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soggetto tossicomane entra in contatto) e quella psicologica (la
personalità del tossicodipendente e delle motivazioni che
sottendono all’abuso) che interagiscono fra loro in modo da
esercitare influenze reciproche e sulla singola persona in cui si
incrociano. La dipendenza da sostanze deve pertanto essere
trattata nella sua globalità; in caso contrario l’approccio
rischierebbe di essere parziale e non esplicativo del fenomeno.
Ed è proprio sulla dimensione psicologica che si focalizza la
nostra attenzione ed in modo particolare sui tratti generali di
personalità quali per esempio l’estroversione, il nevroticismo, la
gradevolezza di soggetti che sono dipendenti da sostanze perché
non bisogna dimenticare che al centro della tossicodipendenza si
trova l'uomo, soggetto unico e irripetibile, con la sua interiorità e
la sua personalità.
L’obiettivo della mia ricerca è proprio quello di dimostrare che
esistono tratti generali di personalità non patologica che
differenziano i soggetti che abusano di sostanze da quelli che non
ne fanno uso in quanto, per molto tempo, si è valutato a priori il
tossicomane come una personalità patogena. A tale scopo
utilizzerò due strumenti di valutazione di personalità: l’Eysenck
Personality Questionnaire - che misura le dimensioni dell’
estroversione, psicoticismo e nevroticismo - e i BIG FIVE
(Labif), che valutano le dimensioni dell’estroversione,
gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale.
Queste dimensioni costituiscono tratti generali di personalità non
patologica.
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Nel primo capitolo descriverò il problema dell’abuso di sostanze,
saranno quindi brevemente passati in rassegna i principali
modelli della dipendenza da sostanze d’abuso e gli studi che
hanno analizzato il legame tra abuso di sostanze e personalità.
Ma soprattutto il nostro interesse si è concentrato su studi che
hanno indagato i legami tra personalità non patologica e abuso di
sostanze.
Il secondo capitolo è dedicato alla descrizione del campione e
delle misure utilizzate e delle strategie di misura che verranno
utilizzate.
Il terzo e il quarto capitolo costituiscono la parte pratica, sono
dedicati rispettivamente ai risultati della ricerca empirica e alla
verifica e discussioni delle ipotesi principali.
Il nostro sforzo in questa ricerca sarà di evitare ogni
banalizzazione moralistica e ogni atteggiamento di repressione,
sulla base della consapevolezza che i drogati non sono mostri
minacciosi da cui difendersi e nemmeno malati di mente o
sventurati che occorre difendere ma piuttosto rappresentano il
sintomo più clamoroso di un disagio profondo, di una crisi di
valori, di una incapacità di rinascere e rinnovarsi che riguarda da
vicino l'intera società e, in particolare, le giovani generazioni.
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Capitolo 1
La dipendenza da sostanze d’abuso
1.1 Caratteristiche di un fenomeno in evoluzione: la
dipendenza da sostanze
La dipendenza da sostanze d’abuso rimane oggi una delle
emergenze mondiali più gravi. L’abuso di sostanze è passato
nello spazio di qualche decennio da un uso relativamente
ristretto, riservato ad una classe sociale più o meno agiata ed
indulgente verso se stessa e circoscritto ad avanguardie culturali,
sociali, politiche, a un fenomeno di massa che tocca
trasversalmente tutti in relazione al maggior benessere, ai
rivolgimenti sociali, alla globalizzazione dei consumi e dei
comportamenti. Ma è un fenomeno che si diffonde sempre più tra
i giovani e soprattutto tra gli adolescenti, distruggendone
letteralmente la vita e mandando in frantumi i legami sociali,
affettivi e familiari.
Il termine “dipendenza”, secondo l’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS, 1980) definisce la condizione di chi avverta
la necessità irrefrenabile e frequente di assumere una sostanza a
dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti piacevoli
soggettivi, malgrado il danno fisico, psicologico, affettivo,
emotivo o sociale che tale assunzione possa comportargli come
conseguenza. In questa definizione possiamo sottolineare gli
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elementi chiave della dipendenza da sostanze: in primis c’è
un’irresistibile desiderio o bisogno di continuare ad assumere la
sostanza ed a procurarsela con ogni mezzo, poi la tendenza ad
aumentare la dose per avere gli stessi effetti piacevoli che è
legata al fenomeno dell' assuefazione o tolleranza1, il desiderio di
sperimentare gli effetti benefici legati all'assunzione della
sostanza come rimedio all'ansia, al conflitto, l'evasione dalla noia
legato alla dipendenza psichica, la dipendenza fisica che si
riferisce alle modificazioni chimico-fisiche che la sostanza
produce nell'organismo, per cui l’individuo non può più farne a
meno, nel senso che la sostanza si inserisce nel metabolismo in
maniera da divenire essenziale per il funzionamento
dell'organismo ed infine effetti dannosi all'individuo e alla
società, in quanto la scomparsa della sostanza dall'organismo
provoca segni e sintomi di squilibrio, di sofferenza, di alterazione
funzionale: la cosiddetta “sindrome d’astinenza”.
Quando ci riferiamo alla questione abuso di sostanze
immediatamente si evoca l’immagine del tossicomane inetto e
incapace, si pensa ad una persona senza prospettive, senza
orgoglio, senza principi morali, che agisce solo per assicurarsi la
dose che gli consente di evitare l’astinenza e che a tal fine è
disposto a fare qualunque cosa, come se la droga fosse l’unica
forza motrice delle sue azioni. In realtà il problema dell’abuso di
sostanze presenta una grande eterogeneità di personalità, di
1
Tolleranza o assuefazione = condizione per cui l'uso protratto di una sostanze determina
nell'organismo che l'assume effetti soggettivi sempre più scarsi, per cui per ottenere sempre
lo stesso effetto iniziale bisogna aumentare le dosi.
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contesti socio-culturali, di motivazioni, di atteggiamenti,
comportamenti. Anche se spesso appiattito dalle ambigue
etichette di “droga” o “drogato” non è un fenomeno che si
configura in modo isolato e a sé stante, ma come un fenomeno
multiproblematico e plurifattoriale. Infatti in esso ritroviamo
aspetti diversi: l’aspetto giuridico (il consumatore di prodotti
vietati infrange una norma e quindi incorre in una sanzione),
l’aspetto economico (la sostanza stupefacente rappresenta un
costo per l’individuo e per la società), l’aspetto medico-
farmacologico (concerne lo stato di salute del consumatore e gli
effetti biochimici indotti dalle sostanze sull’organismo), l’aspetto
psichiatrico (concerne i disturbi psichici connessi al consumo),
l’aspetto psicologico (concerne la sua personalità e le
conseguenze sul consumatore nella vita di relazione) l’aspetto
socioculturale (concerne la dissonanza con il suo ambiente
sociale). Quindi la dipendenza da sostanze è un fenomeno
complesso, e ciò non può che rendere problematica
l'identificazione di un quadro univoco delle possibili cause che
stanno dietro al fenomeno nel suo complesso.
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1.2 Dal modello morale al modello multifattoriale
Durante i secoli si sono susseguiti tantissimi e diversi modelli
che hanno dato diverse spiegazioni al problema della dipendenza
da sostanze. In questa sede non li esporrò tutti ma mi limiterò a
fare un breve excursus delle principali teorie. Prima di
approfondire le diverse teorie, è utile premettere che in ogni caso,
al di là delle generalizzazioni scientifiche e teoriche, ogni singola
e particolare situazione di dipendenza ha le sue peculiarità, in
relazione alle quali non si ha a che fare esclusivamente con
"oggetti di studio”, ma con soggetti portatori di uno specifico
malessere e disagio.
Nel XVII, il modello morale interpretava l’eccesso nel consumo
di diverse sostanze come cattiva abitudine o come vizio, frutto di
una volontà debole e l’assuntore era visto come un depravato,
trasgressore delle norme sociali, alla ricerca esclusiva del piacere
e proprio perché manifestava un comportamento irregolare
doveva essere allontanato dalla società e punito o con la
privazione della libertà personale o con la morte.
Successivamente nella seconda metà del XIX si passò al modello
medico, in quanto grazie al notevole sviluppo delle scienze
naturali, la medicina mutuò una serie di concetti e metodologie
che si erano sviluppati nell’ambito della fisica e chimica e cercò
di applicarli al comportamento umano. Così la nozione di
peccato volontario ha ceduto il passo ad una concezione
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deterministica secondo la quale ogni pensiero, ogni azione umana
ha una causa e compito della scienza è quello di individuarla.
L’adozione del modello medico consentiva in questo modo di
interpretare l'uso e l'abuso di sostanze come malattia che
sollevando l’assuntore da ogni responsabilità del suo stato, lo
sottraeva dalla stigmatizzazione sociale e ad interveti di tipo
punitivo per affidarlo a trattamenti medici. Ciò era avvalorato dal
fatto che il consumatore assumendo una droga introduceva
nell’organismo una sostanza ritenuta in grado di interferire con il
naturale equilibrio chimico del corpo. Il passaggio dal modello
morale a quello medico è avvenuto gradualmente e potremmo
dire solo parzialmente dal momento che in alcune teorie attuali è
ancora possibile rintracciare tracce evidenti di riferimento di tipo
etico (McMurran, 1994).
Anche l’ambito psicoanalitico ha contribuito a spiegare la
dipendenza da sostanze. Fino agli anni ’60 gli psicoanalisti
condividevano l’idea che la dipendenza da sostanze costituisse
un disturbo della personalità caratterizzato da fissazione orale,
narcisismo, istinto distruttivo, disturbi maniaco-depressivi. In
quest’ottica la dipendenza era soprattutto interpretata come
conseguenza di una fissazione ad una fase pregenitale dello
sviluppo libidico e proprio da quest’ultima derivava “il carattere
coatto della ricerca del piacere da parte del tossicomane e la sua
capacità a dilazionare nel tempo la soddisfazione” (Ammaniti et
all, 1997). S. Freud, (1905) padre della psicoanalisi, affrontò
l'argomento della tossicodipendenza e osservò che l'abuso
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cronico di una sostanza poteva costituire un tentativo di eludere
le sofferenze con meccanismi narcisistici e i tossicomani erano
vittime di una fissazione alla fase orale, che li rendeva incapaci
di staccarsi da un oggetto d’amore che li nutriva e placava il
dolore che derivava dalla mancata soddisfazione dei bisogni
primari. Successivamente Freud (1915) ha messo in relazione
l’etilismo con una struttura ciclotimica della personalità. Chi
invece tentò di sistemare concettualmente il problema clinico
delle tossicomanie fu C. Glover, uno tra i più fedeli allievi di
Freud. Egli, basandosi sulla propria esperienza di lavoro, affermò
che nella gran parte dei tossicodipendenti si può riscontrare "...un
qualche grado di difficoltà nell'adattamento sociale e una buona
dose di incapacità sessuale " (Glover, 1975). Una interpretazione
che invece si distacca dal corpus classico della disciplina
psicoanalitica è quella di J. Bowlby. Il suo lavoro prende spunto
dalle riflessioni di A. Freud sul lutto del bambino; per Bowlby i
fattori eziologici più importanti per lo sviluppo delle moltissime
forme di disadattamento sono esperienze diverse ma riconducibili
allo stabilirsi di un regime imprevedibile di presenza della madre;
"esperienze precoci che scuotono la fiducia di una persona nella
disponibilità delle sue figure d'adattamento" (J. Bowlby, 1975).
Quindi la tossicodipendenza nasce dall’assenza di cure materne e
il tossicodipendente manifesterebbe, così come il bambino, un
attaccamento ansioso o immaturo nel terapeuta che viene subito
idealizzato. Ecco allora che il tossicodipendente smette di
drogarsi, poiché qualcuno si è occupato di lui; però, appena il
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terapeuta si ritira, egli si sente abbandonato e ricade nell’abuso
psicologico. Gli studi più recenti in ambito psicoanalitico non
spiegano più la dipendenza da sostanze in termini di controllo
delle pulsioni e di istinti distruttivi, ma in rapporto alle relazioni
oggettuali e alle identificazioni che caratterizzano i processi di
costruzione dell’identità. Ricordiamo il lavoro di C. Olievenstein
(1981) il quale, a differenza di altri autori, si è occupato del
problema da un punto di vista più pratico che teorico, lavorando
per dieci anni nel Centro Medico di Marmottan di Parigi. Allievo
di Lacan, Olievenstein inizia ad esporci il suo pensiero
distinguendo nettamente gli assuntori di droga dai
tossicodipendenti e per descrivere la genesi della dipendenza
utilizza la teoria della "fase dello specchio infranto", per la quale
il rituale tossicomanico trae origine dall'esperienza di una
simultaneità del riconoscimento del Se' e della sua frattura ed e'
basato sulla ricerca ad ogni costo di provare di nuovo, tramite il
farmaco, quella prima esperienza d'incontro riuscito con
l'immagine del Se' solo intravista. La droga equivale allo
sprofondarsi nell'arcaico, nel pregenitale, rimettendosi nella
posizione del bambino piccolo e annullando la frattura. Anche D.
Meltzer tra i suoi saggi che si pongono come la più attenta e
puntuale revisione della teoria freudiana fatta dal punto di vista
kleniano, affronta il problema della tossicomania all'interno di un
discorso più ampi riguardante le origini delle perversioni.