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postnatale, riferibili come maternity-blues, forma molto diffusa di oscillazioni
umorali della donna nelle ore immediatamente successive al parto e
relativamente fisiologica, e psicosi puerperali, forma fortunatamente poco
diffusa ma ben più grave, come si vedrà, delle due condizioni descritte poco
sopra. La tesi è strutturata in 3 capitoli.
Nel primo capitolo si è cercato di cogliere gli aspetti salienti della gravidanza
come esperienza psichica; partendo dall’assioma che la gravidanza e la
maternità rappresentano una fase evolutiva delicata nel processo di sviluppo
della donna e che, tale processo è accompagnato da una serie di trasformazioni
che dovranno essere successivamente rielaborate, si è cercato di comprendere
quali sono i quei meccanismi che contribuiscono ai cambiamenti psichici cui la
donna va incontro. Questo percorso è stato affrontato attraverso i contributi dei
principali autori di orientamento psicoanalitico, focalizzando in particolare
l’attenzione sui contributi offerti nella concettualizzazione della “maternità” e
della “gravidanza”. Nella seconda parte del capitolo mi è sembratto opportuno
affrontare l’ambito di studio delle rappresentazioni materne in gravidanza,
delineando prima il concetto, in generale, di “rappresentazione” in psicologia e,
successivamente affrontando l’argomento delle “rappresentazioni in gravidanza”
; si vedrà come in alcuni casi le discrepanze che possono emergere tra la
fantasia e la realtà, possano portare la donna a sviluppare dei sentimenti di
tristezza che possono essere, nelle forme più lievi, rappresentabili dalla
3
maternity-blues.
Il secondo capitolo è dedicato alla depressione postpartum; dopo aver affrontato
i due poli estremi del disturbo depressivo che può insorgere nel postpartum,
rappresentati dalla maternity-blues e dalla psicosi puerperale, viene affrontato il
disturbo della depressione postpartum, dando inizialmente un’inquadratura
storica del disturbo e successivamente, attraverso la letteratura scientifica in
merito, affrontare l’insorgenza, l’incidenza e gli aspetti clinici di tale disturbo. Il
capitolo prosegue affrontando i principali fattori di rischio, di diversa natura, che
interagendo tra loro possono influire affinchè possa essere facilitata
un’insorgenza della depressione postpartum; verranno quindi affrontati i fattori
principali riscontrati in letteratura quali: fattori biologici, ostetrico-ginecologici,
psicosociali, psicologici. Il capitolo si chiude affrontando i fattori di protezione
rispetto all’insorgenza della depressione postpartum; fattori che riescono a
ridurre la vulnerabilità al rischio del disturbo.
Nel terzo capitolo si è cercato di racchiudere i vari modelli interpretativi della
depressione postpartum attraverso l’ottica cognitivo-comportamentale e
psicodinamica; successivamente si affronterà il modello biopsicosociale per
descrivere un nuovo modello teorico della depressione postpartum: il modello
biopsicosociale postnatale, sviluppato da Milgrom e collaboratori, ma che
ancora risulta essere un modello ipotetico e non ancora del tutto completo data
la diversità di fattori che si ritiene svolgano un ruolo importante nella
4
depressione postpartum. La seconda parte di questo capitolo è dedicata agli
effetti della depressione postpartum nella donna e, conseguentemente, anche
nel partner e nella relazione madre-bambino, affrontando in un paragrafo anche
i possibili danni a lungo termine che tale disturbo può apportare nello sviluppo
del bambino. Successivamente vengono affrontati la valutazione, attraverso
questionari self-report e colloqui psichiatrici strutturati, e il trattamento del
disturbo depressivo postpartum attraverso i principali modelli di riferimento
psicologici. Il capitolo si conclude con una serie di raccolte recentissime
riguardanti gli studi effettuati in contesti non occidentali sulla depressione
postpartum; l’obiettivo che accomuna molte di queste ricerche è stato quello di
indagare quanto possa influire il contesto culturale nell’insorgenza del disturbo,
cercando così di riuscire a rintracciare aspetti transculturali che riguardassero la
depressione postpartum.
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CAPITOLO 1
LA GRAVIDANZA COME ESPERIENZA PSICHICA
1.1 UNA DONNA DIVENTA MADRE, UNA MADRE RESTA DONNA
La gravidanza e la maternità rappresentano una fase evolutiva delicata e
cruciale nel processo di sviluppo dell’identità della donna e sanciscono l’inizio di
una serie di trasformazioni che devono essere elaborate e integrate in un nuova
rappresentazione di Sé e del complesso mondo di relazioni oggettuali, nonché
del rapporto con la realtà esterna. La nascita di un figlio è un evento
condizionato da diversi fattori: fisici, psicologici e sociali. In particolare, da un
punto di vista biologico, l’organismo diventa un laboratorio che si attiva per
garantire la vita e lo sviluppo del nuovo individuo e per creare lo spazio fisico
che accolga il nuovo essere attraverso una modificazione corporea vistosa e
importante. Da un punto di vista psicologico, si assiste ad una mobilitazione
molto impegnativa di forze intrapsichiche attraverso le quali la donna deve
fronteggiare il riapparire di conflitti dovuti a un aumento della permeabilità tra la
sfera somatica e gli aspetti mentali e delle riverberazioni e interferenze
reciproche tra tali piani.
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Da un punto di vista sociale, si assiste a quella che Stern (1995) chiama
modificazione della “costellazione materna”, definendo in questi termini la
condizione di riorganizzazione della vita della donna che si riflette
inevitabilmente sul complesso di relazioni significative.
Sebbene nei Paesi occidentali, così come in altre culture, la nascita di un figlio
venga considerata come un evento gioioso, un motivo di festeggiamenti, di
soddisfazione e di speranza, il vissuto privato della nascita è spesso in netto
contrasto con questa immagine idealizzata della maternità. Molti studi in
letteratura sottolineano che la gravidanza sia un periodo in cui la donna
sperimenta tristezza e ansia, soprattutto nei primi giorni dopo il parto. In
particolare, la maggior parte degli autori (Benedek, 1956; Bibring e al., 1959,
1961) parla di “crisi transizionale normale” riferendosi allo squilibrio emotivo
della donna gravidica e alla sua vulnerabilità psicologica. Accostarsi alle
problematiche che riguardano la gravidanza e il postpartum presuppone un
approccio globale che tenga conto dei vari aspetti coinvolti e soprattutto bisogna
considerare che, mentre gli elementi biologici nella loro consequenzialità si
realizzano in modo prevedibile e relativamente omogeneo, tranne i casi in cui la
comparsa di una patologia modifichi i singoli casi, gli elementi psicologici e
sociali, non soltanto correlati al presente, ma inseriti anche nella vicenda
esistenziale della donna, danno luogo a una variabilità di situazioni assai ampie
e di difficile codificazione.
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Le variazioni nelle modalità di adattamento alla nuova situazione che possono
presentarsi sono molto ampie e vengono quantificate in base all’intensità e alla
gravità delle modificazioni del tono dell’umore. Si tratta di situazioni che pure
rappresentando posizioni che si inscrivono in un continuum, per cui l’una può
sfociare nell’altra, vengono indicate per semplificazione nosografica in
crescendo come: Maternity Blues, Depressione Post-Partum (DPP), Psicosi
Puerperali o del Post-Partum.
I disturbi dell’umore ad insorgenza nel post-partum richiamano l’attenzione di
medici e clinici non solo per le conseguenze dirette che hanno sul benessere
psicofisico della madre, ma anche per quelle che possono avere sull’instaurarsi
di una sana relazione affettiva con il proprio bambino.
1.2 CONTRIBUTI PSICOLOGICI E PSICOANALITICI NELLA
CONCETTUALIZZAZIONE DELLA GRAVIDANZA
Gli studi psicoanalitici sulla gravidanza e sulle sue dinamiche psichiche si sono
sviluppati a partire dagli anni ’40 e, grazie soprattutto ai notevoli contributi che
hanno arricchito la letteratura psicoanalitica degli ultimi anni, è stato possibile
teorizzare una nuova concettualizzazione della gravidanza considerandola un
momento evolutivo fondamentale nello sviluppo dell’identità femminile. In
origine, lo stesso Freud (1915a) aveva pensato alla gravidanza in relazione allo
sviluppo infantile, sostenendo che l’ingresso della bambina nella fase edipica
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fosse sancito dalla comparsa del suo desiderio di maternità, in cui il bambino
desiderato era il frutto di una relazione fantasmatica col proprio padre. In
seguito, Freud (1922, 1938) anticipò l’origine del desiderio di maternità alla fase
pre-edipica femminile, sostenendo la presenza di un legame di attaccamento
simbiotico della bambina alla madre, con la quale ella si identifica e condivide il
desiderio di ricevere o dare un bambino. In entrambi i casi, il bambino
rappresentava il desiderio di sostituire il pene mancante. Successivamente, la
Deutsch (1945) valorizza la funzione ricettivaritentiva della donna e attribuisce il
desiderio di maternità alla naturale tendenza della psiche femminile a tenere
dentro di sé e a prendersi cura. Nella sua concettualizzazione teorica l’autrice
prende le distanze dall’assunto freudiano che concepisce la maternità come un
evento riparativo della donna, che soffre della mancanza del pene, ma definisce
la maternità come un processo che è al confine tra il biologico e lo psichico,
sottolineando come su di essa si fonda la femminilità e il sentire materno.
Riprendendo la teoria della Deutsch, la Benedek (1956) concepisce la
gravidanza come un evento psicosomatico e coglie delle interdipendenze tra le
tendenze psicologiche, manifestazioni emozionali e modificazioni fisiologiche.
Anche Erikson (1964), in accordo con la Deutsch, sostiene che la funzione
materna sia strettamente legata alla propensione naturale femminile a creare
uno spazio interno di accoglimento per la propria creatura. La Bibring (1959,
1961) definisce il processo della gravidanza come una “crisi maturazionale
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normale”, che rappresenta una tappa fondamentale nel ciclo vitale della donna.
Durante questo periodo cambia l’immagine che la donna ha di sé, poiché si
verifica una sorta di destrutturazione e riorganizzazione del senso della sua
identità e dei propri investimenti affettivi, oggettuali e narcisistici. In questo
processo vengono rivissuti e rielaborati i conflitti infantili relativi a fasi precoci
dello sviluppo e, in particolar modo, alle relazioni e identificazioni con la figura
materna. Rispetto a questa crisi di identità, a cui fa riferimento la Bibring,
Pazzagli (1981) sostiene che con la maternità la donna deve affrontare un
complesso riassestamento globale della personalità. Secondo la
concettualizzazione teorica dell’autore, il processo di sviluppo dell’identità si
attua attraverso l’integrazione di tre aspetti fondamentali, soggetti a continue
rotture e assestamenti, quali:
1. relazione e coesione tra le diverse parti del sé;
1. rappresentazioni del sé nel tempo;
2. rapporti tra aspetti del sé e degli oggetti.
La maternità crea un indebolimento di questi fattori fondamentali e ciò comporta
inevitabilmente lo sviluppo di un senso più fragile dell’identità. I confini di questo
nuovo Sé, frutto di una riorganizzazione della propria realtà interna e del proprio
mondo psichico, tenderanno a confondersi con alcune aree del passato
riguardanti l’immagine di Sé come bambina, l’immagine dei propri genitori e dei
rapporti fra sé-bambina e gli adulti significativi sia nella realtà che nella fantasia
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(Ammaniti, 2007).
Per il riassestamento della sua personalità, la donna deve trovare un
compromesso tra le fantasie e le rappresentazioni fatte in gravidanza e la realtà
del postpartum. A livello interno, la confusione dell’identità deriva
dall’oscillazione tra l’immagine di sé prima della gravidanza, l’immagine di sé
come donna-madre costruita sulla base dell’identificazione con la propria figura
materna, e l’immagine del bambino, con la quale la neomamma si identifica e
attraverso cui ella rivive il rapporto infantile con la madre. Per Dinora Pines
(1972, 1982) l’attesa di un figlio rappresenta un’occasione in cui la donna
verifica o completa il processo di separazione-individuazione, soprattutto nei
confronti della madre. Con la gravidanza e la maternità la donna raggiunge una
più complessa individuazione di sé stessa, poiché è donna e madre, e elabora
la differenziazione dei propri confini personali e del proprio spazio interno
rispetto alla propria figura materna, al partner e alle altre persone significative.
Affinché questo processo si completi con successo, la donna deve affrontare
una serie di compiti adattivi e trasformativi che vengono attivati da modificazioni
somatiche e psichiche. A tal proposito, Ammaniti (1992) sottolinea la maggiore
permeabilità tra la sfera somatica e la sfera mentale nella donna incinta, che
deriva dal fatto che durante la gravidanza ella vive una serie di trasformazioni
psicofisiche che attivano a un livello profondo una doppia identificazione con la
figura materna che accudisce (riferendosi al feto che cresce e al bambino che
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nascerà) e con l’immagine di sé stessa che viene accudita. Questa duplice
esperienza richiama la desiderata e idealizzata unione infantile con la madre. In
particolare, molti autori (Deutsch, 1945; Benedek, 1959; Bibring, 1961; Pines,
1982; Breen, 1992) evidenziano l’importanza dell’identificazione della donna con
una “buona immagine materna”, vale a dire con una madre onnipotente e fertile,
capace di dare la vita, e contemporaneamente l’identificazione con se stessa
bambina. La Pines (1982, 1988) sostiene che su questi aspetti si fondi la
distinzione tra desiderio di gravidanza e desiderio di maternità. Il desiderio di
gravidanza è legato al bisogno narcisistico della donna di provare a sé stessa
che il proprio corpo funziona come quello della madre, mentre in quello di
maternità ciò che prevale è la disponibilità a occuparsi e prendersi cura del
bambino. Il desiderio di avere un bambino viene espresso attraverso modalità
rappresentative e immaginative fantastiche che sono strettamente legate alla
storia personale della donna e al suo sviluppo psichico (Lipari E., Speranza A.
M., 1992, pag.32-36). Durante la gravidanza le fantasie acquistano un valore
importante quando la donna cerca di formarsi una precisa rappresentazione del
bambino nella propria mente o in condivisione col partner. Queste fantasie non
sono solo coscienti, bensì vivono anche a livello inconscio: si tratta del bambino
che sta nell’oscurità della mente della madre, il “bambino del sogno” di Vegetti
Finzi (1991) o il “bambino fantasmatico” di Lebovici (1983), frutto delle
dinamiche e dei conflitti edipici e preedipici della madre. Pertanto, il bambino
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può essere atteso come il “messia” che deve riscattare la madre, oppure come
afferma Ferenczi (1914) viene rappresentato e vissuto come il “parassita”, che
personifica le tendenze orali che si teme possano svuotare il seno materno. Sul
versante della madre, spesso si possono trovare fantasie di sé nell’esplicazione
della funzione materna, in cui la donna si rappresenta come “madre salvifica”,
disposta a sacrificarsi per il figlio, oppure come “madre terra”, che crea e dona
vita, o ancora come “madre seduttiva”, che tiene il figlio inestricabilmente legato
a sé. La gravidanza sembra essere, dunque, uno dei momenti in cui il profondo
rapporto tra fantasia e realtà può essere caratterizzato da una forte oscillazione
per cui uno sbilanciamento dell’aspetto fantasmatico può produrre un
rallentamento del processo adattativi alla realtà, mentre una energica
limitazione delle fantasie può essere attuata in maniera difensiva per negare la
naturale ambivalenza intrinseca nel processo di gravidanza. Avendo esposto fin
qui una breve riflessione analitica sui cambiamenti che una gravidanza
comporta per la donna relativamente alla costruzione di una nuova immagine di
sé, ritengo opportuno affrontare il discorso sullo stile materno che si sviluppa in
gravidanza. In particolare, attraverso i suoi studi Raphael-Leff (1991) sostiene
l’esistenza di due diversi orientamenti materni che si differenziano notevolmente
tra loro e che permettono poi evoluzioni specifiche e prevedibili nel postnatale:
la madre facilitante e la madre regolatrice. Queste due modalità sono
considerate i due estremi di un ventaglio di possibili combinazioni e raramente si
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presentano in modo così “puro” nella pratica clinica. Lo stile materno “facilitante”
è caratteristico di quelle donne che vivono la maternità come un’esperienza
conclusiva della loro identità femminile. Esse tendono ad abbandonarsi alla
regressione psichica che consente loro di vivere pienamente l’unione fusionale
col bambino e l’identificazione con la madre dell’infanzia. Con la percezione dei
primi movimenti fetali prende corpo la differenziazione dal bambino e emergono
i conflitti che si riferiscono al la relazione con la figura materna. L’elaborazione e
la risoluzione dei conflitti portano la donna a mostrare orgoglio per la sua
gravidanza e le consentono di accettare i cambiamenti e di prepararsi al parto e
alla nascita del bambino, con l’idea di allattarlo e curarlo. La madre “regolatrice”,
invece, considera la gravidanza come un passaggio obbligato per avere un
bambino e prova fastidio per le trasformazioni corporee, resiste alla
disorganizzazione psichica che contraddistingue questa fase evolutiva e rinforza
le difese e le razionalizzazioni. Cerca di evitare la regressione come anche
l’esperienza mentale di fusione con il feto. I movimenti fetali sono alieni, le
fantasie sul feto sono limitate e l’attesa che la gravidanza si concluda presto è
predominante nei suoi vissuti. Si riattivano dei conflitti antichi e il dolore per
precoci ferite narcisistiche, pertanto il processo di elaborazione e risoluzione di
questa esperienza è più complesso e difficoltoso.
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2. EMOZIONI E CAMBIAMENTI NEL CORSO DELLA GRAVIDANZA NELLA
VITA PERSONALE
Molti autori concordano nel ritenere che la gravidanza sia un evento
psicosomatico, come aveva sostenuto inizialmente la Benedek (1956), e che
esistono delle trasformazioni psichiche che regolarmente si attuano in
corrispondenza a specifiche trasformazioni corporee, che si verificano durante il
periodo della gestazione. Per esempio, la percezione dei primi movimenti fetali
è considerata un momento fondamentale nella riorganizzazione dell’assetto
psichico della donna incinta. De Benedetti Gaddini (1992) sostiene che sia
proprio dai movimenti fetali che si origina la cosiddetta “preoccupazione
materna primaria”, intesa come capacità di offrire cure e condividere stati
emotivi col feto prima e col bambino successivamente. Pertanto, ritengo
opportuno trattare il tema della distinzione in stadi del processo della
gravidanza, in modo da collocare meglio questi cambiamenti psicofisici e
cercare di riflettere su alcuni aspetti che costantemente emergono
nell’esperienza e nei vissuti delle donne incinte. Citerò qui di seguito autrici
come la Bibring (1959, 1961), la Pines (1972, 1982), la Raphael-Leff (1980) e la
Breen (1992), che hanno proposto una schematizzazione delle fasi evolutive
della gravidanza privilegiando un’ottica psicoanalitica. La Bibring (1959, 1961)
individua due stadi della gravidanza a cui associa due importanti “compiti
adattativi”. Il primo si riferisce all’accettazione dell’embrione prima e del feto poi,
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come parte integrante del sé. Questa fase si colloca temporalmente nei primi
mesi di gravidanza, quando la donna vive un rapporto fusionale-simbiotico col
feto. Essa perdura fino a quando non compaiono i primi movimenti fetali che
segnano l’ingresso nel secondo stadio, quello della riorganizzazione delle
relazioni oggettuali e della preparazione all’evento della nascita-separazione dal
bambino. In effetti, avvertendo la presenza del bambino che si muove nel suo
grembo, la madre comincia a considerarlo come altro da sé. Come afferma la
Bibring, “i movimenti fetali rompono l’unità narcisistica precedente e introducono
innegabilmente il bambino come nuovo oggetto dentro il sé […]. Questa parte di
sé che comincia a muoversi indipendentemente e che viene riconosciuta come il
bambino che sta per nascere, comincia ad essere percepita come se fosse un
altro oggetto, e questo prepara lentamente la donna al parto e alla separazione
anatomica” (1961, pag. 9-23). Un’altra autrice che sottolinea l’importanza della
suddivisione del processo gravidico in stadi è Dora Pines (1972, 1982), che
individua quattro fasi e mette in evidenza le fantasie e gli eventi somatici che si
manifestano in questi periodi. L’autrice distingue il primo stadio che va dal
concepimento alla percezione dei primi movimenti fetali; il secondo va dalla
percezione dei movimenti fetali fino agli ultimi mesi di gravidanza; il terzo che
precede il parto e il quarto che si colloca dopo il parto.