5
Il Category Management è oggi, sicuramente, l’unica reale soluzione posta
in essere dai distributori, che si pone, attraverso una gestione di business
per segmenti di consumo, categorie merceologiche, intese come Strategic
Business Unit (Sbu), ed, attraverso lo sviluppo del processo di
differenziazione dell’Insegna, ottenuto diversificando l’assortimento
rispetto ai rivali per mezzo della ridefinizione delle leve di retail mix
(prezzo, allocazione dello spazio, promozione, assortimento, presenza della
marca privata) per formato e per area/mercato, l’obiettivo di migliorare
l’offerta ai consumatori.
Definire la categoria come "gruppo di prodotti che il consumatore vede
fungibili o complementari tra loro" sposta l'enfasi da una definizione
"merceologica" delle categorie, come tradizionalmente definite dalle
aziende della distribuzione, dove l'elemento unificante dei prodotti
all'interno della categoria ha in comune caratteristiche di realizzazione, ad
una definizione "commerciale" che consideri centrale il consumatore e i
suoi bisogni, dove elemento unificante dei prodotti all'interno di ciascuna
categoria è la funzione d'uso e la soluzione ad un bisogno identificato.
Le imprese della grande distribuzione organizzata, per soddisfare i clienti
attraverso una gestione di business per segmenti di consumo, hanno a
disposizione una risorsa critica: l’“informazione”.
6
Le informazioni sui mercati, sul consumo, sull’evoluzione e sulle tendenze
dell’ambiente infatti, sono oramai divenute un bene immateriale
indispensabile al management per realizzare un’adeguata gestione di
business per segmenti di consumo.
Oggi “il controllo, il trasferimento e la commercializzazione
dell’informazione” vanno a costituire, a tutti gli effetti, una nuova funzione
commerciale.
Il Capitolo primo in particolare, dopo aver chiarito la natura
dell’informazione quale “risorsa critica” per l’impresa commerciale, cerca
di ricomporre in un quadro unitario l’evoluzione dei sistemi informativi
all’interno delle imprese della grande distribuzione, per poi passare ad
esaminare in dettaglio la struttura attuale dei sistemi informativi di
marketing in dette imprese, nonché il relativo assetto organizzativo,
cercando anche di capire come i flussi informativi prodotti si muovano
dalla periferia (punti di vendita dislocati su buona parte del territorio
nazionale) verso il centro (sede centrale) e viceversa.
Nel Capitolo secondo l’attenzione si è spostata sul Category Management.
Ho cercato di analizzare i diversi aspetti del processo di Category
Management, e, l’implementazione del Category Management, sia come
processo del distributore, sia come processo del produttore o di
partenership, cercando di evidenziare i vantaggi che ne determinano
7
l'applicazione e allo stesso tempo i limiti del modello nel contesto
organizzativo delle imprese italiane.
Ad una trattazione teorica e generale, segue, nel Capitolo terzo, l’analisi di
un caso empirico: il caso Auchan.
La parte finale del lavoro, è frutto della mia esperienza di Stage presso una
delle principali realtà della grande distribuzione operante in Italia, ovvero
l’Auchan S.p.a.
Dopo una breve descrizione della storia dell’azienda e delle principali
politiche e strategie da questa adottate, l’attenzione del capitolo si incentra
sulla figura del Capo Reparto simile al Category Manager, che, all’interno
del Category Management, ha le responsabilità connesse all’acquisto, alle
iniziative di marketing, di comunicazione e di vendita relative ad una
determinata categoria di prodotti.
Il capitolo cerca inoltre di chiarire quello che è l’atteggiamento
dell’Auchan nei confronti delle nuove tecnologie dell’informazione a
supporto del Category Manager, analizzando il progetto Wi-Fi realizzato
per rendere più efficaci e tempestivi i compiti del Capo Reparto.
8
CAPITOLO 1 – I SISTEMI INFORMATIVI NELLA
GRANDE DISTRIBUZIONE
1. Le imprese della grande distribuzione: Origini evoluzione e forme
distributive.
Per grande distribuzione si intende “l’insieme delle aziende che operano
nel settore del dettaglio, con punti di vendita di grandi dimensioni,
generalmente più di uno”
1
.
Si tratta di grandi catene al dettaglio con un’unica proprietà dei punti di
vendita e una gestione centralizzata delle funzioni di acquisto, di
marketing, delle risorse umane, amministrative e finanziarie, dove le
unità periferiche operano seguendo le linee-guida della sede centrale
2
.
Le imprese commerciali della grande distribuzione possono essere di
tipo capitalistico (imprese a succursali) o di tipo cooperativo
(cooperative di consumo aperte o chiuse); sotto un profilo strategico, le
più significative sono le cosiddette “imprese a succursali” o “con
catene di negozi”, ovvero quelle che dispongono di una rete di più punti
1
Baccarani C., Aguiari R., “Imprese commerciali e sistema distributivo: una visione
economicomanageriale”, pag. 83.
2
Filser M., “I canali della distribuzione: organizzazione, analisi delle formule di vendita, metodi di
gestione
9
vendita propri, che gestiscono con il supporto di strutture logistiche
opportunamente disposte sul territorio.
Più precisamente, le imprese a succursali sono quelle “da cui dipendono,
sotto il triplice profilo giuridico, funzionale e organizzativo, sei o più
unità locali operative (esercizi) che attuano la vendita al dettaglio o la
somministrazione al pubblico”
3
.
Normalmente, si tratta di imprese di tipo capitalistico e pluriimpianto,
che trattano le stesse linee di prodotti e che si distinguono in piccoli
succursalisti (ridotto numero di punti di vendita a carattere
essenzialmente locale) e grandi succursalisti (operano in ambito
nazionale e, talvolta, anche estero)
4
.
La GD si è iniziata ad affermare nel nostro paese a partire dalla seconda
metà degli anni’50
5
, attraverso la forma distributiva del supermercato;
quest’ultimo in particolare, rappresenta un formato di origine ed
impostazione nordamericana, che, partendo da prodotti “conservati” (in
scatola), si è orientato sempre di più, nel corso del tempo, anche verso
prodotti “freschi” e “deperibili” (salumi, latticini, carne e pesce)
6
.
3
Si tratta della definizione ufficiale adottata dal Ministero dell’industria, del Commercio e
dell’Artigianato (MICA) e dall’ISTAT.
4
In Italia, sono grandi succursalisti imprese quali Standa, GS, Esselunga e Coop (in Baccarani C.,
“Imprese commerciali e sistema distributivo: una visione economico-manageriale”, pag. 36).
5
Ravazzi G., “Il sistema della distribuzione commerciale”, pag. 162.
6
Zamagni V., “All’origine della grande distribuzione in Italia”.
10
Inizialmente, la GD era presente solo nei mercati più grandi, dove
adottava formati standard per i punti di vendita, politiche di marketing e
di merchandising uniformi sotto il profilo territoriale, ed una gestione
operativa molto accentrata (cosiddetto sviluppo attraverso la logica del
“multiple”)
7
.
In effetti, il peso della GD italiana è estremamente inferiore rispetto a
quello medio europeo e la ragione di questo ritardo è da ricercarsi
8
, tra le
altre cose, anche nella politica commerciale restrittiva che in passato ha
penalizzato lo sviluppo di questo gruppo strategico rispetto a quello della
distribuzione organizzata e della cooperazione di consumo, attraverso
barriere amministrative all’entrata, vincoli per le aziende commerciali di
maggiori dimensioni, finanziamento pubblico dei costi e particolari
agevolazioni finanziarie per la distribuzione tradizionale ed associata,
ecc. ecc.
9
.
Detti due fattori (politica di non differenziazione territoriale e vincoli
amministrativi ed economici allo sviluppo), fanno sì che la GD, durante
gli anni’80
10
, subisca una forte riduzione della propria quota di mercato.
E’ solo con la fine degli anni’80 che tale gruppo strategico vede
7
Lugli G., “Economia e politiche di marketing delle imprese commerciali”, pp. 18-21.
8
Ravazzi G., “Il sistema della distribuzione commerciale”, pp. 162-163.
9
Bertero G., “Grande distribuzione: il ciclo logistico”, pag. 2.
10
Spranzi A., “La distribuzione commerciale negli anni‘80”.
11
ribaltarsi la situazione, poiché alla riduzione dei vincoli suddetti si
accompagna l’adozione di un nuovo orientamento strategico, fondato su
una maggiore flessibilità e sul conseguente riassetto organizzativo
11
.
La GD cioè, pur mantenendo l’originario controllo centrale della
gestione operativa, cerca di differenziare formati e politiche di marketing
e di merchandising, per adattarle alle peculiarità del mercato locale.
Nel 1994 la grande distribuzione, pur rappresentando ancora, in termini
numerici, una porzione minuscola del settore distributivo (poco meno di
5.500 punti di vendita su un totale di oltre 627.000), in termini qualitativi
aveva già un peso assai maggiore: 5,9 mil. di mq di superficie di vendita
su 48,7 (con una incidenza del 12,2%) ed una quota di mercato superiore
al 15%.
In particolare, c’è da osservare che il peso della GD è maggiore nel
comparto alimentare, non tanto per numero dei punti di vendita, quanto
per superficie di vendita e per quota di mercato
12
.
La GD pertanto, è oggi un gruppo strategico che sta vivendo una fase di
forte evoluzione (in termini di elevata produttività e redditività)
13
, che si
caratterizza per l’esistenza di un’unica proprietà dei punti di vendita e
per una gestione centralizzata in termini giuridici, funzionali ed
11
Fornari D., “La grande distribuzione”, in “Le strategie di trade marketing”, pp. 94-98.
12
Baccarani C., “Imprese commerciali e sistema distributivo: una visione economicomanageriale”.
13
Fornari D., “Le strategie di trade marketing”, pp. 94-98.
12
organizzativi, che opera nei più grandi mercati, rivolgendosi ad un
consumatore con una elevata propensione alla spesa.
E’ però opportuno precisare che la distribuzione territoriale dei punti di
vendita della GD non è uniforme, dato che, se le strutture sono alquanto
diffuse nel Centro-Nord della penisola, il Sud e le isole ne sono ancora
relativamente sforniti
14
.
Inoltre, quando si parla di gestione centralizzata dell’intera catena di
negozi, si vuole sottolineare la limitata autonomia di detti punti di
vendita, poiché le scelte gestionali e le politiche operative sono
standardizzate e la quasi totalità degli acquisti (escludendo quelli di
prodotti alimentari freschi e quelli da fornitori locali, che sono effettuati
dal direttore del punto di vendita) sono centralizzati.
In altre parole, siamo di fronte a “strutture monocratiche”
15
, dove il
governo aziendale è unitario, a prescindere dal decentramento della
decisione-attuazione.
Le imprese appartenenti al gruppo strategico della GD si caratterizzano
per una politica commerciale assai aggressiva, con prezzi decisamente
più ridotti rispetto a quelli praticati dalla distribuzione tradizionale
16
.
14
Fornari D., “Rivoluzione commerciale e trade marketing”, capitolo 5, pp. 127-141.
15
Cuomo G., “Funzioni, strutture e strategie delle imprese commerciali complesse”.
16
Ravazzi G., “Il sistema della distribuzione commerciale”, pp. 160-161.
13
Tra le differenze più significative tra la GD ed il piccolo dettaglio
tradizionale, spiccano, fra le altre, la più grande superficie di vendita, la
presenza di una catena di negozi, la despecializzazione merceologica, la
gestione di tipo societario, la grande dimensione degli assortimenti e gli
approvvigionamenti presso fonti produttive
17
.
Tra i punti di forza di questo gruppo strategico, ricordiamo il più basso
costo di acquisto dei prodotti, in ragione dei grandi volumi acquistati
(con conseguente ottimizzazione dei propri costi di produzione),
l’aggressività nei confronti del mercato attraverso, per esempio, continue
manifestazioni promozionali, il costante miglioramento dell’immagine
dei punti di vendita e l’adeguamento dell’assortimento alle esigenze dei
consumatori, in tutti i settori merceologici.
Altro vantaggio è legato alla specializzazione delle funzioni gestionali,
perché nonostante ci siano anche singole unità di modesta dimensione, è
proprio la dimensione complessiva che permette una gestione
manageriale (politiche di marketing, politiche di programmazione e di
controllo degli assortimenti e delle scorte, …) assai efficace ed
efficiente
18
.
17
Eminente G., “La gestione strategica nelle aziende della grande distribuzione: l’esperienza Generale
Supermercati”.
18
Bertero G., “Grande distribuzione: il ciclo logistico”, pp. 2-4.
14
Il principale punto di debolezza delle catene nazionali della GD, rispetto
ad altri gruppi strategici (ed alle forme associate in particolar modo), è
relativo al fatto che il processo di adattamento al singolo mercato non
può essere così efficiente come quello delle catene locali; se si riescono a
differenziare le politiche di marketing, di merchandising ed i formati,
altrettanto non può dirsi in tema di composizione dell’assortimento e di
pricing, data la necessità di mantenere, comunque, un controllo centrale
sulla gestione operativa
19
.
Come detto in precedenza, dalle imprese a succursali dipendono più
unità operative, ovvero più punti di vendita di grande dimensione
20
;
tra i negozi della catena, in base alla forma distributiva, possiamo
distinguere
21
: gli ipermercati (superficie di vendita superiore ai 5.000
mq, assortimento ampio, ubicazione alla periferia delle città o,
comunque, in zone non urbane ad elevato traffico), i mini-iper (da
2.000 a 5.000 mq), i superstore (da 1.500 a 2.000 mq), i supermercati
(con superficie di vendita compresa tra i 1.000-1.500 mq, che operano
nel comparto grocery, in aree urbane centrali), i minimercati o
superettes (solitamente 200-400 mq, ubicati in aree di quartiere, che
19
Lugli G., “Economia e politiche di marketing delle imprese commerciali”, pp. 18-21.
20
Il MICA include nella GD tutti i punti di vendita con più di 400 mq di superficie.
21
Colla E., “La grande distribuzione in Europa. Evoluzione delle formule distributive, strategie e strutture
aziendali, rapporti con l’industria”, capitolo 3, pp. 77-115.
15
operano nel grocery), i discount (superficie di vendita inferiore ai
1.000 mq, caratterizzati da una forte accentuazione della politica di
contenimento dei prezzi, grazie all’offerta di prodotti non di marca
posizionati nelle fasce di prezzo più basse, ad un assortimento molto
limitato e ad un comfort di acquisto ridotto al minimo), i negozi
specializzati su grande superficie, i Magazzini Popolari
despecializzati ed i Grandi Magazzini (strutturalmente simili al
supermercato, ma con una minore presenza della vendita a libero
servizio, visto che operano nel mercato dei beni problematici o
nongrocery), ed infine, ma entro certi limiti, i centri commerciali.
22
22
Ottimo E., “La struttura della rete distributiva” in Pellegrini L., “La distribuzione commerciale in
Italia”, pp. 115-199.