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zootecnica biologica, l’utilizzo del pascolamento come pratica fondamentale
nell’allevamento potrebbe paradossalmente esporre maggiormente gli animali alle
varie forme di contaminazione presenti nel suolo. Da ciò si deduce che anche per i
prodotti animali biologici non esiste il “rischio zero” nonostante l'attuazione di tutte
le misure di profilassi poste in essere da parte del Regolamento n°178/02 che fissa i
requisiti per la sicurezza alimentare (riguardante anche le produzioni biologiche)
affronta la tematica della salubrità secondo un approccio integrato che coinvolge
tutte le fasi della produzione. In tale ottica è da menzionare lo strumento della
“rintracciabilità di filiera” fondato sull’analisi dei rischi che tramite l’applicazione
di tre componenti: valutazione del rischio (consulenza scientifica e analisi
dell'informazione), gestione del rischio (norme e controlli), comunicazione del
rischio e adoperando informazioni ambientali e sanitarie, consente di prevenire
l’esposizione ambientale ad inquinanti di natura chimica, fisica e biologica
garantendo la sicurezza degli alimenti biologici. In questo contesto la certificazione
di qualità ambientale del territorio sul quale insediare le aziende biologiche diviene
una componente fondamentale nella gestione del rischio di contaminazione
unitamente alle altre pratiche preventive, conferendo inoltre alle produzioni
biologiche maggiore sicurezza dal punto di vista alimentare, oltre che rappresentare
una opportunità economica aggiuntiva nel momento in cui alle produzioni così
ottenute si attribuisce un marchio di alta qualità.
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L’ALLEVAMENTO BIOLOGICO
Origine e sviluppo
Lo studio dell’ecologia applicato alle produzioni animali evidenzia quanto poco
rispettosa dell’ecosistema possa essere la zootecnica intensiva: essa infatti, al fine di
ottenere il massimo profitto, utilizza sistemi che possono non tener conto né del
benessere degli animali allevati, né della salvaguardia dell’ambiente (Halley et al.,
1993). L’allevamento intensivo è caratterizzato da un’elevata utilizzazione di
energia sottoforma di elettricità e combustibili, nonché dalla massiccia creazione di
inquinamento, da un aumento della sensibilità degli animali ai patogeni e ai
parassiti, dall’utilizzo di farmaci di sintesi per gli animali e prodotti chimici per
migliorare le produzioni agricole, con conseguente contaminazione di tutto
l’ecosistema; esiste dunque una correlazione diretta tra il sistema agro-zootecnico e
l’ambiente (Tartari e Battaglini, 1997). I modelli di sviluppo fondati su un elevato
grado d’intensificazione e conseguente forte impatto ambientale, possono provocare
inoltre anche vere e proprie incertezze sulla sicurezza alimentare da parte del
consumatore, una diminuzione degli standard qualitativi, una sempre più pressante
minaccia della biodiversità ed uno scarso rispetto per le condizioni di vita e del
benessere animale (Nardone et al., 2000).
La cronaca oggi riporta, quotidianamente, casi di contaminazione delle derrate
alimentari legati al grave danneggiamento dell’ambiente o a errate tecniche di
allevamento degli animali, come nel caso degli estrogeni ritrovati nelle carni di
bovini trattati fraudolentemente dagli allevatori, della diossina nei mangimi e quindi
nelle carni dei maiali, o dell’epidemia della BSE, originata dall’utilizzazione delle
farine di carne di pecore ammalate nell’alimentazione dei ruminanti (Willer, 2002).
Inoltre, non vanno trascurati i rischi per l’ecosistema dovuti alla dispersione di
farmaci e dei loro metaboliti, come nel caso dei prodotti difficilmente degradabili
utilizzati per il trattamento antielmintico degli animali; tali sostanze vengono
ritrovate nelle feci e nei liquami utilizzati per la concimazione dei campi
(Montanarella, 1999; Pau Vall e Vidall, 1999; Nardone e coll., 2000) in quantità
talmente elevate da superare la soglia di autodepurazione dell’ambiente ricevente
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(Marino, 1992), creando forti rischi per la salute umana legati all’assunzione
continua di molecole farmacologiche, attraverso il consumo delle carni di animali
sottoposti a trattatamento (Strong et al., 1993).
Recenti scoperte riportano per di più, che non sempre il rispetto dei tempi di
sospensione, garantisce l’eliminazione completa delle molecole farmacologiche e
soprattutto dei loro metaboliti dai tessuti dell’animale. I consumatori più attenti a
tali problematiche hanno iniziato a porre dei dubbi alla salubrità delle produzioni
provenienti da questo tipo di zootecnica, cercando alimenti sicuri e certificati
nell’osservanza del rispetto dell’ambiente e del benessere degli animali, capaci di
garantire la sicurezza del prodotto finale dal rischio di contaminazione. L’opinione
pubblica si chiede se allo stato attuale sia necessario rivedere i sistemi produttivi
indirizzati verso un eccessiva industrializzazione e una serrata spinta produttiva, al
fine di pianificare un tipo di zootecnica non inquinante, rispettosa della natura, degli
animali e dell’uomo. In questo contesto si inserisce la realtà dell’allevamento
biologico, le cui caratteristiche possono raffigurare tali nuove esigenze, ponendo
come obiettivo primario la salubrità e la sicurezza di prodotti ottenuti nel rispetto
dell’ambiente. Lo stesso Regolamento comunitario 1804/99 individua nelle
produzioni animali biologiche un’attività che deve concorrere all’equilibrio dei
sistemi di produzione agricola, contribuendo a mantenere i rapporti di
complementarità tra terra, produzioni agricole, allevamento ed impresa.
I principi fondamentali del metodo biologico infatti, si rivolgono ad aziende che, in
quanto tali, hanno come obiettivo la produzione di reddito derivante dalla vendita di
prodotti (carne, latte e uova) ottenuti nel rispetto dell’ambiente, dell’animale e del
consumatore mediante la trasparenza del ciclo produttivo lungo l’intera filiera.
E’ quindi fondamentale nell’ottica di sviluppo della zootecnica biologica, riuscire a
rispondere alle esigenze sempre più sentite dai consumatori e dalla società (Polidori,
1996); il mercato attuale è infatti indirizzato verso il soddisfacimento del bisogno di
un’alimentazione sana, basata su prodotti privi di contaminazioni chimiche e di
conservanti, dalla ricerca di prodotti di qualità, da una sempre crescente ricerca di
sicurezza alimentare e genuinità dei prodotti, nonché dall’esigenza di processi
produttivi eco-compatibili. Inoltre, la zootecnia biologica rappresenta oggi una
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realtà funzionale ai processi di sviluppo rurale, assumendo particolare rilievo nelle
aree marginali: essa infatti è in grado di valorizzare delle risorse locali che
altrimenti sarebbero difficilmente sfruttabili (Polidori, 2002). In quest’ottica, la
valorizzazione della zootecnica biologica e in particolare nel nostro caso, di quella
da latte, rappresenta un importante tassello in quanto la diffusione dei metodi di
produzione biologica può riaffermare la qualità delle produzioni zootecniche la cui
immagine è stata minata dai molti scandali precedentemente citati. Come riportato
da Lunati (2001), la zootecnica biologica ha il grosso vantaggio di essere un
processo produttivo dinamico e in continua evoluzione, capace di creare nel futuro
una struttura sempre più organizzata in cui allevamento e consumo costituiscono un
circuito integrato. La dinamicità è legata soprattutto alla crescita della domanda a
volte superiore ai ritmi produttivi, favorendo così l’espansione della produzione.
Basti pensare che, in base alle stime dell’International Trave Centre
UNCTAD/WTO (ITC), il mercato mondiale delle vendite al minuto degli alimenti e
delle bevande biologiche è passato dai 10 miliardi di dollari del 1997 ai 17,5
miliardi di dollari nel 2000 (Willer, 2002). Inoltre, le aree convertite al metodo
biologico sono cresciute ininterrottamente dalla metà degli anni ’80, grazie anche al
supporto della CE attraverso la politica delle sovvenzioni, all’implementazione del
regolamento CE 2092/99 e all’attenzione degli allevatori per le produzioni
alternative in conseguenza degli scandali alimentari. Al fine di ottenere una minima
percentuale garantita convertita al regime biologico per tutti i Paesi dell’UE,
traguardo che molti governi si sono prefissati, saranno necessari, comunque,
ulteriori sforzi, incluso un pieno supporto politico per l’agricoltura biologica. Un
così lungo periodo di esperienza e la competenza del settore privato sono un fattore
chiave per la futura crescita e lo sviluppo dell’azienda biologica. La zootecnica
estensiva biologica risulta particolarmente funzionale ai processi di sviluppo rurale
in aree marginali collinari e/o montane in quanto capace di valorizzare risorse locali
altrimenti non usufruibili, o utilizzabili meno efficientemente (Polidori, 1996).
La dipendenza dalle risorse locali riveste quindi un ruolo cruciale nei processi
produttivi biologici, per cui le tecniche di produzione risultano specifiche e
dipendenti dalle caratteristiche economiche, sociali ed ambientali locali. La ricerca
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per la zootecnica biologica deve quindi, principalmente, considerare gli agro-
ecosistemi nella loro complessità con metodi interdisciplinari ed essere in grado di
collegare le diverse discipline tra di loro. Fondamentale è la valorizzazione delle
risorse genetiche locali: il recupero di specie e varietà vegetali e di razze animali
locali in via di estinzione (Agostino, 1997). L’igiene degli allevamenti ed il
benessere animale costituiscono, inoltre, altri campi di ricerca ed innovazione nella
zootecnica biologica. Nel “Documento del biologico italiano” stilato da AIAB
(2002) si evidenziano i caratteri salienti su cui si basa la produzione biologica, in
particolare si ribadisce come tale sistema sia di fondamentale importanza ai fini
della crescita del mondo rurale: l’agricoltura biologica appare quindi come un
modello di sviluppo sostenibile che affonda le sue radici su un metodo basato sui
principi di salvaguardia e valorizzazione delle risorse, rispetto dell’ambiente, del
benessere animale e della salute del consumatore (Campus e Rossi, 2001; Campus,
2006).
Istituzioni e normativa dell’allevamento biologico
La produzione biologica, soprattutto in Italia, ha interessato in un primo tempo le
produzioni vegetali, mentre quelle animali ed i prodotti trasformati sono stati
regolamentati più recentemente. Il metodo biologico, inizialmente, ha avuto uno
sviluppo che possiamo definire spontaneo senza riferimenti normativi, quasi
svincolato dalle leggi di mercato. I primi sistemi di controllo e certificazione
vengono attivati alla fine degli anni sessanta, per rispondere alle richieste di un
mercato emergente e alla crescente espansione del movimento. Nasce quindi
l’IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica:
tale istituzione sorge in Francia nel 1972 e riunisce oltre 500 gruppi di operatori del
biologico a livello mondiale, per un totale di 90 nazioni. Il primo quadro di
“regole” normative specifiche, delle quali si avvale la zootecnica biologica, al fine
di rafforzare le peculiarità dei processi e la qualità delle produzioni, è rappresentato
dall’insieme dei regolamenti comunitari sull’agricoltura biologica n. 2092/91 e
quello sulle produzioni animali n. 1804/99. A questi si affiancano varie leggi e
decreti nazionali e regionali. Il riconoscimento ufficiale delle produzioni biologiche
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avviene attraverso gli organismi di certificazione (AIAB, Codex, Bioagricoop,
Ecocert Italia, Suolo e Salute, CCPB, IMC, Bios, QC & I), alcuni dei quali
aggiungono alla certificazione di processo, che caratterizza tutto il sistema di
controllo del biologico anche la certificazione di prodotto. Oltre agli organismi di
certificazione, esistono anche due associazioni nazionali (AIAB e Bioagricoop) che
rilasciano appositi marchi collettivi privati alle aziende che rispettano disciplinari di
produzione per l’agricoltura biologica, più restrittivi rispetto ai regolamenti
comunitari; in particolare, uno di questi identifica commercialmente solo prodotti
ottenuti con il metodo biodinamico. Nel corso del 2000 è nato anche un marchio
comunitario (Regolamento CE 331/2000) che stabilisce le caratteristiche del logo
comunitario. La politica di sostegno all’agricoltura biologica passa tramite il piano
di Sviluppo Rurale proprio delle singole regioni italiane. A livello nazionale, prima
del 24 agosto 2000, la materia era normata oltre che dai Disciplinari privati delle
associazioni ispirate al movimento IFOAM anche dalle leggi emanate da alcune
Province Autonome e dalle Regioni; fra queste, ad esempio, ricordiamo la L.R. n.54
della Toscana promulgata il 12 aprile 1995 dal Consiglio Regionale: "Norme per le
produzioni animali ottenute mediante metodi biologici". Anche nella cura
dell’alimentazione degli animali gli obiettivi dell’allevamento biologico, esposti nel
Regolamento 1804/99, privilegiano la produzione di qualità ed il rispetto delle
esigenze nutrizionali degli animali, nei loro vari stadi fisiologici, piuttosto che la
massimizzazione delle produzioni. In generale, vige il divieto dell’ alimentazione
forzata e fattore fondamentale che contraddistingue il sistema di allevamento da
altre forme è il fatto che gli animali debbano essere alimentati con alimenti biologici.
Tuttavia, come deroga temporanea, qualora l’allevatore non fosse in grado di
procurarsi alimenti esclusivamente ottenuti con metodi di agricoltura biologica,
questo è autorizzato, per un periodo transitorio, ad impiegare proporzioni limitate di
alimenti convenzionali. La percentuale massima autorizzata di alimenti
convenzionali nella razione giornaliera, fatta eccezione per i periodi di transumanza,
è pari al 25 %, calcolata sulla percentuale di materia secca e del 10 % su base annua
totale. In caso di perdita eccezionale della produzione foraggiera per avversità
climatiche, le competenti autorità regionali possono autorizzare l’utilizzo di
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percentuali di alimenti convenzionali superiori alla quota prevista. Per quanto
concerne la qualità del prodotto convenzionale utilizzato, viene riportato un lungo
elenco di prodotti ammessi, che sono in genere rappresentati da prodotti vegetali
non trattati con solventi e da alcuni prodotti animali (latte e suoi sottoprodotti, …),
oltre alla lista delle sostanze minerali e degli additivi utilizzabili nella formulazione
dei mangimi. E’ vietato l’uso di antibiotici, coccidiostatici, medicinali stimolanti
della crescita o altre sostanze somministrate per lo stesso scopo. Inoltre, non
possono essere utilizzati prodotti come vitamine, provitamine e sostanze di effetto
analogo, enzimi, agenti leganti, antiagglomeranti e coagulanti. Si deve inoltre
attestare che tutte le materie presenti negli alimenti siano esenti da O.G.M. Gli
animali devono essere allevati preferibilmente con alimenti di provenienza
aziendale e, laddove non sia possibile, con alimenti provenienti da altre aziende o
imprese che si sono adattate alle disposizioni del regolamento sopra citato. Il
decreto MiPAF del 29/03/01 ha fissato al 35 % della sostanza secca la quantità di
alimento che deve provenire dall’azienda o dal comprensorio, proprio per favorire il
collegamento funzionale con i terreni; in tal modo, essi diventano produttori di
materie prime costituenti il mangime e, allo stesso tempo, bacino di smaltimento
delle deiezioni animali. E’ prevista, inoltre, la possibilità di impiego nella razione
di alimenti in fase di conversione fino ad un massimo del 30 % in media della
formula alimentare. Nel caso in cui gli alimenti in fase di conversione derivino da
un’unità della propria azienda la percentuale può arrivare al 60 %. Per la specie
bovina e in modo particolare per quanto concerne l’alimentazione di base dei vitelli,
questa deve avvenire con latte naturale di preferenza materno ed è previsto un
periodo minimo di 3 mesi per lo svezzamento. I sistemi di allevamento devono
basarsi in massima parte sul pascolo, tenuto conto delle disponibilità vegetazionali e
della stagione. Almeno il 60 % della sostanza secca di cui è composta la razione
giornaliera deve essere costituita da foraggi freschi essiccati o insilati (Reg. CE
1804/99). Lo sfruttamento dei pascoli è, nella realtà mediterranea, tecnicamente ed
economicamente valido solo per bovini adulti e non per soggetti all’ingrasso.
Infatti, la variabilità della disponibilità quali-quantitative nel corso dell’anno,
caratterizzata dai due periodi di stasi vegetativa invernale ed estiva e con una