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tradizionale definizione di obbligazione di mezzi come obbligazione
avente ad oggetto, non un risultato, ma una condotta diligente, in quanto
un risultato è sempre dovuto: la peculiarità propria delle obbligazioni di
mezzi consiste nella possibilità di una discrepanza tra risultato sperato
ed effettivo, potendo intervenire fattori esterni incontrollabili e
imprevedibili.
Inoltre, è stato opportuno evidenziare che il panorama giurisprudenziale
ha mostrato un mutamento, da un atteggiamento reverenziale di
sostanziale indulgenza e comprensione nei confronti della classe
medica, ad un atteggiamento diametralmente opposto, maturato in
seguito allo sviluppo delle conoscenze scientifiche, che hanno
migliorato la qualità delle cure e della vita, ma nel contempo hanno
aumentato le aspettative dei pazienti e le rispettive insoddisfazioni,
portando al passaggio da un sistema nel quale si sosteneva che l’attività
medica fosse estranea a qualsiasi presunzione di colpa ad un modello
incentrato sull’ampio ricorso al suddetto meccanismo. Dal punto di vista
dell’onere probatorio si distinguevano gli interventi routinari da quelli di
difficile esecuzione, con riguardo ai primi si riteneva operante una
presunzione di colpa in capo al professionista, mentre con riguardo ai
secondi doveva essere il paziente a provare la colpa del medico.
Il meccanismo delle presunzioni di colpa è stato poi superato, in seguito
al revirement giurisprudenziale del 2004, che ha fatto venire meno, agli
effetti dell’onere probatorio, la distinzione tra interventi di facile e
difficile esecuzione, in quanto in entrambi i casi il paziente deve
soltanto dimostrare il titolo dell’obbligazione e allegare
l’inadempimento, mentre spetta al medico provare l’esatto adempimento
o di avere tenuto una condotta diligente.
In conclusione alla trattazione riguardante la responsabilità medica è
stato affrontato l’importante tema del dovere informativo e del consenso
informato, evidenziando come il dovere di informazione, funzionale a
consentire al paziente di esprimere un consenso realmente informato,
inizialmente sorto nel limitato settore della chirurgia estetica, sia stato
progressivamente esteso a tutti i campi della medicina, divenendo
sempre più un elemento caratteristico della responsabilità medica. Si è,
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dunque, sottolineato il mutamento nel modo di concepire il ruolo del
paziente, che da “oggetto” di scelte terapeutiche prese dal medico, è
diventato un soggetto decisionale autonomo, con il diritto di essere
chiaramente ed esaustivamente informato, al fine di poter scegliere in
ordine alla propria salute.
Il primo capitolo, dedicato alla responsabilità medica in generale, mi ha
consentito di inquadrare il tema oggetto di trattazione, in modo da
potere compiutamente affrontare il caso specifico del chirurgo estetico,
evidenziando le peculiarità di disciplina rispetto al più vasto panorama
della responsabilità medica.
Innanzitutto, nel secondo capitolo, è stata ripercorsa l’evoluzione
dottrinale e giurisprudenziale che ha condotto al superamento dei dubbi
sulla liceità della chirurgia estetica, alla quale, oggi, si riconosce,
unanimamente, una funzione terapeutica e una diretta giustificazione
negli artt. 3 e 32 Cost.. L’impostazione che negava una finalità
terapeutica alla chirurgia estetica muoveva da una concezione restrittiva
di salute, caratterizzata da una forte matrice “pubblicistica”, nell’ambito
della quale la salute era intesa come assenza di malattia. Oggi, in
conformità con il dettato costituzionale e con la definizione adottata
dall’OMS, si è affermata una nuova nozione di salute, intesa come
condizione di benessere fisico e psichico della persona: non vi è,
dunque, coincidenza tra integrità fisica e salute, la quale comprende
profili sia fisici che psichici, entrambi essenziali allo sviluppo della
persona. Proprio da questa nozione allargata di salute derivano la liceità
e la terapeuticità degli interventi di chirurgia estetica, i quali sono volti a
tutelare la salute del paziente, in quanto funzionali ad eliminare le
alterazioni morfologiche della persona, al fine di ripristinare o
migliorare la condizione soggettiva di benessere psico-fisico della
stessa.
Ripercorsa l’evoluzione che ha condotto al pieno riconoscimento della
funzione sociale e terapeutica della chirurgia estetica, si è reso
necessario affrontare il problema centrale riguardante la responsabilità
del chirurgo estetico, ovvero l’applicabilità o meno degli stessi principi
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validi per la responsabilità medica, con riferimento alla natura
dell’obbligazione assunta e al dovere di informazione.
Per entrambi i profili si è sostenuta la necessità di applicare una
disciplina peculiare, diversa da quella generale: infatti, si è ritenuto che
sul chirurgo plastico gravino un’obbligazione di risultato, anziché di
mezzi, e un più ampio dovere informativo. L’analisi svolta ha cercato di
porre in evidenza la profonda divergenza che sussiste tra la chirurgia
estetica e le altre branche della medicina, giustificando il ricorso ad una
disciplina parzialmente diversa, non per quanto attiene al dovere
informativo, ma per quanto riguarda la natura dell’obbligazione. Infatti,
si è cercato di confutare la tesi dell’obbligazione di mezzi, sostenendo
l’esistenza, in capo al chirurgo estetico, di un’obbligazione di risultato.
Inoltre, si è dimostrato come non sia condivisibile l’impostazione in
base alla quale vi sarebbe, in questo settore della medicina, un più
ampio dovere di informazione, in quanto esteso anche al risultato
raggiungibile, poichè il suddetto obbligo sussiste in capo ad ogni
medico. Dunque, il dovere informativo non muta di rilevanza e di peso a
seconda del settore che viene in rilievo nel caso concreto: non si tratta di
individuare un nuovo obbligo informativo nell’ambito della chirurgia
estetica, ma di contestualizzare il generale dovere di informazione, il cui
contenuto dev’essere rapportato alle peculiarità proprie di questa branca
della medicina, nonchè alle esigenze e alle attitudini del paziente.
Svolta l’analisi sui principali problemi inerenti alla responsabilità civile
del chirurgo estetico, si è conclusa la trattazione affrontando il
fondamentale tema dei danni risarcibili in caso di intervento di chirurgia
estetica mal riuscito.
Preliminarmente, è stato necessario tracciare un excursus
sull’evoluzione della responsabilità civile, per potere comprendere
l’attuale sistema di valutazione e di ristoro dei danni. Innanzitutto, sono
state analizzate le principali caratteristiche del sistema risarcitorio
tradizionale, nell’ambito del quale ha fatto la sua comparsa il danno
estetico; si è poi ripercorsa l’evoluzione riguardante il danno biologico,
attraverso le fondamentali tappe rappresentate dalle sentenze genovesi
degli anni settanta e dalla pronuncia n. 184/1986 della Corte
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Costituzionale, fino a giungere alla fondamentale svolta del 2003, in
seguito alla quale è stato configurato un nuovo danno non patrimoniale,
nel quale convergono tre distinte figure: il danno biologico, il danno
esistenziale, il danno morale.
E’ stato, inoltre, necessario affrontare il tormentato rapporto tra danno
biologico ed esistenziale, al quale, ancora oggi, numerosi autori negano
autonoma esistenza, includendolo in una ominicomprensiva figura di
danno biologico, concepito come suscettibile di racchiudere in sé ogni
pregiudizio non patrimoniale, diverso dal transeunte turbamento
derivante da un illecito penale.
Nell’ambito dell’analisi dei danni risarcibili, un particolare spazio è
stato dedicato al danno estetico, ricostruendo la sua evoluzione dalla
nascita, negli anni venti, fino all’attuale sistema nel quale viene
unanimamente incluso nell’ambito del danno biologico.
In conclusione alla trattazione, sono stati analizzati i differenti metodi di
liquidazione del danno, precisando che, in caso di intervento chirurgico
estetico mal riuscito, vanno risarciti tutti i danni: dunque, non solo
quello estetico, nell’ambito della valutazione del danno biologico, ma
anche gli eventuali danni esistenziale, morale e patrimoniale.
Conclusioni
La tesi si è prefissata lo scopo di analizzare le principali questioni in
tema di responsabilità civile del chirurgo estetico, ponendo in evidenza i
problemi ancora aperti e cercando di darne una soluzione personale:
infatti, vi è notevole incertezza sul tipo di obbligazione assunta,
sull’estensione del dovere informativo, sui danni risarcibili.
Innanzitutto, si deve fare un accenno alla spinosa questione inerente alla
natura dell’obbligazione assunta: mentre è pacifico, in termini generali,
che il medico assume un’obbligazione di mezzi, difformi sono i pareri
per quanto riguarda l’obbligazione del chirurgo estetico.
Con riferimento alla responsabilità medica in generale, si deve precisare
che non può essere accolta la definizione tradizionale di obbligazione di
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mezzi come obbligazione avente ad oggetto, non un risultato, ma una
condotta diligente, in quanto un risultato è sempre dovuto, essendo
rappresentativo di un’utilità per il creditore: come dispone l’art. 1174
c.c, è inconcepibile una prestazione che non corrisponda ad un interesse
dell’altra parte. Per risultato dovuto non si deve intendere la guarigione,
perché in qualsiasi patologia possono interferire infiniti e imprevedibili
fattori, non controllabili dall’operato umano; in realtà, il risultato è la
buona cura, ossia quel complesso di cure atte a guarire. Ciò che
contraddistingue la categoria delle obbligazioni di mezzi non è la
mancanza di un risultato dovuto, ma la possibilità di una discrepanza tra
la “buona cura” e la guarigione, ben potendo intervenire agenti esterni
che pregiudicano la soluzione favorevole della patologia nonostante la
condotta diligente del medico.
Inoltre, si deve registrare un ridimensionamento della dicotomia, dovuto
al fatto che il progresso scientifico fa apparire sempre meno aleatorie la
diagnosi e la terapia medica, riducendo sempre più i fattori esterni non
controllabili dall’operato umano.
A mio avviso, la soluzione preferibile si pone in una via mediana tra chi
nega in toto la sostenibilità della distinzione tra obbligazione di mezzi e
di risultato, e chi accoglie la definizione tradizionale di obbligazione di
mezzi: è opportuno giungere, non ad un totale superamento della
dicotomia, ma ad un’attenuazione della rigidità della differenziazione. Il
problema centrale, dunque, è quello di dare una corretta definizione di
obbligazione di mezzi, sullo sfondo di una distinzione che va comunque
mantenuta. Se si accoglie quest’impostazione, la conseguenza è un
sostanziale avvicinamento tra i due tipi di obbligazione: la dicotomia ha
principalmente valore descrittivo e non incide sui principi informatori
della responsabilità.
Chiarita la soluzione da me accolta con riguardo alla nozione di
obbligazione di mezzi e di risultato, è possibile affrontare il dibattuto
tema della natura dell’obbligazione assunta dal chirurgo estetico: infatti,
anche se la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza propende
per la tesi dell’obbligazione di mezzi, non mancano alcuni Autori, che,
invece, accolgono la soluzione opposta.
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A mio avviso, la soluzione preferibile è quella che riconosce in capo al
chirurgo estetico un’obbligazione di risultato: infatti, poco persuasiva
risulta la tesi secondo la quale anche in un intervento di chirurgia
estetica, al pari delle altre branche della medicina, possono essere
conseguiti risultati insoddisfacenti a causa di fattori indipendenti
dall’operato umano, nonostante una condotta diligente del medico. In
realtà, il dato in base al quale possono intervenire agenti esterni,
imprevisti e imprevedibili, non è di ostacolo ad una configurazione
dell’obbligazione assunta dal chirurgo estetico in termini di risultato:
infatti, nelle obbligazioni di risultato il debitore si libera provando
l’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile
(art. 1218 c.c.). Se si verifica un fattore esterno inevitabile, indipendente
dalla condotta diligente del sanitario, si rientra nell’ambito di quella
causa non imputabile di cui all’art. 1218 c.c., la quale, se provata, esenta
da responsabilità. Mentre in caso di obbligazione di mezzi è sufficiente
che il medico provi di aver adempiuto diligentemente, nell’ipotesi di
obbligazione di risultato non basterà la prova della diligenza, ma sarà
necessario dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore che hanno dato
luogo al cattivo esito dell’intervento. La debolezza della tesi confutata si
evince, dunque, dal fatto che, in realtà, l’obbligazione di risultato non
comporta la sussistenza di una responsabilità civile anche nell’ipotesi in
cui si verifichino eventi esterni che non possono essere controllati dal
debitore, il quale, provandoli, si libera, nonostante l’assunzione di un
obbligazione di risultato.
Inoltre, si deve precisare che la tesi dell’obbligazione di risultato non
discende, come è stato sostenuto, da un atteggiamento di sostanziale
pregiudizio nei confronti della chirurgia estetica, dovuto alla negazione
di una sua terapeuticità. In realtà, per poter dispiegare la sua funzione
terapeutica, l’intervento di chirurgia estetica deve raggiungere il
risultato, consistente nel miglioramento estetico: infatti, soltanto
quest’ultimo può portare ad un benessere anche psichico. Dunque,
riconoscere in capo al chirurgo estetico un’obbligazione di risultato è un
modo per tutelare il paziente e per consentire a questa branca della
medicina di svolgere effettivamente la sua funzione terapeutica:
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consequenziale ad un cambiamento in melius della situazione
morfologica, è il miglioramento della sfera psicologica, la quale,
unitamente al benessere fisico, costituisce componente imprescindibile
del diritto alla salute, inteso nella sua accezione più ampia. Quindi,
soltanto assicurando al cliente un risultato estetico e un’adeguata tutela
risarcitoria in caso di suo mancato raggiungimento, si può realmente
salvaguardare il benessere psichico di chi si rivolge al chirurgo estetico.
L’impostazione volta ad affermare l’esistenza di un’obbligazione di
risultato, dunque, non presuppone un pregiudizio verso la chirurgia
estetica; ma, anzi, ne riconosce la rilevanza sociale, ed è funzionale ad
assicurare una maggior tutela al contraente debole, rendendo più
oneroso, in capo al medico, l’onere della prova.
Si deve anche tenere conto del fatto che, di regola, la prospettazione di
un risultato costituisce conditio sine qua non per sottoporsi
all’operazione. Se il paziente decide di affrontare un intervento di
chirurgia estetica, significa che il medico gli ha descritto un determinato
risultato, assicurando la possibilità di raggiungere un miglioramento
estetico effettivo, infatti, nessuno si sottoporrebbe ad un’operazione se
gli venisse prospettata la sua inutilità o un esito peggiorativo rispetto
alla condizione preesistente. E’ naturale che il paziente, quando si
rivolge al chirurgo estetico, gli chieda, oltre i rischi configurabili, anche
il risultato ottenibile, in quanto la decisione di sottoporsi ad
un’operazione estetica è sempre la conseguenza di scelte sofferte, frutto
di un profondo disagio interiore, che può essere superato soltanto
attraverso un tangibile cambiamento in melius del proprio aspetto
esteriore. Comunque, anche a prescindere dalle domande poste dal
cliente, rientra nel dovere informativo del chirurgo estetico descrivere in
modo realistico il risultato, che dev’essere praticamente ottenibile, se
non si vuole incorrere nella responsabilità da erronea informazione:
dunque, il medico assume quale obbligazione contrattuale il risultato
prospettato, che entra a fare parte del contenuto della prestazione
promessa; se il chirurgo descrive un determinato risultato, significa che
ritiene di poterlo ottenere e se ne assume il rischio.
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Un’altra questione di notevole rilievo in tema di responsabilità medica è
costituita dal ruolo da attribuire al consenso informato e al dovere
informativo: la tendenza è quella di riconoscere un’importanza sempre
crescente al profilo in esame, in modo da porre il paziente al centro del
processo terapeutico, rendendolo quanto più possibile arbitro delle scelte
inerenti alla sua salute, la cui nozione, da una connotazione negativa di
assenza di malattia, si è estesa fino ad identificarsi con uno stato globale
di benessere fisico e psichico. Si è instaurato un nuovo tipo di rapporto
tra medico e paziente, noto come “alleanza terapeutica”, non più
improntato sul paternalismo, ma fondato su una collaborazione ed una
sostanziale equiparazione tra le parti.
L’importanza riconosciuta al consenso si colloca in una condivisibile
prospettiva di umanizzazione della medicina; tuttavia se da un lato è
condivisibile l’intento di scalfire la posizione di privilegio e superiorità
del medico, ponendo i due soggetti su un piano di sostanziale parità;
dall’altro lato, si deve sottolineare che tra medico e paziente vi è una
disparità di conoscenze che non può essere colmata attraverso
l’informazione. A mio parere, è da accogliere l’evoluzione
giurisprudenziale e dottrinale volta a dare sempre maggior spazio ed
importanza all’informazione, senza, però, sopravvalutare il ruolo del
consenso informato: infatti, bisogna tenere presente che, nonostante
un’informazione esaustiva, il paziente non è sempre in grado di formare
un consenso realmente consapevole, perchè non ha le conoscenze
tecniche sufficienti ed inevitabilmente viene influenzato dal medico. La
soluzione preferibile si pone, dunque, in una via mediana tra la tesi che
nega a priori la possibilità per il malato di prendere delle scelte
realmente consapevoli in ordine alla propria salute e l’impostazione,
forse troppo semplicistica ed ottimistica, in base alla quale il paziente,
grazie all’informazione, diventa sempre il protagonista della cura,
potendo scegliere consapevolmente il trattamento al quale sottoporsi.
Con riguardo al caso specifico del chirurgo estetico, il dovere di
informazione è stato ritenuto più ampio in quanto esteso anche al
risultato. In realtà, come si è evidenziato nel corso della trattazione,
quest’impostazione non può essere condivisa, in quanto l’obbligo di
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informare il paziente sul risultato sussiste in capo ad ogni medico,
qualunque sia la sua specializzazione, in conformità al nuovo ruolo
assunto dal consenso informato in seguito alla diffusione della cultura
del informend consent, nell’ambito della quale sussiste un obbligo
generalizzato e completo di informazione in ogni branca della medicina.
Dunque, la tesi dell’eccezionalità del dovere informativo non va accolta,
perché introduce una pericolosa restrizione negli altri casi: il rischio è
quello di tornare al “privilegio terapeutico” che, per troppo tempo, è
stato il pretesto attraverso il quale si guardava all’informazione, quando
questa non veniva completamente omessa, permettendo al medico di
restare “padrone” della salute del malato.
A mio avviso, l’unica differenza che si può accogliere in tema di dovere
informativo nell’ambito della chirurgia estetica riguarda la
prospettazione dei rischi. A rigore, un’informazione realmente completa
dovrebbe estendersi, a prescindere dalla branca della medicina che viene
in rilievo, anche ai rischi eccezionali, tenuto, comunque, sempre conto
della personalità del paziente, il quale non va mai spaventato; tuttavia, in
caso di intervento volto a curare una malattia in senso stretto, è possibile
un affievolimento del dovere in questione, limitandolo ai rischi normali,
in quanto il medico deve scongiurare l’eventualità che il paziente eviti di
sottoporsi ad un banale intervento, per il timore di una qualsivoglia
lontana eventualità. Questa giustificazione non è, però, configurabile in
caso di intervento estetico, il quale non è mai necessario ed urgente: in
vista di ciò, è pienamente condivisibile la tesi che accorda un maggiore
peso al criterio di bilancio rischi-benefici. Se una persona si appresta a
sottoporsi ad un intervento estetico, è giusto che venga edotta di tutti i
possibili rischi, anche se remoti, per potere valutare in modo realmente
consapevole e ponderato l’opportunità di eseguire l’operazione. Con ciò,
non si vuole disconoscere la valenza sociale e la terapeuticità della
chirurgia estetica: infatti, la prospettazione di tutti i rischi, anche,
eccezionali, deriva, non da una negazione della funzione terapeutica di
questa branca della medicina, ma dal fatto che si deve consentire al
paziente di prendere una scelta realmente consapevole. Se in seguito ad
un’esauriente informazione, comprensiva di tutti i possibili rischi
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dell’intervento, il cliente decide di sottoporvisi, significa che li ha
accettati, assumendoli su di sé; in mancanza di informativa, invece, non
si verifica quel procedimento di traslazione dei rischi dal medico al
paziente. Preme, inoltre, precisare che l’impostazione accolta non è
diretta a sostenere l’esistenza, in capo al chirurgo estetico, di un diverso
obbligo di informazione: infatti, mutano, non già la rilevanza e il peso
dell’obbligo informativo, quanto piuttosto il contenuto dello stesso, che
deve adattarsi alla specificità del settore.
Infine, merita un accenno il problema dei danni risarcibili, il quale si
colloca in un panorama in continua evoluzione, dove tante sono le
incertezze e le difformità di pareri; mentre sarebbe necessaria
un’omogeneità di vedute in modo da assicurare la certezza del diritto e
la prevedibilità delle decisioni. La confusione è tale che, dopo quattro
anni dalla fondamentale svolta del 2003 il “nuovo” danno non
patrimoniale è rimasto nuovo e non invecchia; invece, una corretta
applicazione del precetto di tipicità dell’art. 2059 c.c., supportata
dall’interpretazione del testo costituzionale, richiederebbe una
sedimentazione dei diritti e delle ipotesi di danno non patrimoniale
risarcibile.
Si deve, innanzitutto, evidenziare che in caso di intervento di chirurgia
estetica mal riuscito saranno risarcibili, sia il danno patrimoniale, ex art.
2043 c.c., nelle forme del danno emergente e del lucro cessante, che il
danno non patrimoniale, nelle sue tre componenti, che si articolano nel
danno biologico, esistenziale e morale.
Particolarmente tormentata è la questione relativa al rapporto tra danno
biologico ed esistenziale: infatti, non vi è concordanza sull’estensione
del danno biologico e sul pieno riconoscimento del danno esistenziale,
la cui configurabilità è stata posta in dubbio da parte della dottrina e
della giurisprudenza. La soluzione preferibile è quella di distinguere,
nell’ambito del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., il
danno biologico da quello esistenziale. Infatti, nell’ambito del danno
alla salute, inteso come lesione dell’integrità della persona, si devono
distinguere una componente psico-fisica ed una interrelazionale: la
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prima riguarda il danno biologico, che comprende il danno fisico e
quello psichico, la seconda, invece, attiene al danno esistenziale.
A mio avviso, va censurato il c.d. fenomeno dell’assorbimento, secondo
il quale il danno biologico, quale figura omincomprensiva, include in sè
ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella
perdita della capacità di produrre reddito: infatti, si giunge ad
un’ingiustificata estensione del danno biologico, nel quale viene fatto
confluire, in pratica, anche il danno esistenziale, con un’evidente
forzatura, in quanto una cosa è la lesione dell’integrità psico-fisica, altro
è la ripercussione che la suddetta menomazione può avere sulle attività
realizzatrici della persona umana e sui rapporti interpersonali. Si fa
confusione tra due figure di danno che vanno tenute distinte, in quanto
ontologicamente differenti: mentre il danno biologico ha una matrice
medico-legale; il danno esistenziale riguarda un pregiudizio non
connotato in termini di patologia ed è risarcibile solo in base alla prova
della concreta frustrazione dei rapporti sociali o dell’interesse a svolgere
attività areddituali connotanti il progetto di vita del soggetto leso.
Dunque, è essenziale affermare l’autonomia concettuale del danno
esistenziale, il quale va riconosciuto come autonoma figura di danno e
definito come “alterazione peggiorativa della qualità della vita”.
Chiarita la distinzione tra danno biologico ed esistenziale, preme
sottolineare che nell’attuale sistema risarcitorio il danno estetico viene, a
ragione, unanimamente incluso in quello biologico, in quanto
rappresenta una compromissione dell’integrità fisica del soggetto leso,
consistendo in una modifica in peius dell’aspetto esteriore: esso non è
un’autonoma voce di danno risarcibile, ma è un fattore che il giudice
deve considerare per accertare in concreto la misura del danno e
adattarlo alla peculiarità del caso concreto, costituisce, quindi, una
plusvalenza rispetto alla più ampia categoria del danno biologico, nel
quale è compreso. A mio avviso, il danno estetico va concepito come
danno-evento biologico, risarcito in quanto tale, in quanto determina
una modificazione peggiorativa degli attributi estetici della persona e va
configurato come causa di eventuali danni ulteriori, qualificati come
danni-conseguenza, ovvero il danno patrimoniale e quello non
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patrimoniale, che può articolarsi nelle due voci consistenti nel danno
morale e nel danno esistenziale. Si deve precisare che il danno estetico,
anche quando, è causa di un danno patrimoniale, continua ad essere un
danno biologico e non può essere trasmigrato nell’area dei danni
patrimoniali, come è stato sostenuto da parte della dottrina e della
giurisprudenza. Dunque, non mi pare corretto attribuire patrimonialità al
danno estetico se il danneggiato dimostra che la perduta integrità
estetica ha causato una riduzione del reddito. Infatti, la stessa lesione
estetica non può costituire, ora danno biologico, ora danno patrimoniale,
secondo che produca o no conseguenze negative di carattere
patrimoniale: il danno estetico andrà sempre risarcito a titolo di danno
biologico, mentre la perdita economica troverà inquadramento nella
categoria del danno patrimoniale, quale danno conseguenza.
In conclusione all’esposizione, mi pare opportuno evidenziare che, in
tema di liquidazione del danno estetico, la soluzione preferibile è quella
che non procede a liquidazioni separate, ma tiene conto del pregiudizio
estetico nella liquidazione del danno biologico. Infatti, il danno estetico,
essendo un aspetto del danno biologico, va liquidato con quest’ultimo,
nell’ambito di un solo valore percentuale: è venuto meno il fondamento
giustificativo per una separata qualifica in sede risarcitoria, in quanto il
danno estetico dev’essere valutato e riparato a titolo di danno biologico