11 
Dalla teoria keynesiana resta fuori la disoccupazione tecnologica, 
anche se pochi anni prima della pubblicazione della Teoria generale 
Keynes aveva preconizzato che di tale problema si sarebbe discusso 
sempre piø ampiamente, ed anche se storicamente negli anni  30, dopo 
la caduta della domanda, il progresso tecnico incideva sia sulle 
dimensioni che sulla persistenza della disoccupazione
2
.  
¨  indubbio che l incessante sostituzione delle macchine ai 
lavoratori provocata dal progresso tecnico sia il fenomeno centrale del 
moderno capitalismo industriale, una ridistribuzione che tocca le 
diverse aree dell economia in modo assai diseguale. 
Le redistribuzioni tra attivit  tradizionali e nuove professioni dei 
lavoratori direttamente indirettamente generata dal progresso tecnico 
in ogni periodo porta con sØ una certa disoccupazione, dato che il 
reimpiego dei lavoratori espulsi dal processo produttivo non Ł e non 
pu  essere istantaneo. 
                                                                                                                   
1
 LOMBARDINI S., DISOCCUPAZIONE, EMARGINAZIONE E SVILUPPO, IN RIVISTA 
INTERNAZIONALE DI SCIENZE SOCIALI, LUGLIO   DICEMBRE, 1995, P. 81. 
2
 KEYNES J. M., PROSPETTIVE ECONOMICHE PER I NOSTRI NIPOTI, NEL VOLUME  
ESORTAZIONI E PROFEZIE, GARZANTI, MILANO, 1968, P. 110. 
  
 
 
12 
La disoccupazione pu  restare su livelli molto bassi se la 
congiuntura economica Ł favorevole: in tali condizioni il saggio di 
aumento della domanda, in ciascuno dei grandi settori dell economia, 
tende a coincidere col saggio di aumento della produttivit  del lavoro. 
Tuttavia, quando l offerta di lavoro cresce, qualunque sia il motivo, la 
disoccupazione non aumenta solo se la domanda cresce piø della 
produttivit .
3
 
Qualora la domanda non cresca a sufficienza, o diminuisca, la 
disoccupazione tende a crescere: Ł, al tempo stesso, disoccupazione 
tecnologica e disoccupazione da insufficienza di domanda. 
Il tema dello sviluppo rappresenta per la teoria economica un 
problema sempre piø arduo da affrontare.  Gli studiosi si trovano di 
fronte ad un patrimonio documentario crescente, al quale non 
corrisponde sempre un parallelo accrescimento di acquisizioni 
teoriche. 
Il problema che piø di ogni altro occupa l’attenzione degli 
osservatori Ł quello della mancata diffusione territoriale dei processi 
                                           
3
CENTRO EUROPA RICERCHE, L OCCUPAZIONE IN ITALIA, IN «RAPPORTO» N. 3, 
  
 
 
13 
di sviluppo.  Si tratta di un problema che, se agli studiosi italiani Ł ben 
noto come problema nazionale, assume dimensioni ben piø vaste sul 
piano mondiale. 
Se il procedere dell industrializzazione risponde ad una logica, 
questa sfugge tuttora all’analisi teorica.  Non si pu  affermare con 
sicurezza che la diffusione dell’industria segua la liberalizzazione dei 
movimenti di merci e di capitali, nØ che essa segua la disponibilit  di 
infrastrutture, o l’offerta di fattori, o la presenza di un patrimonio 
culturale di base.  Non si pu  nemmeno dire che altre formulazioni 
teoriche basate, come quella del ciclo del prodotto, su ipotesi piø 
complesse di strategia industriale, riescano a cogliere con successo 
maggiore i fattori segreti che governano il cammino geografico 
dell industria. 
L’antica idea ottimistica di Adam Smith
4
, secondo la quale si 
sarebbe verificato un travaso spontaneo delle attivit  produttive dai 
territori piø avanzati e congestionati verso i paesi ancora in attesa di 
                                                                                                                   
1994, P. 198. 
4
 SMITH A., AN INQUIRY INTO THE NATURE AND CAUSES OF THE WEALTH OF 
NATIONS, CANNAN, 1961, P. 89. 
  
 
 
14 
sviluppo e dotati di terra libera e di risorse naturali piø abbondanti, 
non trova preciso riscontro nella storia.  Di questa idea, si fece 
portatore, agli albori di questo secolo, un grande economista italiano, 
Marco Fanno
5
.  Ma oggi, a quasi cento anni di distanza, non si pu  
dire che formulazioni ispirate a queste idee trovino seguito. 
Al termine del secondo conflitto mondiale, la fiducia 
nell’esistenza di forze riequilibratrici automatiche, insite nei 
meccanismi spontanei dell’economia, venne definitivamente scossa 
dalle ricerche sociologiche
6
. Le ricerche sulle differenze di razza nella 
societ  americana, e sulle vicende dei paesi in via di sviluppo, lo 
condussero a formulare l’ipotesi opposta, quella della causazione 
circolare e della differenziazione crescente fra paesi ricchi e paesi 
poveri.  Tornava di conseguenza in onore l’idea dello sviluppo guidato 
dall organizzazione dello Stato e della conseguente necessit , per i 
                                           
5
 FANNO M., TEORIA ECONOMICA DELLA COLONIZZAZIONE, EINAUDI, TORINO, 
1952, P. 87. 
6
 CFR. PER ESEMPIO IL CELEBRE LIBRO DI MYRDAL G. ECONOMIC THEORY AND 
UNDERDEVELOPED REGIONS, DUCKWORTH, LONDON, 1957, P. 175; KALDOR N., 
ECONOMIA SENZA EQULIBRIO, BOLOGNA, 1988, P. 54. 
  
 
 
15 
paesi in ritardo, di fare affidamento su di una politica di sviluppo 
coerente e centralizzata.
7
  Non si trattava di un idea nuova. 
Su questo tronco rinasce la vera e propria teoria dello sviluppo, 
branca lungamente trascurata della teoria economica.  Si pu  dire che, 
dopo la lunga parentesi segnata dal dominio della scuola neoclassica, 
essa veda nuovamente la luce al termine della seconda guerra 
mondiale.  Il famoso saggio di P. N. Rosenstein - Rodan
8
 e le quattro 
conferenze tenute al Cairo da Ragnar Nurkse nel 1952
9
 rappresentano 
i primi testi teorici di questo ramo rinnovato della scienza economica. 
La nuova dottrina sottolineava per vari aspetti l impossibilit  di 
lasciare lo sviluppo dei paesi in ritardo alle sole forze del mercato
10
.  
Nurkse, a sua volta, riprendendo in parte la dottrina delle 
                                           
7
 ECKAUS R.S., LE NUOVE TEORIE DELLA CRESCITA A L ANALISI DELLO SVILUPPO, 
IN ISTITUZIONI E MERCATI NELLO SVILUPPO ECONOMICO, A CURA DI S. BIASCO, A. 
RONCAGLIA, M. SALVATI, LATERZA, BARI, 1990, P. 73. 
8
 ROSENSTEIN - RODAN P. N., PROBLEMS OF INDUSTRIALIZATION IN EASTERN AND 
SOUTH   EASTERN EUROPE, IN ECONOMIC JOURNAL, N. 53, 1943, P. 48. 
9
 NURKSE R., PROBLEMS OF CAPITAL FORMATION IN UNDERDEVELOPED 
COUNTRIES, OXFORD, BLACKWELL; CAIRO, NATIONAL BANK OF EGYPT, 1953, P. 
104. 
  
 
 
16 
indivisibilit , tracciava le linee di un programma di sviluppo 
industriale cos  distribuito tra i vari settori da assicurare una domanda 
corrispondente alla struttura dell’offerta e tale da rendere l’economia 
interna non piø dipendente dalla domanda internazionale.   
Oggi le preferenze degli studiosi tornano a collocarsi su posizioni 
opposte.  Ricompare la fiducia nelle forze spontanee dell’iniziativa 
individuale, mentre l intervento pubblico viene circondato da una 
diffidenza sempre piø accentuata e diffusa. La fiducia nella capacit  
del mercato di autoregolarsi, non soltanto nella utilizzazione delle 
risorse ma anche nella accumulazione della ricchezza, tende a 
diventare dominante. 
Inutile dire che, almeno nel campo della teoria dello sviluppo, la 
rinnovata fiducia nelle forze spontanee del mercato non si presenta 
come un semplice ritorno, ingenuo e non motivato, a tempi del 
passato.  
                                                                                                                   
10
 LOMBARDINI S., DISOCCUPAZIONE , CIT., P. 159. 
  
 
 
17 
Sul piano concettuale, i punti nevralgici della teoria dello 
sviluppo sono due: la definizione del regime dei rendimenti e la 
definizione delle economie esterne. 
 Se oggi la teoria dello sviluppo economico tende a rivalutare 
l idea dell equilibrio spontaneo del mercato occorre eliminare 
dall insieme delle ipotesi teoriche di partenza l idea dei rendimenti 
crescenti 
11
.  
Qualcosa di simile vale per il secondo aspetto della funzione di 
produzione, e cioŁ la definizione delle economie esterne.  Coloro che 
negano la diffusione spontanea delle attivit  produttive fra regioni 
contigue tendono a negare anche la presenza di economie esterne, sia 
in forma tecnologica che in forma monetaria.  La linea opposta viene 
invece seguita dai cultori della regolazione automatica del mercato: in 
questo modo di vedere, l’insediamento di una nuova attivit  produttiva 
d  luogo ad una riduzione di costi per altre attivit  potenziali e ne 
stimola in tal modo l avvio. 
                                           
11
 BANTI A. M., GLI IMPRENDITORI MERIDIONALI: RAZIONALIT  E CONTESTO, IN                    
« MERIDIANA. RIVISTA DI STORIA E SCIENZE SOCIALI »N. 6, MAGGIO, IMES, 
CATANZARO, 1989, PP. 63   89. 
  
 
 
18 
Come Ł noto, l’antesignano di questo modo di impostare la nuova 
teoria dello sviluppo Ł stato Albert Hirschman
12
. ¨  sua l introduzione 
nella teoria economica della categoria delle conseguenze indotte da un 
investimento iniziale, come Ł sua l’analisi sistematica delle 
ripercussioni esercitate a monte e a valle dall’installazione di una 
nuova attivit  produttiva.  Egualmente sua Ł l’idea che lo sviluppo del 
reddito produca effetti indotti non soltanto attraverso la riduzione dei 
costi, ma anche attraverso lo stimolo della domanda.  L’aumento 
progressivo del reddito crea nuove esigenze dapprima non avvertite e 
consente di finanziare nuove domande rivolte a beni in precedenza 
non consumati.  L importante Ł che tali esigenze vengano manifestate 
con vigore: che vi siano cioŁ soggetti inclini alla partecipazione e 
alieni dalla fuga.  La manifestazione di nuove esigenze induce a sua 
volta l’avvio di nuove attivit  produttive.  Lo sviluppo dunque non pu  
attuarsi attraverso un meccanismo equilibrato: Ł necessario che si 
aprano degli squilibri perchØ proprio questi costituiscono l’incentivo a 
nuovi investimenti. 
                                           
12
 HIRSCHMAN A. O., THE STRATEGY OF ECONOMIC DEVELOPMENT, YALE 
  
 
 
19 
L’idea, elaborata da Hirschman, delle economie esterne, degli 
effetti indotti, e degli stimoli provenienti dalla domanda, viene oggi 
ripresa da coloro che ritengono di poter accordare fiducia agli 
automatismi del mercato anche nel campo dell accumulazione e dello 
sviluppo.
13
 
Gli autori che oggi coltivano l’idea dello sviluppo come processo 
retto dalla manifestazione spontanea delle preferenze individuali sono 
numerosi e autorevoli. 
Un esempio significativo Ł quello di Robert Lucas e del suo 
modo di interpretare il meccanismo dello sviluppo
14
.  Nella sua 
visione, il processo di sviluppo Ł retto soprattutto dal fattore umano.   
Tale fattore viene a sua volta prodotto mediante due meccanismi 
diversi. Il primo Ł assicurato da istituzioni specifiche, quali il sistema 
scolastico e formativo, che in modo mirato e sistematico trasmettono 
alle nuove generazioni le nozioni necessarie al loro inserimento nel 
                                                                                                                   
UNIVERSITY PRESS, NEW HAVEN, 1958, P. 187. 
13
HIRSCHMAN A. O., THE STRATEGY OF , OP. CIT., P. 101. 
14
 LUCAS R., ON THE MECHANISM OF ECONOMIC DEVELOPMENT, IN JOURNAL OF 
MONETARY ECONOMICS, N. 22, 1988, P. 92. 
  
 
 
20 
processo produttivo.  Il secondo, piø spontaneo, Ł una sorta di «on the 
job training»: il fatto stesso di essere nati e di vivere in una 
determinata societ  fa acquisire una cultura, abitua la mente alle 
tecnologie in uso, predispone il soggetto a lavorare secondo esigenze 
consone ai modi di produzione vigenti.   
Nella visione di Lucas, ogni processo produttivo possiede dunque 
suoi modi di diffusione che vanno al di l  delle istituzioni specifiche 
ad opera delle quali il processo viene elaborato e insegnato.  Per sua 
natura quindi, il progresso economico si trasmette in modo pressochØ 
automatico, e non Ł destinato a restare patrimonio di gruppi isolati.
15
 
Lungo linee non contrapposte ma parzialmente dissimili, si 
muove l’analisi di Paul Romer
16
, il cui modello parte peraltro da 
ipotesi piø elaborate. 
La letteratura sullo sviluppo economico oscilla dunque fra due 
grandi formulazioni.  Da un lato i modelli basati su rendimenti 
crescenti e diseconomie esterne, che vedono lo sviluppo come 
                                           
15
 LUCAS R., ON THE MECHANISM , OP. CIT., P. 102. 
16
 ROMER P. INCREASING RETURNS AND LONG   RUN GROWTH, IN JOURNAL OF 
POLITICAL ECONOMY, N. 94, 1986, P. 89. 
  
 
 
21 
fenomeno concentrato, segnalano il sorgere inevitabile di 
diseguaglianze crescenti, e ritengono che soltanto un intervento 
pubblico possa spezzare il circolo vizioso della povert ; dall’altro i 
modelli basati su rendimenti decrescenti ed economie esterne, che 
vedono invece lo sviluppo come processo animato da una diffusione 
spontanea e il mercato come meccanismo capace di cancellare le 
disparit  territoriali. 
Le due formulazione si distinguono per una netta 
contrapposizione sul piano delle ipotesi di partenza.  L’uno e l’altro 
gruppo peraltro fanno uso di categorie analitiche ben note e 
consolidate nella teoria economica.  Dicevamo infatti, che la nuova 
letteratura sullo sviluppo economico, mentre Ł portatrice di analisi piø 
raffinate e complesse, non ha prodotto una messe paragonabile di idee 
nuove.  Sul piano del comportamento individuale, l’analisi sembra 
ferma alla partizione di Hirschman fra lealt , partecipazione e 
diserzione.  Sul terreno della politica di sviluppo, il dibattito teorico si 
  
 
 
22 
impoverisce nella contrapposizione fra sostenitori dei mercato e 
sostenitori dell intervento
17
. 
Dal canto suo, l’esperienza storica segnala viceversa, sia sul 
piano del comportamento individuale che su quello dell’azione 
pubblica, problemi ben piø gravi, che nella letteratura non hanno 
ancora trovato risonanza adeguata. 
La contrapposizione fra meccanismi di mercato e intervento 
pubblico nello sviluppo delle regioni in ritardo, contrapposizione che 
polarizza la discussione dottrinaria, viene superata nei fatti dalla 
circostanza assai piø significativa che, nelle regioni in ritardo, le 
inefficienza del settore pubblico non sono molto diverse da quelle del 
settore privato
18
.  Coloro che pensano, affidandosi al settore pubblico, 
di vincere le insufficienze che il mercato manifesta nelle regioni in 
ritardo devono riconoscere che anche il settore pubblico ben di rado 
                                           
17
 SYLOS LABINI P., NUOVE TECNOLOGIE E DISOCCUPAZIONE, LATERZA, BARI, 
1989, P. 107. 
18
 D ANTONIO M., STRUTTURA ECONOMICA, STABILIT  E SVILUPPO DEL 
MEZZOGIORNO, LIGUORI, NAPOLI, 1989, P.119. 
  
 
 
23 
riesce a sottrarsi ai meccanismi generali dell’inerzia e della 
disorganizzazione. 
Sotto questo profilo, l esperienza storica del nostro paese Ł piø 
che eloquente. Un termine di paragone significativo Ł fornito dallo 
sviluppo economico che si Ł avuto rispettivamente nel Centro e nel 
Sud del paese nel corso del secondo dopoguerra. In Toscana il 
passaggio da un economia agricola, sostenuta da rade isole di grande 
industria, ad un economia costituita da un solido tessuto di imprese di 
piccole e medie dimensioni, non Ł stato prodotto unicamente dalle 
forze spontanee dell iniziativa individuale: al contrario, l opera e 
l impegno delle istituzioni sono state assolutamente determinanti
19
. 
Si Ł quindi trattato di un azione convergente del pubblico e del 
privato. Una delle cose sulla quale non si richiama l attenzione con 
sufficiente vigore, Ł che nelle regioni del Mezzogiorno non soltanto la 
capacit  delle amministrazioni Ł largamente inadeguata rispetto alle 
esigenze dello sviluppo, ma si ha addirittura l impressione che le 
classi dominanti ed i responsabili della cosa pubblica assumano, 
                                           
19
 BECATTINI G., MODELLI LOCALI DI SVILUPPO, IL MULINO, BOLOGNA, 1989. 
  
 
 
24 
rispetto allo sviluppo e all evoluzione della struttura economica, un 
atteggiamento di scarso interesse, se non addirittura ostile.  
L attenzione delle classi dirigenti sembra polarizzata in misura 
crescente sui flussi di spesa pubblica, sugli stanziamenti di fondi per 
sussidi, cos  come sulla realizzazione di grandi opere nel settore delle 
costruzioni e della sistemazione del territorio, mentre l azione a favore 
di un autentico sviluppo produttivo si trascina fra l inerzia e il 
pessimismo
20
. 
Non Ł dunque sempre possibile applicare meccanicamente, nØ al 
singolo nØ alle istituzioni collettive, i principi accolti dalla teoria.  
Anche i comportamenti che si vorrebbero razionali di fatto 
condizionati dalla struttura sociale, i cui vincoli vengono superati 
soltanto lentamente e con fatica, con l evolversi della struttura 
produttiva.
21
  
                                           
20
 DEL MONTE A., SPESA PUBBLICA, MERCATO E CONSENSO SOCIALE: QUALE 
POLITICA PER IL MEZZOGIORNO?, NAPOLI, 1994, P. 174. 
21
 D ANTONIO M., IL SUD IN GABBIA NELL ANALISI DI BANKITALIA, IN « POLITICA 
ED ECONOMIA », N. 7- 8, LUGLIO/AGOSTO, 1990, PP. 18   21.