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consumatore come un soggetto passivo facilmente condizionabile attraverso la ripetizione ossessiva
di un messaggio; successivamente si esamineranno le teorie psicologiche secondo le quali il
consumatore è mosso da motivazioni inconsce che la pubblicità indaga per manovrare le azioni degli
uomini, e infine si analizzeranno le teorie più attuali ovvero quelle psicosociali supportate dalle teorie
psicologiche della “social cognition”, secondo le quali come affermano Aaker e Myers (1991) la
pubblicità attualmente tende a far leva sullo sviluppo di temi che si fondano sul significato sociale dei
consumi e in particolare sul conformismo e sul desiderio di ottenere il consenso o di raggiungere
status più elevati. A quest’ultime teorie sarà dedicato il paragrafo successivo in cui si introdurranno i
concetti di motivazione, atteggiamento, attenzione e persuasione. Si vedrà come le connotazioni
negative associate alla persuasione vengano ridimensionate nell’ottica della “social cognition” che
non nega i temi centrali sulle motivazioni inconsce, ma non giunge neanche a negare l’importanza
della sfera mentale con tutti i riflessi che può avere sulla libertà e sulla scelta che realmente operano
negli acquisti (Bronchard B. e Lendrevie J., 1995; Lombardi M.1997; Cavazza N., 1997).
Si passerà poi a descrivere quello che attualmente è il modello maggiormente accreditato sul
meccanismo persuasivo della pubblicità: l’ELM (Elaboration Likely Model) proposto da Petty e
Cacioppo, con una descrizione del funzionamento del percorso centrale e di quello periferico. Nel
paragrafo 6 si metteranno quindi a confronto appelli emotivi ed appelli razionali presenti nel
messaggio, sottolineando vantaggi e svantaggi dell’approccio emotivo: si vedrà infatti che da un lato
gli appelli emotivi abbassano le naturali difese del consumatore e facilitano apprendimento e
elaborazione del messaggio, dall’altro però possono innescare meccanismi di difesa come avviene
nel caso della “dissonanza cognitiva”, teoria proposta da Festinger (1957). Tra le strategie persuasive
più interessanti riporteremo quelle elaborate da Cialdini (1994) che produrrebbero un tipo di
acquiescenza automatica e distratta, ossia la disponibilità ad acquistare senza prima rifletterci. Infine
nel paragrafo 7 verrà descritto lo strumento principale utilizzato dalla pubblicità per esercitare l’opera
di persuasione: la retorica (Codeluppi V., 2001) che costituisce un livello figurato del discorso in
grado di colpire contemporaneamente l’attenzione e l’emotività dello spettatore.
Dopo aver analizzato il fenomeno della pubblicità commerciale, ed aver posto le basi delle
successive osservazioni, con il secondo capitolo si entrerà nel vivo dell’argomento del presente
lavoro e si metteranno a confronto caratteri e finalità della pubblicità non commerciale con quelli della
pubblicità commerciale. Nel primo paragrafo si prenderanno in esame i numerosi problemi definitori
della nozione di pubblicità non commerciale, che secondo Brioschi (1994) rifletterebbero il vuoto
teorico in cui si muove il fenomeno e la tendenza a trasferire i metodi del settore commerciale a
quello sociale come se esso fosse un nuovo prodotto. Si proseguirà nel secondo e terzo paragrafo
ripercorrendo le tappe principali dell’evoluzione del fenomeno: dalla nascita di Pubblicità Progresso
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nel 1971, in un clima culturale fortemente critico nei confronti della pubblicità commerciale, che nel
decennio precedente era stata persino accusata di “persuasione occulta” (Packard V., 1958), alla
situazione attuale in cui in misura sempre crescente la pubblicità non commerciale viene utilizzata da
soggetti pubblici, organizzazioni non profit, imprese private, e in cui si sono fatti molti progressi per
ciò che riguarda la promozione di una adeguata strumentazione teorica e metodologica. Si vedrà
quindi come l’ostacolo più arduo da superare nel passaggio dall’ambito economico a quello sociale
sia quello di agire su atteggiamenti e comportamenti che chiamano in causa motivazioni assai più
profonde rispetto a quelle dell’area dei consumi. (Gadotti G., 2003; Puggelli F. R. 2000; Beccaria F. e
Amici S., 2001; Contegiacomo A., 1990. I paragrafi 4 e 5 si occuperanno invece dello scopo della
pubblicità non commerciale: l’interesse collettivo. Si vedrà in particolare come molti autori considerino
la nozione di “interesse collettivo” passibile di diverse interpretazioni. Secondo Gadotti (2003) e
Tamborini (1995), ad esempio, non si può accettare acriticamente che ogni campagna realizzata nel
nome del bene collettivo sia effettivamente tale perché lo scopo sociale può covariare a seconda dei
soggetti emittenti di tali comunicazioni e soprattutto a seconda del genere di comunicazione cui si fa
riferimento ovvero: pubblicità di pubblica utilità, pubblicità politica e advocacy. Di interesse collettivo
si parlerà anche nel paragrafo 6 in cui si prenderà in considerazione la responsabilità etica della
pubblicità sociale partendo dal presupposto che, come sostiene Bonaglia (1979), la pubblicità non
commerciale si accrediti come strumento di “ecologia sociale”, di educazione di massa; saranno
invece dedicati alle strategie persuasive della pubblicità non commerciale i paragrafi 7, 8, 9 nei quali
si valuteranno i pro e i contro di appelli emotivi e razionali applicati alla pubblicità non commerciale e
si valuterà quali strategie possono essere prese in prestito dalla pubblicità for profit ad esempio
ironia, l'allusione, un linguaggio divertente, l'happy ending (Caligaris G., 1990) e l’uso del testimonial
(Corti P., 2005). Il paragrafo 8 sarà proprio dedicato a quest’ultima strategia che, come sostiene
Aquilio (2007), può diventare controproducente se il testimonial scelto, famoso o non, manchi di
credibilità. Infine nel paragrafo 9 si prenderà in esame la pubblicità non commerciale nell’ottica di
una comunicazione integrata. Si vedrà, come sostengono diversi autori, tra cui Kotler e Andreasen
(1987), che per rendere efficace un messaggio di comunicazione sociale, è necessario che la
pubblicità venga integrata in un piano di iniziative a tutto campo (organizzazione di eventi,
conferenze stampa, direct marketing etc.).
Nel terzo capitolo invece ci soffermeremo in modo dettagliato sui soggetti della pubblicità non
commerciale. Nel paragrafo 1 si prenderanno in esame gli enti pubblici e lo Stato e si descriveranno
brevemente alcune delle più recenti campagne sociali promosse da tali soggetti; nel paragrafo 2 si
analizzerà l’esperienza di Pubblicità Progresso, la sua evoluzione, le principali campagne e i criteri
per la scelta del tema. Nel paragrafo 3 si analizzerà la comunicazione non commerciale delle
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imprese, e le motivazioni che le spingono a intraprendere campagne di comunicazione sociale: si
potrà verificare che in questi casi, dietro uno scopo apparentemente filantropico, spesso si nasconde
la promozione dell’immagine dell’impresa stessa e la legittimazione sociale di questa (Sciarelli S.,
2005; Salafia P., 2001). Tale fenomeno non si ravvisa invece nella comunicazione delle associazioni
non profit che verrà presa in esame nel paragrafo 4, in cui verrà messo in evidenza il difficile
rapporto con i mezzi di comunicazione di massa. Nel paragrafo 5 si valuteranno le prospettive per un
nuovo rapporto tra i media e il non profit. Nel capitolo 4 come abbiamo già anticipato si valuterà
l’efficacia delle differenti strategie utilizzate per contrastare il problema del fumo e si considereranno
la molteplicità di leve attraverso le quali si può agire per modificare un medesimo
atteggiamento/comportamento. In particolare si cercherà di capire quale sia l’efficacia dell’utilizzo di
tecniche intimidatorie che, con l’uso o meno di richiami sanitari, presentano immagini scioccanti in
campagne pubblicitarie volte alla dissuasione o prevenzione del fumo (Hastings G., Stead M. e Webb
J., 2004), si valuterà se in particolare con un target giovanile siano più efficaci le campagne che
abbiano come argomentazione di dissuasione la disapprovazione sociale; e ancora se le campagne
che richiamano l’argomentazione del fumo passivo abbiano una efficacia superiore specialmente con
gli adulti.
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Capitolo 1 – La pubblicità
1. La pubblicità: definizione
Le definizioni tecniche di ciò che oggi il marketing e le moderne teorie della comunicazione
fanno rientrare sotto il concetto di pubblicità sono innumerevoli e molti autori concordano
sul fatto che la pubblicità mal si presta a definizioni lapidarie, data la diversità delle forme
che può assumere e delle cause che può servire. La pubblicità infatti, non è
esclusivamente commerciale ma può mettersi al servizio delle istituzioni, delle cause
sociali e politiche. (Brigida F. - Francia L. - Di Vesme P. B., 1993; Codeluppi V., 2001;
Borghesi A. e Lugli G., 1993; Abruzzese A. e Colombo F., 1994; McQuail D., 1986).
Tuttavia, per definire l’oggetto della presente indagine, è opportuno soffermarsi in primo
luogo sull’ambito commerciale che è quello in cui la pubblicità è nata e che
essenzialmente rimane ancora oggi il principale campo di applicazione.
Le difficoltà a trovare una definizione appropriata del fenomeno si riscontrano anche a
livello terminologico. Già il termine “pubblicità” assume sfumature di significato diverse in
francese, inglese e italiano: così se il francese réclame (richiamo), il primo di cui si abbia
testimonianza, trova le sue radici nel latino reclamare (gridare contro, opporsi gridando) e
mette in evidenza l’aspetto di richiamo ad un’azione insito nel messaggio, il corrispondente
inglese advertising (da to advertise: avvertire) deriva dal latino advertere (volgere verso,
dirigere, far cambiare direzione) e pertanto privilegia il processo di natura commerciale
finalizzato al raggiungimento del destinatario del messaggio. Quanto alla lingua italiana, il
termine pubblicità, derivante dal latino publicare, il quale originariamente significava
confiscare, rendere di proprietà o di uso pubblico, assume il significato di rendere noto ciò
che prima non lo era, delineando un fenomeno culturale più che economico. L’etimologia
del termine appare dunque insufficiente a rivelarne il significato attuale in cui, come
vedremo nel corso del capitolo, l’aspetto persuasivo risulta prevalente rispetto a quello
referenziale (Zanacchi A., 1999)
Prima ancora di tentare di fornire una definizione attuale del fenomeno Pubblicità,
dobbiamo però soffermarci sul concetto di comunicazione di massa. Come afferma
Bettetini (1996), per comunicazione possiamo intendere uno scambio di sapere o di
emozioni tra due persone o tra gruppi di persone, o tra una persona e un gruppo in cui ci
sia parità di ruolo tra chi trasmette e chi riceve, e partecipazione a questo scambio
comunicativo. Da questo punto di vista la comunicazione di massa non è una vera e
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propria comunicazione perché i recettori non hanno la possibilità di rispondere con lo
stesso potere di chi trasmette. La comunicazione di massa implica una struttura
industriale, ciò che produce sono beni, sebbene si tratti di beni particolari che non
rimandano a sé, ma ad altro, ai valori, ai simboli che vengono a costituire l’immaginario
collettivo. Secondo Brioschi, (1984, pag. 30) la pubblicità è infatti “un’attività di
comunicazione di massa con carattere persuasorio, oneroso: la fonte ovvero l’utente
dell’attività in esame è identificabile, le finalità perseguite sono di carattere commerciale”.
Come in qualsiasi processo di scambio, anche nella comunicazione di massa (e quindi
anche nella comunicazione pubblicitaria), si possono riconoscere i tre elementi
fondamentali che rendono possibile l’interazione comunicativa: la presenza di
un’emittente, di un messaggio e di un destinatario (Lombardi M., 1997).
Il ruolo dell’emittente è svolto quasi sempre da soggetti individuali e collettivi che svolgono
la funzione di comunicatori di professione all’interno di organizzazioni burocratiche e
formali. Il contenuto dei messaggi prodotti è spesso frutto di un processo di produzione
standardizzato che riproduce i metodi tipici dell’industrializzazione. Come sostiene
Horkheimer (1972) questo processo di produzione standardizzato ha fatto sì che si
affermasse il concetto di “industria culturale”. Il destinatario nell’ambito delle comunicazioni
di massa non è riconoscibile e specifico, e la distanza tra emittente e destinatario è
estremamente evidente. La distanza tra emittente e ricevente si manifesta anche su un
altro piano, quello della risposta (feedback) all’emissione di un messaggio: nella
comunicazione di massa non si prevede alcun feedback in tempo reale da parte del
destinatario. Infine il processo di comunicazione di massa prevede la simultaneità del
contatto tra un emittente singolo e la moltitudine dei riceventi.
Anche Aaker e Myers (1991) nel loro “advertisng management” definiscono la pubblicità
come una comunicazione di massa fatta per conto di interessi ben identificati: cioè quelli di
un utente che paga un media per diffondere un messaggio generalmente creato da
un’agenzia di pubblicità. Queste definizioni hanno il merito di distinguere bene coloro che
partecipano alla funzione pubblicitaria ma sono ancora troppo imprecise sugli ambiti della
pubblicità e soprattutto sui suoi modi di influenzare, e su ciò che la differenzia dalle altre
fonti di informazione del consumatore. Risulta invece più completa la definizione di
Bronchand e Lendrevie (1997, pag. 22): “la pubblicità è una comunicazione di massa
necessariamente di parte e si rivolge all’uomo quale consumatore di beni per convincerlo
a servirsi di questi beni e di questi servizi”. In questo senso, non può essere confusa con
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l’informazione perché non mira all’obiettività, non si limita a trasmettere dei fatti, ma cerca
di influenzare atteggiamenti e comportamenti.
Più semplicemente, può parlarsi di tecnica della comunicazione di massa che imprese e
altre organizzazioni utilizzano per creare consenso intorno alla propria immagine e a
quella dei propri prodotti o iniziative. Il suo fine è cioè quello di influenzare e modificare in
senso positivo gli atteggiamenti del pubblico.
Per tale via, è possibile identificare nel processo di comunicazione pubblicitaria la
presenza di quattro distinte entità (Pierotti G., 1970; Codeluppi V., 2001):
- una fonte o comunicatore, che dà origine al processo (l’azienda o altra organizzazione
preposta a far arrivare ai potenziali acquirenti il messaggio)
- un messaggio, il cui contenuto è espresso in simboli verbali e/o non verbali
- un mezzo, cioè un sistema di trasmissione, un canale attraverso il quale il messaggio
transita dalla fonte al ricevente
- un bersaglio, ovvero uno o più riceventi del messaggio.
Affinché tale processo si perfezioni efficacemente e dunque affinché il messaggio arrivi
effettivamente al bersaglio, la corretta scelta del mezzo da utilizzare diviene fondamentale
(Marbach G. e Fabi C., 2000; Ferrandina A., 2000; Carli C., 1985). La scelta dei mezzi e
dei veicoli riveste un’importanza essenziale nell’impostazione di qualsiasi campagna
pubblicitaria, non solo in ragione delle caratteristiche dei mezzi e dei veicoli, del loro
linguaggio specifico, della loro capacità di impatto, ma anche in relazione alla loro
diffusione e quindi alla possibilità di raggiungere il bersaglio previsto in tutto o in parte.
(capacità di copertura). I più antichi mezzi utilizzati dalla pubblicità pre-moderna sono stati
le affissioni e la stampa. L’affissione si presta particolarmente per campagne di lancio e
possiede forti capacità di catturare l’attenzione dei passanti grazie ai colori e alle
dimensioni, può costituire un utile mezzo di ricordo e di integrazione con altri mezzi, con la
stampa e la televisione in particolare. Tra i limiti di questo mezzo ricordiamo l’impossibilità
di argomentare a causa della rapidità del contatto ottenibile, e una diffusione non
omogenea sul territorio. La stampa, che può essere quotidiana e periodica, offre il
vantaggio di raggiungere target omogenei e di veicolare allo stesso tempo una varietà di
formati: sia testi scritti, sia immagini. (Arens W.F., 2001). Un limite però è la scarsa
propensione alla lettura degli italiani che penalizza questo mezzo rispetto alla televisione
(Zanacchi A., 1999). Per quanto riguarda la radio, come afferma Iannacone (1996, pag.
21) “permette di programmare campagne pubblicitarie efficaci, a costi notevolmente
inferiori rispetto a quelli che si ottengono con televisione e stampa”. La radio inoltre ha il
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vantaggio di godere di una forte credibilità, di una fedeltà consolidata da parte degli
ascoltatori, e infine di non obbligare a restare immobili davanti all’apparecchio come fa la
tv. Quest’ultima resta comunque il mezzo principe della pubblicità. La tv offre infatti una
forte capacità d’impatto grazie ad un’utilizzazione diffusa ovunque. Lo spot, considerato lo
strumento pubblicitario più efficace, dura all’incirca 30 secondi ed è adatto non tanto a
diffondere informazioni quanto a suscitare emozioni e a catturare l’attenzione del vasto
pubblico (Belch G.E., e Beich M., 2001). Tra i suoi limiti Codeluppi (2001) osserva quello
dell’ascolto genericamente distratto e della difficoltà a segmentare il pubblico. Inoltre
essendo un mezzo con un elevato tasso di affollamento pubblicitario, c’è il rischio che il
messaggio passi inosservato. Bisogna infine sottolineare che Internet, nonostante le sue
immense potenzialità, è il mezzo che meno attira gli investimenti pubblicitari. Si ritiene
infatti che i banners (quei minimanifesti pubblicitari che compaiono sui siti e che se cliccati
rimandano alla pagina dell’inserzionista) e i siti stessi non abbiano la stessa capacità di
suggestione degli spot, ma nemmeno degli annunci stampa e della radio. Il grande
vantaggio di internet è invece quello dell’interattività che offre al destinatario del
messaggio la possibilità di essere più attivo, di selezionare le informazioni che gli
interessano e di considerarsi sempre meno un bersaglio. (Codeluppi 2001).
Entrano in gioco, dunque, numerosi fattori di cui tenere conto nell’effettuare la scelta del
mezzo (modalità di comunicazione, audience e readership, affollamento pubblicitario,
caratteristiche del palinsesto, tariffe, formati ecc.).
Sinteticamente, si possono considerare quelli schematizzati nella Figura 1 (Arens W.F.,
2001; Belch G.E. e Beich M., 2001).
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Figura 1 - Vantaggi e svantaggi dei principali mezzi di comunicazione pubblicitaria
Medium Vantaggi Svantaggi
Televisione
Possibilità di mix di immagini, suoni,
movimento, colore
Possibilità di unire messaggio verbale e
messaggio scritto
Mezzo di massa
Flessibilità geografica e per fasce di pubblico
Basso costo per esposizione
Coinvolgimento a livello emotivo dello
spettatore
Autorevolezza e credibilità
Elevato costo di accesso
Messaggio velocemente deperibile
Dimensioni audience non garantita
Scarsa fedeltà spettatori
Elevata dispersione su target mirati
Radio
Mezzo di massa
Basso costo di accesso
Flessibilità geografica e per fasce di pubblico
Elevata mobilità dell’ascolto
Carattere amicale
Limitatezza del messaggio alla sola modalità
audio
Brevità dei messaggi
Limitata attenzione degli ascoltatori
Cinema
Elevato livello di ricordo
Elevato livello di coinvolgimento
Attenzione coatta
Buona ricettività del pubblico (in situazione di
relax)
Estrema flessibilità geografica
Selettività dello spettatore
Non raggiungibilità di tutte le fasce di pubblico
Stampa
quotidiana
Tempestività
Elevata fedeltà del lettore-fruitore
Credibilità e autorevolezza presso gli opinion
leader
Flessibilità geografica, per fasce di pubblico
Possibilità di contestualizzazione del
messaggio
Elevata attenzione del lettore-fruitore
Messaggio velocemente deperibile
Non raggiungibilità di tutte le fasce di pubblico
Stampa
periodica
Selettività demografica
Messaggio lentamente deperibile
Elevata fedeltà del lettore-fruitore
Possibilità di contestualizzazione del
messaggio
Integrabilità tra messaggio pubblicitario e
contenuti editoriali
Possibilità di inserimento free sampling
Buona ricettività del pubblico (in situazione di
relax)
Elevato costo di accesso
Scarsa tempestività
Affissioni
Mezzo di massa
Elevata visibilità
Flessibilità geografica
Elevato livello di ricordo
Elevata frequenza di esposizione
Ripetitività del messaggio
Adatta a messaggio di rapida fruizione
Internet
Possibilità di mix di immagini, suoni,
movimento, colore
Immediatezza risposta
Precisione nel raggiungimento del target
Elevate possibilità di monitoraggio
Flessibilità operativa
Flessibilità creativa
Elevata interattività
Possibilità elevata di personalizzazione del
messaggio
Globalità
Continuità
Ridotta diffusione del mezzo
Non raggiungibilità di tutte le fasce di pubblico
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1.2 Origini ed evoluzione storica
Quanto al momento cui è possibile ricondurre le origini della pubblicità, i suoi primordi si
possono rintracciare sin dall’antichità, quando nelle monete coniate con l’immagine
dell’imperatore si può scorgere una prima forma di promozione d’immagine dello stesso o
quando, nell’antica Grecia, filosofi come Socrate e Aristotele, analizzando l’arte
dell’oratoria, notarono la sua capacità di persuasione e di influenza sugli animi. La stessa
mitologia nascondeva un insito primordio di pubblicità: lo spettatore, ascoltando le
narrazioni, finiva con l’immedesimarsi nei protagonisti e a viverne gli eventi. Cicerone,
nella vita politica, seppe ponderare ogni intervento a suo favore, ammansendo con la ars
dicendi gli avversari fino ad ottenere un accordo o il loro tacito consenso. Già da tempo
inoltre in politica esistevano vere campagne elettorali (si servivano di comizi e slogan
disseminati un po’ ovunque su mura e pietre) e i grandi imperi diffondevano il proprio
potere e la propria influenza sponsorizzando opere di pubblica utilità e monumenti.
Oggi sono cambiati i modi e i mezzi di fare pubblicità, ma le fondamenta che la
comunicazione pubblicitaria ha cominciato a mettere in atto duemila anni fa non sono poi
così totalmente superate.
Volendo ricostruire le tappe principali dell’evoluzione storica della pubblicità (Brigida F. -
Francia L. - Di Vesme P. B., 1993; Borghesi A. e Lugli G., 1993; Abruzzese A. - Colombo
F., 1994; Falabrino G.L., 2007), seguendo il rapporto dialettico tra la dimensione storico-
sociale e quella tecnica, la nascita della pubblicità nel senso contemporaneo del termine
può ravvisarsi con l’avvento della cosiddetta “società dei consumi” in cui la nascente
“società di massa” incontra la tecnica pubblicitaria. Se prima della rivoluzione apportata da
Gutenberg, la funzione di pubblicizzare merci ed eventi era svolta essenzialmente dalla
comunicazione orale (banditori, imbonitori e strilloni), con la nascita della carta stampata,
nel 1450, il commerciante trova un efficace strumento per aumentare la durata e la
distanza raggiungibile dal suo messaggio: in particolare, a partire dal ‘600, inizia la
pubblicità sui giornali, sebbene ancora di piccolo formato e di poche pagine.
Al di là degli innegabili meriti storici di questi pionieri della comunicazione pubblicitaria,
sarà però necessario attendere l’avvento della rivoluzione industriale e il conseguente
aumento della produzione, della varietà dei prodotti e della concorrenza, perché questa
attività esca da una dimensione prettamente artigianale per diventare un’attività
organizzata e pianificata tanto a livello tecnico quanto strategico. Accanto all’annuncio
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pubblicitario sui giornali che, seppure diffuso con sempre più regolarità, trova il limite nella
scadente resa di stampa e nella realizzazione ancora grezza degli annunci, ammassati in
pagine speciali e privi di colore, a farla da padrone, nell’800, è il manifesto: per il suo
grande utilizzo e per l’eccezionale qualità di tante creazioni, il manifesto diventa un mezzo
primario di comunicazione di massa, per presentare esposizioni, spettacoli e iniziative e
soprattutto per proporre le merci che la rivoluzione industriale sforna (Falabrino G.L.,
2007).
Accanto ai manifesti, che permettono agli illustratori e agli artisti più affermati di realizzare
dei capolavori (vedi Appendice, Figure 1 e 2), nella seconda metà dell’Ottocento nascono
la litografia e la fotoincisione, con effetti importanti in termini di tiratura dei giornali e delle
riviste, compaiono le affissioni, si intravedono i primordi del packaging e nascono,
dapprima negli Stati Uniti, le prime forme moderne di agenzie di pubblicità e con esse,
dagli albori del Novecento, i primi studi del marchio e dell’immagine di un’azienda.
Con la diffusione di cinema e radio, poi, capaci di condizionare e trasformare la vita
quotidiana nella società industrializzate, e in parte anche in quelle meno sviluppate, la
pubblicità trova fertili canali di sviluppo, e, abbandonando il campo dell’improvvisazione,
comincia a darsi una struttura professionale ed un insieme di regole (le prime comparse
nel 1925 con il trattato di tecnica pubblicitaria di Daniel Stach, in cui vengono fissate le
cinque regole fondamentali di ogni messaggio pubblicitario: esso deve essere visto, letto,
creduto, ricordato e capace di spingere ad agire) che segnano i primi passi dell’industria
della comunicazione (Brigida F. - Francia L. - Di Vesme P. B., 1993).
Durante quella che si può definire l’“età del progresso”, con l’allargamento dei mercati e
dei pubblici di riferimento ed il passaggio ad una fase in cui il problema non è più solo
quello di farsi conoscere, ma soprattutto quello di battere la concorrenza, imporre il proprio
marchio e invogliare all’acquisto dei prodotti, nasce il marketing moderno: non si tratta più
solo di supportare le vendite con attività pubblicitarie e promozionali, presupponendo che
qualsiasi prodotto abbia un mercato, bensì di agire proattivamente sulla domanda, di
conoscere il consumatore per soddisfarne i bisogni quando non addirittura per crearglieli.
In questo contesto l’industria della pubblicità comincia a ridimensionare il peso dell’apporto
creativo e ad assumere un approccio più tecnico e scientifico basato sulla ricerca quale
strumento per comprendere il consumatore e i suoi desideri. Ogni campagna è costruita
scientificamente senza lasciare nulla al caso e all’intuito. La pubblicità è sempre meno
decorativa e casuale, e sempre più frutto dello studio del mercato e del consumatore, del
linguaggio e della grafica.
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È proprio nel solco di questa nuova visione che negli anni ’40 Rosser Reeves teorizza e
codifica la Unique Selling Proposition (USP), secondo la quale l’obiettivo della pubblicità
deve essere quello di differenziare il prodotto rispetto a quello della concorrenza
evidenziando i benefici che lo stesso è in grado di offrire al consumatore. I messaggi
cominciano così ad essere formulati secondo uno schema preciso in cui gli elementi
principali sono la promessa esclusiva che connota la marca e la rende preferibile (ciò che
fa il prodotto) e la reason-why, cioè la ragione per cui il consumatore sarebbe indotto
all’acquisto dopo aver visto l’annuncio (perché lo fa) (Reeves R., 1985). È una ragione
razionale, un vantaggio esclusivo di quel prodotto. Ogni campagna pubblicitaria deve
proporre un beneficio per il consumatore; ogni singolo annuncio deve comunicare:
“compra questo prodotto ed otterrai questo specifico beneficio”. Deve essere un beneficio
che la concorrenza non può offrire o, di fatto, non offre; deve essere unico, esclusivo e
così forte da indurre all’acquisto (vedi Appendice, Figura 3).
Con l’avvento del boom economico seguito al secondo conflitto mondiale, la diffusione di
un maggior benessere e soprattutto l’invenzione della televisione, il mondo della pubblicità
si vede costretto ad un’ulteriore evoluzione (Arvidsson A., 2001). La presenza di un nuovo
e rivoluzionario canale, la tv appunto, in grado di trasformare il mondo dell’informazione,
offrendo la possibilità di diffondere in tutto il mondo le immagini di un evento, di portare lo
spettacolo dentro le case, creando nuove abitudini familiari, nuove forme di intrattenimento
collettivo e un diverso uso del tempo libero, di creare quella che può definirsi come
“cultura di massa”, i cui prodotti e modelli, prevalentemente di origine americana, si
diffondono ovunque imponendo nuovi linguaggi e nuovi valori, apre nuove prospettive ma,
al contempo, detta nuove regole. La quasi totalità della popolazione, a prescindere dalla
distanza geografica o dalla posizione sociale, diviene infatti, grazie alla tv generalista,
potenziale destinataria di messaggi pubblicitari che si fanno ambasciatori tanto di nuovi
prodotti quanto di nuovi modelli di vita (Appendice, Figure 4 e 5).
Negli anni ’60, in un periodo in cui il risparmio non è più una virtù, in cui all’ideale del
risparmio subentra per buona parte della popolazione quello del consumo, in cui si
diffonde la convinzione che l’economia deve tirare, che per produrre bisogna vendere e
che quindi il consumo è un valore, la pubblicità è legittimata e vissuta molto positivamente,
perché aiuta ai raggiungimento di questi obiettivi (Brigida F. - Francia L. - Di Vesme P. B.,
1993).
Presto, tuttavia, il modello di consumo portato dalla nuova società urbana e industriale
entra in crisi ed è fatto oggetto di contestazioni: rivolta degli studenti, nascita del
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femminismo, crisi energetica, recessione economica, aumento della conflittualità sindacale
mettono in discussione una concezione della vita che cominciava a imporsi. La pubblicità
(come i consumi) è rifiutata e demonizzata come manipolatrice delle coscienze, con la
conseguenza che i modi della comunicazione si fanno meno trionfalistici e iperbolici, la
pubblicità diventa più sommessa, allusiva, autoironica (cd. Understatement) e si concentra
sulla “dimostrazione” del valore concreto dell’offerta (Patrucco C., 1972).
L’avvio del processo di internazionalizzazione dei mercati e la sempre più agguerrita
concorrenza tra prodotti sostanzialmente indifferenziati segna però l’ennesimo
cambiamento dell’approccio comunicazionale che, ridimensionando il valore delle
caratteristiche pratico-funzionali di un prodotto, depone a favore di variabili meno tangibili
di natura perlopiù emozionale ed affettiva.
Di fronte ad un consumatore che pone in essere scelte di consumo sempre meno
razionali, i concetti di product image e brand image prendono il sopravvento sulla reason
why ed assumono un ruolo chiave nell’azione persuasoria posta in essere attraverso i
messaggi (Ogilvy D., 1963). Il prodotto non è più solo un insieme di caratteristiche
funzionali, ma anche di valori emotivi che vanno poi a confluire in quella che può essere
definita come personalità della marca. In questo quadro il prodotto, cioè l’oggetto, diviene
dunque parte di un insieme più ampio di elementi di natura relazionale che legano il
consumatore alla marca: come afferma Livraghi (2000, pag. 53), infatti, “se i prodotti sono
oggetti, le marche sono relazioni”, relazioni capaci di incrementare la credibilità del
messaggio.
L’apporto di Ogilvy è evidentemente rivoluzionario, essendo riuscito nell’intento di
coniugare funzione commerciale e qualità della comunicazione e di rendere l’immagine
autonoma rispetto al prodotto. Un passaggio, questo, che apre le porte ad un più ampio
ventaglio di possibilità per reinventare, enfatizzare e differenziare il prodotto agli occhi del
consumatore, come dimostra con la sua ormai famosa head line: “il rumore più fastidioso
di una Rolls Royce a 60 mph è il ticchettio dell’orologio” (vedi Appendice, Figura 6).
È così che, con i primi anni ’80, la marca diviene, come afferma Séguéla, vera e propria
star della comunicazione, una protagonista capace di attribuire al prodotto una personalità
ed un’individualità all’interno delle quali si ravvisano i valori di fondo della marca stessa
(Séguéla J., 1985; Séguéla J., 1986). Nel corso del decennio, in cui il clima socio-culturale
si evolve verso il cosiddetto “riflusso”, caratterizzato da un indebolito impegno sociale a
favore di un crescente interesse verso sé stessi e la famiglia, dalla ricerca di piccoli e
grandi piaceri e dalla rinascita della considerazione verso il consumo, la pubblicità vive un
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periodo di grande enfasi: di essa si parla su quotidiani e periodici, nascono rubriche fisse
di commenti e critiche sulla creatività dei messaggi, si moltiplica la presenza della
pubblicità in televisione, finalmente aperta alle emittenti private.
Il dinamico mutare della società e dei suoi costumi cominciano però ben presto a mostrare
i limiti di quello che potrebbe essere definito come “approccio emozionale” della pubblicità.
La crisi economica e il conseguente calo dei consumi cui si assiste a partire dagli anni ’90
spingono infatti verso una profonda riorganizzazione dei processi di acquisto. Il
consumatore, più attento alla sostanza, più incline a privilegiare nelle scelte la propria
individualità e personalità, più maturo e autonomo negli acquisti, costringe i pubblicitari a
ritornare sui propri passi reimpostando i messaggi intorno al prodotto e ai suoi benefici.
Alla pubblicità si richiede di essere gradevole e divertente, ma anche utile nella
segnalazione delle opportunità. Lo stesso Séguéla, riabilitando Reeves, sancisce questo
ritorno al passato affermando: “il primo colpo di genio del pubblicitario oggi sta nel mettersi
all’ascolto del proprio pubblico, guai al pubblicitario che manchi di realismo” (Séguéla J.,
1991).
A dispetto delle prese di posizione, l’ultimo decennio del secolo si caratterizza per il
continuo alternarsi tra concretezza ed emozionalità del messaggio. Ma ben presto la
necessità di confrontarsi con un discontinuo andamento dei consumi e di comunicare con
un consumatore sempre più informato, meno disposto a seguire la massa ed a farsi
influenzare dalla pubblicità pone i pubblicitari di fronte all’evidenza di non avere più a che
fare con una massa indistinta di soggetti. Il pubblico, infatti, si presenta sempre più
differenziato e segmentato in sottoinsiemi sociali con specifiche necessità e dinamiche di
acquisto (Polesana M.A., 2005).
Altresì, a questa graduale frammentazione del target di riferimento si accompagna, a
cavallo del nuovo millennio, l’avvento e la diffusione su larga scala di nuovi sistemi di
comunicazione basati sulle tecnologie delle telecomunicazioni.
La compresenza di una pluralità di mezzi e supporti viene così a vanificare il concetto
stesso di massa in voga nella prima metà del XXI secolo e a dare un contributo fattivo alla
nascita di una società complessa, estremamente diversificata, composta da pubblici
distinti, spesso fra loro non comunicanti ed aventi stili di vita diversi (Falabrino G.L., 2007).
Contrariamente a quanto si pensava in passato, non esiste più un rapporto univoco fra
emittente e ricevente: il messaggio viene decodificato e mediato dalle caratteristiche
socio-culturali di ciascun individuo, per cui il pubblico fruisce a suo modo dei contenuti dei
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vari messaggi e, paradossalmente, non sempre ciò che l’emittente intendeva comunicare
corrisponde a ciò che effettivamente il ricevente recepisce.
Le difficoltà di operare con un pubblico sempre più frammentato trovano però nella
moltiplicazione dei mezzi e nelle tecnologie ICT nuove possibilità per raggiungere e
interagire con il target desiderato (Bartolini C., 2000; Bottini N., 2005). Il rapido affermarsi
della rete internet unitamente alla diffusione di altri nuovi media (tv digitale, telefono
cellulare) permettono infatti di instaurare una relazione interattiva, sempre presente, più
duratura e coinvolgente tra azienda e cliente, segnando il passaggio fondamentale da un
sistema basato su mezzi di comunicazione uni-direzionale ad uno in cui la comunicazione
è bi-direzionale: per tale via, grazie alla possibilità di scegliere le informazioni che
considera più utili, il pubblico perde il ruolo passivo tipicamente connesso ai mezzi
tradizionali di comunicazione commerciale - carta stampata, radio e televisione - per
divenire attore del processo di comunicazione; al contempo, gli emittenti possono disporre
di nuovi strumenti per identificare il target di riferimento, monitorarne le scelte di acquisto e
comprenderne i gusti (Appendice, Figura 7).