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europeo di PMI esportatrici e di comprendere quali fattori abbiano favorito i loro processi
di internazionalizzazione e quali strategie li abbiano supportati.
La popolazione di imprese intervistate rappresenta aziende localizzate soprattutto nel
nord-ovest, appartenenti a diversi settori manifatturieri, alcune delle quali caratterizzate da
numerosi anni di attività internazionale alle spalle.
La struttura generale del lavoro prevede due parti, la prima comprende una
riorganizzazione delle teorie internazionali, con particolare riguardo verso le imprese
minori e le barriere da esse incontrate, mentre la seconda è dedicata ai risultati
dell’indagine empirica.
In particolare, il primo capitolo concettualizzerà i termini chiave della trattazione,
fornendo un primo quadro sull’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese,
mentre il secondo analizzerà le principali teorie di internazionalizzazione e le possibili
modalità per attuarle.
Il terzo capitolo, invece, si concentrerà sui possibili problemi legati alle attività estere, con
particolare riguardo agli ostacoli e alle barriere incontrare dalle imprese di dimensioni
minori. Più nello specifico, saranno rivisitati, con occhio critico, i maggiori autori che
hanno affrontato tale argomento e le principali ricerche empiriche sulle barriere e gli
stimoli all’esportazione. Infine, l’ultimo capitolo della prima parte tratterà degli strumenti
a sostegno dell’internazionalizzazione, cercando di identificare il loro ruolo e le maggiori
strutture presenti nel nostro Paese.
La seconda parte è, invece, interamente dedicata ai risultati della ricerca. Dopo una prima
analisi descrittiva, si è cercato di realizzare delle indagini più approfondite che potessero
cogliere dei legami tra la dimensione aziendale e le scelte di internazionalizzazione
intraprese dalle imprese intervistate.
L’obiettivo della trattazione è, quindi, quello di individuare, in relazione a tali scelte, i
problemi riscontrati dalle piccole e medie imprese e, in particolare, da quelle di minori
dimensioni, così da poter comprendere di quali strumenti di sostegno esse abbiano
realmente bisogno.
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Parte prima
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Cap. 1
IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE
IMPRESE
1.1 Il concetto di internazionalizzazione
Con il termine internazionalizzazione si indica l’espansione dell’impresa al di fuori del
proprio mercato nazionale. Il concetto di internazionalizzazione nel tempo ha assunto un
significato sempre più ampio, al punto che oggi non si fa più riferimento soltanto allo
svolgimento di attività all’estero, ma, più in generale, ad una “tendenziale
omogeneizzazione a livello internazionale di modalità e metodologie operative, di
caratteristiche dei prodotti, di regolamentazioni e di comportamenti” (Usai, Velo, 1990).
Oggi, l’internazionalizzazione assume, sempre più, la configurazione di un normale
processo evolutivo delle imprese, addirittura obbligatorio, che determina forme d’impegno
sempre maggiori, a livello qualitativo e quantitativo. L’ambiente in cui operano le imprese
vive recentemente un continuo cambiamento. Al cambiamento ambientale è seguito quello
dell’organizzazione del sistema di produzione, dell’organizzazione delle imprese e delle
modalità competitive.
Per le imprese si aprono nuove prospettive competitive basate sulla capacità di cogliere
nuove opportunità e di affrontare nuove minacce. Nell’attuale contesto economico
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l’internazionalizzazione rappresenta la via obbligata per acquisire e difendere un
vantaggio competitivo sostenibile nel tempo (Zucchella, 1999).
“L’internazionalizzare non è più una scelta, bensì una necessità” (Mariotti, 1989) e le
imprese di ogni dimensione devono far riferimento ad un ambito competitivo che ha
allargato i propri confini geografici. Per l’impresa, l’internazionalizzazione è una
decisione complessa, accompagnata da un processo di trasformazione aziendale, che
riguarda la struttura organizzativa, il posizionamento sul mercato, la struttura finanziaria e
la gestione delle risorse umane. L’internazionalizzazione rappresenta per la grande, ma
soprattutto per la media-piccola impresa, un rischio, poiché tutte le operazioni in essere
non sono prevedibili o perfettamente conosciute.
Nel passato, l’internazionalizzazione era una via seguita quasi esclusivamente dalle
imprese dei paesi industrializzati di maggiori dimensioni, le sole in grado di superare gli
ostacoli e le barriere attraverso una presenza diretta sui mercati esteri. Con il tempo, i costi
di trasporto e di comunicazione sono drasticamente diminuiti, le barriere tra i paesi si sono
abbassate, i mercati si sono integrati e numerose imprese si sono affacciate sul mercato
mondiale.
Oggi, nessuna impresa, di qualsiasi dimensione e settore di attività, può ritenersi esente da
un coinvolgimento nei processi di internazionalizzazione. Le imprese di piccola e media
dimensione sono, però, le più soggette a limiti manageriali, finanziari, informativi e di
esperienza. Inoltre, le risposte e le soluzioni adottate da questo tipo di imprese sono spesso
inadeguate o approssimative. Diventa così inevitabile il rischio del loro insuccesso
(Mariotti S., Mulinelli M.,2003).
1.2 Il concetto di PMI
Prima di approfondire l’analisi sui percorsi di internazionalizzazione delle PMI, è
opportuno identificare il soggetto della trattazione, introducendo la definizione legislativa
di piccola e media impresa dettata dalla Commissione Europea, in vigore dal 1° Gennaio
2005.
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In base alla nuova normativa per appartenere alla categoria della PMI, devono essere
simultaneamente soddisfatti tre requisiti, riguardanti il numero di addetti, il volume di
affari e il totale di bilancio.
E’, così, definita media impresa quella che presenta un numero di addetti compresi tra le
50 e 249 persone, un volume d’affari fino a 50 milioni di euro o un totale di bilancio non
superiore a 43 milioni di euro. La piccola impresa, invece, si caratterizza per un numero di
addetti compresi tra 10 e 49 persone, una soglia di volume d’affari o di totale di bilancio
non superiore a 10 milioni di euro. La microimpresa, infine, risulta caratterizzata da un
numero di addetti inferiore a 10 unità e da una soglia di volume d’affari o di totale di
bilancio non superiore ai 2 milioni di euro.
Oltre ai parametri quantitativi, occorre, perché si parli di PMI, che sia soddisfatto anche un
requisito d’indipendenza. Questo ha il fine di escludere dalla definizione i gruppi di
imprese, il cui potere economico risulta superiore rispetto a quello di una PMI.
Tab. 1.1 Definizione di piccola e media impresa
Fonte: Gazzetta dell’Unione Europea L. 124/36 del 20/05/03
La normativa distingue tre tipi di imprese: impresa autonoma, impresa associata, impresa
collegata, a seconda del tipo di relazione in cui si trovano rispetto ad altre imprese, in
termini di partecipazione al capitale, diritti di voto o di influenza dominante.
Si definisce autonoma l’impresa che non possiede partecipazioni del 25 per cento o più in
un'altra impresa; non è detenuta direttamente al 25 per cento o più da un'impresa o da un
organismo pubblico, oppure congiuntamente da più imprese collegate o organismi
pubblici.
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Si definiscono “associate” (partner) le imprese che intrattengono relazioni di partneriariato
finanziario significative con altre imprese, attraverso una partecipazione pari o superiore
al 25 per cento del capitale o dei diritti di voto, senza che l'una eserciti un controllo
effettivo diretto o indiretto sull'altra.
Infine, si definiscono imprese “collegate”, quelle appartenenti ad un gruppo che controlla
direttamente o indirettamente la maggioranza del capitale o dei diritti di voto, oppure ha la
capacità di esercitare un influsso dominante su un'impresa.
Le imprese di piccole dimensioni, presentano delle peculiarità ed esigenze che le
distinguono da quelle più grandi, ma in ogni modo, all’interno della stessa categoria, esse
si presentano come un universo estremamente complesso e variegato.
Tale eterogeneità può essere riscontrata in imprese che operano in differenti aree
geografiche o in diversi settori produttivi. Più interessante ai fini della nostra analisi è,
invece, riscontrare come esistano piccole imprese chiuse in una dimensione prettamente
domestica di mercato, accanto a vere e proprie piccole “multinazionali” impegnate in
strategie di espansione nei mercati esteri.
All’interno di questo sistema così multiforme, si possono, però, evidenziare degli elementi
distintivi comuni alle piccole e medie imprese.
E’ possibile individuare tra le caratteristiche distintive delle PMI, oltre la dimensione
aziendale, una realtà spesso poco strutturata, in cui prevalgono le relazioni di tipo
informale, caratterizzate da un assetto istituzionale di tipo chiuso, in cui anche le figure
dei manager sono collegate alla famiglia dell’imprenditore, lo stimolo imprenditoriale è
spontaneo, lo stile di direzione è accentratore, la cultura del prodotto è l’elemento
fondamentale dell’impresa e le competenze distintive sono, soprattutto, legate al prodotto.
Infatti, a differenza della grande impresa, la composizione dell’assetto proprietario delle
PMI si caratterizza per la limitata numerosità dei soggetti coinvolti, il più delle volte,
appartenenti allo stesso nucleo familiare. L’imprenditore proprietario riveste un ruolo
fondamentale all’interno di queste imprese. Egli interviene nella definizione delle linee
strategiche, nelle decisioni di sviluppo aziendale, e, spesso, si occupa anche della gestione
e del controllo delle attività operative. L’elemento di chiusura della proprietà all’interno
della famiglia, può essere considerato come un vantaggio quando permette alla PMI di
creare un rafforzamento della cultura aziendale; ma, più spesso, rappresenta un fattore che
non sempre influisce positivamente sulle sorti dell’azienda. Il processo decisionale
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ristretto all’interno del nucleo familiare, molte volte porta all’assunzione di scelte non
ottimali, subordinando il bene e gli obiettivi dell’azienda al bene della famiglia.
Può accadere, così, che si realizzino atteggiamenti di chiusura verso l’ingresso di nuovi
soci al solo scopo di mantenere il controllo all’interno del nucleo familiare. Tale
condizione, da un lato vede pregiudicare l’ingresso di nuovi capitali in azienda,
ostacolandone le capacità di finanziamento, dall’altro limita la possibilità di confrontarsi
con diversi soggetti portatori di nuovi modelli di gestione o idee innovative.
Il ruolo centrale rivestito dell’imprenditore proprietario, ovvero, profondo impegno nelle
attività d’indirizzo, di gestione ed operative, rappresenta un indubbio punto di forza della
PMI. A differenza delle grandi imprese, la profonda conoscenza da parte
dell’imprenditore-proprietario delle tecnologie e dei processi produttivi aziendali,
conferisce una profonda flessibilità alla gestione della piccola impresa. Tale flessibilità
permette alle PMI di soddisfare le nuove tendenze del mercato, reagendo tempestivamente
ai mutamenti della domanda. Inoltre, la centralità del ruolo dell’imprenditore determina un
accorciamento dei circuiti decisionali. Questo, da una parte, può determinare
un’importante vantaggio competitivo, specialmente quando si deve operare in settori
caratterizzati da forte instabilità e turbolenza, ma, dall’altra, comporta anche
l’eliminazione di ogni possibilità di confronto dialettico con altri soggetti responsabili
delle altre funzioni aziendali. Il confronto con altri soggetti, che consentirebbe
all’imprenditore di porre una maggior attenzione su quei problemi che potrebbero sfuggire
alla sua attenzione, può provocare una grave debolezza nelle PMI. L’imprenditore
potrebbe, così, non essere a conoscenza o non considerare meritevoli di attenzione
elementi determinanti per il successo della propria impresa.
L’appartenenza di tutta o gran parte del soggetto economico dell’impresa allo stesso
nucleo familiare può, quindi, essere allo stesso tempo punto di forza e punto di debolezza.
E’ un elemento vantaggioso quando favorisce la diffusione di una cultura forte e fa si che
all’interno del soggetto economico si compongano opinioni comuni e pochi contrasti sul
come gestire l’azienda; mentre rappresenta un elemento di debolezza quando, invece, il
bene e gli obiettivi aziendali vengono sacrificati al bene e agli obiettivi familiari.
Un altro elemento di debolezza delle PMI è rappresentato dalla loro scarsa articolazione
funzionale. L’eccessiva attenzione sui processi produttivi, tende a far trascurare o ad
esternalizzare del tutto le altre funzioni come la finanza, controllo e il marketing, rendendo
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così l’impresa dipendente da soggetti distributori esterni. E’ vero però, che anche quando
tali funzioni sono presenti in azienda, molte volte si riscontra un’incapacità di individuare
correttamente i compiti da svolgere all’interno di queste, o si tende a concentrare
all’interno di un numero limitato di funzioni attività diverse. Spesso accade, ad esempio,
che il responsabile degli acquisti sia al tempo stesso responsabile della produzione e della
ricerca e sviluppo.
Un ulteriore aspetto di debolezza delle PMI può essere individuato nello scarso potere
negoziale verso i fornitori dovuto alla mancanza di informazioni sui mercati di
approvvigionamento e dalla scarsa dimensione degli ordinativi. Ciò, va ad aggiungersi
anche ad uno scarso potere contrattuale verso i clienti e la dipendenza, spesso, verso un
numero limitato di essi (Pepe, 1984).
Infine, un altro aspetto di particolare interesse per l’assetto istituzionale delle PMI è dato
dalla modalità che esse adottano per la loro crescita. Secondo Lorenzoni (1990), le
imprese di minore dimensione si sviluppano secondo la via della filiazione, ovvero,
aggiungendo nuove imprese giuridicamente separate dalla casa madre. Infatti, alcuni studi
(Mele, 1986; Alessandrini, De Blasio, Secchi, 1988) affermano che le PMI hanno una
bassa propensione alla collaborazione, preferendo così la costituzione di nuove unità
indipendenti in cui porsi a capo o entrando a far parte di una costellazione di imprese.
Riassumendo, le caratteristiche distintive delle PMI possono essere le seguenti (Depperu,
1993):
ξ piccole dimensioni;
ξ capitale concentrato;
ξ gestione familiare;
ξ poca capacità di raccolta del capitale di prestito;
ξ struttura elementare e sistemi operativi poco sofisticati;
ξ crescita per filiazione.