4
CAPITOLO 1. L’ORIENTAMENTO: UN PROCESSO CHE DURA
TUTTA LA VITA
In questi ultimi anni il tema dell’orientamento è stato particolarmente
dibattuto, ma non sempre si riesce a comprenderne il reale significato. La
problematica del supporto alle scelte dei soggetti in procinto di assumere
decisioni cruciali della propria «vita lavorativa» sta ricevendo, anche nel
nostro Paese, l’attenzione che richiede (Boncori, 2002). L’orientamento ricopre
infatti, in maniera sempre maggiore, un ruolo strettamente connesso ai
mutamenti in corso nel mondo sia della formazione che del lavoro. Può essere
inteso a carattere generale come “orientamento alla vita” ma in questa sede si
restringerà il campo focalizzandosi solo su quello professionale.
1.1 L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI
ORIENTAMENTO
Il concetto di orientamento ha subito, negli anni, una importante evoluzione.
E’ possibile individuare quattro distinte fasi all’interno delle quali si è evoluto
tale concetto (per approfondimenti vedi: Di Fabio, A. (1998). Psicologia
dell'orientamento. Problemi, metodi e strumenti, Firenze: Giunti):
9 Fase diagnostico- attitudinale;
9 Fase caratterologico- affettiva;
9 Fase clinico- dinamica;
9 Fase maturativo- personale.
In questa fase di evoluzione, anche la figura dell’operatore che si occupa di
orientamento è cambiata acquistando maggiore considerazione.
Chi si occupa di orientamento deve supportare chi vuole entrare nel mondo del
lavoro, aiutandolo a definire un progetto di sviluppo professionale
personalizzato in termini di mete, di individuazione di tappe intermedie e
tempi, nonché di strumenti idonei ad acquisire le necessarie competenze e a
valorizzare le capacità personali.
In questo nuovo clima, la figura dell’orientatore si propone di “…aiutare il
giovane ad assumere le responsabilità dei propri problemi, ad accettare
l’incertezza, ad essere disponibile al cambiamento e ad intraprendere una
determinata carriera.” (Castelli, 1996, p. 93).
L’aiuto fornito dall’orientatore consiste “nel rendere possibile una riattivazione
o riorganizzazione delle energie cognitive, emotive, strategiche del soggetto,
5
partendo dal presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli
permettono di sfruttare l’aiuto ricevuto e farlo diventare una propria risorsa.”
(Pombeni, p. 15).L’abilità dell’operatore consiste, inoltre, nella capacità di far
emergere i le competenze che la persona può sfruttare. Il rapporto con
l’orientatore diviene,di conseguenza, una “…relazione di aiuto per fronteggiare
e superare con successo i compiti di sviluppo connessi all’esperienza formativa
e lavorativa” (ivi, p. 16).
È evidente, quindi, come il ventaglio di competenze dell’orientatore deve
essere molto ampio e deve comprendere conoscenze relative al contesto in cui
opera e deve avere ad una grande capacità comunicativo-relazionale, una
capacità di accoglienza, di valutazione delle competenze e del potenziale delle
persone, ecc. Per tutti questi motivi è importante che l’attività orientativa non
sia lasciata al caso ma venga ben organizzata, per delineare, così precisi ambiti
di intervento. Per un operatore nel settore dell’orientamento, è importante per
attuare un percorso orientativo significativo, adottare un modello di intervento,
cioè un insieme di parametri chiari e funzionali.
Tra questi modelli, i seguenti sono quelli ritenuti più completi ed utlizzati in
ambito scolastico e di formazione professionale ( per approfondimenti vedi: Di
Fabio, A. (1998). Psicologia dell'orientamento. Problemi, metodi e strumenti,
Firenze: Giunti):
9 Modello informativo;
9 Modello psico- diagnostico;
9 Modello educativo;
9 Modello del counseling;
9 Modello psico- sociale;
9 Modello globalistico-interdisciplinare.
6
1.2 DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI ORIENTAMENTO
L’orientamento si occupa, in generale, delle scelte che l’individuo si trova a
dover prendere durante il proprio percorso sia esso scolastico o lavorativo.
Il presupposto di base è, dunque, quello di riconoscere le proprie potenzialità e
valorizzarle al massimo al fine di “venderle” al meglio.
L’orientamento professionale diventa allora un processo che implica :
9 l’allenamento del soggetto alla conoscenza di sé;
9 l’allenamento del soggetto alla conoscenza del mondo;
9 l’acquisizione di competenza decisionale per affrontare in modo
efficace il mercato del lavoro.
”L’uomo giusto al posto giusto” diventa una esigenza prevalentemente dettata
da motivazioni economiche, anche se tuttora si può affermare che un soggetto
che svolge un lavoro che gli è congeniale, rende di più ed è anche
personalmente più soddisfatto.
È possibile racchiudere l’orientamento in tre grandi aree:
- orientamento in entrata: è una forma di aiuto alla scelta che si rivolge agli
studenti dell’ultimo biennio delle scuole medie superiori, per aiutarli a
valutare: le abilità possedute, gli interessi professionali, ecc;
- orientamento in itinere: comprende gli interventi di tutorato che vengono
attivati per fornire informazioni sugli orari, piani di studio, scelta di indirizzo,
assistenza didattica per facilitare l’approccio con le discipline nuove o più
difficili, consigli sul metodo di studio ecc.
- orientamento in uscita: incontro, quindi, con il mondo del lavoro, incontri
università- imprese, opportunità di stage, ecc. Ha il compito di fornire un
supporto informativo e orientativo agli studenti iscritti agli ultimi anni dei corsi
di studio e agli studenti laureandi per affrontare nel migliore dei modi il
passaggio al mondo del lavoro o a percorsi di specializzazione post
universitari.
L'obiettivo principale è quello di creare un contatto permanente tra facoltà,
imprese, istituzioni, studenti, laureandi e laureati, assistendo gli studenti ed i
neolaureati nei contatti con le aziende, favorendo il loro inserimento
professionale e coniugando le esigenze di aziende e istituzioni con le
competenze, le esperienze e le attitudini di laureandi e neo-laureati.
7
1.2.1 Le fasi di transizione
In maniera molto tradizionale, in passato, l’arco di vita poteva essere
scandito per lo meno in tre grandi momenti: uno dedicato alla formazione
professionale ed all’inserimento nel mercato del lavoro; un secondo momento
dedicato al lavoro ed alla carriera; un terzo momento dedicato alla conclusione
della vita di lavoro ed all’uscita dal mercato del lavoro. A queste diverse fasi
corrispondevano strutture, valori ed individui diversi e ciascuna aveva in sé
stessa propri indicatori di qualità.
Oggi, però, queste fasi sono strutturate in maniera diversa e si alternano più
volte nell’arco di vita lavorativa.
L’ individuo si trova, infatti, ad affrontare spesso momenti molto importanti e
delicati di cambiamento della propria situazione sociale e lavorativa. Le fasi di
transizione sono moltissime e ricorrenti nel corso della vita, in particolare
esistono tre tipologie:
9 transizione scuola-scuola;
9 transizione scuola-lavoro;
9 transizione lavoro-lavoro.
Nel corso dell’ultimo decennio, in particolar modo, la transizione dalla scuola
al lavoro è divenuta sempre più difficile, lunga ed incerta, tanto da veder
nascere sempre più nuovi strumenti di accesso per favorire l’ingresso dei
giovani nella vita attiva.
A rendere problematiche le transizioni, sono i continui cambiamenti sociali che
avvengono in vista di un mercato del lavoro sempre più flessibile,
caratterizzato da altissime punte di disoccupazione, in particolare giovanile.
La transizione introduce nella vita del soggetto un aumento di complessità
rispetto alla situazione precedentemente sperimentata, cui segue un processo di
cambiamento che può indurre nel soggetto una certa difficoltà. In questi casi è
importante il possesso di quelle che sono definite life skill, cioè capacità
trasversali (buona capacità comunicativa, flessibilità e capacità di adattamento
a contesti diversi, capacità di imparare cose nuove e diverse, capacità di
“guardarsi dentro” e riconoscere le proprie risorse), ritenute determinanti
rispetto alla qualità complessiva della carriera lavorativa (Sangiorgi, 1997).
8
1.2.2 Le life skill
Le capacità trasversali o life skill sono fondamentali per l’individuo la
gestione consapevole, autonoma e responsabile al fine di una giusta ed
appropriata scelta. Tale decisione è tanto più di qualità, quanto più rispetta il
mondo interno ed esterno del soggetto stesso.
Nel momento in cui, nel nostro caso, un giovane laureato si appresta alla
ricerca di un lavoro, deve tener presente che è lui stesso artefice del proprio
destino lavorativo: sarà, infatti, soprattutto la sua capacità di autovalutazione
importante per la realizzazione dei suoi obiettivi.
Nel seguente lavoro di ricerca, si è cercato di analizzare le caratteristiche
individuali e l’attuale condizione lavorativa per vedere se, in qualche modo,
queste due variabili possono essere correlate. Nel nostro contesto di
riferimento, emergono due concetti impossibili da tralasciare: il Sé e l’Identità’.
Si definisce il Sé come un processo dinamico, una continua rielaborazione di
ciò che ci proviene dagli altri e delle nostre percezioni ed elaborazioni
sociocognitive; l’identità , invece, viene introdotta da Erikson come un
fenomeno psicosociale, dal momento che l’individuo si percepisce identico nel
tempo nonostante i cambiamenti interiori e di carattere. Entrambi i concetti
sono simili in quanto ambedue rinviano all’unicità di ogni persona e prevedono
un momento ottimale per il loro sviluppo iniziale ed uno sviluppo conseguente
e continuo nel corso di tutto il ciclo di vita. In particolare per quanto attiene
l’identità è necessario introdurre la differenziazione tra quella sociale e
professionale soffermandoci su quella professionale. È un concetto che risente
di fattori come la categorizzazione sociale e che si rispecchia nell’immagine
del soggetto come lavoratore e quindi come appartenente ad un particolare
gruppo professionale; è vista come un insieme di autorappresentazioni che si
sviluppano nel susseguirsi della attività svolte dal soggetto in ambito lavorativo
ed incide in modo particolare sull’autostima. Strettamente collegata
all’autostima è la motivazione al successo, intesa come “bisogno che
l’individuo ha di realizzarsi, di eccellere in qualche campo, di superare gli altri
e di acquisire nel mondo del lavoro o dello studio delle competenze
specialistiche che si traducano in prestazioni di alto livello qualitativo” ( Ricci
Bitti, Caterina in Sirigatti, 1995).
Rientrano nel quadro generale delle “decisioni di qualità”, la self-efficacy,
l’impotenza appresa e il locus of control, concetti richiamati anche nel
questionario utilizzato per la ricerca.
9
Il locus of control è una variabile psicologica che indica il grado di
percezione rispetto al controllo del proprio destino e degli eventi. Vedere il
futuro come "autodeterminabile", per esempio, da parte dell'impresa, e
comprendere l'esigenza di attivarsi senza attendere il fato, dipende
sostanzialmente dal posizionamento del locus of control aziendale. Il LoC può
essere esterno o interno. Un LoC "esterno" attribuisce prevalentemente al
destino o agli "altri" il controllo di quanto accade. Un LoC "interno" vede
invece il soggetto molto più indirizzato a considerare il destino come un effetto
delle proprie azioni. Elementi che contraddistinguono il locus of control
esterno sono:
9 sentire gli eventi come imprevedibili;
9 dipendere continuamente dagli altri anziché attivarsi nel problem-
solving e nell'autonoma ricerca di soluzioni;
9 ritenere che le variabili esterne da controllare siano eccessive e
opprimenti rispetto alle proprie capacità;
9 lo sviluppo di un senso di impotenza rispetto agli eventi;
9 la rapida perdita di motivazione, a fronte di ostacoli e difficoltà.
Predittori della presenza di un locus of control interno sono invece:
9 la ricerca attiva di strumenti, conoscenze e skills che permettono di
meglio affrontare le situazioni e i problemi;
9 ritenere che ciascun problema possa essere risolto o perlomeno
analizzato, che ciascun obiettivo sia raggiungibile (con le risorse
adeguate), senza darsi per vinti, e debbano sempre essere ricercate e
tentate soluzioni;
9 credere nei propri potenziali, attivarsi per aumentarli e svilupparli,
essere convinti e perseverare, non temere la fatica, non arrendersi;
9 la "visione" delle possibili alternative di un corso di azione finalizzato
al raggiungimento di un obiettivo e il tentativo di determinare le
probabilità di successo di ciascun corso di azione.
La self-efficacy è una dimensione introdotta da Bandura che si riferisce alla
percezione che noi abbiamo delle nostra capacità di portare a termine con
successo il compito che ci troviamo ad affrontare. “L’autoefficacia” riguarda le
nostre credenze personali, intese come capacità personali di organizzare le
azioni necessarie per conseguire determinati livelli di prestazione. La
percezione delle nostre abilità si basa su un processo di autovalutazione che
10
chiama in causa la nostra storia personale di successi e insuccessi, rispetto al
superamento dei compiti incontrati fino a quel momento. Bandura, nel definire
tale concetto, individua tre dimensioni: ampiezza, intesa come numero di
compiti che una persona ritiene di poter affrontare in situazioni problematiche;
forza, ossia il venir meno delle aspettative di autoefficacia di fronte ad
esperienze di insuccesso; infine generalizzabilità , ovvero il grado di
estendibilità delle aspettative ad altri contesti. La persona valuta la propria
autoefficacia principalmente in rapporto alle caratteristiche personali, quali
l’abilità, le motivazioni e le competenze, e a quelle situazionali. Una bassa
autoefficacia è correlata a bassi livelli di prestazioni, oltre che ad atteggiamenti
incerti e esitanti. Maggior fiducia nei confronti delle proprie capacità
decisionali influenza positivamente il nostro impegno in termini di quantità di
iniziative e di energie attivate. Normalmente tutti noi possediamo un alto senso
di efficacia per alcune attività ma non per altre.
L’impotenza appresa è identificabile nell’atteggiamento passivo
manifestato dal soggetto nel confronto con gli eventi (accettazione senza
cercare di intervenire per modificarne il corso) a causa di esposizioni ripetute a
situazioni che non risultano controllabili. Quando le persone ritengono non vi
sia nulla che essi siano in grado di fare per controllare un risultato negativo o
doloroso, possono giungere a pensare di essere inadeguate. L’impotenza
appresa si manifesta:
9 a livello cognitivo con :
- scarsa percezione di controllo;
- assenza di mezzi per controllare gli eventi;
- obiettivi orientati alla prestazione.
9 a livello emotivo con:
- depressione e tristezza;
- apatia e rassegnazione;
- ansia e paura.
9 livello motivazionale con :
- attribuzione esterna del successo;
- attribuzione interna dell’insuccesso;
- abbassamento del valore di sé.
11
1.3 LO SCENARIO EUROPEO
Quella dell’orientamento è una pratica diffusa in Italia così come in altri
paesi europei. Già negli anni passati, si sottolineava la necessità di una
formazione universitaria specifica e la necessità che ogni paese avesse un
osservatorio centrale su queste problematiche in funzione del ruolo positivo
che l’orientamento può svolgere rispetto al problema della disoccupazione
giovanile, della mobilità studentesca e dei lavoratori, degli immigrati e delle
fasce deboli in genere.
1.3.1 I modelli di orientamento
In Italia, nonostante l’accresciuta attenzione registratasi verso
l’orientamento, stenta a delinearsi un modello capace di promuovere e
valorizzare, interessi e attitudini, trasformando le iniziali differenze
interindividuali e intraindividuali da fattori di discriminazione in elementi di
ricchezza individuale e sociale.
L’Italia è un paese in cui non esiste il riconoscimento di un diploma ufficiale,
né una formazione specifica per l’orientatore di professione.
Di nonostante la rinnovata attenzione da parte di politici e studiosi attorno a
questo tema, anche nell’intento di recuperare il gap rispetto agli altri paesi
europei, non si può dire che siano stati raggiunti risultati ragguardevoli. Anzi, è
possibile ipotizzare, a livello territoriale, numerose disparità in termini di
efficienza e qualità del servizio svolto. Resta ancora molto da fare tanto per
mettere a punto una legge che indichi ruoli, compiti e competenze, quanto per
delineare una chiara figura professionale con relativo profilo di formazione,
adeguata ad incarnare questo importante ruolo di raccordo tra i diversi soggetti
che si incontrano nella delicata fase di transizione alla vita attiva.
In Francia, invece, si assiste ad una grande attenzione al mondo adulto
attraverso il bilancio di competenze, come risposta al problema della gestione
delle risorse umane e alla domanda sociale di inserimento o reinserimento
professionale. La sua finalità è quella di mettere l’individuo nelle condizioni di
prendere coscienza dei propri saperi e del proprio saper fare per renderli
manifesti agli altri.
Il percorso di orientamento prevede una stretta collaborazione tra la famiglia
degli allievi, gli insegnanti e gli operatori dell`orientamento al fine di costruire