2. Il concetto di generazione
In epoca moderna due sono stati i modi di affrontare il problema delle
generazioni: uno di tradizione positivistica ed uno di stampo romantico-storicistico.
Da una parte i positivisti, per lo più appartenenti alla scuola francese di sociologia,
vedevano la generazione in termini puramente biologici. La successione delle
generazioni dipendeva dal ritmo del progresso che seguiva comunque uno sviluppo
lineare.
Dall’altro lato Dilthey contrapponeva un tempo interiore non comprensibile se
non in termini qualitativi ad un tempo esteriore misurabile quantitativamente: la
distinzione tra generazioni diventava così tempo interiormente sperimentabile a
posteriori, la contemporaneità delle generazioni una condizione interiore di essere
identicamente determinati.
Proprio per questo la generazione è lontana dal definirsi nei termini di un gruppo
concreto. Infatti, a differenza della famiglia, dell’associazione o della stirpe la
generazione non ha un senso di comunità che implica la conoscenza reciproca e che si
dissolve quando viene a mancare la vicinanza fisica.
Più calzante sembra, invece, paragonare la generazione alla condizione di classe: così
come non si decide in che classe sociale nascere, allo stesso modo la generazione non
può essere scelta ma risulta essere un fenomeno risultante dalla collocazione sociale.
L’analisi in termini di collocazione sociale, fenomeno comune alla generazione e alla
condizione di classe, è caratterizzata da un elemento di astrazione e di casualità che la
differenzia dall’analisi di gruppi più concreti quali il gruppo dei pari o la famiglia.
All’interno di questa prospettiva la collocazione in termini di generazione è
comprensibile in base a “momenti” che, partendo dai dati naturali dell’avvicendarsi
delle generazioni, danno determinate specie di esperienza e pensiero agli individui.
Questa interpretazione del concetto di generazione implica diverse conseguenze,
vediamone alcune.
Innanzitutto occorre considerare che il fenomeno generazionale permette l’inserimento
costante di nuovi soggetti nel processo culturale, soggetti che contribuiscono, perciò,
alla creazione di “nuova” cultura e reinterpretano il presente dimenticando ciò di cui
non hanno bisogno e desiderando ciò che ancora non è stato ottenuto.
Fenomeno opposto rispetto al precedente è quello delle generazioni che “escono di
scena” lasciando a coloro che seguono il compito dell’accumulazione culturale e della
memoria che avviene principalmente in due modi: attraverso modelli consapevoli in
base ai quali ci si orienta (ad esempio la rivoluzione francese per le rivoluzioni
successive) oppure attraverso interiorizzazioni di frammenti di storia passata che
vengono adattati, spesso in maniera inconsapevole, al presente e portano alla scoperta,
di volta in volta, di lati della tradizione ancora sconosciuti.
In terzo luogo occorre sottolineare che una generazione ha una collocazione
affine perché ha partecipato ad un fase determinata del processo storico. Ma la
contemporaneità cronologica non è sufficiente per la formazione di una generazione che
pone le sue basi su una coscienza stratificata derivante dalla possibilità di partecipare
agli stessi avvenimenti, contenuti di vita.
Il quarto punto legato al discorso sulle generazioni riguarda la necessità della
trasmissione culturale soprattutto per quanto riguarda i modi di vivere, i contenuti del
sentimento e gli atteggiamenti dello spirito, cioè per l’insieme delle conoscenze non
problematiche, spesso trasmesse in modo inconsapevole e involontario.
L’atteggiamento riflessivo nei confronti della contemporaneità diviene cosciente
solamente nella fase post-adolescenziale o adulta, quindi, lo spirito diviene
problematico e si acquisisce una nuova collocazione generazionale che si sovrappone a
quella trasmessa dai genitori durante l’infanzia.
Allo stesso modo gli adulti non sono esenti da questo processo poiché i giovani
maggiormente radicati nel presente influenzano la condotta degli adulti.
Infine occorre distinguere tra collocazione sociale e legame di generazione inteso come
partecipazione ai destini comuni di una unità storico-temporale.
In sintesi si può quindi affermare: << La gioventù che è orientata in base alla
stessa problematica storica attuale vive in un “legame di generazione”, i gruppi che
elaborano queste esperienze all’interno dello stesso legame di generazione in modo di
volta in volta diverso, formano diverse “unità di generazione” nell’ambito dello stesso
legame di generazione>> (Mannheim, 1974).
3. Una rassegna delle ricerche italiane sui giovani
I giovani rappresentano un oggetto di studio affascinante in quanto riflettono
l’ambivalenza dei processi di transizione: da una parte esprimono la speranza inclusa
nel cambiamento sociale, dall’altra rispecchiano una serie di resistenze e contraddizioni
che il mutamento sociale produce inevitabilmente.
All’interno di un libro uscito recentemente Leccardi (2003) traccia una
panoramica delle ricerche sociologiche inerenti al mondo giovanile a partire dal
dopoguerra per arrivare sino ai giorni nostri.
Da questo punto di vista le ricerche sui giovani condotte in Italia tra la fine degli
anni ’50 e la metà degli anni ’60 rappresentano uno strumento importante attraverso il
quale indagare sulla costruzione di una identità generazionale specifica e separata dal
mondo adulto.
In Italia sono gli anni del boom economico a garantire le basi economico-
culturali per quella che sarà poi definita la “prima generazione” nell’accezione di
Piccone Stella.
Ripercorrendo quindi le tappe di questo fenomeno a livello italiano si nota come, alla
fine degli anni ’50, la diffusione della motorizzazione (Vespa e Lambretta su tutte), la
comparsa nelle case della televisione nonché delle macchine per il loisir come il juke-
box o il flipper hanno determinato la costruzione di una cultura quotidiana caratterizzata
da stili musicali, abbigliamento e nuove forme di socialità.
Tuttavia gli anni del boom hanno lasciato anche un paesaggio di sperequazioni
economiche e sociali visibile nell’edilizia selvaggia e nei quartieri-dormitorio che
caratterizzano alcune zone delle grandi città. A livello micro l’impatto della diffusione
dei consumi è stato violento e ha prodotto effetti contrastanti soprattutto per i giovani
emigrati dal mondo agricolo-provinciale verso il tessuto industriale delle città: da una
parte troviamo l’entusiasmo per le nuove possibilità offerte dalla società dei consumi,
dall’altra l’attivazione di meccanismi difensivi incoraggiati dall’atteggiamento
moralistico e di tutela del mondo adulto e favoriti dal disorientamento provocato dalla
società della comunicazione di massa, in cui si moltiplicano le risorse simboliche a
disposizione dei giovani.
Lo smarrimento provocato dai rapidi mutamenti a livello macro determina un
atteggiamento introspettivo di chiusura in se stessi che più che un rifugio nel religioso si
configura come in un ritiro in una solitudine che può essere espressa dalla formula “né
atei, né impegnati”(Alberoni, 1968).
Oltre al religioso anche il politico non sembra interessare molto i giovani: alla vigilia
della stagione dei movimenti la “prima generazione” rifiuta il coinvolgimento nella
sfera pubblica come dimostra una ricerca di Grasso (1954), forse per l’inesistenza di una
cultura pienamente autonoma rispetto al mondo adulto i giovani non sviluppano ancora
quella voce contestataria e critica che sarà “gridata” nel decennio successivo.
Ritornando alla cultura giovanile che si va formando tra la fine degli anni ’50 e
l’inizio dei ’60 è importante evidenziare il ruolo della mobilità portata dai nuovi mezzi
di trasporto nella costruzione di spazi autonomi di libertà sconosciuti ai giovani delle
generazioni precedenti. Ma il boom non porta solo benessere: l’esodo massiccio dalle
campagne verso le città genera anche il fenomeno delle “bande” che funzionano sia
come luoghi di socializzazione dove si apprendono i valori delle classi subalterne, i
“focal patterns” secondo Miller
1
, sia come luogo in cui sono veicolati i messaggi
edonistici della cultura dominante attraverso la pratica quotidiana dei “furti d’uso” o con
atti di teppismo gratuito. Il fenomeno delle bande è diffuso in tutta Europa, seppur con
caratteristiche diverse e va dai teddyboys inglesi alle blousons noirs in Francia, ai
teppisti italiani.
Le ricerche sociologiche in questo periodo (Guidicini 1964, Pizzorno 1960)
evidenziano, inoltre, il distacco generazionale tra genitori e figli, la difficoltà di
comunicazione tra due mondi che diventerà sempre più intensa col progredire delle
coorti anagrafiche. Dal canto suo Baglioni con “I giovani nella società industriale”
sottolinea come la generazione di fine anni ‘50 sia in un periodo di stasi chiusa
nell’accettazione del mondo circostante senza ambizioni e con obiettivi prudenti: è la
generazione delle tre m, moglie/marito, macchina e mestiere.
Questa interpretazione che trova riscontro anche in studiosi stranieri quali il francese
Perruchot e il tedesco Schelskyvede sottolinea come la transizione dei giovani dei primi
anni ’60 verso lo “spirito industriale” sia caratterizzata da una forte cultura
dell’organizzazione, dal rendimento, dalla funzionalità.
1
Con il termine “focal patterns” Miller indica gli aspetti peculiari di una subcultura che vengono
apprezzati in un certo ambito sociale. Per la classe subalterna sei sono le preoccupazioni focali: la
molestia, la durezza, la scaltrezza, l’eccitazione, l’affidarsi al destino e l’autonomia.
Nonostante queste chiavi di lettura di un periodo storico controverso è indubbio
che è ormai in moto il processo che vede emergere il quotidiano come spazio di
autonomia e di libertà per i giovani che iniziano a pensarsi più come soggetti che come
individui ricoprenti un ruolo (figlio, studente…): ragazze e ragazzi si esercitano in
nuove forme di socialità in cui si formano nuovi progetti ed aspirazioni. Per ora la
necessità di ciò che i giovani chiamano “esperienza” è contenuta dal quotidiano, alla
fine del decennio deborderà verso un misto di politica e cultura.
Con la diffusione della cultura beat in Italia, a metà circa degli anni ’60, cresce,
infatti, la consapevolezza delle possibilità di autodeterminarsi come gruppo sociale della
“generazione grigia” di Baglioni. Spinta da un forte ottimismo verso il futuro (Alfassio
Grimaldi e Bretoni 1964) la gioventù evolve verso forme più radicali di ribellismo nei
confronti di una struttura percepita come troppo statica e gerarchica. Anche se il
dissenso è espresso per lo più nell’ambito familiare attraverso le fughe da casa che
diventano un fenomeno diffuso in questo periodo, si affacciano sulla scena sociale
tentativi di convivenza e di relazioni nuove come dimostrano il circolo “la cava” di
Roma dove si ritrovano molti di coloro che sono scappati da casa o il campeggio beat a
Milano nel quale si ricerca una dimensione comunitaria libera dall’ottica consumista
figlia del boom economico di inizio decennio. Tra i fenomeni di costume che hanno
segnato questa evoluzione è doveroso ricordare la musica rock, tra cui Beatles e Rolling
Stones, che ha fatto spesso da colonna sonora alle prime manifestazioni pacifiste contro
la guerra in Vietnam. Legato al discorso della musica c’è quello relativo alla cultura
della “trasgressione” che si esprime sia attraverso la diffusione delle droghe che
attraverso l’utilizzo di un linguaggio e di forme di protesta dissacranti con il chiaro
scopo di scuotere il “perbenismo” della società adulta.
La passione per la politica, anche se spesso per quella non istituzionale, diventa
il punto d’incontro per i giovani del ’68 che si ritrovano nelle università occupate per
sperimentare nuove forme di socialità caratterizzate dalla creatività, componente
essenziale della coscienza antiautoritaria che si va formando (Rusconi 1969). Anche se
gli attivisti coinvolti in questa lotta risultano essere una minoranza di studenti di
estrazione sociale borghese (Martinotti, Mingione e Maggioni 1968), tuttavia la
coscienza dell’essere nel mezzo di un conflitto tra generazioni portatrici di valori
differenti appare estesa all’intera popolazione giovanile.
L’insofferenza verso i meccanismi di selezione scolastici unita all’aumento della
disoccupazione giovanile comporta il rafforzamento anche di una cultura
dell’emarginazione basata sull’uso della droga e l’ascolto di musica “alternativa”, che,
da una parte, si organizzerà nel movimento del ’77 composto dai precari e non garantiti
relativamente al mondo produttivo, dall’altra degenererà nella violenza terroristica.
Il decennio di contestazione tra il 1968 e il 1977, infiammato anche dalla
contrapposizione USA URSS e dalle relative “grandi narrazioni”, vede perciò i giovani
protagonisti nel tentativo di costruire uno spazio quotidiano distante dall’ideologia del
lavoro e di restituire le forme di comunicazione e di relazione ad una dimensione
creativa e non mercificata (Berardi 1978) all’interno di un’ottica che è stata codificata
come quella di una “seconda società” (Asor Rosa 1977) contrapposta non solo alla
società borghese ma anche alle strutture organizzative del Partito Comunista e del
sindacato.
Con la fine degli anni ’70 l’età giovanile diventa il periodo di “incertezza
biografica” per l’impossibilità di definire comportamenti di scelta pur a fronte di
opzioni circa il proprio futuro.
La moltiplicazione delle sfere sociali a cui partecipano gli individui implica una
maggior complessità e provoca la trasformazione della gioventù da processo,
<<complesso di pratiche teso verso un fine prevedibile>>, a condizione, <<situazione di
attesa di un esito imprevedibile>> (Cavalli 1997).
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 si diffonde così una
rappresentazione del mondo giovanile in termini di “riflusso”: dopo l’ondata dei
movimenti e della contestazione ora i giovani appaiono chiusi su sé stessi in un
individualismo più difensivo che conflittuale, schiacciati sul tempo presente a fronte di
un futuro incerto e nebuloso.
Da questo punto di vista particolarmente efficace è la ricerca di Ricolfi e Sciolla “Senza
padri, né maestri” (1980) che analizziamo nel secondo capitolo. L’inchiesta critica nei
confronti dell’approccio teoretico in termini di riflusso, evidenzia l’espandersi del
quotidiano che non si esaurisce nella più nella lotta politica condotta secondo strategie
collettive e comunitarie ma passa anche per il “personale” e cioè nell’espressione di un
orientamento pragmatico verso il sociale attraverso il volontariato o l’associazionismo.
Quello che gli autori tendono, inoltre a sottolineare è l’apertura di “raggio” della
definizione di politica al quotidiano sia perché questo ultimo è l’ambito dell’espressione
personale e della coerenza, sia perché le relazioni di potere fanno parte della realtà di
tutti i giorni e non sono racchiuse solo nei circoli dei “palazzi” ma diffuse all’interno
della società. Questi nuovi valori si diffondono tra i giovani soprattutto grazie ad una
socialità orizzontale in cui la scuola è coinvolta come luogo di incontro tra le diverse
classi sociali dato che l’ampliamento della scolarizzazione iniziato negli anni ’60 ha
reso multiforme l’origine socio-culturale del corpo docente così come quella
studentesca.
Gli orientamenti delineati oltre all’onda lunga del femminismo che vede le donne
assumere atteggiamenti di voto e di pensiero ben più progressisti e radicali rispetto ai
maschi, portano alla frammentazione dell’universo giovanile intesa come
“pluralizzazione dei mondi di vita” ( Berger e Luckmann 1966). La conseguenza di
questo processo è l’affermazione di “identità policentriche” a partire da risposte
riflessive date nei confronti delle mutate condizioni in cui l’identità si definisce,
caratterizzate da una crescita della complessità sociale e dei processi di differenziazione
simbolica.
La generazione della vita quotidiana (Garelli 1984), contraddistinta dalla
relazione tra definizione degli orizzonti di vita dei giovani e orientamenti orizzontali di
socialità, appare sempre più radicata nel contesto degli anni ’80. La separazione
dell’azione pubblica dal riferimento alle “grandi utopie” non elimina forme di
contestazione che risultano, però, maggiormente orientate verso fini specifici quali il
disarmo nucleare, la difesa dell’ambiente. In generale si assiste comunque ad un
ridimensionamento della politica: il quotidiano diventa la sfera in cui si esprimono i
bisogni personali e non coincide più con la politica che diventa una frazione
dell’universo del privato.
Ed è sempre negli anni ’80 che ha inizio quel fenomeno che caratterizza le
società contemporanee ed in particolar modo l’Italia: la lunga transizione all’età adulta.
L’aumento della disoccupazione giovanile, la diffusione del precariato e la difficoltà nel
trovare una sistemazione per le giovani coppie porta ragazzi e ragazze a rimandare le
scelte procreative così come quelle d’indipendenza domestica ed a restare in “casa” fino
e oltre i trenta anni.