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persone, soprattutto per quanti vivevano attraverso il lavoro della terra e con i raccolti
stagionali.
La radio, che si diffonde ad inizio XX secolo, porta un grande cambiamento in questo
stile di vita: per la prima volta anche per il popolo l’intrattenimento avviene dentro la
sfera privata, nelle stanze di casa. Con l’acquisto dell’apparecchio il domicilio diventa
un terminale domestico che riceve continuamente materiali sonori e parlati, dei quali
tutto il nucleo familiare può usufruire senza pagare alcun biglietto, doversi vestire ed
uscire di casa e soprattutto, senza dovere interrompere i ritmi della vita familiare
quotidiana. L’utente della radio ha quindi una prossimità virtuale con gli eventi della vita
pubblica perché, anche solo con la ricezione, vi può partecipare. La sua sfera privata
incorpora attraverso la radio, forse per la prima volta, elementi propri della sfera
sociale. Non importa quanto egli sia lontano dai grandi centri, quanto modesta la sua
abitazione: ogni giorno arrivano nella sua casa quelle notizie del momento e
quell’intrattenimento che erano stati, fino ad allora, dei beni poco mobili, scarsi e
costosi.
Un cambiamento che ha inciso notevolmente nelle relazioni sociali e comunitarie,
superando distanze geografiche e di pensiero che prima rappresentavano ostacoli non
indifferenti.
Fin dagli anni ’20 del Novecento furono fatti molti esperimenti per superare quello che
appariva come il principale limite della radio: l’assenza di immagini in movimento. Il
mondo aveva ormai vari decenni di produzione tecnica delle immagini, dalla fotografia
nata a metà XIX secolo, al cinema inventato alla fine dello stesso secolo.
Dopo il 1930 molti paesi erano tecnicamente pronti per la televisione, ma la crescente
tensione internazionale e poi l’avvento della guerra, non solo impedirono la produzione
degli apparecchi e il lancio della televisione, ma eliminarono le condizioni sociali di
sfondo, come il benessere, il desiderio di investire in beni non di prima necessità, o una
coesione sociale sufficiente, che potevano rendere plausibile la televisione.
Queste condizioni si avverarono dopo la guerra: tra il 1945 e il 1955 la TV si diffuse in
condizioni di crescente prosperità economica, di cui la radio negli anni ’30 non aveva
potuto godere.
3
In molti Paesi, come pure in Italia, la televisione arrivò in centri e realtà paesane dove
la radio non era mai arrivata. All’inizio la visione fu collettiva: la televisione occupava un
posto importante nei locali pubblici o in famiglie agiate e rappresentava, ancora, uno
strumento di potere, di controllo e un privilegio, mai del tutto espresso, ma chiaramente
riconducibile alla possibilità di acquistare e dominare o meno il nuovo schermo.
Appena le condizioni economiche cambiarono e quando il costo del nuovo strumento,
assunse caratteri popolari, essa si diffuse in tutte le abitazioni, introducendosi ancor
più della radio nella sfera privata dei cittadini. Per caratteristiche, stile comunicativo,
scelte di contenuto e forma, il nuovo mezzo di comunicazione era infatti destinato ad
assumere un ruolo strategico in tanti aspetti della vita individuale, comunitaria e
sociale.
Fornendo contemporaneamente audio e video, parole ed immagini, la televisione
richiese infatti fin dall’inizio poco sforzo allo spettatore, nulla di simile alla fatica della
lettura o dell’attenzione per seguire la radio. L’effetto congiunto dell’immagine e del
suono restituiva un inedito effetto di realtà, come se l’obiettivo della telecamera
guidasse lo spettatore in situazioni insolite, piacevoli. La forza di questa associazione
era tale che la televisione appariva come un perfezionamento sociale e tecnico
dell’occhio nudo. Sociale, perché consentiva all’uomo comune di assistere ad eventi
che gli sarebbero stati preclusi, ad es. vedere da vicino l’incoronazione della regina
d’Inghilterra; tecnico, perché permetteva punti di vista plurimi, impossibili per la
normale percezione umana. La TV poteva essere quindi porsi come una forma di
“protesi elettronica” dell’occhio, degli occhiali speciali che consentivano di vedere
meglio, più lontano e più in fretta.
Un aspetto questo destinato a pesare enormemente sull’informazione e sul rapporto tra
telespettatore, contenuti, atteggiamento critico e senso di responsabilità di chi
emetteva e chi riceveva i suoi messaggi.
Inoltre, il fatto che l’uomo qualunque potesse guardare da vicino la regina aveva in sé
qualcosa di democratico. La televisione sembrava una forma visiva di suffragio
universale, un’estensione dei diritti della gente comune, anche perché la televisione
avrebbe presto modificato gli eventi da riprendere e trasmettere, per renderli sempre
4
più visibili: si modificarono orari, forme, colori, rituali, affinché l’evento arrivasse meglio
al pubblico. Ciò come sarebbe avvenuto prima con lo sport, poi con la politica, che
ricorse in modo massiccio all’uso della comunicazione.
Anche in Europa, negli anni ’80, l’informazione politica e sociale divenne un seguito
genere televisivo con accesi dibattiti in studio, un crescente potere dei conduttori delle
trasmissioni, un’influenza sugli spettatori indubbia anche se difficile da certificare.
In particolare in Italia, la crisi della classe politica che si è determinata con gli scandali
di Tangentopoli degli anni ’90 e il repentino ingresso in politica del magnate delle
televisioni private, Silvio Berlusconi, e la sua vittoria alle elezioni del 1994 hanno
rafforzato le convinzioni che la televisione possa “creare la realtà”, fornendo
rappresentazioni da quasi tutti giudicate credibili e quindi in grado di suscitare
emozioni, opinioni, aspettative nel telespettatore.
Negli anni più recenti l’attenzione però si è spostata da ciò che fanno i media alla
gente, a cosa fa la gente con i media. La nascita dei nuovi canali a pagamento, della
pay per view, dei video on demand, suggerisce l’idea che il video sia sempre meno
utilizzato in termine di ricezione, ma improntato ad una scelta individuale e autonoma.
Insomma da un pacchetto precofenzionato di contenuti e proposte, il cittadino passa a
privilegiare un utilizzo della televisione in cui si sente egli stesso protagonista, anche
se per il tempo effimero di “un quarto d’ora di celebrità”, come disse Andy Wharol.
Tutto ciò modificherà l’utilizzo standard della televisione come strumento per creare
unità linguistica, culturale e di immaginario collettivo come è stato fino agli anni
Ottanta, accentuandone l’appartenenza alla sfera privata dell’individuo che se ne
servirà in modo sempre più frammentato, personale e interattivo.
1
L’evoluzione tecnologica della televisione
Lo sviluppo della televisione ripercorre le tappe della ricerca di un mezzo per convertire
segnali luminosi (le immagini) in segnali elettrici, in modo da permetterne la
trasmissione istantanea. Il primo dispositivo dotato di tali caratteristiche fu il “disco di
Nipkov”, brevettato in Germania nel 1884 dallo scienziato tedesco Paul G. Nipkov.
1 “televisione (comunicazione)”,Microsoft®Encarta®2007
5
Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, il perfezionamento e la diffusione dei
tubi elettronici e i progressi compiuti nell’ambito delle trasmissioni radio e dei circuiti
elettrici consentirono di realizzare sistemi televisivi completamente elettronici, che col
tempo diventarono sempre più efficienti.
2
Per la trasmissione furono scelte gamme di frequenza che consentissero un’ampia
portata di dati, scegliendo infine quelle delle VHF (Very high frequencies, da 30 a 300
MHz) e UHF (Ultra high frequencies da 300 MHz a 3.0 GHz). La banda che ogni
canale occupa è di 7 MHz per trasmissioni in VHF e 8 MHz per trasmissioni in UHF.
Col tempo e col progresso delle tecnologie elettroniche (nonché con la riduzione delle
dimensioni dei componenti, grazie ai transistor), fu possibile realizzare la trasmissione
di immagini a colori, effettuando analisi e suddivisioni dell’immagine scandita secondo
le componenti dei colori fondamentali (rosso, blu e verde) che fu riprodotta in modo
analogo sugli schermi.
3
La televisione a colori fu realizzata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e venne
introdotta in Europa nel 1967. Nelle moderne televisioni è inoltre presente il sistema
Teletext che permette di visualizzare informazioni testuali e semplici diagrammi sullo
schermo, sfruttando alcune linee inutilizzate nel segnale televisivo. Un decodificatore di
cui è dotato il televisore separa le informazioni del Teletext dal resto del segnale
ricevuto e le visualizza sullo schermo.
4
Oggi i televisori sono diventati apparecchi sofisticati e da semplici ricevitori di
trasmissioni televisive si sono trasformati in complesse unità computerizzate, dotati di
circuiti digitali e di complessi apparati di programmazione, che possono ricevere e
visualizzare testi, oltre che decodificare e riprodurre trasmissioni musicali ad alta
fedeltà, consentendo il controllo a distanza di tutte le funzioni tramite telecomando.
La tabella 1 riporta le principali tappe dell’evoluzione della televisione nel mondo:
2 “Televisione (tecnologia)”, Microsoft Encarta Enciclopedia on-line 2007
3 www.wikipedia.org/televisione
4 “Televisione (tecnologia)”, Microsoft Encarta Enciclopedia on-line 2007
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Tabella 1: Evoluzione della televisione nel mondo
1884 In Germania, lo scienziato Paul Gottlieb Nipkov brevetta il cosiddetto “disco di Nipkov”,
per la trasmissione a distanza delle immagini.
1926 Il britannico John Logie Baird propone un sistema di applicazione pratica del disco di
Nipkov, tramite una cellula fotoelettrica connessa a un circuito che riproduce un segnale
elettrico, a sua volta trasmesso, prima via cavo e poi via radio, al sistema ricevente.
1929 Iniziano a Roma e Milano gli esperimenti di trasmissione delle immagini utilizzando il
disco di Nipkow.
1932 In Inghilterra vengono trasmessi programmi sperimentali della BBC.
1935 Viene messo in onda nella Germania nazista il primo programma televisivo regolare del
mondo in occasione della XI Olimpiade di Berlino
1947 I delegati di 60 paesi riuniti alla Conferenza mondiale delle radiocomunicazioni di
Atlantic City decidono di chiamare “televisione” (sigla TV) la trasmissione a distanza di
immagini in movimento
1964 In California nasce la prima pay-tv. L’Olimpiade di Tokyo è il primo evento televisivo
trasmesso da un satellite.
1969 Tra il 20 e il 21 luglio l’uomo sbarca sulla luna: 28 ore consecutive di diretta televisiva via
satellite sono seguite in mondovisione da oltre 500 milioni di persone
1997 Compare sul mercato il primo televisore al plasma
2000 La tecnologia LCD (a cristalli liquidi) viene adottata nella costruzione degli apparecchi
televisivi
2007 Steve Jobs fondatore di Apple Computer annuncia il lancio di “iPhone”, evoluto
telefonino-computer in grado di immagazzinare migliaia di mp3, video e programmi
televisivi. L’altra novità dell’azienda americana si chiama “Apple tv”, un dispositivo che
permette di vedere contenuti scaricati da internet sullo schermo del televisore di casa.
Saranno disponibili in Europa dall’autunno 2007.
Fonte: www.wikipedia.org/televisione
La televisione, sicuramente il mezzo di comunicazione che più ha inciso sui costumi
e sugli stili di vita del cittadino del XX secolo, porta in milioni di case in tutto il mondo
notizie, spettacoli e programmi di attualità. È stato il primo mezzo a trasmettere, via
satellite, immagini da un capo all’altro del pianeta ed è tuttora il canale di
comunicazione più diretto per presentare al pubblico temi politici e notizie di attualità,
oltre ad essere uno dei più importanti veicoli di pubblicità.
La televisione europea è stata caratterizzata, fin dalla nascita, da una forte
connotazione pubblica. In ogni paese la televisione si era affermata negli anni ’50-‘60
come servizio pubblico gestito direttamente o indirettamente dallo Stato, il che rifletteva
le specificità e i caratteri culturali di ogni nazione.
Se fino a qualche anno fa la televisione del monopolio di Stato era caratterizzata da un
rapporto pedagogico e paternalistico con lo spettatore, da una programmazione
definita e rigida, da un tipo di aggregazione “rituale”, in cui ogni programma veniva
presentato come occasione unica ed irrepetibile, la nuova televisione ha perso parte di
7
questa solennità. Essa preferisce tenere vivo il contatto con gli spettatori in studio o a
casa (giochi e test via telefono, commenti tramite e-mail, rulli con gli sms del pubblico,
ecc.), valorizzando la dimensione del quotidiano e della convivialità (il conversare dei
diversi momenti della giornata, seduti comodamente su un divano) e mettendo in
scena il proprio fare televisivo. Si è fatta strada, infatti, la tendenza ad esplicitare molte
strategie enunciative, come ad esempio, l’esibizione della macchina da presa e degli
operatori, oppure gli sguardi in camera dei conduttori, così come si producono
sincretismi e contaminazioni fra i generi, confondendo i confini tra informazione,
educazione e intrattenimento (definiti infatti infotainment ed edutainment).
5
Anche il ritmo della programmazione è diventato molto più elastico: con l’uso del
telecomando si tenta di assecondare la diffusa attitudine allo zapping. Anche questo è
un aspetto innovativo che modifica il rapporto iniziale del telespettatore con il video e
che contribuisce a favorire la scelta personale e la possibilità di fruire di messaggi
plurimi in poco tempo, seguendo anche più trasmissioni.
Il risultato di questa trasformazione è stato spesso giudicato dagli studiosi in modo
negativo, in quanto si ritiene che la funzione di semplice contatto tra conduttore e
pubblico in studio o a casa e la dimensione dell’intrattenimento abbiano ormai preso il
sopravvento, a scapito di tutto l’aspetto informativo ed educativo caratteristico della
televisione tradizionale.
L’evoluzione tecnologica della televisione ha ripercussioni anche sul piano della
fruizione: la messa a punto di tecnologie satellitari e di diffusione via cavo ha creato
un’articolata gamma di nuove forme di trasmissione ad uso domestico e notevolmente
aumentato i canali televisivi a disposizione dello spettatore-utente. Molti dei nuovi
canali sono a pagamento: la pay-tv è infatti un sistema di trasmissione criptata, cioè
manipolata per permettere la visione solo a coloro che possiedono un decoder e che
pagano un canone di abbonamento. Esiste poi la pay-per-view, che consente ad ogni
utente di pagare solo di programmi effettivamente seguiti, cioè il “consumo televisivo”.
Tra la pay-tv e la pay-per-view c’è anche una sostanziale differenza di offerta di
contenuti: se la pay-tv propone generalmente prodotti di catalogo su canali tematici
5 “televisione (comunicazione)”,Microsoft®Encarta®2007
8
(film, sport, informazione, cultura, ecc), l’offerta della pay-per-view è più legata
all’avvenimento e alla novità (film in prima visione, eventi sportivi e culturali di rilievo,
ecc) proposti spesso in diretta.
Un’ulteriore evoluzione è costituita dal sistema video-on-demand, in cui l’utente attinge
direttamente da un vasto archivio. Questa possibilità consente di utilizzare la
televisione in un modo sempre più legato alla scelta individuale e autonoma.
Quindi, l’esame dei dati raccolti, sembra far emergere la tendenza della televisione del
futuro verso la frammentazione delle conoscenze e alla costruzione di gruppi
diversificati e più attivi nella relazione con il mezzo televisivo. Un aspetto questo che
sta già attentamente interessando gli studi di psicologi, sociologici ed esperti di
marketing ed economia, che stanno considerando tutte le variabili psicologiche,
relazionali, sociali ed economiche legate all’interazione tra individuo e schermo e alle
possibile ripercussioni sul piano emotivo, psichico, relazionale, comportamentale,
sociale ed economico.
D’altra parte, lo sviluppo delle reti telematiche e di internet in particolare, è destinato a
pesare molto sul futuro della comunicazione televisiva e la convergenza tra i diversi
strumenti di comunicazione potrebbe aprire scenari non ancora ben delineati.
6
Anzi, se all’inizio sembrava delinearsi, uno scontro diretto tra piccolo schermo e mondo
della rete, quando questa proponeva contenuti diversi da quelli televisivi, ora internet
sta includendo tutte le proposte finora controllate, gestite e pilotate dallo schermo e dai
suoi operatori. Non sarà necessaria una scelta tra i due mondi, quello televisivo e
quello della rete, per gli utenti del prossimo futuro, perché le strade comunicative e
relazionali dei due mezzi convergeranno e la commistione tra visione passiva della
televisione e approccio interattivo di internet sicuramente porteranno nuovi risultati e
apriranno la via a nuove domande e nuovi studi.
6 “televisione (comunicazione)”,Microsoft®Encarta®2007
9
La televisione italiana nel contesto dell’Unione Europea: la scelta del caso-studio
I mass media con il loro sviluppo tecnologico e diffusione hanno sempre un maggiore
impatto, dovuto al ruolo giocato dai broadcasters e dagli editori, nelle società attuali ma
anche, ed è ciò che più conta, nei sistemi democratici.
Il ruolo dei media nei sistemi democratici comprende la fornitura di informazioni sulla
vita politica e sui processi decisionali politici e perciò richiede un sistema trasparente
per consentire l’accesso all’informazioni. Inoltre, dai media i cittadini si aspettano che
sia fornita un’ampia gamma di opinioni ed analisi riguardanti la vita politica, i problemi
sociali, le questioni economiche, tutti i temi rilevanti per la loro vita quotidiana. Ai media
il cittadino richiede intrattenimento, ma anche informazione trasparente e corretta.
Il media fornisce prodotti che hanno una specifica importanza culturale e politica, per la
società. Data l’importanza dei mezzi per distribuire informazioni, è naturale che gli
attori politici siano di aiuto nell’indirizzare l’opinione pubblica durante le campagne
elettorali, quindi sarebbe sciocco pensare che in nessuno degli Stati membri
dell’Unione Europea gli attori politici non abbiano bisogno di avere degli “amici” nei
media. È chiaro che esiste sempre un collegamento tra attori politici e attori dei media,
poiché i politici fanno sempre affidamento sui mezzi per portare il loro messaggio ai
cittadini.
Altrettanto non deve sorprendere il fatto che gli attori economici abbiano immensa
influenza sui media. Anzi, è oggi chiaramente individuabile uno stretto rapporto tra i
due mondi, con aspetti legati all’interesse economico e al controllo sociale della
comunità, che si possono ottenere anche tramite il controllo dello schermo e dei suoi
contenuti.
Ottenere il consenso dell’opinione pubblica in riferimento ai loro prodotti e servizi, ma
anche in relazione agli effetti del business sulla società, sulle condizioni di lavoro e,
ultimamente, anche sull’ambiente, è infatti di vitale importanza per il mondo del
business. Essi quindi pagano per le inserzioni pubblicitarie che consentono ai media di
funzionare, ma anche per influenzarne i contenuti tramite le relazioni che formano con
essi e quindi tentare di creare un’opinione pubblica “orientata in modo parziale” grazie
alla loro influenza.
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La presente Tesi di Laurea si concentra sullo studio della regolazione del settore
radiotelevisivo in Europa, con un approfondimento del caso italiano data la peculiarità
(o anomalia, come spesso dichiarano gli studiosi) che lo caratterizza. Il maggiore
proprietario di emittenti private nazionali, infatti, da oltre dieci anni è anche un influente
uomo politico, che è stato anche a capo del Governo, senza per questo rinunciare al
possesso di tre televisioni commerciali.
Il fatto che una sola persona possa detenere un così ampio potere politico, mediatico,
economico, sviluppa un nuovo problema sul quale la legislazione italiana era carente:
essa infatti non si era posta il problema del conflitto di interesse, che può sorgere in
merito alla proprietà delle televisioni private, ma soprattutto per il fatto che egli, in
qualità di Primo Ministro, ha indirettamente poteri di gestione anche nella RAI, la
concessionaria del pubblico servizio televisivo, alimentando con ciò forti dubbi sulla
possibile neutralità editoriale della TV di Stato nei confronti del potere politico.
Pertanto, essendo Berlusconi proprietario di tre televisioni commerciali nazionali e al
contempo Presidente del Consiglio, ha il potere per influenzare sia la televisione
pubblica che, ovviamente, quelle di sua proprietà, creando seri interrogativi sul
pluralismo e libertà di opinione nei media italiani.
La nascita delle politiche europee per i media segue gli sviluppi del mercato interno:
negli anni ’80 e ’90 è nato un ampio dibattito sulla regolazione del mercato dei media a
livello sovranazionale, poiché esso si colloca ad uno snodo cruciale tra i temi di
liberalizzazione delle politiche industriali e quelli riguardanti il pluralismo informativo, la
tutela del pubblico interesse e di conseguenza, il sistema democratico.
L’integrazione europea dei mercati ha richiesto anche l’integrazione nel settore dei
media, per consentire alle industrie delle telecomunicazioni e degli audiovisivi di
espandersi al di fuori dei propri confini nazionali, crescere in dimensione, portare
crescita economica e aumento dei posti di lavoro, e competere sul mercato globale
dell’informazione che in quegli anni sta affermandosi e che vede i paesi europei in
ritardo rispetto agli Stati Uniti.
La regolazione comunitaria richiedeva lo scavalcamento dei confini nazionali entro cui
gli Stati finora erano stati gli unici regolatori del settore radiotelevisivo e ciò,
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considerate le implicazioni politiche, economiche e sociali sopra descritte, avrebbe
sicuramente urtato la sensibilità dei paesi membri che non sarebbero stati del tutto
disponibili a trasferire competenze in questo settore.
Infatti, il processo di regolazione europea dei media ha segnato numerosi stalli in vari
momenti nel tempo. In virtù dell’importanza strategica assegnata a tale settore, gli Stati
membri hanno opposto forti resistenze, sfruttando il fatto che il Trattato di Roma non
attribuisce competenze alla Comunità nel settore degli audiovisivi.
Tuttavia, va anche sottolineato che tramite l’adozione di strumenti di soft law, quali la
presentazione di linee guida, le consultazioni tra le istituzioni e i gruppi di interesse, la
presentazione di best-practices quali soluzioni ai problemi interni, nonché attraverso
l’utilizzo di strumenti di hard law, quali l’emanazione di direttive e di sentenze della
Corte Europea di Giustizia, il processo di integrazione tra gli Stati membri è stato
portato avanti.
Nell’ambito della presente Tesi sarà esaminato il processo di integrazione delle
politiche europee del settore radiotelevisivo: attraverso quali attori e quali atti è stato
condotto e quale influenza la regolazione europea ha avuto sul mercato interno e sulle
politiche nazionali.
Alla luce degli studi di Paolo Graziano sull’europeizzazione delle politiche pubbliche,
esamineremo se questo processo si è verificato nelle politiche e nella legislazione sui
media dello Stato italiano e brevemente in altri quattro grandi paesi europei: Gran
Bretagna, Francia, Germania e Spagna.
Il caso studio è stato scelto per la particolarità della situazione italiana nel settore delle
televisioni: L’Italia è l’unico paese europeo in cui il proprietario di tre emittenti private
che trasmettono in analogico su scala nazionale, è diventato capo del Governo.
L’indagine parte esaminando la storia della televisione italiana, dal monopolio pubblico
caratterizzato dalla “lottizzazione” partitica della TV di Stato, al caos normativo degli
anni Ottanta, quando al nascere delle prime televisioni private, il legislatore non ha
sentito la necessità di regolare compiutamente l’utilizzo dell’etere, nonostante esso sia
un bene pubblico con una disponibilità limitata.
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Alla fine degli anni Ottanta, la regolazione televisiva italiana ha dovuto adempiere alle
prescrizioni che provenivano dall’Unione Europea: la Direttiva Televisione Senza
Frontiere imponeva degli obblighi agli Stati membri ma, come vedremo nel Cap. 1, non
in relazione alla proprietà dei media e all’assegnazione delle frequenze.
Pertanto le televisioni private di Berlusconi fino agli anni Novanta si sono potute
espandere senza impedimenti normativi, occupando abusivamente una bella fetta di
spettro radiotelevisivo. La prima legge italiana sulla televisione commerciale risale al
1990 e fu emanata dal Governo di Bettino Craxi, amico personale di Berlusconi, che
legittimò di fatto le televisioni dell’imprenditore milanese.
A questa legittimazione però si oppose più volte la Corte Costituzionale italiana, che
vedeva un eccesso di concentrazione proprietaria nel settore radiotelevisivo, in
contrasto con l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di espressione del pensiero.
Ad inizio degli anni ’90 arriva la crisi dei partiti italiani, con il PSI di Craxi travolto dalle
inchieste di Tangentopoli che spazzeranno via quasi tutti i partiti storici della
Repubblica Italiana. Alle elezioni politiche del 1994 “scende in campo” una nuova forza
politica: si tratta del movimento di Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi, che
conquisterà la maggioranza relativa dei voti e con ciò la guida del Governo del Paese.
Da questo momento in avanti, scoppia il “caso Berlusconi” anche nella regolazione
delle politiche sui mass media: politici e studiosi ritengono che l’importante
imprenditore dalla sua carica di Governo (ma anche quando è all’opposizione) sia in
grado di influenzare le decisioni sull’emittenza nazionale, con rischio per il pluralismo
dei mezzi di informazione e per la stessa democrazia.
La Tesi, partendo da questa anomalia riscontrabile nello stretto rapporto tra potere
politico, mediatico ed economico che contraddistingue l’emittenza italiana, cercherà di
valutare se la regolazione dei media ha risentito o meno dell’influenza della
regolazione europea del settore, se le politiche e le norme nazionali si sono modificate
di conseguenza, se lo Stato italiano ha reagito conformandosi o rifiutando gli stimoli
dell’Unione Europea. Si tratta cioè, di verificare, capire ed interpretare se c’è stata
europeizzazione nella regolazione dei media italiani e come tale fenomeno si sia
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verificato, passando dagli schemi generali dell’Unione Europea al contesto italiano e
alle caratteristiche socio-politiche e socio-culturali che lo contraddistinguono.
Infine, saranno formulate alcune ipotesi sul futuro della regolazione di questo delicato
settore a livello sovranazionale, il cui avverarsi potrà essere l’input per ulteriori indagini
negli anni a venire.
La prospettiva d’indagine: l’europeizzazione delle politiche nazionali
I cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea sono sempre più a contatto con le
decisioni prese dall’attore europeo nell’ambito della vita quotidiana: ambiente, tutela
dei consumatori, sicurezza sui luoghi di lavoro, politiche di genere, mobilità delle merci,
dei servizi e delle persone e introduzione della moneta unica sono solo alcuni esempi.
Questo perché negli ultimi decenni si è affermato sempre più apertamente il processo
di integrazione europea, cioè di influenza dell’Unione Europea sugli Stati nazionali in
vista di un’armonizzazione tra i principi su cui si fondano le politiche pubbliche
comunitarie e quelli delle politiche nazionali. Se, da un lato, gli Stati sono indeboliti
dalla presenza di istituzioni sovranazionali come la Commissione e la Corte di Giustizia
Europea, dall’altro è riconosciuto il loro ruolo di attori in uno spazio politico nuovo,
aperto a diverse istituzioni con poteri decisionali diversi, ma in cui nessuno
monopolizza in modo definitivo il diritto di prendere una decisione ultimativa (Brunazzo,
2004).
Però è solo nell’ultimo decennio che si è cercato di colmare la carenza di lavori di
studiosi relativi ai diversi percorsi di adattamento alle policy europee, sia tra gli Stati
membri, sia nei diversi settori di politiche.
Bomberg e Peterson (2000), Radaelli (2000), Morlino (2002), se ne sono occupati nei
primi anni Duemila, utilizzando il concetto di europeizzazione, per cercare di descrivere
e analizzare il processo duale che ha permesso agli Stati membri, assieme alle
istituzioni europee, di individuare i problemi comuni all’intera Unione e di definirne le
modalità di soluzione (fase ascendente), per poi diffondere tali decisioni e suggerimenti
nell’impianto istituzionale e di politica pubblica dei singoli Paesi (fase discendente).
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Alla fine degli anni ’90, Knill e Lehmkuhl (1998), hanno applicato il concetto di
europeizzazione per descrivere lo sviluppo dell’integrazione europea da loro suddivisa
in tre forme: a carattere positivo, negativo e “di cornice” (framing).
Questi tre idealtipi di integrazione europea, sono caratterizzati da distinti meccanismi di
europeizzazione e quindi richiedono distinti approcci per spiegare il loro impatto sulle
politiche interne degli Stati membri. Esiste una logica specifica, secondo Knill e
Lehmkuhl, che è il più importante fattore da considerare quando si studia l’impatto
domestico delle diverse politiche europee.
Con il primo idealtipo (l’integrazione positiva), il policy making europeo può produrre
cambiamenti istituzionali domestici, prescrivendo norme concrete a cui gli Stati membri
devono adempiere; si tratta di una politica positiva che prescrive un modello
istituzionale a cui le disposizioni nazionali devono essere adeguate. In questo caso, gli
Stati membri hanno solo una limitata discrezione quando fissano le proprie disposizioni
in adeguamento alle richieste europee. Esempi di politiche europee a carattere positivo
sono quelle relative alla protezione dell’ambiente, alla salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro, alla tutela dei consumatori. Sono state pure le tipiche politiche degli Stati del
Novecento, che hanno spesso operato attivamente sulla società, ad es. attraverso
l’intervento diretto dello Stato nell’economia o nell’ambito del welfare state.
Con il secondo idealtipo, (integrazione negativa) la legislazione europea può incidere
sulle norme interne alterando le regole domestiche del gioco. L’influenza europea è
limitata ad altering domestic opportunity structures, e quindi la distribuzione di potere e
risorse tra gli attori statali. Un tale cambiamento nelle strutture di opportunità interne
può a sua volta implicare che l’esistente equilibrio istituzionale potrà essere sfidato con
successo. Le politiche europee, nel contribuire a questa potenziale sfida, non
prescrivono nessun modello istituzionale su come il nuovo equilibrio dovrà essere
trovato. Le vecchie politiche regolative o politiche di integrazione negativa, si basano
essenzialmente su questa logica. Questo idealtipo è stato utilizzato nel contesto
europeo per la liberalizzazione e deregolazione necessarie al funzionamento del
mercato interno (ad es., con le norme che hanno eliminato le barriere doganali,
tariffarie e regolative tra i diversi Stati).
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Il terzo idealtipo, (la cd “framing integration”), è la forma più debole delle tre, con la
quale le politiche europee non prescrivono né specifici requisiti, né viene modificato il
contesto istituzionale. In questo caso vengono influenzate le convinzioni e le
aspettative degli attori, sperando così di influire sulle loro strategie e preferenze, e di
conseguenza sul contesto istituzionale e sull’ambito di policy. Un esempio di questo
tipo di politiche è la regolazione del trasporto ferroviario (Knill – Lehmkuhl, 1998).
Dalle precedenti considerazioni, appare logico che non esiste un unico approccio per
spiegare gli effetti domestici delle diverse politiche europee, come pure che possono
essere adottati più di un idealtipo per perseguire una certa policy comunitaria.
Negli studi di Paolo Graziano (2004), i termini di integrazione ed europeizzazione,
connotano processi che partono da logiche di azione sostanzialmente divergenti:
l’integrazione è una fase ascendente, che ha permesso agli Stati membri, assieme alle
istituzioni europee, di individuare i problemi comuni all’intera UE e di definirne le
modalità di soluzione tramite la costruzione di istituzioni e di politiche europee comuni,
mentre l’europeizzazione è una fase discendente, in cui si ha una diffusione e
penetrazione, graduale e differenziata, nei singoli Paesi di valori, norme generali e
direttive specifiche generati dalle istituzioni europee.
Questo processo discendente, se assorbito dagli Stati membri, può a sua volta mettere
in atto un meccanismo di feed-back, con il quale una nuova fase ascendente può
essere generata e condurre quindi verso l’integrazione di nuove politiche.
Cosa succede in uno Stato membro quando arriva una politica europea? Secondo
Graziano, di fatto bisogna studiare alcune variabili:
1. qual è il grado di congruenza/incongruenza delle politiche nazionali rispetto a quelle
europee;
2. qual è la natura delle pressioni adattive sugli Stati da parte dell’UE;
3. quali sono i fattori interni facilitanti/ostacolanti;
4. osservare gli effetti sulle politiche e sulle istituzioni nazionali (o regionali) di resistenza,
assorbimento o trasformazione.