6
Il quinto capitolo – Il caso IndesitCompany – analizza il modo in cui l’azienda
marchigiana cerca di essere veramente un’impresa responsabile, fin dalla sua
costituzione. In particolare, il capitolo prende in considerazione il codice etico
aziendale, e come questo venga comunicato ai dipendenti e agli altri pubblici di
riferimento.
Infine, il capitolo – Interviste – raccoglie due tipi di ricerche. La prima è un’intervista
fatta ad Enzo Argante, presidente dell’Associazione Pentapolis, impegnata nella
comunicazione della CSR sia alla business community sia ai consumatori. La seconda
ricerca è un sondaggio effettuato presso alcune mense interaziendali a lavoratori della
Provincia di Ancona, ed ha lo scopo di trarre alcune considerazioni su come la CSR
venga valutata nella realtà locale.
L’aspetto principale che la tesi cerca di evidenziare è il fatto che la misurazione
dell’intangibile aziendale deve accompagnarsi ad una reale convinzione dei valori
umani e della responsabilità d’impresa. Le aziende, oggi, si dotano di numerose
certificazioni per non perdersi nei labirinti dell’immaterialità, per poter comprendere e
comunicare il rispetto dei diritti umani. Questo avviene in numerosi campi
dell’economia, non solo riguardo alla CSR. Pensiamo ad esempio alle certificazioni
sulla qualità (ISO 9000). Se i comportamenti etici, però, sono visti solo in una funzione
meramente strumentale (posti in opera, cioè, solo per rendere l’impresa accettabile a
lavoratori, consumatori, comunità e, quindi, solo per ottenere maggiori profitti) non vi è,
da un lato, alcuna coerenza teorica, e, dall’altro, viene a mancare qualunque garanzia
che questi stessi comportamenti siano sostenibili nel tempo. L’etica è basata su valori
assoluti che non possono discendere da fini contingenti come il profitto. Per le aziende
che credono veramente nel valore umano, la responsabilità sociale non è un vincolo, ma
il fine stesso dell’azione.
Tacito diceva: non mos, non ius. Senza buoni costumi, senza una forte coscienza civile,
non vi sono leggi che tengano.
8
AZIENDA COME ORGANIZZAZIONE UMANA
Che cosa è un’azienda? E perché, nella società, esistono così tante organizzazioni?
Sono domande che rimangono nascoste nell’inconscio collettivo, e permangono in
questo stato lattiginoso fino a quando non abbiamo bisogno, in maniera diretta, di
un’organizzazione che ci aiuti a perseguire un nostro fine personale. L’assenza delle
cose rivela la loro innata importanza. E, quindi, un’azienda, un giorno, nasce per
appagare il bisogno di un essere umano che vuole soddisfare o il suo spirito
imprenditoriale, od inseguire le sue ambizioni, un sogno, una tradizione, o, ancora, e
non in secondo piano, soddisfare esigenze o bisogni altrui. I perché sono molti, e, per
questo, esistono tantissime tipologie di imprese, tutte diverse. I fini possono coincidere,
ma i mezzi sono differenti. Gli stili, la storia, la cultura aziendale fecondano prodotti e
servizi indelebilmente. Le aziende concorrono per la propria sopravvivenza. Lo scopo
ultimo di ogni attività economica, e non, è quello di sopravvivere al tempo e alla
memoria collettiva. Tutte le aziende si distinguono per una loro caratteristica esclusiva,
che le fa emergere in questa comunità invisibile, e che può farle anche sprofondare in
abissi dimenticati dalle memorie attuali.
Negli ultimi anni le cose sono cambiate molto, soprattutto nel nostro paese. Una volta,
la domanda di un prodotto, o di un servizio, era limitata, e a questa corrispondeva
un’offerta altrettanto limitata. I bisogni da soddisfare erano bisogni essenziali. Con il
tempo, e con la crescita economica, sono sorte nuove esigenze, secondarie, che vanno
anch’esse soddisfatte affinché l’individuo, o un gruppo, possano sentirsi veramente
completi e riconosciuti come tali
1
.
Cinquanta anni fa esistevano poche imprese. I consumatori si rivolgevano a rivenditori
che conoscevano personalmente. Il prodotto o il servizio, era ben delineato e chiaro, sia
per gli acquirenti che per i commercianti. I rapporti si basavano sulla fiducia reciproca.
Il mondo era semplice e prevedibile. La strada proseguiva quasi diritta verso una meta
visibile, anche se parzialmente. Ogni nuovo passo si adagiava su un terreno certo e
sicuro, spesso già calpestato. La società di oggi sembra aver rovesciato quella realtà, ora
1
La teoria elaborata da Abraham Maslow rappresenta l’individuo come una sorta di organismo
psicologico che lotta per soddisfare i suoi bisogni (ordinati secondo una scala gerarchica), alla ricerca di
una crescita e di uno sviluppo completo. I bisogni dell’uomo vanno da quelli fisiologici, a quelli
psicologici, fino a quelli sociali. Tale teoria ha avuto un notevole impatto su molti dei principi che
riguardano le scienze sociali ed economiche.
9
lontana. La globalizzazione, l’instabilità dei mercati, la velocità con cui oggi viaggiano
idee e materiali, la rivoluzione digitale hanno profondamente cambiato le abitudini di
uomini e donne, e sconvolto le certezze su cui, un tempo, le aziende investivano tempo
e denaro. Oggi gli investimenti, ad esempio, riguardano anche, e soprattutto, beni
immateriali e intangibili. Conoscenza ed informazioni sono le pietre preziose di questa
miniera globale ed internazionalizzata. È l’epoca dei servizi. Anche i prodotti si
agghindano con accessori invisibili eppure vistosi
2
. La ricchezza evanescente va
comunicata all’esterno, e all’interno dell’azienda, per poter aumentare il valore
dell’azienda stessa e dei suoi outputs. Comunicare l’utilità e la qualità delle proprie
attività serve, oggi, a giustificare la sua stessa esistenza.
Quindi, che cos’è un’azienda? È un’organizzazione nata per poter soddisfare esigenze
dell’uomo che l’uomo, da singolo, non sarebbe capace di appagare. L’azienda è
un’entità sociale guidata da obiettivi, progettata come un sistema di attività
deliberatamente strutturato e coordinato, che interagisce con l’ambiente esterno
3
. È un
organismo sociale che nasce dall’uomo, per l’uomo. Al di là degli evidenti ed usuali
scopi aziendali, è utile focalizzare il vero ultimo fine aziendale, che, in realtà, è l’essere
umano. Le attività aziendali assomigliano ad ellissi che si intersecano tra loro, in
profondità, in un’intima traiettoria circolare, il cui punto di partenza è l’uomo, e questi
ne è anche il punto di arrivo. Le evoluzioni che i mercati e l’economia hanno
attraversato negli anni non hanno cambiato questa primaria struttura circolare. Gli
strumenti e i mezzi sono cambiati dal punto di vista tecnologico, ma, in generale, gli
inputs sono rimasti gli stessi. Materie prime, persone, le risorse informative, le risorse
finanziarie contribuiscono oggi, come un tempo, all’operatività aziendale. Ma questi
vari mezzi hanno assunto, rispetto al passato, una diversa rilevanza. Oggi prevalgono, in
maniera determinante, risorse umane ed informazioni. Il loro valore è fortemente
aumentato rispetto ai beni materiali. Paradossalmente, questo dipende dal progresso
tecnologico, che, in realtà, non nuoce all’occupazione, come spesso l’uomo teme. Il
progresso rende più facili i processi operativi aziendali, e, quindi, li rende meno costosi.
Parallelamente l’azione umana diventa sempre più preziosa. Le moderne tecnologie non
sostituiscono l’uomo, ma esigono che l’uomo faccia più cose. Gli uomini e le macchine
vivono, oggi, un diverso rapporto rispetto al passato. Se, un tempo, l’uomo serviva la
2
Il primo degli accessori, è, naturalmente, il marchio aziendale. Segue, poi, una lunga serie di servizi
legati al prodotto. Basti pensare al servizio post-vendita.
3
R. L. Daft, Organizzazione aziendale, Milano, Apogeo, 2004.
10
macchina secondo tempi e modalità precise
4
, oggi l’uomo sfrutta la macchina secondo
proprie idee e percezioni. La macchina si adatta all’uomo, non viceversa. L’impresa, in
una visione semplificata, è composta dal capitale, dai lavoratori e dalle tecnologie. Ma
non solo. Al fianco dell’organizzazione che la società percepisce in maniera
consapevole, esiste un’altra organizzazione, invisibile ed incorporea. Quest’ultima
consiste nei rapporti sociali interni all’azienda, interazioni non pianificate che sorgono
spontaneamente, seppur leggermente guidate da pianificazioni strutturali e progettuali.
Gli individui danno il loro meglio solo quando i loro bisogni vengono soddisfatti.
L’azienda non si fonda unicamente su regole di produzione, ma anche, in maniera
latente, e forse predominante, su regole di vita. Il lavoro non è più un “flusso” che
l’impresa noleggia alla giornata o al mese e che si adatta all’ambito impostogli: come un
rubinetto tenuto aperto otto ore al giorno, esso riversa le sue energie nei condotti del
capitale
5
. Tale è stato il destino del lavoro sotto il taylorismo. Oggi, invece, il lavoratore
deve prendere delle decisioni, deve seguire proprie idee e “sensazioni razionali”. Il
nuovo modello produttivo che si sostituisce al fordismo apre un orizzonte, o quanto
meno apre la rivendicazione di un orizzonte, in cui il lavoratore deve mobilitare un
capitale umano che gli appartiene nell’esecuzione della produzione. Arricchire questo
capitale umano e rispettare i diritti che vi si collegano sono le basi sulle quali si può
tentare di fondare la nuova regolazione sociale.
L’individuo non è un’entità isolata; per sua natura ha il bisogno di relazioni sociali, e
questo è quello che le organizzazioni gli permettono di avere. L’uomo vive in una
società e per questa lavora. Viceversa, questa società si organizza per soddisfare i
bisogni individuali. Viviamo in un ciclo continuo, in questa bella allucinazione costante
che è la vita, da cui ci discostiamo solo in casi estremi ed anomali. E questo avviene, in
maniera parallela, anche nelle aziende, che in lontananza, di fronte agli uomini,
sembrano, ad un certo punto della loro esistenza, calarsi in una loro identità e
personalità. Divengono una sorta di mondo in miniatura su cui si proiettano relazioni
sociali ed umane. Come l’uomo, l’azienda ha bisogno di essere riconosciuta come
esistente. L’indifferenza uccide anche il più spettacolare gesto di ostinata
determinazione. Oltre al voler essere identificata, l’azienda desidera essere accettata. Ha
il bisogno di essere valutata positivamente, di essere considerata credibile, ed utile. Vi è
4
Teoria dello scientific management di F. W. Taylor, ingegnere industriale statunitense, iniziatore della
ricerca sui metodi per il miglioramento dell’efficienza nella produzione.
5
D. Cohen, I nostri tempi moderni: dal capitale finanziario al capitale umano, Torino, Einaudi, 2001.
11
una sorta di umanizzazione dell’azienda. Il suo valore, e questo la differenzia,
parzialmente, dall’uomo, dipende dal giudizio degli “altri”. Esistono “altri” interni ed
“altri” esterni. I primi sono i dipendenti e i dirigenti. I secondi sono i vari stakeholders,
quali fornitori, clienti e consumatori in genere, distributori, grossisti, agenti,
rappresentanti, concessionari, dettaglianti, operatori dei mass media, l’opinione
pubblica, le istituzioni pubbliche, i c.d. influenti (opinion leaders, opinion makers,
esperti). Se per l’uomo il bisogno di accettazione si fonda, in modo predominante, su un
riconoscimento esterno, per l’azienda il bisogno di approvazione è determinante sia dal
punto di vista esterno che dal punto di vista interno. La sopravvivenza stessa
dell’azienda dipende dal giudizio degli stakeholders esterni che contribuiscono alla sua
esistenza utilizzando, e, quindi, giustificando, i suoi outputs. Ma è altrettanto vero che
l’azienda sopravvive grazie alle qualità e ai contributi dei suoi componenti.
L’approvazione da parte dei dipendenti fa si che questi svolgano attività che
considerano utili e giuste. Se questo non avviene, e può non avvenire, l’azienda
irrimediabilmente implode su stessa, crolla sulle sue stessa fondamenta, che in realtà
non ha. I lavoratori svolgono le rispettive attività solo per soddisfare i loro bisogni
primari, in riferimento alla scala dei bisogni di Maslow
6
. E questo non li rende completi
e motivati. Viene a mancare quella silenziosa e latente pressione che sospinge l’azienda
verso il progresso futuro, e che, nello stesso tempo, convalida la tradizione passata.
6
Vedi nota n. 1.
12
QUANDO NASCE UN’AZIENDA
Un giorno, al termine di un percorso intellettivo durato molti anni o pochi mesi, o meno
ancora, un uomo (o una donna) decide di avviare una propria attività economica.
“L’idea” è la pietra focaia che, sfregando contro i mercati, dà vita ad una nuova
impresa. Il passo iniziale è così solitario e cieco che intimorisce anche il più coraggioso
degli imprenditori. Ma l’iniziativa non è sorda, e si aggancia ad ogni possibile
alternativa, non escludendo neppure la più stravagante. E il futuro imprenditore spesso
si affida all’aiuto di altri, e la nuova impresa nasce a partire da una società di persone.
L’iniziativa, infatti, esige ben presto organizzazione. Ecco allora comparire, sulla scena
economica, la figura di chi ha i mezzi, la fortuna, il coraggio ed il talento di rischiare; di
chi ha o conta di avere la capacità di organizzare sia mezzi materiali, sia risorse
immateriali, sia il lavoro altrui, allo scopo di produrre beni o servizi, o di
commercializzarli. Prerogativa di questi soggetti, protagonisti del mercato e della
società, è la decisione circa se, come, quando e cosa debba essere prodotto
7
. L’iniziativa
e il rischio sono i due elementi distintivi che caratterizzano la figura dell’imprenditore,
che da un lato crea ricchezza sul mercato, e dall’altro cerca, in genere, di conseguire un
profitto, fornendo ai consumatori o agli utenti beni e servizi. E così, gli uomini avviano
ed intraprendono, da soli o in società, una nuova iniziativa economica organizzando il
lavoro altrui, per scopi molteplici in cui si intrecciano le forze che muovono l’iniziativa
individuale: la ricerca del guadagno e del benessere, la ricerca del potere, gli ideali e i
fini che ciascuno si propone.
Il nuovo imprenditore, allora, raccoglie, attentamente e con cautela, i pezzi del suo
futuro ed ancora etereo mosaico. Guidato dall’idea, il vero fondamento dell’economicità
aziendale
8
, l’impresario costruisce premurosamente la sua impresa.
Ma quali sono gli strumenti grazie ai quali l’azienda nasce? In che modo questi vengono
tra loro assemblati a formare una nuova organizzazione? In economia si è soliti
utilizzare il termine capitale, che viene usato secondo varie accezioni. Il capitale, in
generale, si riferisce alla ricchezza finanziaria, con particolare riferimento a quella
utilizzata per avviare o sostenere un’impresa. Può essere definito come un insieme
7
G. Iudica, P. Zatti, Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, Cedam, 2004.
8
U. Bertini, Scritti di politica aziendale, Torino, G. Giappichelli Editore, 1995.
13
finalizzato di condizioni (positive o negative) di produzione. Le condizioni positive (le
attività) sono le utilità economiche di cui l’impresa si serve per svolgere la propria
attività. Le condizioni negative sono rappresentate dalle obbligazioni che l’impresa ha
assunto verso terzi. Esistono varie tipologie di capitale aziendale, ma, generalmente, la
teoria economica tradizionale ha considerato il capitale come un oggetto fisico, come
strumenti, edifici e veicoli che vengono utilizzati nel processo produttivo. Altri
economisti hanno posto la loro attenzione su forme più ampie di capitale. Ad esempio,
investimenti per l’aumento della conoscenza e l’educazione possono essere visti come il
modo per costruire il capitale umano.
Quindi, in riferimento a questo concetto, non bisogna limitarsi solo all’idea di un fattore
di natura prettamente economica o finanziaria. Il capitale si riferisce anche a qualità
umane, che contribuiscono, insieme agli altri fattori produttivi, allo sviluppo e alla
crescita dell’azienda.
14
I CAPITALI DI NATURA ECONOMICA E FINANZIARIA
Per fare un’azienda, anzitutto, ci vogliono delle idee. Ma, naturalmente, le aziende, per
vivere, e per costituirsi, debbono avere delle basi economiche e finanziarie.
Nell’immaginario collettivo, il primo concetto a cui il pensiero rimanda si riferisce al
denaro, e, quindi, ad un capitale monetario. In realtà, anche all’interno di questo ambito,
esistono diverse tipologie di capitale. Per poter meglio comprendere questo concetto, è
utile soffermarsi sul funzionamento generale di un’azienda. Un’impresa, per poter
sopravvivere, mira a raggiungere un “equilibrio economico a valere nel tempo”
9
.
L’impresa deve, cioè, riuscire a coprire i costi di gestione con i propri ricavi. Il concetto
è elementare: se i costi sono maggiori dei ricavi, nel tempo, l’azienda è destinata a
fallire. Se costi e ricavi rimangono in equilibrio tra loro, l’azienda tenderà comunque al
fallimento, perché non riesce a produrre ricchezza economica ulteriore nel rispettivo
mercato. L’azienda non risulta, in questo ultimo caso, utile, e quindi la sua ragion
d’essere viene meno. Il fine aziendale è, allora, quello di mantenere, nel tempo, i ricavi
superiori rispetto ai costi. E questo significa produrre reddito. Naturalmente l’idea di
equilibrio economico non è un concetto statico, ma dinamico. Nel senso che, il reddito,
può venire ad assumere anche valori negativi, e contribuire alla diminuzione del capitale
aziendale. Ma un’azienda sopravvive anche se, in alcuni periodi della sua esistenza,
subisce delle perdite anche notevoli; e, di questo, abbiamo numerosi esempi concreti a
cui riferirci, anche guardando alla nostra quotidianità locale. L’equilibrio, quindi,
riguarda un’armonia durevole tra utili e perdite. Vediamo sintetizzati i precedenti
concetti nella seguente definizione:
L’azienda è un’unità elementare dell’ordine economico generale, dotata di vita propria
e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di
particolari fattori e dalla combinazione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni
della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il
conseguimento di un determinato equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile
9
U. Bertini, Scritti di politica aziendale, Torino, G. Giappicchelli Editore, 1995
15
di offrire una remunerazione adeguata ai fattori utilizzati e un compenso, proporzionale
ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge
10
.
Nel mondo reale, salvo rarissime eccezioni, non esistono aziende che conoscono solo
successi. Il successo può anche essere un pericoloso miraggio, che lusinga le aziende, le
travolge in tempeste ottimistiche, e le rende cieche di fronte al mondo esterno.
L’azienda sottovaluta pericoli minacciosi e concreti, oppure nemmeno li considera, e,
improvvisamente, si ritrova in agonia. E, quasi senza accorgersi, perisce
improvvisamente, quando ormai è troppo scoperta, vulnerabile ed indifesa.
Tornando al concetto di reddito questo si può definire come l’accrescimento o il
decremento che, in un determinato periodo di tempo, il capitale di un’impresa data
subisce in conseguenza della gestione
11
. Vediamo quindi come, in questa definizione,
sia chiaro che il concetto di reddito sia dinamico: esso subisce delle variazioni, positive
(utile) o negative (perdita) nel tempo. Affinché l’azienda abbia termini di giudizio chiari
riguardo alla propria attività, le aziende, in genere, misurano i propri risultati economici
in un intervallo di tempo che coincide con l’anno solare. Altre imprese, invece, ma i casi
sono più rari, si riferiscono alla durata del proprio ciclo di produzione, che può
superare
12
o non superare
13
il periodo annuale. Vediamo, riferendoci ancora alla
definizione, come il reddito dipenda dal capitale. Quest’ultimo può essere definito come
lo stato complessivo della attività e delle passività che, conferite nell’investimento
d’impresa, concorreranno alla formazione di redditi futuri
14
. Naturalmente, per poter
assistere alla formazione del reddito, il capitale aziendale deve rimanere invariato,
altrimenti la misurazione risulta fittizia. Ciò che compone il capitale sono i costi di
acquisto (uscite di denaro):
C = q X p dove q = quantità non monetaria di scambio (fattore produttivo)
p = prezzo – costo unitario negoziato
10
Giannessi, Appunti di economia aziendale con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini,
Pisa, 1979.
11
G.Zappa, il reddito d’impresa, Milano, Giuffré, 1950.
12
Pensiamo, ad esempio, alla costruzione di una nave.
13
Pensiamo, in questo caso, alla maggior parte dei beni di consumo, quali quelli alimentari.
14
A. Paolini, M. Froli, La determinazione sistematica del reddito d’esercizio e del capitale di
funzionamento, Ancona, Clua, 1988.
16
e i ricavi di vendita (entrate di denaro):
R = Q X P dove Q = quantità non monetaria di scambio (prodotto finito)
P = prezzo – ricavo unitario negoziato.
Abbiamo detto, in precedenza, che il capitale aziendale può assumere diverse forme e,
infatti, esistono varie concezioni di capitale: capitale di funzionamento, capitale
economico e capitale di liquidazione
15
.
Il capitale di funzionamento è la forma che le aziende utilizzano per determinare il
reddito d’esercizio. Esso è composto da attività e da passività
16
, ed è possibile
analizzarlo nello stato patrimoniale, una fotografia finanziaria dell’azienda. Le attività
riguardano le modalità con cui l’impresa ha impiegato le risorse finanziarie a
disposizione; esse sono classificate in base alla destinazione nel processo produttivo.
Nelle attività ritroviamo diverse categorie:
ξ Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti.
ξ Immobilizzazioni: sono tutti gli elementi patrimoniali destinati ad essere
durevolmente utilizzati in ambito aziendale e che ritornano in forma liquida in
tempi medio lunghi. Le immobilizzazioni si distinguono in:
ξ Immateriali: sono quegli elementi patrimoniali privi di consistenza
fisica che hanno comunque un’utilità ai fini della gestione e che
vengono utilizzati per un periodo medio lungo (comprendono costi
d’impianto, costi di ricerca, sviluppo, pubblicità, diritti di brevetto e
di concessione, marchi, licenze, avviamento, immobilizzazioni in
corso e acconti).
ξ Materiali: sono quei beni materiali aventi un ciclo di utilizzo
pluriennale o di durata illimitata (comprendono terreni e fabbricati,
impianti e macchinari, attrezzature industriali e commerciali, altri
15
Vedi nota 14.
16
Le attività possono esser denominate anche impieghi, mentre le passività possono essere considerate
come fonti di finanziamento.
17
beni come mobili e arredi e automezzi, immobilizzazioni in corso e
acconti). A loro volta si dividono in:
o Immobilizzazioni tecniche: beni materiali impiegati
normalmente nella gestione caratteristica dell’azienda.
o Immobilizzazioni non strumentali: beni durevoli non
appartenenti alla gestione caratteristica cioè investimenti
accessori capaci di produrre redditi autonomi ed estranei
all’attività tipica (esempio: fabbricati concessi in locazione a
terzi per percepirne dei fitti attivi).
ξ Finanziarie: sono formate dai crediti per prestiti con scadenza medio
lunga concessi a terzi dall’azienda e dagli investimenti durevoli nel
capitale proprio di altre aziende.
ξ Attivo circolante: comprende tutti gli elementi attivi del patrimonio che
presumibilmente ritorneranno in forma liquida nel breve periodo, cioè che
ritorneranno in forma monetaria in un tempo non superiore all’anno. L’attivo
circolante si suddivide in:
o Rimanenze: sono costituite da scorte di beni destinati ad essere venduti
sul mercato oppure ad essere utilizzati nel processo produttivo, ma che
comunque ritorneranno in forma monetaria nel breve periodo (ad
esempio materie prime, prodotti in corso di lavorazione o semilavorati,
prodotti finiti, merci); si collocano qui anche anticipi e/o acconti a
fornitori di merci (questi hanno natura finanziaria).
o Crediti: riguardano i crediti e le cambiali a breve scadenza, cioè da
incassare entro l’anno. Si riferiscono a crediti verso clienti, imprese
controllate, imprese collegate, verso controllanti o altri.
o Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni: riguardano
tutti i titoli che non sono destinati ad essere investimento durevole per
l’impresa. Si riferiscono, ad esempio, a partecipazioni in imprese
controllate o collegate o controllanti.
o Disponibilità liquide: sono i mezzi già liquidi, cioè depositi bancari,
postali, assegni , denaro e valori in cassa.
18
ξ Ratei e risconti attivi: i ratei attivi sono quote di ricavi di competenza
dell’esercizio ma che si riscuoteranno solo nell’esercizio successivo. I risconti
attivi sono quote di costi sostenuti e rilevati nell’esercizio ma di competenza di
esercizi successivi.
Le passività, invece, sono fonti di finanziamento utilizzate dalla società per
fronteggiare il fabbisogno finanziario derivante dagli investimenti. Sono suddivise nelle
seguenti categorie:
ξ Patrimonio netto: esprime la consistenza del patrimonio di proprietà
dell’impresa ed è dato dalla differenza tra i totali dell’attivo e del passivo
risultanti dal bilancio. Il patrimonio netto viene scomposto in parti ideali per
distinguere la parte derivante dall’apporto dei soci, dalla parte derivante
dall’autofinanziamento proprio. Al suo interno ritroviamo il capitale sociale.
ξ Fondi per rischi ed oneri: sono i fondi derivanti da accantonamenti per
fronteggiare rischi o specifici oneri futuri.
ξ Trattamento di fine rapporto: è l’ammontare degli accantonamenti per il
trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato a favore dei dipendenti.
17
ξ Debiti: rappresentano la componente più significativa di tutto il passivo.
ξ Ratei e risconti passivi: i ratei passivi rappresentano quote di costo di
competenza dell’esercizio che avranno la loro manifestazione finanziaria
nell’esercizio successivo. I risconti passivi rappresentano componenti positivi di
reddito la cui manifestazione finanziaria è già avvenuta nell’esercizio, ma che
devono essere rinviati al futuro perché non sono di competenza dell’esercizio
stesso.
Il totale delle attività viene, in genere, indicato come capitale d’investimento, mentre il
totale delle passività viene indicato come capitale di finanziamento. Se lo stato
patrimoniale ci dà una rappresentazione statica del capitale aziendale, il conto
economico tiene conto del fattore temporale ed è il documento di bilancio che,
contrapponendo i costi ed i ricavi di competenza del periodo amministrativo, illustra il
risultato economico della gestione del periodo considerato. Stato patrimoniale e conto
economico, insieme alla nota integrativa, vanno a costituire il bilancio d’esercizio di
17
Con la riforma del 2007, i lavoratori possono decidere se destinare il proprio TFR ad altri enti diversi
dall’azienda.
19
un’azienda. Questo è il documento che ha lo scopo di rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria nonché il risultato economico della
società. La redazione del bilancio ha due obiettivi: rispondere agli obblighi contabili e
fiscali previsti dal codice civile e mettere a disposizione di operatori esterni ed interni
all’impresa (fornitori, creditori, risparmiatori, analisti finanziari, Stato, soci, dipendenti)
informazioni sull’andamento dell’impresa. Questa prima configurazione di capitale ci fa
immaginare l’azienda come un agglomerato di risorse prevalentemente economiche e
finanziarie.
Una seconda configurazione è, invece, quella di capitale economico. Quest’ultimo
indica, a differenza dell’altro, il valore dell’azienda, in riferimento ad un suo sviluppo.
È un valore unico, fondato sulle prospettive dell’azienda, che viene utilizzato in diverse
occasioni. La valutazione può essere finalizzata a scelte aziendali non ricorrenti,
riguardanti operazioni straordinarie come cessioni, fusioni, scissioni, scorporazioni,
liquidazioni, trasformazioni, aumenti di capitale, quotazioni in borsa. Oppure la
valutazione può essere di supporto a scelte ricorrenti, e, quindi, ad operazioni ordinarie
come acquisti, trasformazioni, vendita di fattori produttivi. La valutazione aziendale è
utile anche come strumento di analisi da parte di istituti finanziatori chiamati a
concedere linee di credito all’azienda, in particolare sotto forma di finanziamenti a
medio lungo termine, ad integrazione di un’analisi complessiva circa il posizionamento
strategico dell’azienda in esame.
La valutazione del capitale economico non è altro che un processo di stima, e tale
capitale trova correlazione, nel bilancio, in voci che rappresentano nel loro insieme il
patrimonio netto di bilancio. Il patrimonio netto rappresenta la misura dei mezzi propri
investiti dall’imprenditore o dai soci nell’azienda. Da un punto di vista contabile, è
rappresentato dalla differenza tra attività e passività; da un punto di vista finanziario
rappresenta la fonte di finanziamento interna; da un punto di vista concreto rappresenta
l’effettiva ricchezza di competenze dei soci, ricchezza che si ricava dalla liquidazione
dell’attivo, dopo aver rimborsato il passivo. L’esperienza vissuta in azienda da esperti
in materia economico-finanziaria insegna, però, che il valore del capitale economico
può talvolta essere, per la stessa azienda e nello stesso momento, significativamente
distante dal valore rappresentato in bilancio dal patrimonio netto. Pertanto l’entità del
20
patrimonio netto di bilancio può non essere, di per sé, adeguatamente espressiva del
valore del capitale economico.
Il capitale economico si riferisce ai presunti redditi futuri dell’azienda, e, quindi, come il
capitale di funzionamento è strumentale alla determinazione del reddito. I due tipi di
configurazione, però, sono differenti tra loro: mentre il capitale economico esprime un
valore unico dell’azienda, il capitale di funzionamento si riferisce ai vari componenti
che consentono all’impresa di operare. In particolare, nella valutazione del capitale
economico si prescinde da considerazioni di tipo soggettivo. La stima deve avere le
caratteristiche di razionalità, nel senso che essa deve derivare da un processo logico,
chiaro e convincente, e come tale largamente condivisibile; di dimostrabilità, nel senso
che deve essere supportata da dati controllabili; di oggettività; di stabilità, nel senso di
non subire variazioni continue per fatti contingenti o per mutamenti d’opinione.
I metodi per valutare il valore del capitale economico sono numerosi, ma possiamo, in
genere, raggrupparli in due categorie: i metodi diretti, che si rifanno agli effettivi prezzi
espressi dal mercato per quote di capitale dell’impresa medesima o di aziende similari
(ad esempio azioni negoziate sul mercato della Borsa o su altri mercati); e i metodi
indiretti, che, per assenza o insufficienza dei dati di mercato impostano su basi diverse
(reddito, flussi finanziari, patrimonio) il processo di stima del capitale economico.
L’ultima configurazione di capitale, qui considerata, è quella di capitale di
liquidazione. Quest’ultimo è il valore che può essere assegnato al capitale di
un’impresa nella fase di cessazione delle attività per la liquidazione dell’attivo e del
passivo; è, quindi, la somma dei valori assegnabili ad ogni singolo bene. Il valore di
liquidazione del capitale, in genere, è minore di quello economico: un sistema
aziendale funzionante e capace di produrre reddito positivo, infatti, ha un valore
complessivo maggiore della somma dei valori attribuibili agli elementi singolarmente
considerati.
Gli aspetti finanziari dell’attività economica hanno accresciuto il loro ruolo, soprattutto
negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. Le cause di questa tendenza, o moda, si ritrovano
nel progressivo processo di integrazione dei mercati finanziari, ed anche nella sempre