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Capitolo 1
L’avvento del Capitale Intellettuale
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“La nostra conoscenza, se paragonata alla realtà, è primitiva ed infantile.
Eppure è il bene più grande di cui disponiamo”.
Albert Einstein
La conoscenza è un tema che ha sempre interessato l'uomo fin dai primi albori della
civiltà. Nel mondo occidentale possiamo trovare le prime testimonianze di questo
interesse nelle opere dei più importanti filosofi greci; analogamente i filosofi orientali e
indiani hanno posto la conoscenza come percorso essenziale per una vita spirituale e
terrena realmente compiuta.
Molti di questi approcci avevano l’obiettivo di riuscire a capire che cosa sia veramente la
conoscenza; in altri casi, invece, la conoscenza era indispensabile per sopravvivere e per
non essere soprafatti.
L’essere umano ha attraversato diverse ere legate a variabili aspetti produttivi o alle
particolari strutture socio-economiche dei periodi.
L’era agricola fondava la propria ricchezza sul fattore terra ed infatti il settore produttivo
primario era costituito dall’agricoltura; gli individui generalmente coltivavano per il
proprio sostentamento e, solo in alcuni casi, commercializzavano i propri prodotti. Le
imprese erano prevalentemente a conduzione familiare e questo generava un ambiente
chiuso a qualsiasi tipo di relazione con il mercato esterno. La società era arretrata e si
concentrava più sugli strumenti utili ad assicurare la sopravvivenza che a cercare fonti di
innovazione.
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Con l’avvento dell’era industriale la condizione di diffusa precarietà della società
subisce un forte scossone. La capacità di estrarre materie prime e di lavorarle con
macchinari frutto delle innovazioni tecnologiche arricchisce la società di innumerevoli
occasioni e crea un ingente bagaglio di conoscenze. Le imprese, legate soprattutto
all’industria, fanno leva sulle forze del capitale economico, ovvero la ricchezza
finanziaria posseduta utile ad avviare o mantenere un’attività. Insieme alla terra ed al
lavoro, il capitale diventa il terzo fattore per la valutazione ed il controllo della
produzione. La teoria economica tradizionale generalmente considera il capitale come
un oggetto fisico, come strumenti che vengono utilizzati nel processo produttivo.
Il capitale intellettuale si diffonde nel campo delle scienze umane verso gli anni 60
nell’ambito dell’economia della conoscenza con l’intento di misurare il valore delle
attività educative, creative e di invenzione nell’ambito delle attività produttive umane.
Tale misurazione si riferiva ai risultati produttivi di grandi sistemi come il rendimento
economico degli investimenti in alcuni settori quali quello educativo e formativo.
Successivamente, si è usato il termine capitale intellettuale per comprendere e valutare le
imprese che basano la propria crescita e capacità di posizionarsi e mantenere quote di
marcato sui fattori intangibili di conoscenza e di sapere professionale.
Peter Drucker
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affermava, già nel 1964, che “… la risorsa economica di base non è più
né il capitale, né le risorse naturali, né la forza lavoro. È e sarà la conoscenza …”. Il
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Peter Ferdinand Drucker (1909-2005) è stato un famoso economista. Ha vissuto negli Stati Uniti dal
1937 dopo essere fuggito dalle persecuzioni razziali naziste. Dal 1943 divenne cittadino statunitense.
Autore di fama mondiale per le sue opere sulle teorie manageriali, ha svolto attività di consulenza in tutto
il mondo per imprese di ogni dimensione e per enti governativi e organizzazioni no profit. Ha insegnato
Politica e Filosofia al Bennington College e poi, per oltre vent'anni, è stato docente di Management alla
Graduate Business School di New York; dal 1971 è Clarke Professor of Social Science alla Claremont
Graduate School, in California; ha scritto oltre 30 libri e i suoi scritti sono apparsi sulle più celebri
pubblicazioni economiche, come The Economist, The Wall Street Journal e Harvard Business Review.
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tradizionale modello aziendale basato sul comando e sul controllo dovrà essere sostituito
da nuove forme organizzative in cui i "Knowledge Worker" possano esprimere al meglio
il loro contributo. Le organizzazioni saranno basate sulla Conoscenza.
Dagli anni 80, i principi di una sana economia si basano sulla capacità di comunicazione
e sul favorire scambi e relazioni in merito alla conoscenza; dunque si basano sulla new
economy.
Con l’avvento nella società dell’era dell’informazione, che ingloba al suo interno l’era
della conoscenza, altri economisti hanno posto l’attenzione su un concetto più ampio di
capitale. Oggi questo viene maggiormente considerato nella sua accezione immateriale e
non solo, quindi, come dato materiale economico. L’elevata disponibilità delle
informazioni che generano conoscenza, ha portato allo studio delle tecniche per poterle
gestire ed individuare in maniera da trasformarle in una forza competitiva al pari di
quella economica. I processi produttivi non si basano più sulla trasformazione di materie
prime in prodotti materiali, ma si basano sulle idee e sui processi cognitivi che l’essere
umano è in grado di sviluppare tramite l’apprendimento costante. Ora il ruolo del
comparto manageriale non è più limitato al controllo asettico dei processi di produzione
lungo la line dell’azienda, ma svolge un ruolo interattivo anche lungo la linea di staff
cercando di relazionarsi al massimo con tutti gli organi dell’organizzazione.
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Le leve sono cambiate e all’interno degli ambienti di lavoro sono mutate le prospettive
nel seguente modo:
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Cfr. rielaborazione da Karl Erik Sveiby, The new organizational wealth, Berrett-Koehler Publishers Inc,
1997
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Si è rivalutata anche la tradizionale concezione del bilancio economico, che comincia a
contenere voci legate all’intangibile:
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In Europa il termine capitale intellettuale compare con la compagnia di assicurazioni
svedese Skandia
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che ha iniziato ad adottare una serie di pratiche innovative sul tema
della contabilità del patrimonio intangibile per arrivare nel 1994 a redigere il primo
rapporto sul capitale intellettuale.
Successivamente l’azienda ha sviluppato un modello operativo, soprannominato
“Navigator”, per consentire al management strategico di focalizzarsi sugli effettivi
fattori di crescita e di innovazione.
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Cfr. www.zerounoweb.it
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Cfr. www.skandia.com
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Skandia è stata, inoltre, una delle prime aziende a prendere in considerazione il capitale
umano all’interno del suo modello di valore d’impresa.
L’obiettivo era assicurarsi che ciascun dipendente potesse utilizzare pienamente il know-
how, l’esperienza e le conoscenze di tutti gli altri. Per far ciò ha messo in atto procedure
di discussione virtuale (database di discussione, intranet, ecc.) e previsto momenti di
incontro tradizionali.
In tutta Europa l’importanza del capitale intellettuale sta crescendo, come dimostrano le
linee guida pubblicate a supporto del progetto europeo Meritum e alla predisposizione di
bandi per finanziare progetti di ricerca per la rilevazione, gestione e valorizzazione degli
asset intangibili. Nel 2001 la Comunità Europea ha lanciato il progetto di ricerca
biennale “Rescue sugli Intangibles” che ha visto per la prima volta la partecipazione
dell’Italia (attraverso Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari), dando luogo a un
primo contributo italiano che evidenzia l’importanza di valutare gli asset intangibili per
determinare il valore aziendale. Paesi come Germania e Danimarca hanno pubblicato
linee guida per aiutare le imprese a redigere rapporti sul capitale intellettuale.
Nel 2001, mentre le aziende danesi quotate erano obbligate per legge a redigere un
rapporto sul capitale intellettuale, anche il Ministero inglese per l’industria e il
commercio pubblicava un documento dove venivano fornite indicazioni su come creare
valore attraverso la gestione e la comunicazione degli asset intangibili e invitava le
aziende britanniche a valutare il proprio capitale intellettuale.
A queste, sono seguite molteplici iniziative, come “The 2003 European Intangible
Summit”, svoltosi a Londra, che ha visto l’incontro e il confronto fra accademici ed
esperienze pratiche e i più recenti convegni come “Conference on Intellectual Capital
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for Communities”, svoltosi a Parigi nel giugno del 2005 e il primo “Workshop on
visualising, measuring, and managing Intangibles and Intellectual Capital”, tenutosi a
Ferrara l’ottobre scorso. Di fatto, anche in assenza di standard internazionalmente
riconosciuti per la misura ed il reporting, moltissime aziende europee hanno seguito
l’esperienza pionieristica di Skandia. Le analisi indicano che invece le aziende
americane, pur avendo iniziato ad analizzare nuove modalità per raccogliere e
comunicare dati non finanziari, hanno ancora pratiche meno strutturate di quelle
europee.
In Italia si è ancora alle prime fasi di attenzione al problema. Alcune aziende possono
ritenersi pioniere in questo ambito: ad esempio, Brembo che pubblica dal 2004 un
rapporto sul capitale intangibile (redatto fin dal 1999 esclusivamente per uso interno) e
la Aimag, impresa di servizi pubblica che gestisce settori ambientali (acqua, gas ed
energia elettrica)
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. Cominciano quindi a circolare, anche in Italia, i primi rapporti
sull’impegno sociale, codice etico e ambientale, corporate govervance, tendenze che
sembrano indicare la necessità di distinguersi dai concorrenti fornendo informazioni non
finanziare al mercato e agli stakeholder.
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Cfr. Per approfondire la conoscenza di queste imprese, sono riportate in Appendice 1 i casi aziendali
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Capitolo 2
Il capitale intellettuale
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Premessa
“Tutti gli uomini per natura tendono al sapere”
Aristotele
Questo aforisma di Aristotele, anche se scritto tantissimi anni fa, ci fa intuire quanto la
conoscenza sia sempre stata importante. Siamo, dunque, nell’era dell’informazione e la
vera ricchezza delle aziende non è più solo rappresentata dalle risorse naturali, dai
macchinari o dal capitale finanziario, ma piuttosto dalle conoscenze, dalle capacità di
innovazione, dal know how e dalle competenze aziendali.
Come abbiamo visto, quindi, si modifica il processo di creazione del valore valutando,
monitorando e rappresentando, nei bilanci e negli strumenti di gestione e di
pianificazione aziendale, anche le idee, le competenze, il valore delle persone e di tutti
gli elementi intangibili, che contribuiscono in maniera sostanziale ad incrementare il
valore dell’impresa.
Attraverso l’analisi del capitale intellettuale giungeremo alla conclusione che esso
rappresenta la reale leva con cui l’impresa può essere competitiva e avere successo nel
mercato. Per fare ciò, abbiamo ritenuto opportuno porci alcune domande alle quali si
risponderà nell’arco dell’intero capitolo: che cos’è il capitale intellettuale?, com’è
strutturato?, come lo si gestisce?, e come si riconosce?; comprenderemo, dunque,
l’importanza della misurazione che affronteremo poi nel terzo capitolo.
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2.1 Il capitale intellettuale
Il capitale intellettuale rappresenta tutte quelle risorse intangibili, ovvero tutto il
bagaglio conoscitivo delle risorse umane, che recano all’azienda un valore aggiunto
slegato dalla fisicità delle risorse strumentali e che determina sul mercato un vantaggio
competitivo per l’azienda nel tempo.
Il processo di generazione del valore aziendale è dato dalla valutazione degli asset
tangibili ed intangibili; solo da alcuni anni, questi ultimi vengono rivalutati orientando
la valutazione del flusso di generazione di valore su tre direttrici:
⇒ Capitale Umano: è l’insieme delle conoscenze, delle attitudini e delle capacità
delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione; hanno valore
intangibile ma sono in qualche modo misurabili;
⇒ Capitale Organizzativo: rappresenta l’insieme del know how codificato all’interno
della struttura aziendale (brevetti, procedure, prodotti) e la capacità d’innovazione
in relazione alle strategie del management;
⇒ Capitale Relazionale: rappresenta il patrimonio di relazioni instaurate con il
mercato (stakeholders) e con i propri clienti attuali e potenziali.
Nei prossimi paragrafi si analizzeranno nel dettaglio queste tre direttrici soffermandosi
sulle loro caratteristiche peculiari, e ponendo particolare attenzione anche ad una
visione integrata tra queste, per comprendere l’applicazione degli strumenti, delle
metodologie e delle tecniche in uso per la gestione della conoscenza.
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2.1.1 Il capitale umano
Il capitale umano è l’insieme delle conoscenze (sapere), delle attitudini (saper fare) e
delle capacità delle persone (saper essere) che lavorano all’interno dell’organizzazione;
esso è intangibile ma in qualche modo misurabile.
L’insieme di queste tre componenti produce ciò che è inteso come competenza; la
competenza è, quindi, espressione delle conoscenze, capacità ed abilità delle persone.
La conoscenza è la dimensione cognitiva e rappresenta il bagaglio di nozioni relativo ad
un determinato e preciso ambito (il più delle volte legato alla propria sfera lavorativa)
ed è anche chiamato know-how di tipo tecnico-professionale. Inoltre, è il patrimonio
costituito dal nostro sapere ed è misurabile grazie ai tradizionali metodi di valutazione
scolastica:
conoscenza tacita, che non può essere separata dall’individuo, dalla comunità o
dalla situazione in cui si richiede; si acquisisce dopo una personale organizzazione
delle proprie esperienze;
conoscenza esplicita, formalizzata e conservabile per poi essere utilizzata per la
sua trasmissione.
La capacità è la dimensione operativa e rappresenta tutti gli strumenti utili a mettere in
pratica ed applicare le proprie conoscenze.
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L’abilità è la dimensione emotiva e rappresenta le caratteristiche personali che rendono
possibili le interazioni tra capacità, conoscenze e valori; sono quelle qualità individuali
o attitudini che si sviluppano nel tempo.
È importante aver fatto queste distinzioni, poiché le aziende che applicano il capitale
intellettuale tendono alla trasformazione della conoscenza tacita in conoscenza esplicita,
in quanto essa rappresenta il reale patrimonio di queste aziende.
Infatti, le organizzazioni sviluppano la loro conoscenza attraverso l’accrescimento della
conoscenza degli individui che ne fanno parte; si noti però che, l’apprendimento
individuale non garantisce quello dell’organizzazione, ma senza quello individuale,
l’apprendimento dell’organizzazione non può esistere.
Una spinta importante, in questo senso, è data dalla motivazione: attribuire e
riconoscere nell’individuo il proprio valore e la propria indispensabilità e, di
conseguenza, gratificarne gli impegni è necessario per la condivisione delle competenze
personali che si possiedono e favorisce lo scambio di conoscenze.
Ma come si può gestire la conoscenza in un’organizzazione?
La risposta a questa domanda è nel Knowledge Management; Karl Wiig afferma che
l’obiettivo è di migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi, esplicitando e mettendo
in comune la conoscenza che ogni membro ha maturato nel corso del suo percorso
professionale.
In una prima fase, il Knowledge Management si riduce alla sua componente
strumentale, l’information technology, che è fondamentale ma non ne esaurisce le
potenzialità.