V
degli ultimi episodi eclatanti che hanno scosso la pubblica opinione ci si
sta muovendo in tal senso applicando per analogia la normativa in materia
di mobbing. Recente è la direttiva ministeriale n. 16 del 5 febbraio 2007
del ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni che si traduce in
una lotta per la prevenzione al bullismo dentro e fuori le mura scolastiche.
Punto di forza dell’intero documento è rappresentato dalla valorizzazione
del ruolo degli insegnanti, che insieme alla famiglia dovrebbero essere uno
dei punti di riferimento più autorevoli a disposizione degli adolescenti.
Ma non solo. La direttiva si sforza di intervenire con particolari iniziative
nel settore della comunicazione, atte a prevenire il disagio giovanile,
coinvolgendo il Ministro dell’Interno e la Polizia Postale. Promuove
l’istituzione di osservatori regionali permanenti per monitorare il
fenomeno e crea un portale internet (www.smontailbullo.it) e un numero
verde nazionale per aiutare i minori in difficoltà. E come se il bullismo
non bastasse, una nuova minaccia mette a dura prova gli adolescenti, il “
VI
cyberbullismo ” ovvero una vera e propria aggressione sociale on-line che
si concretizza con l’invio di contenuti offensivi attraverso cellulari e
internet.
L’attenzione viene catapultata sulle problematiche che colpiscono i minori,
non più solo vittime di reati, ma anche scaltri fautori di questi ultimi.
Vengono focalizzati maggiormente i complessi profili psicologici dei
soggetti interessati, puntando all’individuazione dei possibili fattori di
rischio che ne hanno determinato l’aspetto deviante.
Ma quale politica bisogna adottare per placare il divampare sregolato di
questa pratica? La linea dura seguita dagli Stati Uniti e da alcune nazioni
europee può essere una soluzione efficace al problema? Oppure è meglio
puntare sulla mediazione?
Tra prospettive di riforma e misure alternative alla repressione, ecco
un’analisi dell’insieme del bullismo dove la prevenzione della devianza
scatenante il caso, sembra essere l’epilogo più felice.
1
CAPITOLO 1
ORIGINI E NOZIONI
2
CAPITOLO I:
ORIGINI E NOZIONE
1. Cosa si intende per Bullismo?
Col termine “bullismo” si suole indicare un fenomeno sociale tipico
dell’età adolescenziale e pre-adolescenziale, che comporta atteggiamenti di
prepotenza e prevaricazione di qualunque genere perpetrata da uno o più
ragazzi nei confronti di altri ragazzi. L’età maggiormente colpita è quella
che va dai 7 ai 15 anni. L’azione del “bullo” è quella diretta a ledere o
danneggiare la vittima designata mediante atteggiamenti persistenti e
continui rivolti nei confronti di soggetti deboli che sopraffatti non sanno
difendersi. Intimidazione, dominio e abuso di potere sono gli strumenti di
3
cui si servono i bulli per commettere il gesto infame. Sono tre le
caratterizzazioni che può assumere il bullismo
1
:
1. prevaricazioni fisiche: tipici esempi sono il colpire con pugni e calci,
l’appropriarsi di oggetti altrui o danneggiarli;
2. prevaricazioni verbali: come il deridere, il prendere in giro
ripetutamente, fare affermazioni razziste, insultare;
3. prevaricazioni indirette: come il diffondere falsi pettegolezzi e
escludere qualcuno da gruppi di aggregazione
La parola bullismo evoca spesso manifestazioni estreme di disagio e di
aggressività. Eppure le prepotenze sono una realtà diffusa, strisciante,
spesso negata o latente. Riguardano tutte le scuole e i gruppi, con forme e
significati di volta in volta diversi, dai riti di iniziazione alla competizione
forzata, dall’esclusione apparentemente indolore di un allievo al bisogno di
compensare un percorso individuale ,familiare, scolastico, irto di difficoltà
e che spesso si traduce in comportamenti aggressivi. Sono questi i bullismi
che si nascondono nelle pieghe della routine scolastica e vengono
etichettati come “ragazzate” o “scontri che fanno crescere”.
1
Cfr. S. Sharp e P. K. Smith, “Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche
educative.” in Collana “Guide per l’educazione”, diretta da Dario Ianes, 1996, p. 11
4
Non bisogna però confondere il bullismo con i litigi tra coetanei; la
differenza è che un litigio non è né intenzionale, né ripetuto, il bullismo si.
L’intensità e la qualità dei fenomeni di prevaricazione può variare a
seconda della classe di provenienza, del sesso, del luogo e del tipo di
supervisione operata dall’adulto. Il bullismo può essere considerato una
sottocategoria del comportamento aggressivo, con alcune caratteristiche
distintive:
• l'intenzionalità (cioè l’intenzione deliberata di ferire, offendere,
arrecare danno o disagio),
• la persistenza nel tempo (sebbene anche un singolo episodio
possa essere considerato una forma di bullismo, l’interazione
bullo-vittima è caratterizzata dalla ripetitività di comportamenti
di prepotenza protratti nel tempo),
• l'asimmetria di potere (fondato sul disequilibrio e sulla
disuguaglianza di forza tra il bullo che agisce e la vittima che
non riuscendo a difendersi, subisce)
2
.
2
Cfr. E. Menesini, in“Bullismo che fare? Prevenzione e strategie d’intervento nella scuola.”
Manuali e Monografie di Psicologia Giunti, 2000, p. 27
5
Studi recenti hanno attestato la presenza di più accezioni del termine
bullismo. Infatti possiamo individuare: un bullismo persecutorio quando
la designazione è esterna al gruppo, in questo caso è in gioco la leadership
della banda e la designazione della vittima è più o meno casuale; un
bullismo di inclusione (il cosiddetto nonnismo) quando le vittime sono i
piccoli che devono sottoporsi a persecuzioni perlopiù ritualizzate per
essere ammesse nel gruppo; e infine un bullismo di esclusione (il
cosiddetto ostracismo) laddove la vittima è interna al gruppo (in genere la
classe scolastica) e viene umiliata e perseguitata in quanto considerata
estranea alla cultura e al modello identitario prevalente nel gruppo
3
.
Analizzando in maniera profonda l’intero fenomeno possiamo
affermare che quello del bullismo è una manifestazione della personalità
che non risiede solo nella relazione bullo-vittima, ma riguarda la
collettività, l’intero gruppo che lo può sostenere e rinforzare. Il bullo infatti
non agisce da solo, ma alimenta la sua aggressività grazie alla presenza
costante dei suoi coetanei che lo sostengono e lo incitano, attribuendogli
forza e coraggio. Il tutto è oltremodo garantito da una pericolosa
3
Cfr E. Buccolieri e M. Maggi, “Bullismo bullismi. Le prepotenze in adolescenza dall’analisi
dei casi agli strumenti di intervento”, nella collana Educare alla salute: strumenti, ricerche e
percorsi, 2006, p. 56
6
diminuzione o addirittura perdita del senso di responsabilità individuale
che comporta meccanismi di disimpegno morale
4
e sociale giustificatori
delle aggressioni. Tali conseguenze portano inevitabilmente il bullo a
svincolarsi totalmente da quelle che sono le norme e le regole di
comportamento per un vivere civile.
Albert Bandura, psicologo canadese, sostiene che una tra le forme di
disimpegno morale possiamo individuarla nell’etichettamento eufemistico
5
,
ed è la modalità attraverso cui il ragazzo definisce positivamente un
comportamento negativo (“stavamo scherzando”), in modo da far capire
che non aveva intenzioni negative.
Attualmente ci sono altre due forme di disimpegno morale legate alla
vittima:
• la “deumanizzazione della vittima”: tale forma di disimpegno si
basa sull’osservazione psicologica che tutti abbiamo una
propensione naturale e fisiologica a non esercitare violenza nei
confronti dei nostri simili in quanto tali. Dunque, nello stesso
momento in cui il bullo esercita violenza nei confronti della vittima,
4
Cfr.A. Bandura, in “Social Cognitive theory of moral thought and action”, W.M.
Kurtines, 1991, p.76
5
Cfr. A. Bandura, in “Autoefficacia: teoria e applicazioni” Tr. it. Erikson, Trento, 2000, p.99
7
lo fa perché non la considera più un essere umano, la deumanizza
degradandola ad un essere inferiore meritevole di un simile
trattamento non più considerato grave.
• la “colpevolizzazione della vittima”: in questa forma,
particolarmente diffusa, si tende appunto a colpevolizzare la vittima
rispetto al comportamento violento esercitato nei suoi confronti (“mi
ha provocato”), in quanto per prassi si ritiene che se ad una persona
accada qualcosa di negativo, in qualche modo se lo sia meritato.
Sulla stessa scia si manifesta la teoria del “capro espiatorio
6
” secondo
la quale i comportamenti aggressivi diretti verso la vittima, non sarebbero
altro che espressioni di meccanismi difensivi dello stesso bullo. In altri
termini, le tendenze aggressive che non possono essere dirette verso
l’obiettivo naturale, sono differite sulla vittima innocente, meno pericolosa
e più facile da attaccare sulla quale si proiettano le caratteristiche negative
dell’obiettivo principale.
6
Cfr. A. Bandura, in“Autoefficacia: teoria e applicazioni”, Tr. it. Erikson, Trento, 2000, p.95
8
2. La nascita e lo sviluppo del “bullismo” dal punto di vista giuridico
Il termine italiano “bullismo” è la traduzione letterale della parola
inglese “bullying” che connota appunto il fenomeno delle prepotenze tra
pari in un contesto di gruppo.
Il primo studioso, agli inizi degli anni 70, a essersi occupato in modo
sistematico del fenomeno è stato Dan Olweus. Professore di psicologia
all’Università di Bergen (Norvegia) Olweus grazie ad accurate analisi è
riuscito a formulare la seguente definizione: “Uno studente è oggetto di
azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene
esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in
atto da parte di uno o più compagni….l’azione del bullo nei confronti della
vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto”
7
.
I primi episodi e le prime campagne sull’argomento si sono sviluppate
proprio in Norvegia, poi la ricerca si è sviluppata dai paesi Scandinavi, nel
Regno Unito, in Giappone, in Olanda, in Canada, negli Stati Uniti e di
recente anche in Italia, dove il fenomeno è tutt’altro che da sottovalutare. I
7
Così D. Olweous in “Il bullismo a scuola”, Giunti, Firenze, 1996, p 76
9
dati forniti al Congresso Italiano della Sip (Società Italiana di Pediatria), a
questo proposito, vedono una leadership tutta italiana in materia di
bullismo in Europa, il che è davvero poco gratificante.
In Italia la ricerca sul bullismo è cominciata solo all’inizio degli anni
Novanta ma ha evidenziato subito la gravità e la drammaticità del
fenomeno che caratterizza le scuole italiane. Nonostante la grande portata
del fenomeno, manca sul nostro territorio una legislazione ad hoc che
disciplini i danni provocati da adolescenti nei confronti di coetanei e non
attraverso condotte prevaricatrici e vessatorie, per questo motivo la dottrina
ha cercato di colmare siffatto vuoto applicando per analogia la normativa
in materia di mobbing
8
. Per questo motivo, la dottrina ha qualificato le
condotte bullistiche come “mobbing adolescenziale” ovvero “mobbing in
età evolutiva”.
8
Il Mobbing si realizza con una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta per le
sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell’integrità fisica e la personalità morale del
prestatore di lavoro garantite dall’art. 2087 cod. civ.; tale illecito, che rappresenta una
violazione dell’obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di
lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro
indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla
disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
10
I primi dati significativi sono stati raccolti in due città, Firenze e Cosenza
9
,
mediante un questionario anonimo di Olweus (1991) tradotto dalla
versione inglese di Whitney e Smith (1993). La ricerca ha coinvolto 1379
alunni di età compresa fra gli 8 e i 14 anni nel maggio del 1993. I risultati
furono sbalorditivi. Una percentuale molto più alta rispetto a quella
europea di maschi e femmine riferirono di aver subito prepotenze nel
periodo analizzato.
Quali sono le conseguenze civilistiche discendenti dalle varie
manifestazioni del bullismo?
Sicuramente il problema va analizzato inquadrandolo nello schema
dell’illecito extracontrattuale
10
ovvero aquiliano che trova le sua
fondamenta nella clausola generale di ingiustizia del danno, espressione
dell’imperativo del neminem laedere. “Tale richiamata tipologia di
responsabilità sussiste ogni qualvolta concorrono tre elementi: dal lato
oggettivo fatto materiale e antigiuridicità; dal punto di vista soggettivo, la
9
Cfr. E. Menesini, in “Bullismo che fare? Prevenzione e strategie d’intervento nella scuola.”,
Manuali e Monografie di Psicologia Giunti, 2000, pp. 39-40
10
“Si ha illecito extracontrattuale -o aquiliano, dal nome della Lex Aquilia che disciplinava nel
diritto romano tale responsabilità- quando sussista la violazione di un diritto o di una situazione
giuridica tutelata in modo assoluto -erga omnes-, mentre si ha responsabilità contrattuale -o da
inadempimento- quando ci si trovi al cospetto della violazione di un diritto relativo”. Così A.
Trabucchi, in“Istituzioni di diritto civile”, Cedam, 1989, pp. 205 e segg.
11
colpevolezza dell’autore dell’illecito. Proprio la colpevolezza, intesa quale
imputabilità colpevole all’autore del fatto lesivo, rappresenta l’elemento
fondamentale per affrontare un’indagine che miri a valutare le possibili
responsabilità da condotte bullistiche”
11
.
Considerando l’art. 2046
12
cod. civ., possiamo notare come tale articolo
pone una regola fondamentale del nostro ordinamento e di eccezionale
rilevanza per i casi di bullismo, grazie al quale possiamo distinguere
l’ipotesi del minore capace di intendere a volere dall’ipotesi contraria
Conseguenza immediata è che se il minore è capace di intendere di volere,
può essere chiamato a rispondere degli atti compiuti in danno a terzi quindi
anche nei confronti dei propri compagni. Da questa considerazione deriva
che:
1. qualora il minore compia il fatto in uno stato di incapacità di
intendere o di volere non risponde dei danni arrecati a terzi ai sensi
dell’art. 2046 cod. civ.; in tal caso però il nostro ordinamento viene
in soccorso del danneggiato individuando comunque un soggetto che
11
Così avv. Ascione Maurizio, “ Il bullismo, forme di tutela civile e penale”, nell’articolo del
16/02/2007 pubblicato su www.filodiritto.com
12
Art. 2046 cod. civ. Imputabilità del fatto dannoso: “ non risponde delle conseguenze del fatto
dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso
(Cod. Pen. 85 e seguenti), a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa”.
12
potremo definire “patrimonialmente responsabile”. Ecco che in
questo caso viene in considerazione innanzitutto la norma di cui
all’art. 2047
13
cod. civ., che pone una responsabilità sostitutiva in
capo a colui che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace (cd. culpa
in vigilando);
2. nel caso in cui, invece, il minore autore del danno debba considerarsi
capace di intendere e di volere, esso risponde dei danni arrecati ai
terzi; il legislatore ha stabilito una fondamentale distinzione in
riferimento alla capacità d’agire: viene quindi in soccorso la norma
di cui all’art. 2048 cod. civ.
14
, la quale individua, in capo ai genitori
e al tutore, un titolo di responsabilità civile per i danni cagionati dai
figli minori non emancipati o dalle persone soggette alla tutela che
abitano con essi;
13
Art. 2047 cod. civ. Danno cagionato dall’incapace: “in caso di danno cagionato da persona
incapace d'intendere o di volere (Cod. Pen. 85 e seguenti), il risarcimento è dovuto da chi e
tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Nel
caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla
sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può
condannare l'autore del danno a un'equa indennità”
14
Art 2048 cod. civ. Responsabilità dei genitori; dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte:
“Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli
minori non emancipati (314 e seguenti, 301, 390 e seguenti) o delle persone soggette alla tutela
(343 e seguenti, 414 e seguenti), che abitano con essi. La stessa disposizione si applica
all'affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del
danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti (2130 e seguenti) nel tempo in
cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla
responsabilità soltanto se provano di non avere potuto impedire il fatto”.