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Mi ha molto colpito leggere in alcuni forum presenti in rete le
mail di giovani studentesse indecise se iscriversi al corso di
laurea in infermieristica o meno. In alcune vi era un esplicito
riferimento al fatto che fossero gli stessi genitori a cercare di
dissuaderle da questa scelta, perchè la nostra professione è
percepita come nobile sotto il profilo morale, ma al contempo
umile e priva di reali riconoscimenti e soddisfazioni, nonostante i
traguardi che da alcuni anni sono stati raggiunti, come la piena
autonomia nella gestione dell'assistenza infermieristica ed un iter
formativo accademico.
Ho così iniziato ad interrogarmi sui motivi che hanno portato
l'infermiere ad essere apprezzato dal punto di vista umano ma
poco sotto quello strettamente professionale e rileggendo alcuni
testi ed articoli sull'argomento mi sono resa conto di come le
tappe salienti della storia dell’assistenza prima, e dell’assistenza
infermieristica poi, dimostrino che i progressi, i momenti bui e le
problematiche della professione sono fortemente legati a quello
che è stato il ruolo sociale della donna nei secoli, anche perchè la
professione stessa è stata da sempre, ed è tuttora, fortemente
“femminile”.
Secondo i dati diffusi dall'IPASVI
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, infatti, il numero di
studentesse che si iscrivono al corso di laurea in infermieristica,
in Italia, è superiore a quello dei maschi ed anche in ambito
lavorativo la situazione è simile.
Del resto, nel nostro Paese, l’iscrizione alle scuole per
infermiere fu preclusa agli uomini fino al 1971 e da allora il loro
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dati tratti dal sito www.ipasvi.it
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numero nelle fila degli studenti e dei lavoratori è andato
aumentando, tuttavia parrebbe che l’attrattiva esercitata da questa
attività sul sesso femminile sia predominante.
Ho indagato nella storia dell'assistenza e in parte in quella della
medicina e nelle biografie di alcune donne che hanno segnato lo
sviluppo della professione infermieristica, consapevole del fatto
di dover dominare un periodo molto lungo dal punto di vista
temporale e dover, per forza di cose, apportare una selezione
accurata del materiale che avevo raccolto.
La metodologia utilizzata è stata la ricerca e l'analisi di fonti a
stampa, relative a contributi pluridisciplinari già in mio possesso,
di testi nelle biblioteche e su Internet, di articoli tratti da riviste
del settore e di atti di convegni relativi alla tematica affrontata.
Lo scopo del mio lavoro è quello di dimostrare che lo sviluppo e
l'evoluzione del nursing si sono da sempre caratterizzati e sono
stati condizionati da un'altalena dicotomica tra la condanna e la
consacrazione che hanno investito la donna in quanto tale, la
donna che assisteva e la donna infermiera e di come tale
dicotomia si sia trasferita successivamente dalla figura femminile
alla professione stessa, assumendo forme diverse, che non hanno
mancato di far sentire i loro effetti sino ai giorni nostri, tanto da
non avere ancora portato l'infermiere a liberarsi dai fantasmi del
passato e dagli stereotipi che lo imprigionano nell'umiltà di un
ruolo servile e subordinato ad altre figure professionali.
Partendo dal presupposto che l’assistenza, nella sua accezione
di “prendersi cura”, sia prerogativa femminile sin dalla notte dei
tempi, la prima parte dell'elaborato è dedicata alle origini della
contrapposizione condanna/consacrazione di colei che assiste, alla
Introduzione pag. 4
quale la cultura cristiana ha notevolmente contribuito nel
momento in cui ha determinato la scissione corpo e spirito,
rendendo il primo indegno e il secondo fonte di purezza.
Particolare attenzione è rivolta inoltre al ruolo sociale della donna
ed alle implicazioni che esso ha avuto a sua volta nella genesi di
tale contrapposizione.
La seconda parte del lavoro evidenzia il trasferimento di
condanna e consacrazione dalla figura femminile alla neonata
professione, che nasce già ricca di contraddizioni ed inizia ad
essere concepita come subordinata a quella medica, con
particolare riferimento alla realtà italiana in cui si ravvisa la
consacrazione in termini morali dell'infermiera come angelo di
pazienza ed abnegazione, ma la condanna alla mancanza di
autonomia professionale. Viene inoltre sottolineato quanto il
cammino verso la liberazione da tale forma di condanna sia stato
lungo e faticoso.
L'ultima parte costituisce invece una riflessione su alcuni
problemi aperti: anche oggi infatti si può parlare di condanna e
consacrazione della professione infermieristica e nel presente si
ravvisano molti elementi che appartengono al passato.
Le nuove normative hanno sancito la “consacrazione” della
professione all'autonomia ma nei fatti esiste un divario tra ciò che
è stato raggiunto formalmente e ciò che accade nella realtà
lavorativa. A mio avviso i termini dell'attuale condanna sono
proprio questi: sono ancora pochi gli spazi autonomi ottenuti e
vivi sono gli stereotipi che ci dipingono come semplici esecutori
di azioni e che contribuiscono a dare un'immagine distorta della
nostra identità.
Introduzione pag. 5
Ciò significa che dovremo più che mai dimostrare di aver
raggiunto le competenze necessarie affinchè nessuno possa
mettere in discussione la nostra professionalità e l'importanza del
nostro ruolo, consci del fatto che ci vorrà del tempo e che non
mancheranno polemiche e battaglie, augurandoci comunque che
fra qualche decennio nessuno scoraggi i propri figli all'idea di
voler intraprendere questo percorso.
CAPITOLO 1
CONSACRAZIONE E CONDANNA DELLA
DONNA CHE ASSISTE: LE ORIGINI
Consacrazione e condanna della donna che assiste: le origini pag. 7
1.1 LA FIGURA FEMMINILE COME CUSTODE DELLA VITA:
LE RADICI DELLE CURE ASSISTENZIALI
Il nursing riconosce nel principio etico di solidarietà umana la
sua origine, la sua necessità sociale ed il suo carattere peculiare.
Tale principio nasce con l'uomo: le radici dell'assistenza
infermieristica affondano quindi lontano nel tempo, in quelle cure
assistenziali che accompagnano l'individuo dalla sua comparsa
sulla Terra e che, pur essendo ancora molto distanti da ciò che
oggi consideriamo infermieristico, ne contenevano i germogli.
Assistere significa “stare vicino”, “prendersi cura”, “farsi
carico” dell'altro, in una dimensione solidaristica che per le
popolazioni primitive costituiva una necessità fondamentale al
fine di garantire la continuità della vita e della specie.
F. Collière
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sottolinea come alle origini l'assistenza si delinei
attorno a due assi - allontanare la morte e garantire lo sviluppo
della vita - che per qualche tempo coesistono in un rapporto di
interdipendenza reciproca, ma che successivamente danno origine
a due distinti orientamenti.
Allontanare la morte infatti diviene prerogativa soprattutto
maschile: l'uomo si dedica alla caccia, attività impregnata di
misticismo, che mette alla prova le sue facoltà intellettive e la sua
indubbiamente maggiore forza fisica. Cura il corpo ferito dagli
incidenti di caccia e pesca, crea strumenti di incisione e di sutura
via via sempre più precisi, usa la forza per ridurre fratture e
spostare articolazioni e per assistere gli ubriachi, i folli, gli
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F. Collière, Aiutare a vivere, Sorbona, Milano, 1992
Consacrazione e condanna della donna che assiste: le origini pag. 8
agitati. Svolge pratiche assistenziali che a seconda delle epoche e
delle condizioni socioculturali daranno origine a figure quali i
barbieri e i chirurghi, i corpi di infermieri legati all'esercito, i
Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, dell'Ordine Teutonico,
dell' Ordine di Malta, i Templari.
I popoli primitivi cercavano di trovare spiegazioni ai fenomeni
che li circondavano e si interrogavano su ciò che era buono e ciò
che era cattivo. Quando giunsero ad elaborare una dimensione
metafisica in cui individuare le forze generatrici del Bene e del
Male ed elevarono alcune pratiche assistenziali a riti, le
affidarono allo stregone e al sacerdote. Queste figure, guardiane
della tradizione e di sesso maschile, si fanno interpreti di quegli
eventi ai quali l'uomo non potrebbe altrimenti attribuire una
ragione e divengono mediatori tra l'ordine fisico e quello
metafisico: individuano ciò che è male (il demone causa di
malattia e di morte) e tentano di allontanarlo o di evocarlo tramite
offerte, incantesimi e sacrifici, mescolando sapere empirico,
religione e magia. Con la nascita e lo sviluppo della scienza,
quando magia, religione e conoscenze mediche non dovranno più
mescolarsi, avrà origine un' altra figura a mediare tra l'ordine
fisico e quello metafisico: il medico. Egli avrà come unico e solo
scopo, fin quasi ai giorni nostri, proprio quello di sconfiggere la
malattia per allontanare la morte.
E' la figura femminile ad essere invece profondamente legata al
secondo orientamento (garantire lo sviluppo della vita): con la
suddivisione dei compiti è la donna che assiste i suoi simili e ne
assicura la sopravvivenza, prendendosi cura del fuoco,
raccogliendo piante, custodendo pelli, strumenti per la caccia,
Consacrazione e condanna della donna che assiste: le origini pag. 9
raccolti ed animali domestici quando l'uomo abbandona il
nomadismo, accudendo i bambini, le donne gravide, i morenti.
La continuità della vita viene assicurata da colei che genera la
vita, che tuttavia in sè custodisce non solo il mistero della nascita,
ma anche quello della morte e che per tale ragione è al tempo
stesso amata e temuta. E' nel corpo femminile che si ravvisano
immediatamente gli elementi di consacrazione e condanna che
caratterizzeranno la donna che assiste lungo la storia. Per i popoli
primitivi esso è vita e morte al tempo stesso, tanto che anche il
culto il della Dea Madre è ambivalente: ella simboleggia la
potenza della fertilità ma contemporaneamente viene identificata
come un'entità bellicosa ed omicida.
Sin dai tempi più antichi è il corpo femminile a rappresentare il
fulcro dei riti di passaggio: esso conosce l'esperienza della
fecondità e del parto ed è a sua volta strumento di cure, perchè
attraverso di esso la donna cura il neonato.
Le pratiche del corpo implicano l'uso dei sensi, in particolare
l'olfatto ed il tatto. Il primo è lo strumento che la levatrice
utilizza per capire che il bambino sta per nascere, permette di
individuare alcune malattie e pone la donna costantemente in
contatto con la natura che la circonda.
Il secondo ha il suo elemento di forza nelle mani, che sono in
grado di calmare, disinfiammare, rilassare, tonificare,
massaggiare e stimolare sensazioni piacevoli o meno.