’utilizzazione di strumenti telematici al servizio del sistema processuale, il Consiglio dell’Unione
Europea, il 23 novembre 1995, ha adottato una risoluzione con la quale gli stati membri sono stati invitati a
garantire un’adeguata protezione dei testimoni e a ricorrere, ove necessario, a sistemi di collegamento
audiovisivi, pur nel rispetto del principio del contraddittorio, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti
dell’Uomo.
Introduzione 10
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stata già prevista per l’esame in dibattimento delle persone che collaborassero con la
giustizia, dalla precedente versione dell’art.147-bis disp. att. c.p.p., introdotta dall’
art. 7 comma 2 d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito con modificazioni nella legge 7
agosto 1992 n. 356, norma anch’essa toccata dalla riforma.
Il testo originario della norma constava di un solo comma e consentiva di effettuare,
attraverso collegamento audiovisivo, l’esame delle persone ammesse, in base alla
legge, a programmi o misure di protezione. In sede di conversione del decreto, la
previsione normativa veniva poi estesa alle ipotesi di nuova assunzione, ai sensi
dell’art. 495
comma 1 c.p.p., di prove dichiarative e ai casi di grave difficoltà ad assicurare la
comparizione della persona da esaminare
11
.
Si trattava per il processo penale
12
di un’assoluta novità, non potendosi ammettere
l’impiego di apparecchiature di telecomunicazione per lo svolgimento dell’esame
dibattimentale a distanza in mancanza di un’espressa e specifica norma autorizzatoria
al riguardo
13
. Il novum è rappresentato ora dalla forma di partecipazione e
dall’esercizio della garanzia costituzionale del diritto di difesa.
11
A. MELCHIONDA, sub art.147-bis disp.att., in Commento al codice di procedura penale, coordinato da M.
CHIAVARO, II Agg., Torino, 1993, p. 306 per un’analitica disamina dell’iter parlamentare.
12
E da evidenziare che la l. l5 gennaio 1994 n. 25, novellando l’art.823 c.p.c., ha previsto, in caso di arbitrato
internazionale, la possibilità di deliberare il lodo “in conferenza personale anche videofonica”, salvo che le parti
abbiano stabilito diversamente. Cfr G. SERGIO, Processo penale e mass-media, in Doc.giust., 1995, c.55.
13
M. NUNZIATA, La partecipazione al dibattimento mediante collegamento audiovisivo a distanza: prodromo
della ventura smaterializzazione del processo penale, in Arch. n. proc.pen., 1996, p.327.