all’immensità geografica di quel paese. Si tratta di un’idea facilmente
contestabile: Puškin, Lermontov e Turgenev sono esempi di
concisione.
A una riflessione più attenta, diviene evidente che per
Dostoevskij la scelta di forme più ampie corrisponde a un’esigenza di
libertà, quella stessa libertà che ha caratterizzato la sua vita e la sua
visione dell’arte del romanzo. L’imponenza dei romanzi di
Dostoevskij riflette la sua fedeltà ai particolari, nel senso di una
inesorabile registrazione di tutti gli innumerevoli dettagli, gesti o
pensieri, che si accumulano fino al momento del dramma.
L’abitudine che aveva Dostoevskij di mimare i personaggi che
stava descrivendo, un’abitudine che lo accomuna a Dickens, era il
segno esteriore di un temperamento drammaturgico. Lo scrittore vede
prima l’azione: alla base della sua invenzione c’è l’agon, l’evento
drammatico. Egli parte sempre da un qualche improvviso cataclisma,
da uno scoppio violento, che costringa il normale svolgersi dei
rapporti umani a un “momento di verità”. La legge che governa la
composizione è quella della massima energia, liberata in una porzione
spazio−temporale il più limitata possibile; infatti, nonostante la mole
dei suoi romanzi, l’azione ha luogo sempre nell’arco di pochi giorni.
Dostoevskij considerava la forma drammatica la più prossima
alla realtà della condizione umana. Nel suo essere estremamente
diretto ed energico, il dialogo dostoevskiano corrisponde alla
sensibilità e alla tradizione del teatro. «Certe volte» nota Merežkovskij
«si ha l’impressione che Dostoevskij non abbia scritto delle tragedie
solo perché la forma esteriore della narrazione epica, il romanzo, era
casualmente quella prevalente nella letteratura dell’epoca, e anche
3
perché non esisteva palcoscenico degno di lui, e neppure, il che è
ancora più importante, spettatori degni di lui»
2
.
In questo senso, Dostoevskij può essere considerato un
“drammaturgo” nel solco della tradizione neoclassica ed elisabettiana,
che però andava scomparendo nella letteratura occidentale. Possiede
un istinto infallibile per i temi drammatici, sacrifica le esigenze della
verosimiglianza, subordinandole a quelle dell’unità d’azione. L’unica
cosa che gli interessa è lo splendore dell’esperienza umana illuminata
dalla luce ardente del conflitto. E il discorso diretto, da un’anima
all’altra, o dell’anima con se stessa, è il suo strumento costante.
Dostoevskij è spesso citato da critici e biografi come esempio
tipico di nevrosi creativa, ma in realtà era dotato di una forza e di una
resistenza eccezionali. John Cowper Powys segnala come elemento
centrale nella natura di Dostoevskij «una misteriosa e profondamente
femminile capacità di rallegrarsi della vita anche mentre essa è fonte
di sofferenza»
3
.
Era un uomo che viveva in condizioni di incandescenza:
sopravvisse alla tortura della finta esecuzione, già di fronte al plotone
che doveva fucilarlo, e anzi, trasformò il ricordo di quell’ora
spaventosa in un talismano di sopportazione e in una continua
sorgente di ispirazione; sopravvisse alla katorga siberiana e al servizio
in un reggimento penale; scrisse i suoi lunghi romanzi, i suoi racconti,
i suoi saggi polemici in condizioni di pressione finanziaria e
psicologica che avrebbero esaurito le energie di una qualunque altra
persona dotata di minore vitalità.
2
D. S. Merežkovskij, Tolstoj e Dostoevskij: vita, creazione, religione, Bari, 1982
3
J. C. Powys, Dostoevsky, London, 1946
4
E’ probabile che la malattia di Dostoevskij fosse direttamente
legata alla sua straordinaria energia nervosa, e che avesse la funzione
di scaricare parte delle sue incontenibili energie.
Se in patria la critica non è stata sempre benevola nei confronti di
questo grande genio, all’estero Dostoevskij è penetrato profondamente
nella trama del pensiero contemporaneo. Egli è uno dei principali
maestri della sensibilità moderna.
Dostoevskij è uno dei maggiori geni drammatici di tutti i tempi:
sprezzatore del razionalismo, grande amante del paradosso, maestro
costruttore della moderna metropoli nella provincia della lingua;
contro la verità piuttosto che contro Cristo, diffidente di qualsiasi
comprensione totale e innamorato del mistero. Avanza nel labirinto
dell’innaturale e nelle paludi dell’anima; è sempre sull’orlo
dell’allucinato e si lascia pervadere dalla dimensione dell’onirico; è un
fascio di energie sempre in lotta con la malattia e l’angoscia.
Non si può rimanere indifferenti davanti ad una personalità così,
a dir poco, complessa. Un uomo che ha saputo affrontare la sofferenza
più atroce, che è stato ad un passo dalla morte ma non si è lasciato
seppellire dall’angoscia; che ha amato la letteratura almeno quanto ha
amato l’uomo, e che ci ha regalato degli autentici capolavori.
Nella sua produzione artistica esistono due piccoli cammei, che si
pongono come degli spartiacque nella sua vita e nella sua carriera.
Due romanzi brevi, scritti nel periodo di confino in Siberia, e che
costituiscono un unicum prezioso nel corpus delle sue opere: Il
Villaggio Stepančikovo e i suoi abitanti
4
e Il sogno dello zio
5
.
4
F. M. Dostoevskij, Polnoe sobranie sočinenij v 30-ti tomach, т. III, стр. 5-168, Leningrad,
Akademija Nauk, 1972-1990. Trad it.: F. M. Dostoevskij, Romanzi brevi in 2 vol., vol. 1, pag.
547-797, Grandi classici Oscar Mondadori, Milano, 2005
5
Due romanzi comici scritti un po’ «per scherzo», un po’ per
necessità finanziarie, un po’ per un’interiore e profonda necessità di
ritornare alla vita letteraria, cercando di evitare le restrizioni della
censura. E’ difficile immaginare il Dostoevskij dei primi racconti,
scrivere i romanzi successivi, ma l’autore di questi romanzi siberiani,
dimostra invece di poterlo fare. Le due opere si pongono, quindi,
come momento di passaggio quasi necessario, e Dostoevskij ripone
grandi speranze in esse, ma la critica è severa, decretandolo addirittura
uno scrittore ormai fallito.
Nonostante la straordinaria premura dei giornali, pronti a
sostenere con tutti i mezzi disponibili il ritorno alla letteratura dello
scrittore deportato, due redazioni gli rimandano il manoscritto, e solo
la terza, la meno autorevole ed esigente, accetta il racconto,
aggiungendo una clausola, che faceva ben comprendere all’autore che
il comico non era il suo genere.
Dostoevskij non aveva ancora mai provato simili insuccessi, né
gli capiterà di ripeterli in seguito. In futuro egli non solo non cercherà
di cambiare il suo stile artistico, ma tenterà anzi di farlo risaltare in
tutta la sua scabrosità e originalità. E infatti, ad attenderlo per
consegnarlo al successo mondiale, vi è la stagione dei grandi
capolavori, nei quali verrà a convergere proprio una parte di queste
due opere.
Come inquadrare, dunque, questi due romanzi così nuovi e
diversi rispetto alle altre opere dostoevskiane nel corpus della sua
produzione artistica? Come definire il genere così particolare, scelto
dallo scrittore per ritornare in vita come letterato in primis, ma anche
5
F. M. Dostoevskij, Polnoe sobranie sočinenij v 30-ti tomach, т. II, стр. 296-398, Leningrad,
Akademija Nauk, 1972-1990. Trad it.: F. M. Dostoevskij, Il sogno dello zio, Einaudi editori,
Torino 2005
6
come uomo, dopo l’esperienza della Siberia? Quali prototipi, russi ed
europei, e quale eredità legherà questi romanzi ad altri personaggi del
panorama della letteratura dostoevskiana, russa ed europea?
Ancora invischiato nel suo passato letterario, Dostoevskij si
misura col comico e con la satira in questi racconti che evocano lo
spirito degli anni ’40 dell’Ottocento e dove, sulle tracce del critico
Jurij Tynjanov, si vuole vedere una parodia del Gogol’ dei Passi scelti
dalla corrispondenza con gli amici. Ma, come sostiene J. Catteau
6
, lo
scrittore non fa la parodia di queste pagine gogoliane, bensì prende le
distanze dalla caricatura che di quelle idee aveva fatto Belinskij nella
sua celebre Lettera a Gogol’ del 15 luglio 1847, che ebbe un ruolo
tanto nefasto nell’arresto di Dostoevskij nel 1849. Letto in questa
chiave, Il Villaggio Stepančikovo appare come una rivalutazione
dell’eredità gogoliana.
Non si smetterà mai di scrivere a sufficienza su questo grande
della letteratura mondiale, se ad ogni lettura e ad ogni critico o
semplice lettore appassionato si apre ogni volta un universo nuovo e
sconosciuto. Non si smetterà mai di capire a sufficienza una
personalità così complessa che sfugge a definizioni certe e definitive.
Non si smetterà mai a sufficienza di apprezzare uno scrittore che è
tappa fondamentale per chi voglia comprendere l’insondabile
profondità dell’animo umano e il labirinto dei suoi sentimenti, così
come l’animo della Russia con la sua storia così diversa per noi lettori
occidentali.
6
Storia della civiltà russa in 3 vv., UTET, a cura di M. Colucci e R. Picchio, Torino, 1997, vol. I,
pag. 666-689
7
La parodia
Storia della parodia
In letteratura il termine parodia definisce un componimento che
indica in modo deformato un testo o un gruppo di testi (gruppo che
può essere costituito da opere appartenenti a un genere, a un autore, a
una corrente letteraria), spesso con intenzioni burlesche. L’etimologia
del termine (dal greco παροιδία, inteso come παρά=accanto, e
οιδέ=canto) deriverebbe dall’usanza, diffusa fra i rapsodi greci, di
alternare alla recitazione dei canti dei poemi epici quella di
“controcanti” in cui la medesima materia era ripresa e travestita
parodicamente, per divertire il pubblico. Se tale interpretazione non è
unanime, è invece certo che gli antichi greci avevano una nozione
precisa della parodia, tanto che Aristotele nella Poetica cita, senza
ulteriori spiegazioni, Egemone di Taso come il primo che scrisse
parodie
7
.
Il concetto e il termine “parodia” furono oggetto di un rinnovato
interesse teorico nei secoli XVI e XVII; è fondamentale a riguardo il
trattato di H. Estienne, dove si propone una distinzione fra parodia
comica e parodia seria.
Anche nel Novecento molti studiosi si sono interessati
all’argomento, manifestando una generale tendenza ad accrescere
l’estensione e il significato ideologico del campo della parodia. La sua
collocazione nell’ambito letterario resta comunque difficile, poiché la
parodia non può essere considerata propriamente un genere.
7
Grande dizionario enciclopedico UTET, fondato da Pietro Fedele, Torino, 1992, vol. XV, pag.
492-493
8
La parodia appare da un lato una presenza “trasversale” nel
sistema dei generi letterari e dall’altro una dimensione più vasta ma
anche più indeterminata, che ne fa un procedimento (приём) diffuso
in tutto l’universo letterario e, più in generale, linguistico.
L’accezione più estesa del termine è venuta potenziandosi
proprio nel Novecento, quando all’idea romantica dell’originalità
creativa si è sostituita quella dell’opera inserita in un universo
semiotico complesso e linguisticamente saturo, dove il testo si
propone, anche al di là delle intenzioni che hanno mosso il suo autore,
come variante sul già detto, inevitabile richiamo alla tradizione che
l’ha preceduto.
Numerosi critici hanno insistito sul valore totalizzante della
parodia, vedendovi la natura stessa, debole, riflessa, ironica e mediata
della letteratura. Fra i formalisti russi, Ju. Tynjanov
8
ha individuato
nella parodia un elemento fondamentale della dinamica storico–
letteraria, in particolare nei fenomeni, spesso concomitanti, di
decadenza e nascita dei generi. M. Bachtin
9
ha sottolineato, invece, il
valore stabilmente trasgressivo della parodia nelle opere che si
propongono un rovesciamento, una “carnevalizzazione” del modello.
Secondo Bachtin, la parodia implica la creazione di un sosia che
“scorona” l’eroe principale e l’affermazione di un “mondo alla
rovescia”, e inoltre, come la satira, essa sembra risalire al comico
carnevalesco, in cui ogni valore gerarchico tradizionale è dissacrato,
deriso e ribaltato. In senso più ampio, si ha parodia quando
l’imitazione intenzionale di un testo, di un personaggio o di un motivo
viene condotta in termini ironici, per mettere in risalto il distacco dal
8
Ju. Tynjanov, Avanguardia e tradizione, Dedali, Bari, 1968, pag. 135-171
9
M. M. Bachtin, Dostoevskij Poetica e stilistica, Einaudi Editore, Torino, 1968, pag. 166-167
9
modello e il suo rovesciamento critico. In termini linguistici, invece,
la parodia comporta sempre una transcodificazione
10
.
Per impostare un discorso sulla parodia è necessario considerare,
nel testo, la funzione fondamentale dell’autore e del destinatario: da
un lato, l’intenzione parodica, dall’altro, la capacità ricettiva e
storicamente variabile del lettore di cogliere le allusioni contenute nel
testo medesimo. Questo rapporto di complicità fra autore e lettore
permette di assegnare alla parodia una specificità semantica. Il gioco
parodico si presta a intenzioni molteplici: divertimento letterario,
dilatazione inventiva, polemica personale, rappresentazione satirica
differenziandosi, però, dalla satira per la mancanza di spirito
moralistico o per la rinuncia all’invettiva.
Come sottolinea il Marchese, la satira è un genere letterario in
versi o in prosa e versi (satira menippea) che si caratterizza per il suo
tono polemico, parodistico, critico−moralistico o ironico, e che ha
come oggetto la rappresentazione della realtà quotidiana in uno dei
suoi infiniti aspetti serio−comici: i difetti degli uomini, le manie dei
parvenus, i vizi dei ricchi, i fatti più o meno memorabili della vita e
così via
11
. La satira avrebbe una genesi folclorico−culturale come
molte delle azioni drammatiche sorte nel clima gioioso delle feste; a
ragione Bachtin
12
vede nei tratti caratteristici della satira lo spirito del
“sentimento carnevalesco del mondo”. La satira conserva molti aspetti
della sua antica origine, e soprattutto il plurilinguismo che rompe con
le convenzioni dei diversi generi alti (l’epica, la tragedia, ecc.) e
mescola prepotentemente parole auliche ironizzate ed espressioni
plebee, toni, stilemi, metri di varia natura.
10
A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori editore, Milano, 1978, pag. 198
11
A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori editore, Milano, 1978, pag. 233-234
12
M. M. Bachtin, Dostoevskij Poetica e stilistica, Einaudi Editore, Torino, 1968, pag. 147-159
10
Una definizione corrente di parodia, così come si è imposta verso
la metà del XIX secolo, può essere invece tratta dal dizionario di
Bouillet
13
: «La parodia è una composizione in versi o in prosa fatta su
un’opera seria, che viene trasformata in senso ridicolo mediante certe
modifiche o mediante la corruzione della sua destinazione sostanziale
ad oggetto divertente». Tale definizione non ha tuttavia retto a lungo e
l’idea di parodia come artificio comico, diffuso nel XIX secolo e
definitivamente consolidatosi in Italia, restringe oltremodo il problema
e risulta inadeguata a gran parte delle parodie.
Lo studio sulla parodia nella letteratura russa inizia con il
classicismo, nel XVIII secolo. Precedentemente si adoperavano delle
tecniche che potrebbero essere, per grandi linee, definite parodiche (ad
esempio nella corrispondenza di Ivan Groznij e Kurbskij) ma che
tuttavia non si innesteranno mai in un vero e proprio sistema capace di
creare uno specifico genere letterario, poiché la parodia del XVIII
secolo non ha alcun legame con queste tecniche parodiche,
formandosi senza ombra di dubbio sotto l’influsso degli antichi
modelli occidentali
14
.
Nella prima metà del XVIII, le opere di Tredjakovskij,
Lomonosov e Sumarokov segnano la nascita della letteratura russa e
pongono le basi fondamentali allo sviluppo della prosa e della poesia.
Poco importa che molto è fatto, per così dire, alla maniera occidentale:
la cosa importante è che, in un modo o nell’altro, si pongano sul suolo
russo le basi per la nascita di una letteratura totalmente nuova rispetto
alle forme precedenti, e che nasca la prima scuola letteraria con solide
tradizioni.
13
M. N. Bouillet, Dictionnaire des sciences, des lettres et des arts, Paris, 1854
14
Б. Бегак, Н. Кравцов, А. Морозов, Русская литературная пародия, Издательство Ардис,
Анн Арбор, стр. 66
11
Una “questione della lingua” si pone a partire dagli anni ’30 del
Settecento; la disordinata introduzione di neologismi evidenzia in
questo periodo l’inadeguatezza della lingua scritta, sia quella letteraria
settecentesca che si basa su di uno slavo ecclesiastico più o meno
russificato, sia quella delle cancellerie, costruita su cliché
stilistico−lessicali e priva quindi di ogni flessibilità.
A Tredjakovskij deve essere ascritto il merito di aver impostato a
livello teorico la questione della nuova lingua letteraria e di averne
tentato conseguentemente una codificazione. Il rifiuto dello slavo
ecclesiastico ed il ricorso al parlato era comunque dettato
dall’esigenza di valorizzare il carattere nazionale e moderno del russo,
adeguandolo alle altre maggiori lingue europee, innanzitutto al
francese. Anche la questione della metrica viene risolta da
Tredjakovskij con l’impiego della metrica tonica e lo sviluppo
organico di una propria lingua russa.
Più complesso è il discorso riguardante la lingua e i generi
15
.
Sottolineando la polisemia della parola nel linguaggio poetico e
combattendo l’assunto razionalistico che identificava in essa un puro
concetto, Lomonosov tende a realizzare una sintesi organica tra slavo
ecclesiastico, punto di riferimento unificante nella tradizione
linguistica nazionale, e la lingua russa parlata. Prepara così il campo
per una più coerente codificazione delle forme grammaticali e del
lessico e, di conseguenza, per una più articolata definizione degli stili
letterari in relazione ai generi.
Partendo dalla tradizionale tripartizione dello stile alto, medio e
basso, Lomonosov riferisce al primo l’ode, il poema eroico e la prosa
15
Б. Бегак, Н. Кравцов, А. Морозов, Русская литературная пародия, Издательство Ардис,
Анн Арбор, стр. 66-76
12
oratoria; allo stile medio, le epistole in versi, le satire, le ecloghe, le
elegie, la prosa storica e scientifica; allo stile basso, infine, la
commedia, le canzoni, la corrispondenza e la cronaca giornalistica
16
.
Con il suo tenace lavoro Lomonosov ha fissato l’ode come
genere e ne ha mostrato le peculiarità, tipiche unicamente delle
proprie odi e di quelle dei suoi allievi. I meriti di Lomonosov
nell’elaborazione di una poetica del classicismo si rivelano
principalmente in opere che sono legate al genere dell’ode; non si
preoccupa affatto di altri generi, e non ha quasi nessuna influenza
sulla formulazione della tragedia, del poema e di altri generi, coltivati
invece dalla scuola classica. Questa forte scuola poetica non solo
elabora un nuovo stile, ma fonda anche un proprio genere, portando le
proprie singole tecniche, spesso nuove, all’interno del sistema poetico,
fino a creare un effetto globale armonico.
Mentre la scuola classica si va ancora formando, tre sono i poeti
principali: Tredjakovskij, Lomonosov e Sumarokov; per la precisione
il vero lavoro è svolto dai primi due, ma presto appare anche
Sumarokov a contendersi con gli altri il primato della trasformazione
radicale dello stile russo. Non essendoci punti in comune nella loro
arte, tra questi tre poeti si crea una specie di lotta da cui emerge
Sumarokov con le sue concrete novità e con i suoi cambiamenti nella
concezione poetica allora dominante. La diversità tra di essi è tale che
tra di loro non si attribuiscono neppure l’appellativo di poeti.
Non appena Sumarokov entra nell’agone della letteratura russa,
porta con sé degli elementi nuovi: nuove forme, parole, costrutti e
molto rapidamente si impadronisce dell’opinione dei lettori, abituati
16
Storia della civiltà russa in 3 vv., UTET, a cura di M. Colucci e R. Picchio, Torino, 1997, vol. I,
pag. 250-252
13
alle vecchie forme. Fa proprie molte delle concezioni lomonosoviane,
anche se preferisce privilegiare lo stile medio a scapito della
componente slavo ecclesiastica, e compone le sue prime odi sotto la
diretta influenza di Tredjakovskij.
L’istanza più concreta della poetica sumarokoviana, l’esigenza di
chiarezza e di semplicità nel linguaggio e nell’uso dei tropi poetici, si
pone in netto contrasto con la magniloquenza che Lomonosov
prescrive alla lingua poetica
17
. Alle enunciazioni teoriche Sumarokov
non manca di far seguire concreti fatti letterari, componendo negli
anni ’50 del Settecento alcune vivaci parodie, le Odi insensate, cinque
odi che parodizzano quelle di Lomonosov, mettendone in ridicolo i
cosiddetti “voli” e gli “impetuosi assalti” verbali che mostrano
l’entusiasmo del poeta nel comporre le sue opere.
Sumarokov polemizza contro l’abbondanza di iperboli e metafore
che allontanano dal significato autentico di una parola piuttosto che
renderla più reale. Infine parodizza il “panegirico” e qualsiasi altro
tipo di allegorie e paragoni, o ancora similitudini abusate nelle odi per
apparentare le persone ad astri del cielo, a leoni o ad aquile. A livello
di sintassi, evidenzia elementi caratteristici della poetica di
Lomonosov, quali la ripetizione, il raggruppamento sintattico di parole
con la stessa radice, il principio della sonorità e l’associazione di idee
lontane tra loro
18
.
Alla pratica poetica dell’uso di metafore, iperboli, ricchezza
d’intonazione e “rumorosità” presenti nelle odi lomonosoviane,
17
Storia della civiltà russa in 3 vv., UTET, a cura di M. Colucci e R. Picchio, Torino, 1997, vol. I,
pag. 260-262
18
Ju. Tynjanov, Poetika, III- Vremennik Otdela Slovesnych Iskusstv Instituta Istorii Iskusstv,
Leningrad, 1927, pag. 109
14
Sumarokov contrappone la “chiarezza” semantica delle sue odi
19
,
sceglie la strada della semplicità, l’inclinazione del discorso poetico
alla lingua parlata, sottolineando insistentemente l’incomprensibilità
delle odi del suo avversario.
Sumarokov appare sulla scena adoperando la forma della parodia
non solo perché le sue odi si distinguono da quelle di Lomonosov,
perché comprende la poesia in un altro modo o perché propone un
nuovo stile, ma principalmente perché ha coltivato le importanti forme
poetiche del dramma e dell’epos, allontanandosi dalla lirica. Più tardi
adopererà le stesse tecniche di parodizzazione già vincenti con le odi
di Lomonosov, con un seguace della scuola di quest’ultimo, V. Petrov,
formatosi all’Accademia slavo−greco−latina, che appare ben presto
sulla scena letteraria come nemico del suo stile.
Altri scrittori russi si occupano di questo genere, come ad
esempio Gavrila Deržavin, attento sperimentatore di forme metriche e
strofiche, per il quale l’ode assume anche nuove sfumature con
l’introduzione di elementi satirici e con una propensione alla forma
popolare, chiara nella sua poetica e ancor più in quella di Nikolaev.
Deržavin apre una nuova strada alla poesia: l’ode celebrativa
viene ripresa con una revisione radicale, in seguito alla quale lo stesso
termine “ode” diviene intercambiabile con altre definizioni di genere,
e per ciò stesso svuotato di senso. Tutto il bagaglio di metafore,
slavismi, esclamazioni retoriche, proprie del genere, è rivitalizzato da
una disinvolta mescolanza con elementi bassi, comici e quotidiani, che
19
Ju. Tynjanov, Poetika, III- Vremennik Otdela Slovesnych Iskusstv Instituta Istorii Iskusstv,
Leningrad, 1927, pag. 119
15
finiscono per sconvolgere la divisione in tre stili, basata sul principio
classicista e lomonosoviano della coerenza di temi e mezzi stilistici
20
.
Nella seconda metà del secolo XVIII l’intreccio di orientamenti e
stimoli culturali diversi, la nascita di sodalizi o vere e proprie scuole
letterarie in competizione tra loro, la radicale revisione dei generi
letterari, il sensibile arricchimento tematico della letteratura, pur nel
rispetto di molti dei principi poetici ricollegabili al classicismo, hanno
di fatto reso impraticabile, al di fuori della lirica solenne e della prosa
scientifica, il cammino tracciato da Lomonosov nei suoi lavori di
retorica e stilistica. Anche la lingua elaborata da Sumarokov e dai suoi
seguaci, certamente più aperta al processo di europeizzazione in atto
negli strati più colti della società, si mostra inadeguata a soddisfare i
nuovi gusti letterari del pubblico russo
21
.
In questo nuovo contesto linguistico si inserisce la grande azione
riformatrice di Karamzin, il quale partiva dall’assunto che non solo si
dovesse scrivere come si parla, ma anche parlare come si scrive, e tale
interdipendenza tra lingua scritta e parlata doveva realizzarsi in
ossequio ai dettami del gusto e del senso estetico.
Verso la fine del secolo la lirica elevata dalla letteratura colta
scende al livello di quella popolare divenendo appannaggio degli
scrittori arcaisti. E’ Ju. Tynjanov ad introdurre la definizione di
“arcaisti e innovatori” per sostituire le categorie di “classicisti” e
“romantici”. Conseguenza di ciò è l’esaltazione dei generi letterari
sentiti come desueti dagli innovatori e la stretta collaborazione tra
livello linguistico (alto, medio, basso) e genere letterario prescelto; al
20
Storia della civiltà russa in 3 vv., UTET, a cura di M. Colucci e R. Picchio, Torino, 1997, vol. I,
pag. 304-307
21
Storia della civiltà russa in 3 vv., UTET, a cura di M. Colucci e R. Picchio, Torino, 1997, vol. I,
pag. 329-332
16