2
aspetti più importanti del marketing territoriale e, dall’altro, riesca a dimostrare la
validità operativa di quest’ultimo nel favorire lo sviluppo locale.
In particolare nel primo capitolo di questa tesi si analizzano le ragioni
dell’attualità del marketing territoriale e l’evoluzione storica del concetto.
Nel secondo capitolo si procede all’analisi dell’oggetto del marketing territoriale e
della capacità che questa disciplina ha di valorizzare le risorse locali e di proporre
immagini e comunicazione delle stesse.
Nel terzo capitolo si vogliono, invece, presentare tutti i soggetti che, distinti in
destinatari ed attori, possono essere interessati da una politica di marketing
urbano.
Nel quarto capitolo viene proposta una descrizione della politica di
comunicazione del territorio e degli strumenti dalla stessa utilizzati, cioè delle
modalità attraverso le quali gli attori locali possono dialogare con i destinatari, al
fine di promuovere e valorizzare le caratteristiche e le peculiarità dell’area
geografica.
Dopo aver descritto i diversi aspetti del marketing territoriale, nel quinto capitolo
si analizza la capacità dello stesso di promuovere lo sviluppo locale. A tal fine
viene soprattutto evidenziata la relazione esistente tra marketing urbano e
pianificazione strategica nella definizione delle linee che devono essere seguite dal
processo evolutivo dell’area.
Nel sesto capitolo, infine, viene proposto il processo di definizione della strategia
di marketing territoriale, attraverso il quale si perviene alla elaborazione di un
piano di azione (il piano di marketing territoriale) che specifica ciò che deve
essere fatto al fine di promuovere e valorizzare il territorio, oltre che i soggetti
coinvolti, i tempi di attuazione e i costi che devono essere sostenuti.
Nella seconda parte della trattazione, invece, lo studio si concentra sull’analisi
dell’utilizzo di siti Internet come strumento di marketing urbano. Il fine è quello
di dimostrare l’utilità degli stessi non solo come mezzi attraverso i quali
raggiungere alcuni tra i più importanti obiettivi di marketing, ma anche come
strumenti che possano promuovere il dialogo tra gli attori locali e gli utenti del
3
territorio, favorendo in questo modo la coesione della rete locale e quindi la
condivisione delle linee di sviluppo da seguire.
Nelle conclusioni, infine, sulla base di quanto è stato studiato si analizzano ed
evidenziano le relazioni esistenti tra marketing territoriale, pianificazione
strategica, telematica civica e sviluppo locale.
Desidero ringraziare lo Staff di Iperbole (Rete Civica di Bologna), il Dott. Leonardo Sonnante
della Rete Civica di Milano e il Dott. Vincenzo Mania del Servizio Telematico Pubblico – Città
di Torino per le informazioni fornite in riguardo alla costituzione e gestione dei siti civici di cui
si occupano.
4
PARTE I
Nascita ed evoluzione della disciplina
5
Capitolo Primo
NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA
L’importanza assunta, in ambito economico, sociale e politico, dalle aree urbane
nei recenti anni costituisce un rilevante fenomeno che richiede studi approfonditi.
Esistono infatti processi, di vario tipo e di diversa natura, che coinvolgono le
comunità locali e che influenzeranno, nel prossimo futuro, le prospettive di
crescita dei sistemi territoriali stessi.
In particolare la globalizzazione delle comunicazioni, dei trasporti e dell’economia
e la conseguente mobilità dei fattori produttivi, delle imprese e delle persone
hanno prodotto una maggiore competizione tra le città, le quali cercano di
attrarre investimenti e capitali nel proprio territorio.
Inoltre, con i processi di decentramento amministrativo, in atto in molti Paesi
europei (tra i quali anche l’Italia), gli Stati assegnano alle città più ampie
competenze, a fronte, però, di ridotti trasferimenti finanziari. Compito delle
amministrazioni locali è, quindi, quello di cercare di reperire risorse attraverso la
valorizzazione della città.
Questo, a grandi linee, è il quadro di riferimento all’interno del quale si
troveranno ad operare i diversi territori nei prossimi anni. Il futuro dei sistemi
urbani dipende, perciò, in larga misura dalla loro abilità nell’anticipare i
cambiamenti portati dalle nuove condizioni economiche e sociali. In questo senso
uno dei primi passi fatti dagli Enti locali per fronteggiare questa situazione è stato
quello di caratterizzare le proprie politiche urbane con un maggior orientamento
al mercato: i residenti, la comunità economica e i soggetti esterni dovevano
ricevere una nuova attenzione. A tal fine si è cominciato a parlare di marketing
territoriale, che rappresenta uno strumento attraverso il quale una città può, da un
lato interpretare i bisogni del cittadino utente, dei soggetti e delle imprese esterne,
e dall’altro analizzare le caratteristiche del proprio prodotto-territorio, al fine di
Nascita ed evoluzione della disciplina
6
ottimizzare la relazione di scambio esistente tra domanda e offerta, cercando al
contempo di valorizzare la propria identità e le proprie peculiarità.
In questo capitolo verranno analizzati i fenomeni sopra descritti al fine di
evidenziare i legami che essi hanno con il nuovo contesto competitivo in cui le
aree locali si trovano ad operare. In seguito si preciserà cosa si intende per
“competizione” tra i territori e come questa ha spinto i sistemi locali ad utilizzare
le tecniche del marketing, proprie delle imprese, adattandole alle necessità
presentate dalle aree geografiche. Infine verrà tracciata l’evoluzione storica di
questa nuova disciplina e verrà analizzato il significato da essa assunto nei diversi
contesti geografici e temporali.
1.1. LA GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
Con il termine "globalizzazione" si intende un processo in atto ormai da diversi
anni e costituito dall'insieme dei fenomeni che possiedono un raggio di azione
tale per cui la dimensione planetaria prevale sui risultati che gli stessi fenomeni
hanno a livello delle singole nazioni. Il processo di mondializzazione si estende a
numerosi ambiti, quali la comunicazione, la cultura, gli stili di vita, il commercio e
l’informazione, ma esso viene considerato soprattutto dal punto di vista
economico, finanziario e commerciale.
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)
definisce la globalizzazione come “un processo attraverso cui mercati e
produzione nei diversi Paesi diventano sempre più dipendenti tra loro a causa
della dinamica dello scambio di beni e servizi e attraverso i movimenti di capitale
e tecnologia”.
Questo fenomeno si realizza attraverso la creazione di un mercato mondiale,
caratterizzato dalla libera circolazione di risorse finanziarie e produttive, resa
possibile dall’eliminazione di tutte le barriere che i Paesi pongono all’ingresso del
capitale proveniente dall’estero. Esso richiede che non ci siano molti mercati
Nascita ed evoluzione della disciplina
7
internazionali, ma un solo mercato mondiale, dove il capitale si muova senza
alcuna difficoltà.
La crescente integrazione economica e commerciale, che ha coinvolto non
soltanto i Paesi industrializzati, ma anche (e con particolare rapidità) quelli
emergenti, può riguardare numerose situazioni; più precisamente quelle che
travalicano i confini nazionali e alle quali riserviamo l'espressione
"globalizzazione" sono diverse e comprendono
1
:
- l'ampliamento dei mercati serviti e il relativo flusso di importazioni e
esportazioni;
- il dispiegarsi della filiera produttiva oltre il confine, per la convenienza di
acquistare le materie prime in un luogo, di produrre certi componenti in un
altro, di assemblarli in una o più località e di vendere i prodotti in più Paesi;
- il processo che vede attività, già dislocate in Paesi diversi, finire sotto il
controllo e la catena di comando di un'unica impresa, che le riorganizza,
specializzandole ed integrandole in una rete più ampia;
- il collegamento fra loro in reti di alleanze, di imprese sparse nel mondo, che
mantengono la loro autonomia giuridica ma si coordinano all'interno di un
più ampio processo produttivo;
- il trasferimento di fondi da un Paese all'altro;
- la diffusione oltre confine dei risultati della ricerca e dell'innovazione
tecnologica attraverso licenze, accordi di collaborazione o joint ventures;
- il venir meno delle differenze nei modelli di consumo prodotte nel corso del
tempo dalla distanza spaziale.
Questi processi di globalizzazione possono essere raggruppati e rappresentati da
tre fenomeni
2
:
1
Cfr. Demattè, 1997.
2
Cfr. intervento di Camagni al convegno “Il marketing per lo sviluppo locale”, Luiss Guido Carli, 5
marzo 1999.
Nascita ed evoluzione della disciplina
8
1. l'internazionalizzazione dei mercati.
Essa può essere definita come la forma più tradizionale di integrazione
internazionale e riguarda il commercio mondiale di beni e servizi,
determinando una crescente competizione e una crescita tendenziale
dell'interscambio con l'estero rispetto agli scambi esterni. Per valutare
l'importanza di questo fenomeno è possibile fare riferimento all'andamento
del commercio estero rispetto alla produzione mondiale: dal 1970 il primo
cresce a ritmi superiori a quelli della seconda con un tasso di elasticità passato
da 1,1 a 1,96 nel periodo 1990-1996.
2. la multinazionalizzazione.
Essa riguarda i flussi di investimenti diretti transborder ed obbedisce, quindi,
ad una logica di produzione e localizzazione. Questo processo si è sviluppato
a partire dagli anni '80 ed ha portato ad un forte aumento degli investimenti
diretti esteri (IDE), cioè degli investimenti destinati alla formazione e allo
sviluppo di imprese multinazionali e realizzati attraverso fusioni,
incorporazioni e investimenti greenfields. Le ragioni dello sviluppo degli IDE
sono da individuare nella ricerca di economie di scala a livello globale,
raggiunte attraverso la specializzazione delle diverse unità di produzione,
nella ricerca di costi favorevoli del lavoro, nella volontà di ridurre il time-to-
market, nella necessità di adeguare i prodotti e i processi produttivi alle
regolamentazioni interne o alle specificità dei singoli mercati.
3. la globalizzazione in senso stretto
Essa può essere definita come l'integrazione planetaria dell'informazione e
delle competenze tecnologiche e produttive, realizzata a seguito
dell'accelerazione dei processi di innovazione. Questo processo si realizza
soprattutto attraverso nuove forme di comportamento dell'impresa, quali gli
accordi di cooperazione e le alleanze strategiche transnazionali che
permettono a due o più imprese di sviluppare standard tecnici comuni,
Nascita ed evoluzione della disciplina
9
produrre nuovi prodotti o nuovi processi sfruttando sinergie,
complementarietà o "esternalità di rete".
Numerosi fattori di varia origine concorrono, e a volte si sommano, nel generare
questo processo di integrazione. A livello politico e istituzionale si è assistito
negli ultimi anni ad una tendenza crescente all'integrazione commerciale e alla
liberalizzazione, manifestatasi attraverso la formazione di aree di libero scambio,
la firma di accordi multilaterali o regionali, la caduta dei controlli sui cambi, la
crescente liberalizzazione del mercato dei capitali e la maggiore attrazione di
investimenti esteri. E’ possibile fare riferimento, a questo proposito, ai
programmi sovranazionali quali quelli della World Trade Organization (WTO) e
agli accordi di tipo regionale-continentale come quelli stipulati dagli Stati membri
dell’Unione Europea.
In ambito economico, invece, il fenomeno della globalizzazione può essere
spiegato attraverso la crescente competizione fra istituzioni finanziarie
internazionali e la sempre maggiore importanza delle imprese multinazionali e
transnazionali, le quali controllano direttamente addirittura 2/3 degli scambi
commerciali a livello mondiale.
Infine essa è stata resa possibile dalle grandi innovazioni tecnologiche, che hanno
interessato soprattutto i sistemi di comunicazione e di trasporto e che hanno
comportato il progressivo annullamento delle distanze e il conseguente
avvicinamento delle aree geografiche di tutto il mondo. Si pensi, ad esempio, alla
grande importanza che ha avuto Internet sin dal momento della sua nascita e ai
vantaggi che esso ha apportato attraverso la creazione del cosiddetto “global
village”, nel quale persone, imprese e istituzioni possono comunicare in tempi e
sostenendo costi praticamente nulli.
La globalizzazione determina una serie molto ampia di fenomeni sociali,
economici e politici (Levi, 1999). Dal punto di vista sociale uno dei maggiori
pericoli è costituito dalla omogeneizzazione degli esseri umani su scala planetaria
e quindi del loro appiattimento su di un unico modello di vita e di pensiero. Essa,
Nascita ed evoluzione della disciplina
10
inoltre, rischia di provocare una crescente divaricazione tra i Paesi industrializzati
ricchi (il cosiddetto Nord) e quelli non industrializzati poveri (Sud) a causa del
fatto che i capitali tendono ad addensarsi dove si trovano le maggiori occasioni di
profitto.
Ai fini di questa trattazione assumono rilevanza soprattutto due fenomeni, uno
economico e l’altro politico, che determinano importanti conseguenze dal punto
di vista delle dinamiche territoriali e in particolare dello sviluppo locale. Ci si
riferisce rispettivamente alla maggiore competitività tra i sistemi territoriali e al
minore potere degli Stati nazionali (Siniscalchi, 1999).
Infatti, grazie alla crescente mobilità di beni, tecnologie, capitali e persone
attraverso i confini nazionali, oggi le imprese possono spostarsi con grande
facilità da un territorio all'altro per produrre beni e servizi o per svolgere singole
fasi del processo produttivo, alla ricerca di condizioni economicamente
convenienti quali basso costo del lavoro, presenza di economie esterne e così via;
analogamente è aumentata la mobilità degli individui, i quali sono continuamente
alla ricerca dei luoghi più attrattivi e in grado di valorizzare meglio le proprie
risorse individuali, la propria capacità lavorativa e il proprio tempo libero.
Proprio questa mobilità è alla base della competizione in atto tra i sistemi
territoriali, che concorrono fra loro per attrarre attività e investimenti
internazionali, apportatori di posti di lavoro, redditi e tecnologie.
I fenomeni di competizione, quindi, non riguardano più soltanto le imprese, ma
anche le regioni e i sistemi territoriali in cui esse operano. Le caratteristiche di
questi ultimi sembrano, anzi, determinare la competitività stessa delle imprese, le
quali preferiscono localizzarsi in territori efficienti che permettano loro di avere a
disposizione manodopera qualificata, risorse materiali e immateriali, tecnologia,
ma anche che diano alle imprese la possibilità di collegarsi, attraverso reti di
dimensione globale, con soggetti localizzati in altri contesti territoriali. Infatti ogni
soggetto opera e vive all’interno di un determinato contesto, il quale è
caratterizzato dalla presenza di una serie di relazioni interne (rete locale) e, nello
stesso tempo, è parte di una rete sovra-locale (rete globale o trans-territoriale) che
Nascita ed evoluzione della disciplina
11
lo unisce ad altri sistemi, capaci di fornire nuovi stimoli, risorse e nuove
conoscenze. Diventa, quindi, sempre più importante, per un sistema locale,
riuscire a scoprire e valorizzare le proprie risorse interne e le proprie specificità,
cercando, nel contempo, di aprirsi verso l’esterno al fine di instaurare relazioni
sovra-locali ed attrarre investimenti e competenze esterne.
E' inoltre da tutti riconosciuto che processi come la globalizzazione economica e
l'unificazione dei mercati aprono nuovi spazi ai sistemi locali e in particolare alle
città, mentre tendono a depotenziare il ruolo degli Stati nazionali, quali regolatori
in campo economico, sociale e politico (Anderlini, 1999). Questo è dovuto al
divario esistente tra l’ampiezza delle relazioni economiche, che non hanno più
confini, e l’estensione della sovranità degli Stati, la quale fermandosi ai confini
nazionali, è sottodimensionata rispetto alla globalità dei problemi e delle
situazioni che dovrebbe regolamentare.
Una delle soluzioni unanimemente accettate per risolvere questa situazione
riguarda la valorizzazione delle comunità locali. Infatti la globalizzazione, proprio
perché sta facendo scomparire i poteri nazionali, sta dando nuovo impulso e
nuovo vigore allo sviluppo locale.
Vi è quindi un'apparente contraddizione tra la globalizzazione dell'economia e la
crescente importanza della dimensione locale. Essa costituisce quello che in
letteratura viene definito “il paradosso localismo/globalizzazione” (Morandi,
1994), il quale può essere spiegato attraverso l'analisi dei ruoli delle città e della
loro gerarchia.
Le città hanno sempre costituito la sede naturale delle attività terziarie e di ricerca
e sono sempre state importanti nodi di grandi reti di commercializzazione,
comunicazione, finanza e cultura (che sono le attività maggiormente interessate
dalla globalizzazione). E' evidente, quindi, che il processo attualmente in corso
modifica le funzioni strategiche delle città, le interrelazioni tra le stesse e la loro
gerarchia. Quest'ultima si costituisce secondo un ordine piramidale, il cui vertice è
rappresentato da un ristretto numero di "città globali", quali New York, Tokyo o
Nascita ed evoluzione della disciplina
12
Londra, il cui rango è conferito dalla detenzione delle risorse strategiche e delle
cosiddette funzioni quaternarie. A un livello immediatamente inferiore si
collocano i centri metropolitani (Seoul, Hong Kong o, a livello italiano, Milano), i
quali hanno una minore capacità di controllo delle risorse. Al sotto di essi, infine,
si trovano le città intermedie e i centri minori.
Ciò che preme sottolineare è che, grazie alla globalizzazione ed alla conseguente
maggiore mobilità di persone, capitali, merci e servizi, anche ai centri di minore
dimensione è data la possibilità di partecipare ai processi economici
internazionali, attraverso l'instaurazione di relazioni anche di lungo raggio con
altre città e sulla base dei fattori locali specifici presentati. Il ruolo della singola
città all'interno della divisione territoriale e internazionale del lavoro, in sostanza,
non dipende dalla dimensione economico-demografica della stessa, ma dalle sue
caratteristiche e peculiarità.
Per avere successo nel mercato globale bisogna prima di tutto riuscire a
distinguersi facendo leva sulla combinazione dei propri specifici fattori
competitivi.
Nel posizionamento gerarchico è quindi divenuto cruciale il milieu urbano
(Anderlini, 1999), cioè il complesso di condizioni in parte naturali, ma più
sovente socio-economiche e politico-culturali, costituito da elementi come
infrastrutture, competenze, innovazione, flessibilità, credibilità delle istituzioni,
leggi e regole, che, come si vedrà, da un lato rappresenta il patrimonio
sedimentatosi nel tempo del territorio e, dall’altro, il suo potenziale di sviluppo
Allora il paradosso localismo/globalizzazione può essere spiegato dall'esigenza,
per i sistemi produttivi locali che vogliano sopravvivere e svilupparsi, di essere
contemporaneamente "chiusi" e "aperti", cioè di conservare la propria specifica
identità, instaurando al tempo stesso relazioni con il mondo esterno (Zanfrini,
1995). La competitività del locale, si potrebbe dire, è una condizione necessaria e
essenziale per poter partecipare alle reti globali. Attraverso la scoperta e la
valorizzazione della loro identità e dei loro vantaggi competitivi, le città cercano
di attrarre i flussi di investimenti produttivi e finanziari, la localizzazione delle
Nascita ed evoluzione della disciplina
13
imprese, i flussi turistici, le attività culturali e così via per promuovere il loro
stesso sviluppo.
Diventa, quindi, indispensabile per il policy making urbano l’utilizzo di strumenti,
che da un lato, permettano di creare un’immagine della città coerente con le sue
caratteristiche e specificità e, dall’altro, che sappiano incrementare la competitività
dell’area.
1.2. IL DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO
La crescente competitività tra i territori può essere spiegata facendo riferimento
non solo al processo di globalizzazione in atto, ma anche ad alcuni cambiamenti
avvenuti a livello politico-amministrativo. Particolarmente importante è il
processo di decentramento che ha caratterizzato gran parte dei Paesi
industrializzati durante gli anni ’80 e ’90, e che ha permesso il trasferimento alle
città di funzioni prima svolte dallo Stato. E’ questo il caso della Francia, dove,
negli anni 1982-83, attraverso una serie di riforme, lo Stato ha assegnato ai
comuni più ampie competenze amministrative a fronte, però, di ridotti
trasferimenti finanziari (Casella, 1997).
In Italia questo processo è avvenuto soltanto a partire dal 1990 ed è attualmente
in corso. La riforma della Pubblica Amministrazione è stata avviata
dall’approvazione della legge 142/90 e della legge 241/90, ma si è sviluppata
soprattutto attraverso il complesso delle norme Bassanini.
In particolare la 142/90 e la 241/90 affermano per la prima volta alcuni principi
“sovversivi” per la burocrazia: trasparenza, semplificazione, maggiori competenze
e libertà delle autonomie locali rispetto alle amministrazioni centrali. Quelli
elencati possono essere considerati come i pilastri sui quali si basa l’intero
processo di decentramento amministrativo italiano, denominato “federalismo
amministrativo”, che può essere riassunto nelle tre principali leggi di seguito
indicate e nei provvedimenti ad esse collegati (Levorato, 1998):
Nascita ed evoluzione della disciplina
14
• Legge 15/3/97 n.59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.
• Legge 15/5/97 n.127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo collegato alla
legge di Bilancio dello Stato per l’anno 1997”.
• Legge 16/6/98 n.191 “Modifiche e integrazioni alle leggi 15 marzo 1997 n.59
e 15 maggio 1997 n.127, nonché norme in materia di formazione del
personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni”.
Attraverso questi provvedimenti si realizza un graduale trasferimento delle
funzioni e dei poteri agli enti territoriali. Tale processo avviene a due livelli: lo
Stato trasmette funzioni alle Regioni, le quali, a loro volta, trasferiscono tutte
quelle che non richiedono un esercizio unitario agli Enti locali (Comuni, Province
e Comunità Montane).
Talvolta, infatti, lo Stato risulta troppo grande per essere in grado di proporre
soluzioni idonee per ogni tipo di realtà. In particolare la realtà italiana è
multiforme e presenta culture, tradizioni economiche e relazioni commerciali che
seguono una stratificazione disomogenea addirittura da città a città. Per questo si
è sentita la necessità di valorizzare il ruolo svolto dagli enti locali, dando inizio ad
un processo di decentramento amministrativo. La conoscenza del territorio, della
propria cultura, delle proprie tradizioni di lavoro, fornirebbe alle autonomie locali
quella naturale capacità di interpretare un ruolo che difficilmente altri enti od
organismi sarebbero in grado di svolgere, al fine di promuovere lo sviluppo
dell’area (Ariano, 1999).
La legge 142/90 aveva, infatti, espressamente stabilito che tra le funzioni
assegnate ai comuni vi sono anche quelle relative allo sviluppo economico. Un
obiettivo, questo, che inizia a prendere consistenza dopo l’approvazione della
legge 59/97, la quale ha delegato il Governo a conferire alle Regioni e agli Enti
locali “le funzioni relative alla cura degli interessi ed alla promozione delle
Nascita ed evoluzione della disciplina
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rispettive comunità”, attraverso il sostegno e lo sviluppo delle imprese operanti
nell’industria, nel commercio, nell’artigianato e nei servizi alla produzione.
L’ultimo comma della stessa legge recita, inoltre, che la promozione dello
sviluppo economico, nonché la valorizzazione dei sistemi produttivi sono
interessi primari che Stato, Regioni ed Enti locali assicurano nell’ambito delle
rispettive competenze. In particolare un ruolo di primaria importanza può essere
svolto dai Comuni, i quali, molto più di altre articolazioni periferiche, possono
offrire un indirizzo bilanciato allo sviluppo (non solo economico) della città.
L’attuale processo di decentramento (denominato anche “federalismo a
Costituzione invariata”) si contraddistingue per due aspetti cruciali: la definizione
delle competenze dei diversi Enti e i principi che devono essere seguiti
nell’attuazione della riforma.
Per quanto riguarda il primo aspetto occorre sottolineare che la legge 59/97
rappresenta una vera e propria inversione di tendenza, in quanto essa procede al
decentramento in modo opposto rispetto a quanto era stato fatto
precedentemente: invece di definire le nuove funzioni assegnate alle autonomie
locali, essa elenca gli ambiti che rimangono di competenza dello Stato,
sottintendendo che tutto il resto debba essere trasferito a livello periferico.
In particolare le Amministrazioni centrali continueranno ad occuparsi di:
- affari esteri e commercio estero, salva l’attività promozionale;
- difesa e Forze armate, armi, munizioni, esplosivi e materiale strategico;
- tutela dei beni culturali e del patrimonio artistico;
- rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose;
- cittadinanza, immigrazione, estradizione, rifugiati ed asilo politico;
- consultazioni elettorali, elettorato passivo ed attivo, propaganda elettorale,
consultazioni referendarie;
- moneta e sistema valutario, perequazione delle risorse finanziarie;
- dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
- ordine pubblico e sicurezza;