possibile e riparati ogni volta che essi si verificano. L’innocente viene
quindi elevato a cardine dell’ordinamento penale.
Gli illuministi non distinguono, ai fini della riparazione, tra
imputato e condannato, ma affermano che ogni tipo di ingiusta
detenzione, sia essa in forma di carcerazione preventiva, sia essa in
forma di condanna, deve essere risarcita, in quanto ogni restrizione di
libertà arreca all’innocente uguale pregiudizio.
La riparazione non viene considerata come il rimedio alla
detenzione ingiusta, in quanto non ha il potere di rimuovere le
sofferenze subite dall’innocente, ma come la possibilità di alleviare il
più possibile il pregiudizio da esso sofferto, limitando le conseguenze
negative della carcerazione.
La riparazione degli errori giudiziari viene per la prima volta
disciplinata nella legge leopoldina del 1786 ai sensi del cui articolo
XLVI hanno diritto di essere indennizzati “quelli individui, i quali per
le circostanze dei casi o certe combinazioni fatali si saranno trovati
senza dolo o colpa di alcuno sottoposti ad esser processati
criminalmente e molte volte ritenuti in carcere, con pregiudizio del
loro decoro e interesse e di quello della loro famiglia e saranno poi
stati riconosciuti innocenti e come tali assoluti”.
Tale norma rappresenta il punto di partenza cui prenderanno
spunto le legislazioni degli anni successivi, quali il codice penale del
Regno delle due Sicilie
1
e il codice “d’instruction criminelle” del
1
L’articolo 35 del codice per il Regno delle due Sicilie istituiva per ogni provincia o valle
l’amministrazione di una “Cassa delle Ammende”, le cui somme erano volte al “ristoro dei danni
ed interessi e delle pene sofferte principalmente dagli innocenti perseguitati per errore o calunnia
nei giudizi penale e quindi dai danneggiati più poveri”.
1810. Anche se l’istituto sopravvive legislativamente alle
codificazioni toscana del 1786 e napoleonica del 1819, il principio
della tutela dell’innocente cui esso si fonda viene recepito unitamente
agli ideali di libertà, umanità e civiltà affermati dagli illuministi, in
tutte le legislazioni dell’Italia preunitaria.
Durante il decennio successivo all’Unità d’Italia il tema della
riparazione per ingiusta detenzione assume un notevole impulso.
Mentre la prima legislazione nazionale non menzionava l’istituto,
in quanto era la mera riproposizione del codice preunitario del Regno
di Sardegna, esso viene disciplinato a partire dal primo codice penale
unitario. In primo luogo nei vari progetti di codice penale si afferma
l’esigenza di distinguere tra riparazione dei danni derivanti
dall’ingiusta carcerazione preventiva e il risarcimento dei danni subiti
dalle vittime di reati, avvertendo quindi che i due istituti si fondano su
principi completamente diversi.
Fallito il tentativo di introdurre l’istituto nel codice penale, il
ministro Zanardelli avanza l’ipotesi di disciplinare la riparazione per
ingiusta detenzione nel codice di procedura penale. Durante i lavori
per la redazione del nuovo codice di rito emerge l’ipotesi di
disciplinare la riparazione del solo errore giudiziario risultante dai
procedimenti di revisione del processo, con l’esclusione quindi dei
casi di carcerazione preventiva. Si afferma quindi il principio, secondo
il quale, debba essere garantito un indennizzo, in ogni caso in cui vi
sia stata lesione della libertà personale e della dignità morale del
condannato, commisurando la riparazione pecuniaria alla durata della
condanna.
Nella proposta di legge Lucchini e nei successivi disegni di legge
del 1905, del 1909 e del 1911, si compie solo un leggero passo avanti
verso il riconoscimento dell’istituto della riparazione per ingiusta
detenzione riconoscendo il diritto all’indennizzo agli individui
bisognosi di soccorso, salvo i casi di proscioglimento istruttorio di
precedenti condanne alla reclusione e di assoluzione per insufficienza
di prove o per estinzione dell’azione penale
2
.
L’istituto viene accolto per la prima volta nel codice di procedura
penale del 1913, che disciplina la riparazione per errore giudiziario
agli articoli 551, 552 e 553, accordando una riparazione pecuniaria a
titolo di soccorso, agli assolti nel giudizio di revisione.
Nel codice del 1913 è recepita una diversa ratio, alla base
dell’istituto della riparazione dell’errore giudiziario e dell’istituto
della riparazione per l’ingiusta carcerazione preventiva, in quanto è
sancito che la provvisorietà della custodia cautelare e l’inevitabile
incertezza che accompagna le indagini preliminari, siano sufficienti a
negare il carattere di ingiustizia di quest’ultima.
2
Il progetto di legge Lucchini riconosceva il diritto alla riparazione a chi “essendo stato
ingiustamente sottoposto a procedimento penale ed a carcerazione per oltre un anno, venga
definitivamente prosciolto in pubblico giudizio da un tribunale o da una corte e si trovi in
condizioni economiche bisognevoli di soccorso”; l’articolo 600 del codice Finocchiaro Aprile del
1905 prevedeva una riparazione pecuniaria a carico dello Stato per “coloro i quali avessero espiato
una pena restrittiva della libertà personale per oltre tre anni e si fossero trovati in condizioni
economiche bisognevoli di soccorso; la stessa disposizione venne poi riprodotta nell’articolo 54
del progetto di riforma del codice di procedura penale del 1909 e nell’articolo 625 di quello del
1911.
Si temeva inoltre che una riparazione troppo estesa potesse
tradursi nella limitazione del ricorso al carcere preventivo. Il principio
fondamentale di tutela dell’innocente non viene però mai meno, come
dimostra la previsione nel progetto del codice penale Ferri del 1921, di
una Cassa delle ammende destinata a ristorare gli imputati assolti.
Tuttavia, anche questo tentativo fallisce e la Cassa delle Ammende
rimane esclusa dal progetto definitivo del codice di rito penale.
1.2 La disciplina della riparazione per ingiusta detenzione nel
codice del 1930
A partire dal secondo decennio del nostro secolo il problema
dell’errore giudiziario assume una notevole importanza nell’ambito
delle nuove teorizzazioni giuridiche. In particolare si cerca di porre
l’attenzione sulle norme giuridiche e di rifiutare ogni teorizzazione e
ogni principio astratto. In questo quadro si afferma il rifiuto del
principio di presunzione di innocenza, considerato - da un lato - un
concetto fondato su principi del tutto atecnici ed astratti - dall’altro -
ritenuto in contrasto con la previsione della custodia preventiva,
perché l’imputazione avrebbe dovuto costituire una presunzione di
colpevolezza.
Arturo Rocco è il primo a cimentarsi nel tentativo di individuare
il fondamento giuridico dell'istituto della riparazione dell’errore
giudiziario. Egli sostiene che tale istituto sia fondato sull’obbligo
giuridico di pubblica assistenza imposto allo Stato, senza distinguere
tra le diverse ipotesi di errore
3
.
Alla tesi di Rocco si contrappone quella, secondo la quale, la
riparazione per errore giudiziario trova il fondamento nella
responsabilità per atti illeciti, mentre la riparazione per ingiusta
3
V. A. Rocco, Natura e fondamento giuridico della riparazione alle vittime degli errori giudiziari,
in Opere giuridiche, vol. II, Roma 1932, pag. 292.
carcerazione preventiva trova il fondamento nella responsabilità per
fatti illeciti
4
.
Tale teoria viene criticata da Rocco, il quale nega un diritto di
libertà in capo all’imputato in stato di carcerazione preventiva quindi
il diritto alla riparazione. Secondo questo autore, infatti stabilire tale
obbligo, significherebbe affermare che lo Stato ha la facoltà di
limitare ingiustamente la libertà personale del cittadino, previo il
pagamento di un indennizzo. Prevale tale tesi ed è proprio sullo spunto
di essa, che prendono avvio i lavori preparatori per il codice di
procedura penale del 1930.
L’articolo 571 c.p.p. del 1930 riconosce il diritto alla riparazione
solo a chi sia stato assolto a seguito di giudizio di revisione, purché
abbia espiato, in conseguenza della sentenza annullata, almeno tre
mesi di pena detentiva, o a chi sia stato sottoposto a misura di
sicurezza detentiva, per analoga durata, o a chi abbia ottenuto una
somma a titolo di risarcimento del danno subito, senza però aver
goduto di un’efficace riparazione, sempre che sia riconosciuto, per le
sue condizioni economiche, il bisogno di un soccorso per sé e per la
famiglia.
Il principio della riparazione sancito nel codice Rocco, si basa
quindi sullo stato di bisogno e non sull’ingiustizia della condanna, in
quanto la restrizione di libertà subita dal condannato ingiustamente
dovrebbe essere considerata come il risultato di necessità naturali e
4
V. G. P. Ghironi, Colpa extra contrattuale (aquilana), vol. I, Torino 1886, pag. 354 – V. E.
Orando, Saggio di una nuova teoria sul fondamento giuridico della responsabilità civile e
problemi della responsabilità diretta dello stato, in Arch. Dir. Pub., 1885, vol. III, pag. 370.
quindi, come tali, essere sopportata. La riparazione, di conseguenza,
non viene elevata ad un vero e proprio diritto soggettivo, ma, in
quanto correlata allo stato di bisogno, è riconosciuta soltanto a titolo
di interesse protetto. E’ inoltre esclusa, ai sensi del comma 2
dell’articolo 571 c.p.p, l’aspettativa di un sussidio da parte dell’erario,
nel caso in cui il ricorrente riporti un’altra condanna per delitto, in
tempo anteriore o posteriore alla sentenza di condanna annullata.
Con la Costituzione del 1948, che recepisce il diritto alla
riparazione
5
, sorge il problema dell’interpretazione del contenuto
dell’istituto e dell’esigenza di adeguarne la disciplina ai principi dello
stato democratico. In considerazione del riconoscimento del diritto
alla riparazione ex articolo 24 Cost., emerge l’esigenza di un
intervento legislativo, che avverrà con la legge 23 maggio 1960 n°
504, che modificherà gli articoli 571-574 c.p.p.
Anche la nuova disciplina contenuta nella legge sopracitata
subordina la domanda di riparazione alla sentenza di assoluzione,
emessa in sede di revisione della condanna definitiva, con le formule
perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso,
ma l’azione di riparazione non viene più vincolata all’esistenza di
disagiate condizioni economiche dell’interessato o della sua famiglia.
Si riconosce infatti al prosciolto un vero e proprio diritto soggettivo,
scaturente da un danno obiettivamente ingiusto, provocato non da un
fatto illecito, ma da un errore commesso nell’ambito di un’attività
legittima, quale è l’amministrazione della giustizia. Il diritto alla
5
L’articolo 24 comma IV Cost. sancisce: “La legge determina le condizioni e i modi per la
riparazione degli errori giudiziari”.
riparazione presuppone quindi l’ingiustizia della condanna, subita per
effetto di errore non imputabile al giudice.
Anche se viene compiuto un fondamentale passo avanti verso
l’attuale disciplina dell'istituto, grazie al riconoscimento della natura
di vero e proprio diritto soggettivo della riparazione dell’errore
giudiziario, rimane sempre esclusa anche nel codice Rocco, come
modificato dalla legge n° 504 del 1960, la riparazione per ingiusta
custodia preventiva, per la cui regolamentazione occorrerà attendere la
stesura del codice di procedura penale del 1988.
1.3 L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione nella
Costituzione del 1948
La costituzione del 1948 sancisce il principio della riparazione
degli errori giudiziari, considerandolo per la prima volta un diritto
soggettivo della vittima dello stesso errore
6
, in quanto corollario del
diritto di difesa sancito dall’articolo 24 comma 1.
Ai sensi dell’articolo 24 c. IV della Costituzione la legge
determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori
giudiziari. Dalla lettera di tale articolo emerge il fatto che il
presupposto e titolo per la riparazione è l’accertamento dell’errore
giudiziario, che consiste in un’attività distinta dalla richiesta di
riparazione, in quanto ne sono diversi i fini. L’accertamento
dell’errore è condizione stessa per l’accoglibilità della richiesta, ma
non è volto alla soddisfazione della pretesa della parte interessata,
bensì viene considerato attività inerente alla funzione giurisdizionale.
Perché sorga il diritto alla riparazione è sufficiente l’esistenza
dell’errore, indipendentemente dalla natura di esso e dal
comportamento del giudice. Il diritto alla riparazione non è quindi
azionabile in via subordinata all’esistenza di un danno causato
dall’errore giudiziario, ma sorge in relazione all’accertamento
dell’errore in quanto tale.
7
La norma si riferisce alle condizioni e ai modi per la riparazioni e
occorre quindi indicare cosa il costituente abbia inteso con tale
6
Per una diversa lettura dell’istituto, vedi retro paragrafo 1.2
7
V. Vincenzo Sica, La riparazione degli errori giudiziari, in Rass. Dir. Pub. 1955, pag. 544 ss.
formula. Con il termine “modi” si indicano le forme e le procedure
secondo le quali si realizza la riparazione. Per quanto riguarda la
parola “condizioni”, essa si distingue dal concetto di “titolo di
legittimazione” al diritto e quindi non si possono considerare
condizioni per la riparazione alcuni particolari requisiti, quali il
bisogno del soggetto o della sua famiglia. Se si interpretasse così il
termine “condizioni” si stravolgerebbe la ratio dell’articolo 24 Cost.,
in quanto si subordinerebbe il diritto alla riparazione a presupposti
ulteriori rispetto al solo verificarsi dell’errore giudiziario. Quindi
l’articolo 24 Cost., da un lato impone l’obbligo dello Stato di riparare
gli errori giudiziari, dall’altro contiene una riserva di legge in materia
di condizioni e modi nei quali le vittime di tali errori debbano essere
soddisfatte
8
.
L’ultimo comma dell’articolo 24, secondo la concezione della
dottrina e della giurisprudenza comune, che sembra doversi accogliere
senza riserve, va letto, in quanto espressione del diritto di difesa,
unitamente ai commi precedenti e si considera quindi volto a garantire
a tutti gli individui la tutela giudiziaria
9
.
Restano aperti, in relazione allo stesso comma, alcuni problemi
interpretativi
10
, ma l’avvento della Costituzione del 1948 ha in ogni
caso rappresentato un passo fondamentale, verso l’affermarsi della
necessaria riparabilità dell’ingiusta detenzione, in quanto risolleva la
8
V. Vincenzo Sica, La riparazione degli errori giudiziari, in Rass. Dir. Pub. 1955, pag. 548 ss. –
Flazone – Palermo – Cosentino, La costituzione della Repubblica italiana, 2° ed., Roma 1954,
pag. 20 ss e in giurisprudenza, Corte Assise appello Napoli, sez. I, 25 ottobre 1954, Rass. Dir.
Pubb. 1954, pag. 589.
9
In tal senso v. V. Sica, La riparazione degli errori giudiziari, cit., pag. 555 ss.
10
Vedi infera 3.2.
questione del fondamento giuridico della riparazione e fa sorgere un
dibattito sulla legittima limitazione della riparazione al solo errore
giudiziario.
Segue: L’interpretazione dell’articolo 24 comma 4 Cost.
L’articolo 24 comma 4 Cost è stato considerato come un
rafforzamento della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo sancita
dall’articolo 2 Cost, in quanto esso prevede un’ulteriore tutela per tali
diritti intaccati dall’ingiusto esercizio della funzione giurisdizionale ed
in quanto stabilisce che il rischio di errore debba essere attribuito non
al singolo giudice, ma all’intera collettività.
Sono nati alcuni problemi interpretativi in relazione all’articolo
24 Cost., con riferimento al dilemma del fondamento giuridico della
riparazione e all’interpretazione del concetto di errore giudiziario.
Infatti l’art. 24 Cost. non ha risolto direttamente il problema
lasciando così aperte due diverse interpretazioni.
Un primo orientamento
11
ritiene che il diritto alla riparazione si
fondasse su un atto lecito e che il presupposto per la riparazione sia
quindi l’accertata ingiustizia della sentenza di condanna per il fatto
non imputabile del giudice, mentre il secondo orientamento
12
riteneva
11
In tal senso v. A. Buzzelli, Errore giudiziario e risarcimento dei danni, in Giust. Pen. 1951, pag.
170 ss.
12
In tal senso v. A. Amorth, La costituzione italiana, Milano 1958, pag. 66 – G. Leone, La
riparazione alle vittime degli errori giudiziari, in Riv. It. Dir. Proc. Pen 1961, pag. 6 ss. – V.
Cavallari, La riparazione degli errori giudiziari secondo l’art. 24 ultimo comma della
Costituzione, in Giust. Pen. 1954, pag. 273 ss. – M. Scardia, Errore giudiziario e riparazione, in
Riv. Pen. 1962, pag. 776 ss. – M. Scaparone, Il IV comma dell’art. 24, in Commentario alla
Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna 1981, pag. 180 ss.
che il diritto alla riparazione si fondasse sulla responsabilità dello stato
per atto illecito e che quindi il presupposto per la riparazione fosse
l’illegittimità della sentenza di condanna.
Entrambe le interpretazioni hanno però destato alcune obiezioni,
in quanto, le ipotesi di errore giudiziario, indipendenti da dolo o colpa
del giudice, non vengono ricomprese nella disciplina della
responsabilità oggettiva
13
. Inoltre la responsabilità dello Stato per atto
lecito comprende le ipotesi di errore giudiziario che comportano la
lesione di entrambi gli interessi in gioco
14
. In realtà il primo approccio
equiparava la riparazione al risarcimento dei danni, mentre il secondo
ricercava un inquadramento distinto tra i due istituti. Riguardo al
primo approccio la dottrina ha distinto tra errore colpevole ed
incolpevole e tra errore riconducibile al dolo del giudice ed errore
riconducibile a colpa
15
.
Alcuni autori hanno considerato l’articolo 24 come
un’applicazione dei principi sanciti dall’articolo 2049 c.c., ritenendo
che la riparazione fosse fondata su una responsabilità oggettiva
indipendente da valutazioni psicologiche
16
.
Altre interpretazioni più recenti non hanno inteso la riparazione
come concetto equiparato al risarcimento dei danni, ma come
restitutio in integrum, mentre un ulteriore orientamento ha considerato
13
Tra gli altri v. V. Gianturco, Della responsabilità dello Stato verso le vittime di errori giudiziari,
Milano 1956, pag. 41.
14
Tra gli altri v. Dep. Gonella nel suo intervento nella Relazione ministeriale al disegno di legge
n° 521, in Rass. St. penit. 1960, fasc. VI, pag. 71 – G. Tranchina, Riparazione alle vittime degli
errori giudiziari, in Noviss. Dig. It.,, vol. XV, Torino 1968, pag. 1194.
15
V. A. Buzzelli, Errore giudiziario e risarcimento dei danni cit., pag. 170.
come fondamento della riparazione l’esigenza di attenersi ai limiti
costituzionali imposti all’attività statale
17
. In quest’ottica l’articolo 24
è stato interpretato unitamente all’articolo 28 Cost., che prevede la
responsabilità dello Stato per gli atti dei suoi funzionari compiuti in
violazione dei diritti
18
e quindi, in tale circostanza, il comportamento
del giudice consentirebbe l’attivarsi della disciplina della riparazione,
lasciando alla vittima la scelta tra riparazione e risarcimento del
danno
19
.
Il tentativo di equiparare la riparazione fondata sulla
responsabilità dello Stato, al risarcimento del danno e la riparazione
fondata sulla responsabilità statale, con conseguente diritto
all’indennizzo da parte della vittima di ingiusta detenzione, ha
incontrato un ostacolo alla sua accoglibilità, nel fatto che la tutela
giurisdizionale può realizzarsi anche mediante corresponsione di un
indennizzo. Inoltre, il concetto di indennizzo e quello di risarcimento
hanno cominciato ad assumere significati diversi, facendo così venir
meno una netta distinzione tra i due termini ed impedendo così che
venissero ad essi assegnate conseguenze differenti. La Costituzione, in
realtà, non pronunciandosi direttamente sull’argomento, ha lasciato
libero il legislatore di disciplinare l’istituto della riparazione nel modo
da egli ritenuto più opportuno.
16
V. in tal senso G. Cicala, La riparazione alle vittime degli errori giudiziari e il sistema delle
libertà costituzionali, in Rass. Dir. Pubb. 1958, pag. 188 ss. – P. Della Croce, Riparazione degli
errori giudiziari, in Riv. Pen. 1961, pag. 633 ss.
17
V. in tal senso V. Sica, La riparazione degli errori giudiziari cit., pag. 548.
18
Ai sensi dell’articolo 28 Cost. “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono
direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in
violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
19
In tal senso v. M.G. Coppetta La riparazione per ingiusta detenzione, Giapichelli 1993, pag. 663