VI
lo studio della mitologia, agli usi e costumi di un popolo come ad
elemento rivelatore nello studio sociologico e psicologico.
Si passerà poi, nell'evoluzione del discorso, ad un'analisi
inerente all'identificazione dell'origine delle fiabe reperite.
Il lettore si renderà presto conto di come, in realtà, la
maggior parte dei racconti sia il prodotto di un "mestizaje
cultural de Guatemala".
Le narrazioni di tipo occidentale furono trasmesse
oralmente dal Vecchio al Nuovo Mondo e giunte in Guatemala,
nel tempo, si trasformarono in elementi tradizionali confermati
tali dalla consuetudine alla narrazione.
Un popolo si alimenta anche di apporti culturali di altri
luoghi. Per questo motivo bisogna considerare la cultura
guatemalteca non il frutto esclusivo delle repressioni ed
imposizioni del regime sociale sviluppatosi con la conquista
occidentale.
Inoltre i modelli spagnoli adottati dal XVI sec. in poi non
furono accettati in modo immediato; fu soltanto con il passare dei
VII
secoli che si formò questa amalgama di elementi indios, africani,
europei.
La cultura nazionale sorta dalla rielaborazione di tutta
questa unione di elementi culturali distinti, è il vero risultato di
un processo storico che include svariati secoli di colonizzazione.
Si può affermare pertanto che "Los cuentos populares de
ecos indoeuropeos son tan guatemaltecos como la literatura
indígena heredada de tiempos prehispánicos o la de origen
africano".
1
Nella parte conclusiva della tesi si attuerà un processo di
comparazione tra fiabe reperite con titolo identico o similare, si
individueranno le parti non combacianti, con relativa
esplicazione, si passerà all'applicazione, dove possibile, delle
funzioni proprie di una fiaba riconosciuta tale.
Nel caso esistano più varianti di una medesimo racconto, si
cercherà di documentare in modo preciso il tutto al fine di
individuare quali elementi realmente variano e quali
1
Celso A. Lara, Figueroa, Cuentos Populares de encantos y sortilegios en Guatemala,
Ed. Artemis & Edinter, Guatemala, 1996, p. V
VIII
permangono, anche dal punto di vista religioso (è possibile che
versioni di una stessa fiaba possano variare a seconda
dell'appartenenza religiosa del narratore).
Chiaramente si cercherà di spiegare in modo eloquente il
motivo per il quale in alcune fiabe siano individuabili le funzioni
proppiane (31 funzioni che rappresentano le parti fondamentali
della favola) ed in altre siano assenti, risalendo alla precedente
analisi sulla vera origine del racconto, individuando così forme e
figure già presenti nell'antico Libro Maya: il Popol Vuh.
Per ciò che concerne il reperimento del materiale non è
stato dei più facili perché le fiabe fanno parte della letteratura
orale di un popolo, nel caso specifico, di quello guatemalteco,
quindi la trasmissione avviene quasi esclusivamente all'interno di
un contesto culturale e sociale determinato.
Per la parte "teorica" della tesi, vale a dire : ricerca di
opere, trattati che spiegano che cosa è il folklore, quali sono gli
studiosi del ramo, quali sono le varie teorie, mi sono recata
personalmente a reperire il materiale presso varie biblioteche;
informazioni utilissime le ho trovate su Internet.
IX
Per ciò che concerne la parte "pratica", vale a dire: la
reperibilità delle fiabe guatemalteche, per poter attuare una
comparazione ottimale, mi sono basata soprattutto sull'aiuto
costante e concreto del mio Professore Dante Liano, che
ringrazio, e che in occasione di un suo viaggio in Guatemala mi
ha procurato alcuni racconti originali.
Un grazie ad un carissimo amico messicano, José Zahoul,
che, a causa della mia impossibilità ad andare in quella stupenda
terra che è il Guatemala, mi ha procurato materiale veramente
interessante ed importante, recandosi personalmente presso
l'Ambasciata del Guatemala.
Ringrazio anche la signora Maria Rosa Padovani del
"Centro di Solidarietà del Popolo del Guatemala" di Torino e le
signore Pina Barbati e M. Assunta Casati del "Centro Caritas" di
Milano.
Un ringraziamento speciale ai miei genitori che mi hanno
dato la possibilità di raggiungere questo obiettivo.
X
"Este es el principio de las antiguas historias de este lugar
llamado quiché aquí escribiremos y comenzaremos las antiguas
historias, el principio y el origen de todo lo que hizo en la ciudad
del quiché, por la tribus de la nación quiché". Popol Vuh
11
I. RECENSIONE DELLE TEORIE SULL'ORIGINE E
DIFFUSIONE DELLE FIABE
I.1 Analisi generale delle teorie
Dopo l'Umanesimo, la "scoperta" e quindi lo studio
metodico della vita popolare è una delle novità e delle peculiarità
del pensiero moderno.
L'interesse va già chiaramente rivelandosi nel Seicento,
sboccia in pieno Settecento e, finalmente nell'Ottocento, dalla
semplice osservazione e dall'esaltazione entusiastica, si passa alla
ricerca scientifica vera e propria.
E' fenomeno europeo, più accentuato in quelle nazioni
dove il manto della civiltà e cultura umanistica riesce a coprire il
fervore della vita popolare e l'incalzare delle nuove forze
indigene.
2
2
Corso, Raffaele. Folklore, Storia, Obbietto, Metodo, Bibliografia, Casa Ed. Leonardo
da Vinci, Roma,1923, p. 43.
12
Si è soliti far iniziare lo studio metodologico (la scienza
delle tradizioni popolari) dall'opera dei fratelli Willhelm e Jacob
Grimm.
3
Verso la fine del XIX ° secolo mentre la corrente ispirata
dalle teorie romantiche si andava affievolendo, incominciò a
delinearsi nettamente una seconda fase che può essere definita
"positiva" o "del metodo storico".
4
Se per alcune contingenze avverse ed a causa della Grande
Guerra, intercorsero vari anni di stasi, una notevole ripresa si è
avuta nel dopoguerra.
Questa nuova fase che può essere chiamata critica si
caratterizza per l'approfondimento dei principi generali su cui si
basa il folklore, per un affinamento dei metodi di ricerca e per
l'uso sistematico della comparazione.
5
3
Grimm, W. e J. Kinder und Hausmärchen, vol. 1° - 1811, vol. 2° - 1814, vol. 3° - 1822.
4
La partecipazione degli studiosi si allargò: si intensificarono le ricerche particolari ad
opera di raccoglitori locali nelle singole regioni, mentre l'indagine si estese anche nel
campo storico per rintracciare i documenti da ricollegare con quanto offriva la tradizione
orale. Corso, Raffaele, op. cit., p. 43
5
Corso, Raffaele, op. cit., p. 65
13
Sulle molteplici teorie inerenti la divulgazione delle fiabe,
si è discusso parecchio giungendo ad una "generica" suddivisione
in scuole folkloriche denominate: naturalista, indianista,
antropologica, partendo dall'indagine scientifica orientata verso i
principi: Mitico, Storico, Psicologico.
I tre nomi sopra citati sono l'espressione di altrettanti
sistemi, il primo dei quali, con a capo Max Müller, tende a
rintracciare, mediante l'analisi etimologica, gli elementi mitici
che costituiscono il centro dei racconti popolari e considera la
mitologia ariana come un prodotto che nasce dall'organismo del
linguaggio, sovrapponendosi ad esso;
6
il secondo, con T. Benfey,
propone le fonti indiane che, attraverso molteplici
rimaneggiamenti, avrebbero aperto alle novelle orientali le vie
dell'occidente;
7
il terzo con E.B. Tylor a cogliere, nella mentalità
6
"Il Müller espone questa sua teoria nell'Essay on Comparative Mythology, Oxford
1856. Raccolto poi nel 2° vol. dei Chips from a German Workshop, London 1868-1875.
Prima di morire, dopo aver dedicato le sue ricerche agli studi di religione (naturale,
fisica, antropologica …) il Müller pubblicò un suo lavoro di sintesi: Contribution to the
study of Mythology, London 1896". (Cocchiara Giuseppe, Genesi di leggende, G.B.
Palumbo, Ed. Palermo, p.22.)
7
"Cominciò largamente per mezzo della conoscenza che i popoli maomettani
acquistavano dell'India" Cocchiara, Giuseppe, op. cit., p. 26
14
animista del "selvaggio"
8
i segni da cui si sarebbero sviluppate le
meravigliose storie dei demoni, degli eroi, degli stregoni, ecc.
I sistemi di Müller e Tylor appartengono alla storia mentre
quello benfeyano si rinsalda su nuove basi con G. Frazen, che
tenta di conciliare le teorie evemerista (dottrina di Evemero di
Messene; IV-III sec. a.c., erudito greco; nella "Sacra Scrittura"
afferma la teoria dell'origine umana degli dei e degli eroi
divinizzati) e quella simbolista (forma di interpretazione dei
materiali storici - religiosi - miti - riti - ecc., che vengono
considerati rappresentazioni di realtà spirituali, di idee ed istinti
diversi da quelli risultanti dalla loro forma esteriore).
I.2 Le teorie
La teoria mitica (o mülleriana) afferma che quell'insieme
di storie vecchie, di fate, di streghe, di geni, di eroi divini, di
orchi, ecc., che compongono la letteratura popolare, altro non
8
Con questo, pone alla base di tutte le ricerche mitologiche, religiose e
tradizionalistiche, la cultura e la mentalità "primitiva". Nei miti che rintraccia nelle
popolazioni antiche egli vede la proiezione dell'esperienza quotidiana che si basa sulla
credenza dell'animazione intera … il sole, gli astri, i venti diventano delle creature
vive.E.B. Tylor, Primitive Culture: Researches into the development of Mythologie,
Philosophie, Religion, Art and Customs, C.III: Survival In Culture, London, 1871
15
sono che resti di antichissime mitologie, comuni alle stirpi che
originariamente popolarono l'Europa.
9
Perciò, per penetrare l'oscuro significato di una tale
quantità di resti, è necessario raccogliere le varie versioni dei
racconti, confrontarle e quindi risalire al tipo primordiale.
Quando si avrà rintracciato la forma madre, sarà possibile
reintegrare il racconto nei tratti morfologici (studi della forma e
della struttura) originari e si potrà ricreare la logica tradizionale.
Una condizione basilare per la formazione del mito è
proprio l'esistenza degli elementi mitici che provengono dai
fenomeni naturali e danno vita alle idee popolari.
Si è studiato, ad esempio, che l'etimo permette di scoprire
il logos che, debitamente trasformato, continua nelle favole, nelle
leggende, nei racconti popolari (es.: Dafne, in origine, non era
una fanciulla del Paese delle Leggende, ma l'aurora - dahanà in
sanscrito - poi, obliato il primitivo termine di origine sanscrita,
9
Corso, Raffaele, op. cit., p. 65
16
Dafne significò "alloro". Si forma così la leggenda che tale
pianta, anticamente, fosse stata una fanciulla chiamata Dafne).
10
A questo punto bisognerebbe aprire una piccola parentesi
sulla distinzione tra "bassa mitologia" e "mitologia classica".
La mitologia classica riguarda i racconti che celebrano le
avventure e le feste degli dei; la bassa mitologia ingloba quei
racconti che accompagnano per mondi immaginari (ma non
celesti) uomini, eroi ed animali. La prima spazia nell'Olimpo dei
suoi mille numi e cessa di esistere attivamente col tramonto della
civiltà e della religione pagana; la seconda continua ad essere
tramandata nelle capanne, nei villaggi dove si raccolgono e
parlano ancora un linguaggio misterioso le novelle e le leggende
(che altro non sono se non forme degenerate di antichissimi
miti).
11
La questione dell'origine dei racconti, dice il Benfey, è una
questione di fatto e questa affermazione nasce dal fatto che, un
10
Corso, Raffaele, op. cit., p. 67.
11
Corso, Raffaele, op. cit., p. 68.
17
racconto popolare, in qualunque luogo europeo od asiatico venga
preso, si può riportare ad un tipo sanscrito.
12
Questa convergenza delle molte versioni di un racconto,
appartenenti ad uno o più popoli distinti, fa ritenere, come forma
madre base, la narrazione più antica.
A cercare questo parallelismo, siamo spinti verso l'India
dove, durante i primi secoli del Buddismo, le narrazioni
fioriscono con la propaganda religiosa, che li usa come mezzi di
educazione morale e sociale.
L'antichità classica ed il medioevo le ignorano e solo con
le Crociate, la via dell'Europa viene aperta alle novelle orientali.
Qui vi penetrano mediante la tradizione letteraria e quella orale.
In seguito, a causa dei continui conflitti ed assalti tra
popolazioni di zone limitrofe, le favole si tramandano.
Si pensi che per mezzo della letteratura buddistica, (che
contiene favole, parabole, leggende, ecc.) le novelle indiane
12
Affermazione del Maestro di Tubinga ripetuta anche da Köhler in Germania, dal
Cosquin in Francia.
18
penetrarono in Cina ed in Tibet,
13
poi grazie alle invasioni
mongole (che tradussero nella loro lingua le favole indiane),
giunsero anche in Europa. Furono, in generale, i popoli
"maomettani" e quelli "buddisti" i propagatori di queste novelle.
Poche di queste narrazioni si sono conservate nelle forme
primitive (tutto era in gran parte tramandato oralmente.)
14
Ma, se si ritorna alla dottrina del capo della scuola Benfey,
si nota che i suoi successori non sempre furono concordi tra di
loro.
Alcuni fanno dell'India la terra in cui i racconti e le
parabole fioriscono spontaneamente; altri studiosi fanno di quel
meraviglioso paese il centro di raccolta ed elaborazione delle
sparse novelle popolari.
15
13
Cocchiara, Giuseppe, op. cit., pp. 26-27
14
Poiché "le trasformazioni che queste novelle hanno subito, soprattutto in bocca del
popolo, prescindendo dalla naturalità dell'impronta di un marchio nazionale, è
apparentemente una vaga mescolanza, regolarmente presentata, di forme, di motivi, di
accidenti già in origine disgiunti".
Cocchiara, Giuseppe, op. cit., p. 27.
15
Esiste una pleiade di studiosi che sviluppa l'idea della trasmissione storica dei racconti
dall'Oriente all'Occidente già posta su solide basi nell'introduzione al Panchatantra. (vedi
Benfey: Panchatantra . Funf Buecher indischer Fabeln, Maerchen und Erzaehlungen.
Aus dem Sanskrit ubersetz mit Einleitung und Ammerhunger, von T.B., 2 vol., Lipsia
1859)
19
Gli aderenti alla prima teoria, vedono negli apostoli
buddisti i veri inventori della novella a scopo di propaganda
morale, sociale e religiosa; gli studiosi che condividono la
seconda affermazione ravvisano nei buddisti dei semplici
collettori delle svariate tradizioni narrative, che da molto tempo
correvano in paesi e genti differenti.
Nella seconda metà dell'800, di fronte al sistema filologico
di Müller ed a quello storico del Benfey, fuoriesce una nuova
scuola coniata da tre studiosi: Tylor, Lang e Frazer, denominata
Scuola Antropologica, perché studia il fenomeno mitico
riferendosi all'essere pensante, ai suoi differenti stati di sviluppo
mentale e sociale, ai suoi costumi ed alle sue credenze.
16
I tre studiosi sono gli esponenti di tre sistemi di
interpretazione mitologica.
16
"L'iniziatore di questa teoria è indubbiamente il Tylor, che nel 1871, pubblicando
Primitive Culture pone alla base di tutte le ricerche mitologiche, religiose e
tradizionalistiche, la cultura e la mentalità primitiva" (Cocchiara Giuseppe, op. cit., p.
29-30.)
20
Tylor afferma che "lo spirito infantile e le idee grossolane
dell'uomo della selva trasformano i miti in fatti più comuni, i fatti
dell'esperienza quotidiana".
Sempre secondo questo studioso, fanciullo e "nativo"
concepiscono che sia sparsa in tutto il cosmo una vitalità analoga
a quella dell'uomo ed, in virtù di tale concezione, essi arrivano
alla personificazione degli elementi.
Le popolazioni indigene tendono a rappresentare il sole e
gli altri astri, i fiumi, i venti, come creature animate dotate di
un'anima simile a quella dell'uomo.
Tutte queste idee precedono da una filosofia della natura o
universale che, per quanto arcaica essa sia, è logica nelle sue
linee.
Le somiglianze per le popolazioni autoctone, sono identità
vere e reali. L'essere vivente percepisce nell'eco, la voce dei nani
delle caverne, immagina la fame come qualcosa che morde…
In queste rappresentazioni i "germi" dei miti sono vere e
proprie pratiche, cerimonie.