Introduzione
V
possibili soluzioni suggerite dall’analisi teorica e dalla pratica operativa per
bilanciare il noto problema dell’incompletezza contrattuale segnalato dalle recenti
verifiche di Grossman, Hart e Moore.
L’indagine teorica ed empirica riguarda, quindi, l’intero sistema dei
meccanismi prevedibili negli accordi di venture capital che, garantendo alla parte
che sconta l’inefficienza contrattuale opportune opzioni di abbandono/uscita e
numerosi strumenti di controllo, produce indirettamente e nell’insieme gli stessi
effetti e le stesse tutele di cui gli stessi soggetti beneficerebbero direttamente se
fosse possibile stipulare concretamente un contratto completo. La strutturazione di
un sistema di soluzioni giudicato come idoneo dall’investitore assume un
significato determinante nella conclusione definitiva del deal poiché permette
all’operatore di comprimere in modo ottimale, secondo le proprie logiche ed i
propri obiettivi operativi, le asimmetrie informative residue al sistema dei
contratti su cui si regge giuridicamente la relazione.
Il lavoro proposto si articola in tre parti ed inizia con l’analisi del sistema
normativo italiano. Quest’ultimo va a definire direttamente l’architettura
dell’ambiente finanziario nel quale vanno ad inserirsi con la loro attività i fondi e
gli inventori istituzionali nel capitale di rischio. Nel primo capitolo si è analizzato
e verificato teoricamente, in termini di coerenza e compatibilità, l’idoneità del
contesto normativo italiano, sia a livello di disciplina istitutiva del fondo chiuso
che di quella di diritto societario, a consentire un efficiente svolgimento
dell’attività di questi agenti economici. Il secondo capitolo, invece, si concentra
sull’esame delle caratteristiche fondamentali del modus operandi dei soggetti
attivi nel venture capital e sui suggerimenti provenienti dalla letteratura
economica per regolare in modo ottimale il rapporto endosocietario tra
l’investitore e l’imprenditore.
Il lavoro, infine, termina ponendo l’attenzione sui risultati di un’indagine
di campo relativa al formal venture capital in Italia. Essa è stata realizzata
personalmente nel corso del terzo trimestre del c.a. ed è stata pensata con lo scopo
Introduzione
VI
di svolgere una ricognizione empirica della figura del venture capitalist nel nostro
paese e di verificare le ipotesi formulate nel corso della ricerca.
************************
Per l’enorme disponibilità dimostrata verso la mia ricerca, per le preziose
riflessioni e valutazioni fornite in questi ultimi tre anni, i primi del mio percorso
formativo, e per l’affettuoso e costante sostegno vorrei ringraziare il Prof.
Francesco Gangi e il Prof. Mario Mustilli, i quali hanno saputo trasmettermi non
solo parte del loro vasto patrimonio di conoscenze, come è normale nel rapporto
docente-allievo, ma altresì un importante sistema di valori quale orientamento
costante per la mia attività scientifica e professionale. Desidero anche rivolgere un
ringraziamento a tutto il Collegio dei Docenti per l’impegno costante che hanno
avuto nell’organizzazione e tenuta dei corsi di Dottorato ed, in particolare, la
Proff.ssa Clelia Mazzoni per l’avermi spinto con efficacia, e fin dal primo anno,
ad approfondire con passione i temi legati alla metodologia della ricerca.
Capitolo Primo
L’evoluzione normativa della disciplina dei fondi comuni
di investimento mobiliare di diritto italiano.
1.1. Introduzione.
Il primo progetto legislativo in materia di fondi comuni di investimento
chiusi in Italia risale agli anni 90 e in particolare si ricorda la legge del 14 Agosto
1993, n. 344.
SOMMARIO:
1.1. Introduzione. - 1.2. Il ruolo della corporate governance e del diritto societario nelle operazione di
venture capital e private equity. - 1.2.1. Introduzione. - 1.2.2. L’idoneità dei modelli di amministrazione e
controllo a disciplinare il rapporto tra venture capitalist e proprietà di controllo. – 1.2.3. Il problema
dell’efficacia tra le parti delle clausole previste negli accordi e della garanzia dell’adempimento contrattuale.
- 1.3. Il Decreto Legislativo n. 58/98. - 1.3.1. Forma giuridica e oggetto sociale della società di gestione del
risparmio. - 1.3.2. Il capitale sociale previsto per la Sgr. - 1.3.3. L’autorizzazione della Banca d’Italia. -
1.3.4. Obblighi della società di gestione del risparmio. - 1.3.5. L’albo delle società di gestione del risparmio.
- 1.3.6. L’istituzione di un fondo. - 1.3.7. Il patrimonio del fondo. - 1.3.8. La gestione del patrimonio del
fondo. - 1.3.9. Le quote del fondo. - 1.3.10. L’ammissione del fondo alla quotazione in un mercato
regolamentato. - 1.3.11. Il regolamento del fondo. - 1.4. Le disposizioni tributarie per i fondi comuni di
investimento chiusi.
Capitolo Primo
- 2 -
Tale intervento normativo istituì, per la prima volta nell’ordinamento
giuridico italiano, la figura del fondo comune di investimento chiuso1 anche se la
legge presentò sin dal momento della sua emanazione alcuni evidenti limiti,
riconducibili alla presenza di vincoli e divieti in grado di condizionare
negativamente l’operatività dello strumento. Dunque, a conferma di ciò, prima di
vedere in attività un fondo di tale tipo è stato necessario attendere il successivo
intervento legislativo di riforma.
In seguito la legge n. 344/1993 fu completamente rimpiazzata dalla
legislazione successiva. Infatti il decreto legislativo del 24 febbraio 1998 n. 58
(“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” –
TUF), unitamente ai suoi regolamenti attuativi, ha definito la nuova disciplina di
riferimento in materia di fond i chiusi comuni di investimento2 oltre che in materia
di fondi aperti, fondi immobiliari, fondi specula tivi e garantiti. Quindi parte della
disciplina prevista per i fondi chiusi è comune a quella prevista per le restanti
tipologie.
Nei paragrafi seguenti si esaminerà l’assetto normativo introdotto dal TUF
(artt. dal 33 al 42) e dai suoi regolamenti attuativi in materia di fondi chiusi3. Gran
parte dell’attività delle società di gestione e della disciplina, in materia di struttura
e gestione dei fondi comuni di investimento, è contenuta in tali disposizioni
1
L’anno successivo con la legge n. 86 del 25 Gennaio 1994 (“ Istituzione e disciplina dei Fondi
Comuni di Investimento Immobiliari Chiusi”) venne alla luce anche la disciplina che istituì per la
prima volta in Italia i fondi comuni di investimento immobiliare secondo il modello del fondo
chiuso. La legge n. 86/1994 è stato quasi completamente abrogata e sostituita dalla legge 23
novembre 2001, n. 410 che ha integralmente revisionato l’istituto dei fondi immobiliari.
2
A prescindere dalla data di istituzione normativa dei fondi chiusi in Italia si fa coincidere
convenzionalmente l’anno di avvio del settore del capitale di rischio in Italia con quello di
costituzione, il 1986, dell’Aifi, l’associazione di categoria del Private Equity e Venture Capital. I
primi interventi normativi in materia furono la Delibera C.I.C.R. del febbraio 1987 (Partecipazioni
Bancarie), Testo Unico in materia bancaria e creditizia (D.lgs. 385/1993) ed la Legge 344/1993
(Legge istitutiva dei Fondi Chiusi).
3
In particolare la disciplina secondaria si compone in ordine cronologico dei seguenti regolamenti:
1) Decreto del Ministero del Tesoro n. 228 del 24 Maggio 1999 successivamente modificato dal
Decreto del Ministero del Tesoro n. 47 del 31 Gennaio 2003; 2) Regolamento della Banca d’Italia
del 01 Luglio 1998 e successive modificazioni ed integrazioni; 3) Regolamento della Banca
d’Italia del 20 Settembre 1999 e successive modificazioni ed integrazioni; 4) Regolamento della
Banca d’Italia del 24 Luglio 1999 e successive modificazioni ed integrazioni; 5) Regolamento
della Banca d’Italia del 27 Agosto 2003; 6) Provvedimenti della Consob n. 11522 del 1998 e n.
11971 del 1999 e successive modificazioni ed integrazioni.
Capitolo Primo
- 3 -
attuative per mezzo dei numerosi rinvii che la legge istitutiva presenta in più punti
nel corpo del testo. Pertanto, le norme fondamentali circa i caratteri dell’operativa
di tali fondi sono contenute esclusivamente nelle fonti secondarie. Ad esempio
l’art. 37 del Decreto lgs. 58/98 ha delegato, tra l’altro, il Ministro del Tesoro, con
regolamento adottato sentito il parere della Banca d'Italia e della Consob4, a
determinare i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi comuni di
investimento con riguardo:
a) all'oggetto dell'investimento;
b) alle categorie di investitori cui è destinata l'offerta delle quote;
c) alle modalità di partecipazione ai fondi aperti e chiusi, con particolare
riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all'eventuale
ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire;
d) all'eventuale durata minima e massima;
e) alle ipotesi nelle quali deve adottarsi la forma del fondo chiuso;
f) ai casi in cui è possibile derogare alle norme prudenziali di contenimento e di
frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d'Italia, avendo riguardo anche
alla qualità e all'esperienza professionale degli investitori;
g) alle ipotesi nelle quali la società di gestione del risparmio deve chiedere
l'ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato dei certificati
rappresentativi delle quote dei fondi.
Nel prosieguo l’analisi del complessivo quadro normativo partirà dalle
principali novità introdotte dal Decreto lgs. 58/98 per poi articolarsi sui i vari
aspetti connessi alle fasi di costituzione, gestione e dis investimento di un fondo
chiuso.
Riguardo il complesso della normativa italiana di fonte primaria e
secondaria, che ha ad oggetto la regolamentazione dell’istituto dei fondi comuni
chiusi mobiliari e dei vari strumenti previsti dal Tuf, possono essere fatte
numerose considerazioni e valutazioni di carattere generale e/o relative a specifici
4
Il regolamento previsto dal presente articolo è stato approvato con D.M. 24 maggio 1999, n. 228
e dalla successive modifiche ed integrazioni.
Capitolo Primo
- 4 -
aspetti di diritto per quanto riguarda la costituzione e la gestione dello strumento,
gli organi previsti e coinvolti ed il particolare settore del risparmio gestito a cui i
fondi appartengono. Ad esempio si potrebbe a) analizzare il contributo apportato
dalla normativa all’efficienza dei mercati finanziari e le problematiche che la
stessa pone in materia di garanzie che devono essere date ai sottoscrittori di tali
strumenti di investimento in caso di operazioni in conflitto di interesse, b) provare
a svolgere considerazioni utili riguardo il livello e la tipologia di rischio ritenuto
sopportabile dal fondo e l’articolazione dei compiti di vigilanza tra i vari organi
istituzionali previsti.
Lo scopo di questa parte introduttiva della presente trattazione, però, non è
quello di interessarsi ed approfondire tutti i temi aperti dalla letteratura
economica, finanziaria e giuridica bensì di indagare sul grado di idoneità del
complesso di tale disciplina a regolamentare con efficacia l’attività dei fondi
chiusi e delle società di gestione che li costituiscono, operanti nel mercato del
venture capital5. Tale analisi si inserisce a supporto di quello che è il tema centrale
di questa ricerca: indagare sugli accordi di corporate governance6 tra gli operatori
di venture capital e le imprese partecipate e, successivamente, verificarne
attraverso un’ indagine empirica gli elementi tipici, comuni e valutati come
indispensabili e irrinunciabili dai primi alla conclusine definitiva del deal.
Dunque, l’altro settore dell’ordinamento giuridico italiano che interessa
5
Per una definizione di venture capital e private equity si rinvia la capitolo successivo al primo
paragrafo.
6
La corporate governance identifica l’insieme di regole volte a tutelare i soggetti a vario titolo
interessati al risultato conseguito dalla gestione dell’impresa, e in coerenza con tali regole, alla
corretta allocazione delle responsabilità di controllo e, pertanto, persegue il fine di individuare un
sistema di “checks and balances” nel quale tutti i soggetti che interagiscono con l’impresa possano
vedere efficacemente tutelati i propri interessi; inoltre, essa è diretta ad assicurare che il controllo
sia allocato efficientemente e con il maggior grado di separatezza tra governo e titolarità dei mezzi
investiti (Draghi, 2001). In generale in letteratura le definizione di “corporate governance”
differiscono tra loro sia per l’ampiezza e la varietà degli stakeholder che sono considerati nel
processo di governo economico sia per l’ampiezza e la varietà degli organi societari o dei
meccanismi che sono ritenuti responsabili della funzione di governo dell’impresa. Ciò ha portato
alla configurazione di due concezioni fondamentali di corporate governance: la concezione
ristretta e la concezione allargata di corporate governance. La prima si concentra sulle modalità di
composizione e funzionamento del CdA mentre la seconda considera tutti gli interessi che
gravitano sull’impresa oltre a quelli degli azionisti. Per un approfondimento si veda: Zattoni A., Il
governo economico delle imprese, Milano, Egea, 2004.
Capitolo Primo
- 5 -
direttamente questa trattazione è quello del diritto societario 7; in particolare per la
parte riguardante i modelli di amministrazione e controllo, le diverse forme di
apporto di capitale alle imprese a titolo di rischio e non (semplice apporto o
finanziamento) e i limiti alla circolazione delle quote di partecipazione.
Alla luce del dominio di riferimento appena definito, e che sarà
specificato meglio nel capitolo seguente, questa prima parte della ricerca è per sua
natura limitata in quanto non intende fornire una risposta complessiva circa i
fattori che possono contribuire allo sviluppo delle domanda e dell’offerta di
venture capital nel nostro paese. Intende invece esclusivamente isolare la leva
della normativa istitutiva dei fondi chiusi, ed in parte di quella societaria, per
determinare se il diritto vigente in Italia sia adatto a regolare e favorire
l’operatività di questi strumenti di finanza innovativa oppure se in esso si
nascondano elementi che di fatto contribuiscono a frenare lo sviluppo di questo
settore del mercato finanziario.
Va ricordato che il diritto societario è stato recentemente e profondamente
revisionato8 con lo scopo principale di attribuire alle parti sociali un maggiore
grado di autonomia e flessibilità negoziale nel determinare il contenuto del
contratto sociale soprattutto in tema di rapporti tra soci e società, di libertà di
scelta tra le forme di organizzazione di impresa (modelli di amministrazione e
controllo) e, infine, di libertà di scelta fra le forme diverse di apporto di risorse da
parte di soci o di terzi. Il fine ultimo di queste innovazioni è stato quello di
favorire la flessibilità operativa e gestionale, in particolare per le piccole e medie
imprese, l’efficienza della gestione delle stesse e la concorrenzialità tra i modelli
(sotto il profilo, ovviamente limitato, dei tipi e modelli societari) sia a livello
comunitario, sia a livello nazionale.
7
Si rinvia per la trattazione al successivo paragrafo di questo capitolo.
8
La riforma ha preso le mosse dalla legge n. 366 del 2001, con la quale il Parlamento ha delegato
il Governo della Repubblica ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica
della disciplina delle società di capitali e delle cooperative (nn. 5 e 6 del 2003), il primo dedicato
alle norme sostanziali ed il secondo dedicato alle norme di procedura. Entrambi i decreti sono
entrati in vigore il 1° gennaio 2004, anche se già a partire dal 22 gennaio 2003 è stata consentita
alle società l’adozione di clausole statutarie conformi alle nuove disposizioni, destinate ad essere
efficaci con l’entrata in vigore della riforma.
Capitolo Primo
- 6 -
Tutto questo è stato realizzato introducendo direttamente istituti che
nascono in altri paesi (es. modelli di corporate governance), quindi, oggi è
difficile procedere a valutazioni e a considerazioni riguardo gli effetti concreti
della loro applicazione in quanto sono trascorsi poco meno di due anni dalla loro
previsione normativa e, comunque, in genere, nel breve periodo le nuove regole
generano incertezza fintanto che la giurisprudenza non si avvii a chiarire i lati
oscuri delle norme che si manifestano sempre successivamente alla loro efficacia
in sede di concreta applicazione. L’importanza di questa considerazione,
apparentemente scontata, sarà chiara alla luce dell’analisi delle evidenze
empiriche risultanti della verifica empirica al cui approfondimento è dedicata la
parte terza di questa ricerca.
Ritornando all’idoneità dell’istituto normativo del fondo mobiliare chiuso
ad essere utilizzato anche come strumento utile alla patrimonializzazione del
capitale di rischio delle imprese, soprattutto non quotate, ed al sostegno non solo
finanziario delle iniziative imprenditoriali nuove e preesistenti, quest’attributo va
misurato necessariamente guardando alla coerenza e compatibilità dell’impianto
legislativo con i fenomeni emergenti di volta in volta nella pratica, gli strumenti
economici e le tecniche finanziarie adoperate, i contenuti degli accordi (anche in
tema di corporate governance), le caratteristiche e le logiche distintive di
funzionamento degli operatori di venture capital nel particolare segmento del
mercato dei capitali di rischio in cui essi si muovono. Naturalmente in tale
confronto non va dimenticato il ruolo che la stessa normativa può avere
canalizzando le risorse dal pubblico risparmio e dagli investitori istituzionali verso
i fondi mobiliari chiusi, o altri strumenti di uguale natura, attraverso la previsione
di norme che facilitano la raccolta del capitale, la fiducia e l’uscita
dall’investimento.
La disciplina prevista dall’ordinamento italiano è molto articolata e sono
numerose le norme che incidono, o possono incidere, direttamente e
indirettamente ed a più livelli sulla reale natura di investitore formale nel capitale
di rischio delle imprese che è attribuibile ai fondi chiusi una volta che essi abbiano
Capitolo Primo
- 7 -
adempiuto a tutte le prescrizioni previste dalla legge; pertanto, si dedicheranno le
prossime pagine9 esclusivamente all’analisi accurata di questo istituto poiché sono
numerosi i punti, dalla disciplina della costituzione della Sgr a quella della banca
depositaria, che determinano fortemente i vincoli entro cui operano i fondi. In
generale, l’orientamento che emerge dalla normativa è che la stessa è improntata
alla massima flessibilità nella definizione delle politiche di investimento, volendo
anticipare quanto sarà approfondito a seguire, è possibile immediatamente
esprimere un buon livello generale di soddisfazione, anche per la parte fiscale,
evidenziando però qualche aspetto che è migliorabile.
Per quanto riguarda la natura ed i limiti dei contenuti prevedibili negli
accordi tra imp resa partecipata e fondo chiuso la norma non pone alcun limite, se
non quelli posti dal diritto societario e più in generale dall’ordinamento giuridico
italiano. Infatti non essendoci alcuna previsione in materia si lascia piena libertà
all’operatore, parificandolo in questo modo ad un qualsiasi altro socio
dell’impresa, nel definire con la controparte le regole inseribili nei patti
parasociali, nello statuto e in altre scritture private, che si ritengono di volta in
volta opportune e necessarie per disciplinare il rapporto sociale bilanciando
l’incompletezza contrattuale connaturata inevitabilmente ad ogni tipo di patto
sottoscritto in un contesto reale. Questo significa anche che il legislatore consente
che trovino immediata applicazione tecniche finanziarie di regolazione del
rapporto tra le parti che in altri paesi hanno avuto un utilizzo diffuso. Allo stesso
tempo però non fa alcun tentativo, attraverso una qualsiasi previsione normativa
ad hoc, di limitare i problemi di asimmetrie informative e costi di agenzia10
connaturati alla tipologia del rapporto finanziario mostrando in questo modo
nessuna sensibilità alle problematiche affrontate ampiamente e da tempo dalla
letteratura economica circa gli ostacoli al finanziamento dell’impresa nelle fasi di
avvio, espansione e consolidamento.
9
Si rinvia al paragrafo 1.3.
10
Per un approfondimento sul tema si rinvia al paragrafo 2.4.
Capitolo Primo
- 8 -
Per quanto riguarda ,invece, la fase della raccolta del capitale sono previste
una serie di norme che consentono di prevedere nel regolamento del fondo più
momenti temporali distinti per l’acquisizione delle risorse promesse dai
sottoscrittori e la possibilità di meccanismi di protezione del capitale a favore
degli stessi e di uscita dal fondo. Infatti la disciplina prevede:
• nessun ammontare minimo necessario per la costituzione del fondo chiuso;
• la possibilità di raccolta mediante una o più emissioni di quote di uguale
valore unitario;
• la possibilità del reperimento di capitale attraverso grandi tranche di
raccolta riservate agli operatori qualificati italiani ed esteri e la contestuale
previsione di prevedere nel regolamento del fondo la facoltà per la Sgr di
richiamare i versamenti relativi alle quote sottoscritte non più in un unica
soluzione, ma solo in occasione delle operazioni di investimento;
• la possibilità per i fondi chiusi di assumere prestiti per i rimborsi anticipati
delle quote;
• la possibilità per la Sgr di istituire fondi “garantiti” nel senso che
garantiscono ai sottoscrittori la restituzione del capitale investito oppure il
riconoscimento di un rendimento garantito;
• la possibilità di concedere prestiti funzionali o complementari all’acquisto
o alla detenzione, da parte del fondo, di partecipazioni;
• la possibilità di assumere prestiti con la conseguenza di agevolare la
strutturazione delle operazioni di leveraged buy out;
• la possibilità di prevedere una durata massima del fondo pari a 30 anni, più
un eventuale periodo di garanzia di ulteriori 3 anni;
• la mancata previsione di limiti all’investimento rispetto al capitale della
partecipata.
Dal lato della tipologia di investimenti che il fondo chiuso mobiliare può
effettuare si desume dalla normativa che non ci sono particolari vincoli alla forma
tecnica con cui lo stesso può conferire risorse all’impresa partecipata. Infa tti è
previsto che il fondo possa destinare le proprie risorse verso:
Capitolo Primo
- 9 -
• strumenti finanziari quotati in un mercato regolamentato;
• strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato;
• crediti e titoli rappresentativi di crediti.
Infine per quanto riguarda i limiti alla concentrazione degli investimenti ed
alle altre operazioni eseguibili non è consentito:
• concedere prestiti in forme diverse da quelle previste in materia di
operazioni a termine su strumenti finanziari (pronti contro termine, riporti,
prestito titoli e operazioni assimilabili su strumenti finanziari);
• investire in strumenti finanziari non quotati di uno stesso emittente per un
valore superiore al 20% del totale delle attività;
• investire in strumenti finanziari quotati di uno stesso emittente per più del
15% del totale delle sue attività. In ogni caso è previsto che il totale delle quote
superiori al 5% non deve comunque superare il 40% del patrimonio del fondo.
1.2. Il ruolo della corporate governance e del diritto societario
nelle operazione di venture capital e private equity.
1.2.1. Introduzione .
La riforma del diritto societario innova profondamente il previgente
regime in tema di amministrazione e controllo delle società, prevedendo la
possibilità dal 1° gennaio 2004 che gli azionisti scelgano tra tre modelli alternativi
di governance11. Accanto al modello tradizionale, che riprende in gran parte
quello previsto fino al 31 dicembre 2003, la legge introduce due nuovi sistemi più
innovativi e che si pongono come fine quello di realizzare una diversa separazione
11
Una definizione di corporate governance, coerente con quella riportata nella nota n. 6, è quella
tratta da “Principi di Corporate governance” emanati dall’OCSE che identica la governance “in un
insieme di relazioni tra i dirigenti di una società, il suo consiglio di amministrazione, i suoi
azionisti ed altri interessati. Il governo societario rappresenta la struttura mediante la quale
vengono fissati gli obiettivi della società e vengono determinati i mezzi per il loro conseguimento
ed il controllo dei risultati” (Agenzia Europea degli Investimenti, 2005).
Capitolo Primo
- 10 -
dei compiti fra gli attori della governance con una più puntuale individuazione
delle rispettive responsabilità e una più ampia ed efficace produzione, circolazione
e verifica dell’informativa sociale : il modello monistico e quello dualistico.
Il nostro ordinamento consente dunque di scegliere tra un paniere di tre
sistemi di governo societario, nuovi o comunque profondamente modificati, dove
resta, però, la centralità del sistema tradizionale, elevandolo a modello di default,
le cui disposizioni sono cioè senz’altro applicabili laddove le parti non
stabiliscano, con esplicita indicazione nello statuto, di volere optare per un
modello diverso.
Il forte contenuto in novità di tale previsione è immediato poiché, seppure
non manchino ordinamenti che consentono di scegliere tra più sistemi alternativi
di amministrazione e controllo, quello nazionale è il primo ad avere optato per un
paniere di ben tre modelli alternativi per le sole società per azioni. Stabilisce,
infatti, il secondo comma dell’art. 2380 c.c. che lo statuto può optare, in luogo del
sistema tradizionale, per il c.d. sistema dualistico, di derivazione tedesca, oppure
per il c.d. sistema monistico, tipico invece degli ordinamenti anglosassoni.
Come si ricava dalla relazione al D. lgs. 6/2003 la ragione che ha indotto il
legislatore ad offrire questa triplice opzione, oltre alla dichiarata volontà di
adeguarsi a quanto stabilito dal regolamento comunitario sullo statuto della
società europea, è quella di proporre una serie di modelli tra loro effettivamente
differenziati, al fine di consentire ai soci di selezionare il mix di controlli e di
allocazione dei poteri gestori ritenuto più confacente alle dimensioni e alle
caratteristiche dell’impresa, oltre che alle specifiche esigenze della compagine
sociale soprattutto in tema di soluzioni efficienti ai problemi della ricerca di un
assetto ottimale del governo dell’impresa. In tale ottica, infatti, in sede di
costituzione, i futuri azionisti possono selezionare il sistema di governo
dell’impresa che, tra l’altro, più si addice al loro grado d’avversione al rischio ed
alle esigenze di flessibilità, celerità e trasparenza della gestione.
Contemporaneamente, però, l’assetto organizzativo della società per
azioni, in quanto finalizzato alla tutela di interessi ed esigenze che trascendono
Capitolo Primo
- 11 -
quelli dei soci, ha carattere tendenzialmente rigido nell’ambito di ciascun sistema
di amministrazione e controllo. Infatti tutti gli organi sono necessari e le funzioni
loro attribuite per legge sono in larga parte inderogabili e non modificabili
dall’autonomia statutaria. Così, ad esempio, se è stato adottato il sistema
tradizionale, i soci non possono decidere di sopprimere il collegio sindacale o di
spogliare gli amministratori delle loro funzioni di gestione e di rappresentanza
legale della società. E’ invece consentito per tutti e tre i modelli di governance una
ulteriore concentrazione dei poteri deliberativi in seno all’organo amministrativo,
attraverso la delega allo stesso di alcune decisioni che sono proprie
dell’assemblea, ed è riconosciuto ampio spazio all’autonomia privata per quanto
riguarda la struttura dell’organo amministrativo e l’articolazione delle funzioni in
seno allo stesso.
All’interno di un’impresa l’esigenza di una governance è in prima istanza
giustificata dall’incompletezza della relazione che intercorre tra coloro che, in
quanto detentori del capitale di rischio, esercitano la proprietà sulle risorse
dell’impresa, gli stakeholder, e coloro che invece esercitano l’effettivo controllo,
il management. Tale relazione è intrinsecamente viziata da asimmetria
informativa: poiché i proprietari partecipano solo indirettamente alla gestione
dell’impresa, delegando le attività operative al management, sussiste un incentivo
per quest’ultimo ad utilizzare l’informazione privata disponibile per espropriare
gli shareholder, ossia per utilizzare le risorse dell’impresa a fini personali, non
necessariamente coincidenti con quelli della proprietà. In prima approssimazione
la corporate governce è fondamentalmente incentrata sui problemi derivanti dalla
separazione tra proprietà e controllo, con particolare riferimento alla relazione di
agenzia che si stabilisce tra detentori del capitale di rischi e amministratori.
Prima di proseguire con una descrizione breve dei modelli di governance
previsti dal codice civile, è opportuno precisare che il dominio di indagine della
presente ricerca non è, come già spiegato nella parte introduttiva, quello di
esaminare tutti i temi aperti dalla letteratura giuridica ed economica riguardo le
potenzialità ed i limiti dei modelli di amministrazione e controllo bensì di
Capitolo Primo
- 12 -
indagare sul contesto normativo in cui si muovono gli operatori di venture capital
e private equity, nella particolare forma del fondo chiuso, al fine di misurare il
grado di idoneità del complesso di tale disciplina a regolamentare con efficacia
l’attività dei fondi e delle società di gestione che li costituiscono. A tal proposito
sono molteplici i profili di diritto rilevanti nell’ambito di una operazione di
investimento attuata da un investitore istituzionale; infatti a partire dalla fase
preliminare sono coinvolti, volendo riprendere i più rilevanti, aspetti di diritto
societario, di diritto del lavoro, di diritto amministrativo, di diritto della proprietà
intellettuale, di diritto della concorrenza. Nel presente lavoro ad interessare è la
parte del diritto societario. Infatti, si ripete, che l’analisi condotta nel presente
capitolo si inserisce a supporto di quello che è il tema centrale di questa ricerca:
indagare sugli accordi di corporate governance tra operatori di venture capital e le
imprese partecipate e verificarne attraverso un indagine empirica gli elementi
tipici, comuni e valutati come indispensabili e irrinunciabili dai primi alla
conclusine definitiva del deal bilanciando l’incompletezza contrattuale. Alla luce
di questa premessa, la disamina che seguirà circa le caratteristiche dei tre diversi
sistemi di amministrazione e controllo ha lo scopo di evidenziare la loro idoneità a
gestire il rapporto societario tra l’investitore istituzionale, detentore di una
partecipazione di minoranza, e la proprietà di controllo dell’impresa tenendo
conto, da un lato, delle caratteristiche peculiari di un operazione di venture capital,
e dall’altro, dei problemi di asimmetrie informative, costi di agenzia e di
potenziali conflitti di interesse tra i soggetti posti dalla teoria12. Questa verifica
permetterà, in conclusione, di individuare, tra i tre, il modello di governance che
appare teoricamente come il più adatto per la gestione di questo rapporto sociale.
12
Per un approfondimento teorico dei problemi di asimmetrie informative e costi di agenzia tra
venture capitalist e proprietà di controllo si rinvia al paragrafo 2.4.