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Abbiamo così toccato con mano quanto l’energia sia, per tutti noi, indispensabile al fine di
mantenere il nostro livello di benessere raggiunto.
Secondo uno studio della Banca Mondiale le cause della crisi vanno ricercate in una
domanda di elettricità crescente ed in nessuna nuova capacità installata.
I fatti avvenuti hanno avuto, se non altro, il merito di accendere i riflettori sulla questione
energetica nazionale coinvolgendo, nel dibattito che ne è seguito, un pubblico più vasto dei
soli addetti ai lavori.
L’Italia produce energia per lo più attraverso la combustione di gas e petrolio: l’80,6%
dell’energia prodotta proviene infatti dalle centrali termoelettriche; l’apporto delle centrali
idroelettriche è invece del 17,2%. Sempre in Italia, per quanto riguarda le nuove fonti
rinnovabili, solo le centrali geotermiche ed eoliche forniscono una produzione apprezzabile
di energia rispettivamente con l’1,6% e lo 0,5% del totale nazionale.
Valutando il tutto in termini di Gigawatt, possiamo notare come in Italia la potenza teorica
totale sia di oltre 76 Gigawatt (miliardi di chilowatt) forniti, nella stragrande maggioranza,
dalle duemila centrali termoelettriche (55,3 GW) e dalle quasi mille centrali idroelettriche
(20,5 GW). Tuttavia per problemi di manutenzione, o per valutazioni economiche, la
potenza realmente disponibile in ogni momento è di circa 49 GW a cui si aggiungono 6,3
GW importabili dall’estero.
Nella realtà, quindi, la disponibilità massima è di circa 55 GW (valore a cui la domanda,
negli ultimi anni costantemente in aumento, si è più volte avvicinata), ma quella effettiva
in un dato momento può essere minore per vari motivi, tra cui i problemi di trasmissione
che hanno provocato il clamoroso black-out del 28 Settembre.
Dai dati esposti emerge chiaramente il quadro, decisamente poco rassicurante, del sistema
energetico nazionale caratterizzato dallo sfruttamento di fonti non rinnovabili (costose ed
inquinanti) e dalla forte dipendenza dall’estero.
Più parti affermano che la soluzione a tale situazione energetica deficitaria risieda nella
costruzione di nuove centrali elettriche tradizionali.
Questa è sicuramente la soluzione più facile e veloce per risolvere il problema, almeno nel
breve periodo. Tutto ciò, anche tralasciando (momentaneamente) le ormai note
conseguenze ambientali di tali tipi di centrali, accentuerebbe la dipendenza dell’Italia dai
paesi produttori di petrolio; è bene ricordare che la maggior parte di tali paesi presenta una
situazione politica altamente instabile così come è doveroso sottolineare che, al momento
in cui scrivo, il prezzo del greggio ha superato la soglia dei 60 dollari al barile.
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A tutto ciò bisogna aggiungere la crisi del gas del 2006 scaturita dalle tensioni sussistenti
tra Russia ed Ucraina, vertente sul prezzo del gas che la prima vende alla seconda. La crisi
ha importanti riflessi sull’economia europea, poiché attraverso l’Ucraina passa il gasdotto
che alimenta, tra gli altri, Italia, Ungheria, Austria e Repubblica Ceca. Il 2 gennaio
l’Ucraina ha prelevato abusivamente 100 milioni di metri cubi di gas destinato al mercato
europeo. In Italia ciò fece registrare un calo sensibile nelle importazioni dalla Russia
attraverso l’Ucraina di circa il 24%; una situazione simile si registrò in molti altri paesi
europei.
Il 4 giugno, fortunatamente, la crisi rientrò a seguito dell’accordo raggiunto tra Russia ed
Ucraina.
Un'altra strada percorribile, per risolvere la crisi energetica, potrebbe essere quella di una
politica di forte incentivazione allo sviluppo delle nuove fonti energetiche rinnovabili.
Questa soluzione deriva dal fatto che in merito all’energia utilizzata nelle nostre abitazioni
si potrebbe realmente percorrere la strada delle fonti rinnovabili tramite centrali di
generazione ecocompatibili in luogo alle tradizionali.
Conseguentemente, al fine della riduzione delle emissioni in atmosfera appare più logico
sostituire la produzione di elettricità da fonti fossili con le rinnovabili.
Nel primo capitolo elencherò i limiti delle fonti energetiche tradizionali ed i problemi
ambientali connessi al loro sfruttamento, nonché i vantaggi derivanti dall’utilizzo delle
fonti energetiche rinnovabili.
Nel secondo capitolo il mio intento sarà quello di elencare e descrivere le fonti energetiche
rinnovabili e di come vengono utilizzate in Italia.
Infine, nel terzo e ultimo capitolo descriverò dettagliatamente il progetto Archimede
realizzato dall’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) e la
costruzione del primo impianto al mondo che integrerà un ciclo combinato a gas con un
impianto solare termodinamico.
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Capitolo 1
L’importanza delle fonti di energia rinnovabile
La maggior parte dell’energia oggi utilizzata nel mondo deriva dai giacimenti di
combustibili fossili come carbone, petrolio, gas naturale o da giacimenti di uranio (questo,
naturalmente, per quanto riguarda l’energia nucleare). Tali giacimenti sono disponibili in
quantità limitate e rappresentano quindi una fonte energetica esauribile, non rinnovabile.
Diversamente l’energia derivante dal sole, dal vento, dall’acqua, dalla biomassa, dal calore
geotermico e dalle maree è rinnovabile.
1.1 Limiti dei combustibili fossili
Si definiscono fossili quei combustibili che derivano dalla trasformazione, sviluppatasi in
milioni di anni, della sostanza organica in forme via via più stabili e ricche di carbonio.
Rientrano in questo campo dunque:
• Petrolio e derivati
• Carbone
• Gas naturale
I combustibili fossili sono oggigiorno la principale fonte energetica dell'umanità, grazie ad
alcune importanti caratteristiche che li contraddistinguono:
• sono "compatti", ovvero hanno un alto rapporto energia/volume
• sono facilmente trasportabili
• sono facilmente stoccabili
• sono utilizzabili con macchine relativamente semplici
• costano poco
In particolare quest'ultima caratteristica ha fatto sì che lo sviluppo di macchine che possano
sfruttare fonti energetiche alternative sia ancora molto lento.
Hanno per contro numerosi svantaggi:
• sono inquinanti, anche se con l'utilizzo di macchine moderne questo problema si è
notevolmente ridotto
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• determinano un incremento di CO2 in atmosfera, un gas non inquinante ma oggi
considerato come il maggiore imputato del surriscaldamento globale
• non sono rinnovabili, dato che il processo di fossilizzazione della sostanza organica è
estremamente lungo e la quantità che si fossilizza è trascurabile rispetto ai fabbisogni
energetici della società in cui viviamo
Quest'ultima caratteristica, con la conseguenza che i giacimenti vanno esaurendosi mentre
le richieste energetiche aumentano (con conseguente aumento del prezzo) ed
accompagnata dalla pressione dell'opinione pubblica che vede nei combustibili fossili la
principale fonte di danni ambientali, fa sì che quote sempre maggiori di fonti energetiche
alternative entrino nel paniere energetico nazionale, europeo e mondiale.
Mtep rappresenta una sigla che sta a significare “milioni di tonnellate equivalenti di
petrolio”. Sarà necessario familiarizzarvi dato che è opportuno osservare le varie fonti di
energia primaria (carbone, gas, petrolio, nucleare, rinnovabili) in quantità equivalenti di
petrolio, riducendo così alla stessa unità le varie fonti energetiche e ciò al fine di rendere
più facile il confronto dei dati.
Negli ultimi anni la domanda di energia a livello mondiale ha raggiunto un valore prossimo
a 10.000 Mtep. Riguardo l’entità di questa domanda è da segnalare che essa viene
soddisfatta per il 70% da combustibili fossili; più specificatamente:
• 26% derivante dallo sfruttamento del carbone
• 26% dal petrolio
• 18% dal gas naturale
Il restante 30% viene soddisfatto il parti uguali dall’energia nucleare e dalle fonti
rinnovabili.
Risorse, riserve, produzione. Sono queste tre variabili in base alle quali è possibile
effettuare una stima della disponibilità dei combustibili fossili.
Considerando il petrolio:
• Le risorse sono rappresentate dal greggio già identificato anche tramite attività di
prospezione e quindi di ricerca nel sottosuolo. Per risorse si intendono quindi le materie
prime di cui l’umanità dispone, siano esse economicamente o non economicamente
utilizzabili;
• Le riserve sono invece un sottoinsieme delle risorse caratterizzate da una relativa
certezza circa la loro individuazione e da una effettiva possibilità di estrazione
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considerando i prezzi e la tecnologia disponibile al momento. Quindi la parte di risorse
che in un determinato momento, cioè ad un certo stadio della tecnologia e a certe
condizioni di mercato, risultano economicamente utilizzabili, si dicono riserve.
Definite le riserve sarà necessario determinare la produzione e cioè quanta parte di queste
riserve viene ogni anno effettivamente estratta.
Da quanto esposto risulterà chiaro come risorse e riserve rappresentino dei confini alla
disponibilità esprimibili in termini di variabili stock (ad esempio miliardi di barili) i cui
livelli e le cui fluttuazioni influenzano le dinamiche di mercato di lungo periodo. Le
dinamiche di medio-breve periodo sono invece condizionate dalla produzione possibile in
un determinato momento e sono esprimibili in termini di variabili di flusso (ad esempio
milioni di barili al giorno).
Detto questo, lo stock delle riserve di petrolio individuate ha raggiunto, nei primi anni 90,
l’ammontare di 1.000 miliardi di barili e da allora tale quantità è in costante aumento,
anche se lieve; ciò corrisponderebbe a circa 30 anni di disponibilità al ritmo di consumo
attuale. Si considera invece di 60 e 300 anni la durata degli stock di riserve di gas naturale
e carbone rispettivamente; se consideriamo poi le riserve probabili questi valori devono
essere largamente incrementati.
Riguardo al petrolio c’è da dire che il termine di 30 anni deriva da una media tra due
diversi stock di riserve:
• Le riserve dei paesi Opec (Organization of petroleum exporting countries) che
rappresentano circa l’80% del totale;
• Le riserve delle compagnie petrolifere che presentano invece una breve durata
differenza di quelle dei paesi Opec.
Questi dati manifestano una forte dipendenza delle forniture energetiche mondiali da una
regione geografica ristretta e con numerosi elementi di instabilità politica, dato che alcuni
dei paesi Opec più importanti sono situati nell’area medio-orientale. Per citare alcune
importanti date: nel 1956 l’Egitto decise di nazionalizzare il canale di Suez chiudendo il
corridoio di collegamento tra paesi consumatori e produttori di petrolio. Nel 1973 a causa
delle guerra del Kippur il greggio passò da 3,011$ al barile a 11,651$ nell’arco di soli tre
mesi producendo il così detto shock petrolifero. Successivamente l’Iraq, approfittando
della debolezza politica dell’Iran, scatenò una sanguinosa guerra per la restituzione di
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alcune isole che comportò un ulteriore aumento del prezzo del combustibile che, nel
gennaio 1980, raggiunse i 26$ al barile. Arrivando a tempi più recenti emblematiche sono
le due Guerre del golfo.
Tale dipendenza può essere però attenuata considerando che i paesi consumatori di prodotti
petroliferi, grazie al progresso tecnologico, possono usufruire, se necessario, di cospicue
riserve inutilizzate alla stato attuale. La R&S definisce, quindi, la linea di confine tra
petrolio sfruttabile e non sfruttabile e, grazie ad essa, le risorse sono sempre più accessibili
dal punto di vista economico.
Anzi, si può affermare che le riserve di combustibili fossili non rappresentano un grosso
problema per il futuro prossimo a patto che però sia incrementata l’attività di R&S volta al
miglioramento dei tassi di utilizzo ed a rendere possibile lo sfruttamento delle riserve
costituite dai giacimenti marini profondi e dal greggio di qualità inferiore (greggio
pesante).
Di conseguenza possiamo dire che quantità e disponibilità non costituirebbero un problema
ma vi è, tuttavia, una preoccupazione molto forte esemplificata da un unico dato
decisamente poco rassicurante: l’attività dell’uomo sulla Terra legata all’utilizzo dei
combustibili fossili provoca l’emissione di 23 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Al
riguardo la maggior fonte di emissione per l’anidride carbonica proviene dall’uso delle
fonti di energia fossile (96%). All’interno di questa categoria sono le industrie energetiche
ad occupare la quota più importante con una media complessiva del 30% che in alcuni
paesi supera il 50%. Segue ad una certa distanza il settore dei trasporti.
Che cosa può essere fatto per eliminare questa quantità di anidride carbonica immessa
nell’atmosfera in così grande quantità?
Le tecnologie odierne forniscono soluzioni al problema non del tutto convincenti. Sarebbe
possibile infatti catturare l’anidride carbonica generata da impianti che utilizzano
combustibili fossili per immagazzinarla in aree isolate ed adeguatamente predisposte. Ciò
però non rappresenta una soluzione definitiva al problema in quanto si aprono qui tutta una
serie di altre questioni logistiche, economiche, geologiche ancora senza chiara risposta. Va
aggiunto poi che i processi di cattura e immagazzinamento dell’anidride carbonica
richiedono, essi stessi, notevoli quantità di energia; inoltre la realizzazione delle
infrastrutture necessarie all’operazione rende il tutto estremamente costoso.
Ma soprattutto, al di là delle considerazioni economiche, non appare ancora adeguatamente
studiata la sicurezza globale di questa possibile soluzione al problema della CO2.