2
implica maggiori variazioni nelle tecniche di risk management Ł il c.d. pilastro
I, il quale disciplina il monitoraggio e la gestione dal parte delle banche dei
tipici rischi finanziari connessi alla propria attivit , vale a dire il rischio di
credito, il rischio di mercato ed il rischio operativo. Per ci che riguarda il
rischio di credito, ricordiamo che con questa espressione si fa riferimento al
rischio che nell ambito di una operazione creditizia il debitore non adempia o
adempia solo in parte ai propri obblighi contrattuali (in termini di rimborso di
capitale ed interessi e di mantenimento del proprio merito creditizio). In tale
contesto, la normativa introduce importanti cambiamenti, tra i quali spicca la
possibilit offerta alle banche di utilizzare un mo dello interno (internal rating
based approach, IRB) per la valutazione del requisito patrimoniale a fronte di
tale rischio. Ancora, l accordo contiene per la prima volta la specifica
identificazione del rischio operativo, definito come il rischio di perdite, dirette
o indirette, derivanti da fallimenti o inadeguatezza dei processi interni, errori
umani, carenze nei sistemi operativi o a causa di eventi esterni1 , e ne
introduce i principi per la misurazione ed un adeguato trattamento. Ad ultimo
per ci che concerne il rischio di mercato, definit o dal Comitato di Basilea
come il rischio di perdite nelle posizioni in bilancio e fuori bilancio a seguito
di variazioni sfavorevoli dei prezzi di mercato, in particolare i tassi di
interesse, i prezzi dei titoli azionari e i tassi di cambio2 , il nuovo accordo
ribadisce i vigenti principi di misurazione e di determinazione del relativo
requisito patrimoniale basati su modelli standard o interni alle banche, e
introduce nuove linee guida per una prudente valutazione delle posizioni di
negoziazione.
Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di prendere in
considerazione uno solo dei complessi aspetti che riguardano il rischio
finanziario connesso all attivit bancaria ed in pa rticolare all attivit di
operativit sui mercati finanziari, vale a dire que llo relativo al rischio modello
derivante dal calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di mercato
mediante l utilizzo di modelli interni alle banche. In particolare, come gi
1
Cfr. BCBS (2006).
2
Cfr. BCBS (1996a).
3
accennato, l attuale normativa prevede due possibili approcci per il calcolo di
suddetto requisito: un metodo definito standard e un metodo basato su
modelli interni. Il metodo standard si basa sul c.d. building-block approach,
secondo il quale si identificano requisiti di capitale separati per le diverse
categorie di rischio di mercato a cui la banca Ł esposta, tra le quali: rischio di
posizione, di regolamento, di controparte, di concentrazione, di posizione su
merci e di cambio3. In alternativa, le banche possono calcolare il requisito
patrimoniale sulla base di modelli interni, a patto che gli stessi soddisfino
determinati requisiti e siano esplicitamente riconosciuti dall autorit di
vigilanza. Essi, mediante opportune procedure statistiche, conducono alla
determinazione del Value at Risk (VaR). Esso si definisce in prima
approssimazione come la massima perdita possibile derivante da
un evoluzione negativa delle variabili di mercato in uno specifico orizzonte
temporale e con una data probabilit .
In questo ambito, il crescente impiego da parte delle maggiori banche
di modelli statistici interni come principale strumento per il calcolo del
requisito patrimoniale ha reso particolarmente rilevante l esposizione delle
stesse al c.d. rischio modello (model risk). Riprendendo una delle definizioni
che di questo fenomeno ha dato la Federal Reserve (1998), con tale
espressione si fa riferimento al rischio che eventuali difetti nella fase di
sviluppo e di implementazione di tali modelli causino una errata valutazione
dei rischi a cui la banca di fatto Ł esposta, che inevitabilmente si traducono in
errori nel calcolo dei requisiti di capitale a fronte di tali rischi. Piø in generale,
ogniqualvolta la banca fa uso di modelli interni di valutazione, per attivit di
risk management, reporting, pricing, asset allocation o altro, aumenta la
propria esposizione al rischio modello. Esempi in tal senso, oltre a quelli
legati all utilizzo di tali modelli per assolvere agli obblighi di vigilanza, sono
rappresentati dall utilizzo di errati modelli di pricing nella valutazione delle
posizioni in portafoglio (c.d. mark to model), che inevitabilmente si ripercuote
sulla significativit dei dati imputati a conto eco nomico, nonchØ dall impiego
di modelli non corretti nella determinazione dei c.d. limiti di posizione
3
Cfr. BDI (2006).
4
nell ambito delle politiche di asset allocation4. Volendo estendere la
definizione sopra proposta, rientrano nella categoria di rischio modello anche
tutti quei casi in cui, sebbene i modelli interni siano corretti e coerenti sotto il
profilo metodologico, essi conducono tuttavia a risultati sbagliati a causa di
un errato utilizzo da parte degli utenti, ovvero per imprecisioni dei dati in
ingresso. Quest ultimo aspetto in particolare assume una fortissima rilevanza
in quanto, come verr messo in luce nel corso di qu esto lavoro, sono molte le
variabili di input di tali modelli c.d. discrezionali, vale a dire frutto di
valutazione soggettiva da parte della banca. ¨ quin di di fondamentale
importanza un attenta valutazione di tali dati, in quanto se inattendibili o
stimati in modo errato, potrebbero tradursi in errate politiche di assunzione
del rischio e giungere a minacciare la complessiva prudente gestione
dell intermediario.
Al fine di affrontare il problema del model risk la presente tesi Ł
strutturata nel modo seguente. Nel corso del primo capitolo si
approfondiranno i modelli interni di misurazione del rischio di mercato basati
sul VaR. In particolare, dopo aver analizzato nel dettaglio le caratteristiche
dei principali modelli, la loro applicazione ed i principali aspetti problematici,
si focalizzer l attenzione sui metodi di simulazio ne, i quali, come si vedr ,
presentano maggiore affidabilit sotto diversi prof ili. Particolare attenzione
verr inoltre dedicata ai test retrospettivi ( backtesting) e alle prove di stress
(stress testing) di tali modelli. Nel secondo capitolo si analizzeranno nel
dettaglio le problematiche connesse al rischio modello, con riferimento sia al
modello interno di misurazione del rischio di mercato sia, piø in generale,
all insieme dei modelli interni di valutazione utilizzati dalla banca a vari scopi.
A tal proposito, verr presentata la progettazione di un sistema volto a
verificare la correttezza e l affidabilit dei prin cipali dati di input di tali modelli,
cioŁ dei parametri di mercato (market parameters). La trattazione prosegue
poi nel capitolo successivo con l illustrazione delle diverse tecniche di
controllo applicabili in tale ambito, ponendo particolare attenzione ai relativi
4
Facciamo qui riferimento in particolare all utilizzo di modelli VaR per stabilire limiti di rischio
accettabile sulle posizioni di mercato o sulle unit operative [cfr. B LANCO, BLOMSTROM
(1999)].
5
fondamenti teorici, ai processi logici e funzionali nonchØ alle possibili
alternative applicabili.
Nel corso dell intera trattazione si forniranno, inoltre, esemplificazioni
concrete con riferimento all implementazione operativa dei modelli e delle
tecniche presentate nell ambito della realt di un importante gruppo bancario
italiano, ossia Gruppo Banco Popolare di Verona e Novara (BPVN). A tal fine
ci siamo avvalsi dell esperienza di chi vi scrive, che durante la stesura di
questo lavoro ha collaborato con il Gruppo BPVN alla progettazione di un
sistema volto al controllo dei market parameters (cfr. paragrafo 1.7, 2.5 e
capitolo 3).
7
1. RISCHIO DI MERCATO: MODELLI E
NORMATIVA
1.1 PREMESSA
Nel corso del presente capitolo si focalizzer l a ttenzione sui modelli
interni di misurazione del rischio di mercato basati su un approccio di tipo
statistico, vale a dire quelli fondati sul VaR. Si analizzeranno nel dettaglio le
caratteristiche dei principali modelli, la loro applicazione ed i principali aspetti
problematici con riferimento in particolare ai metodi di simulazione, in quanto
essi consentono di cogliere aspetti, quali la non linearit delle relazioni tra le
variabili e la non normalit delle distribuzioni de lle stesse, che sfuggono ai
metodi analitici. Particolare attenzione verr inol tre dedicata ai test
retrospettivi (backtesting) e alle prove di stress (stress testing) di tali modelli,
giudicati entrambi essenziali dalla normativa5 ai fini della validazione del
modello interno per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di
mercato. Inoltre, si riporteranno in questo ambito esemplificazioni operative
5
Le banche che utilizzano i modelli interni devono disporre di un rigoroso e completo
programma di prove di stress per l individuazione di eventi o fattori che potrebbero incidere
gravemente sulla posizione di una banca. Tali test rappresentano un elemento chiave nella
valutazione dell adeguatezza patrimoniale La banca deve essere in grado, ove richiesto,
di effettuare test retrospettivi sulla base di variazioni ipotetiche del valore del portafoglio,
calcolate mantenendo invariate le posizioni di fine giornata [cfr. BDI (2006)].
8
concrete con riferimento all implementazione di tali modelli nell ambito del
Gruppo Banco Popolare di Verona e Novara.
1.2 MODELLI PER IL VaR E NORMATIVA
La possibilit offerta agli intermediari bancari d i adottare un modello
interno fondato sul VaR per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del
rischio di mercato Ł subordinata alla validazione dello stesso da parte
dell autorit di vigilanza, la quale a tal fine imp one il rispetto di precisi limiti
qualitativi e quantitativi. In particolare, per ci che riguarda i primi, essi
consistono in una serie di disposizioni organizzative che le banche sono
tenute a rispettare nel passaggio dal modello standard al modello interno, tra
le quali spiccano: la costituzione di una funzione di controllo del rischio
indipendente e responsabile, tra l altro, della realizzazione e del monitoraggio
del sistema di misurazione del rischio di mercato, l adozione del modello
interno non solo ai fini della vigilanza ma anche per rispondere ad esigenze
gestionali interne, come ad esempio la determinazione dei limiti di posizione
di mercato o sulle unit operative, e infine la sce lta di un modello in grado
effettivamente di cogliere tutti i rischi di mercato a cui la banca risulta essere
esposta per effetto delle posizioni in essere nel proprio portafoglio di
negoziazione (trading book6). A tal proposito, riprendendo la definizione
proposta dal Comitato di Basilea, si individuano le seguenti classi di rischio di
mercato:
rischio di tasso (interest rate risk): si manifesta quando, a parit di altre
condizioni, il valore attuale (present value, PV) delle posizioni in
portafoglio Ł sensibile alle variazioni dei tassi di interesse di mercato.
Esso assume particolare rilevanza quando in portafoglio sono presenti
obbligazioni e strumenti finanziari derivati su tassi di interesse. Si fa
distinzione tra rischio specifico, relativo cioŁ ad un singolo strumento
6
Si definisce trading book l aggregato patrimoniale composto da strumenti finanziari detenuti
per finalit di negoziazione (in proprio o verso la clientela) o di tesoreria, nonchØ derivati
relativi a strumenti finanziari, sia di copertura che speculativi [cfr. BCBS (2006)].
9
finanziario, e rischio generico, relativo all intero portafoglio di
negoziazione;
rischio azionario (equity position risk): rappresenta il rischio che
fluttuazioni dei prezzi dei titoli azionari causino variazioni del PV delle
posizioni detenute in portafoglio. Come nel caso precedente, si distingue
tra rischio specifico (o diversificabile), relativo cioŁ ad una singola
posizione, e rischio sistematico (o non diversificabile), legato invece a
movimenti generali di mercato, che rappresenta la componente di rischio
azionario che residua in un portafoglio perfettamente diversificato7.
rischio di cambio (foreign exchange risk): rappresenta il rischio che
fluttuazioni dei tassi di cambio causino variazioni del PV delle posizioni
detenute in portafoglio. Come logico, esso assume particolare rilevanza
quando in portafoglio sono presenti posizioni denominate in valuta
diversa da quella domestica. Anche in questo caso si fa distinzione tra
rischio specifico, relativo ad una singola posizione, e rischio generico,
relativo all intero portafoglio.
rischio commodity (commodity risk): si tratta del rischio che fluttuazioni
dei prezzi delle commodities causino variazioni del PV delle posizioni in
portafoglio. In questo contesto, per commodities si intendono beni dotati
di valore economico intrinseco e di scambio nonchØ oggetto di
negoziazione in mercati organizzati. A titolo di esempio, si fa riferimento a
prodotti dell agricoltura, minerali e metalli preziosi (ad esclusione dell oro,
il quale viene considerato come una posizione in valuta estera8).
Oltre ai summenzionati criteri qualitativi, il Comitato di Basilea, nel suo
documento, stabilisce anche precisi principi di ordine quantitativo che le
banche sono tenute a rispettare nel passaggio dal modello standard al
modello interno. Tra questi, assumono particolare rilievo quelli che
7
La definizione proposta Ł basata sul modello Capital Asset Pricing Model (CAPM), il quale
evidenzia come il rendimento di un asset rischioso dipenda da una componente specifica α
e dal rendimento di mercato in ragione di un coefficiente di reattivit β. Analiticamente:
imiii RR εβα +⋅+= [cfr. SHARPE (1963)].
8
Gold is to be dealt with as a foreign exchange position rather than a commodity because
its volatility is more in line with foreign currencies and banks manage it in a similar manner to
foreign currencies [cfr. BCBS (2006)].
10
riguardano la definizione del periodo di detenzione (holding period) delle
posizioni in portafoglio. A questo proposito, mentre generalmente il
management dell intermediario focalizza l attenzione sulle variazioni
giornaliere di PV di tali posizioni, la normativa impone di valutare le stesse
lungo un orizzonte temporale piø esteso, in quanto si presume che alcune di
esse potrebbero divenire illiquide in particolari condizioni di mercato. In
particolare l autorit di vigilanza, pur concedendo alle banche ampia libert
nella scelta dell holding period da considerare al fine del calcolo del requisito
patrimoniale, impone di ricondurre lo stesso su base decadale9 (10 giorni)
applicando la regola della radice quadrata10 di t, ovvero moltiplicando
l esposizione giornaliera per 10 . Un altro aspetto di rilievo Ł quello relativo
alla selezione dell intervallo di confidenza, il quale definisce, tra l altro, il
grado di protezione contro variazioni avverse dei parametri di mercato offerto
dal modello. In questo senso, la normativa impone un intervallo pari al 99%,
ovvero richiede di considerare le perdite che ci si attende di superare
solamente nell 1% dei casi. Oltre a ci , la normati va stabilisce che il requisito
patrimoniale cos calcolato venga moltiplicato per un fattore moltiplicativo11
(δ ), introdotto per tenere in debita considerazione i margini di errore del
modello, che pu variare da 3 a 4 a seconda dei ris ultati che il modello
stesso ottiene nella procedura di backtesting (illustrata nel dettaglio nel
paragrafo 1.4). Ancora, per quanto riguarda la profondit e la frequenza di
aggiornamento delle serie storiche utilizzate per la stima, il Comitato di
9
In calculating value-at-risk, an instantaneous price shock equivalent to a 10 day movement
in prices is to be used, i.e. the minimum holding period will be ten trading days. Banks may
use value-at-risk numbers calculated according to shorter holding periods scaled up to ten
days by the square root of time [cfr. BCBS (2006)].
10
La regola della radice quadrata del tempo (t-square rule) assume che la varianza dei tassi
di rendimento cresca in modo direttamente proporzionale all orizzonte temporale, e che
quindi la deviazione standard cresca in modo direttamente proporzionale alla radice
quadrata dello stesso. Si tratta di un approssimazione valida se le serie storiche dei tassi di
rendimento sono assimilabili a variabili casuali indipendenti e identicamente distribuite (i.i.d.).
11
Tale fattore Ł oggetto di forti critiche da parte del mondo bancario, in quanto si ritiene che
esso riduca l incentivo a sviluppare ed adottare tecniche di risk management maggiormente
efficaci e sofisticate, dal momento che queste non verrebbero valorizzate mediante
l applicazione di un fattore moltiplicativo inferiore a 3 [cfr. DANIELSSON et al. (1996)].
11
Basilea prevede che la prima sia pari almeno ad un anno12 e stabilisce che la
frequenza di aggiornamento sia come minimo trimestrale, lasciando facolt
alle singole autorit di vigilanza di aumentare tal e frequenza in contesti
caratterizzati da elevata volatilit dei prezzi. Vi ceversa, per ci che riguarda
le correlazioni, possono essere utilizzate ai fini del calcolo del VaR le
correlazioni empiriche sia fra le singole attivit all interno dello stesso fattore
di rischio, sia fra i diversi fattori. Ad ultimo, la normativa stabilisce un limite
inferiore che il requisito patrimoniale deve rispettare al fine di non
sottovalutare, in particolar modo nel corso di periodi caratterizzati da elevata
volatilit , gli eventuali shock negativi verificati si nelle fasi immediatamente
precedenti. In particolare, le banche devono soddisfare un requisito
patrimoniale pari al maggior valore che risulta dal confronto tra il VaR del
giorno precedente e la media del VaR relativa ai 60 giorni precedenti. In
termini formali, il requisito patrimoniale cos ottenuto pu essere espresso
come:
⋅= ∑
=
−−
60
1
1
60
1
,max
i
itttt
VaRVaRC δ (1.1)
Oltre a ci , la normativa di Basilea impone alle b anche che non sono
in grado di valutare correttamente la propria esposizione al rischio specifico,
vale a dire al rischio di perdite causate da variazioni di prezzo degli strumenti
finanziari in portafoglio connesse alla situazione dei relativi emittenti13, un
requisito patrimoniale supplementare ( RSM ), da calcolare con lo stesso
metodo adottato per il VaR. Di conseguenza la 1.1 diventa:
12
La profondit minima delle serie storiche si riduc e a 6 mesi (in termini di media ponderata
esponenzialmente) per le banche che impiegano sistemi di ponderazione [cfr. BCBS (2006)].
13
A tal proposito si fa distinzione tra rischio idiosincratico, ossia connesso alla quotidiana
attivit di negoziazione, e rischio evento, legato invece a repentini movimenti di prezzo di
ampiezza piø elevata rispetto a quelli generali di mercato (dovuti ad esempio a variazioni di
classi di rating o annunci di fusioni ed acquisizioni) [cfr. BDI (2006)].
12
⋅+⋅⋅+= ∑ ∑
= =
−−−−
60
1
60
1
11
60
1
60
1
,max
i i
ittitttttt
RSMVaRRSMVaRC βδβ (1.2)
Per ci che riguarda il modello statistico da adot tare ai fini del calcolo
del VaR il Comitato di Basilea non pone particolari vincoli, a patto che la
scelta ricada su un modello in grado di cogliere tutti i rischi di mercato a cui la
banca risulta di fatto essere esposta. Possono quindi essere
alternativamente utilizzati metodi analitici, quali quelli della varianza-
covarianza, e metodi simulativi, quali quelli della simulazione Monte Carlo e
della simulazione storica. Quest ultimo in particolare, come accennato in
precedenza, va assumendo sempre maggiore rilievo tra le maggiori banche
in quanto consente di superare i tradizionali limiti che derivano
dall applicazione dei metodi parametrici, connessi, tra l altro, ad assunzioni
non corrette circa la forma funzionale delle distribuzioni dei fattori di rischio,
nonchØ ad ipotesi non sostenibili di linearit dei rendimenti degli strumenti in
portafoglio rispetto a quelli dei fattori di rischio stessi. In particolare, come
verr illustrato nel corso di questo capitolo, i me todi analitici e quelli fondati
sulla simulazione Monte Carlo si basano sull assunzione di normalit del
modello di stima dei rendimenti dei fattori di rischio, anche se di fatto le
distribuzioni di probabilit di tali rendimenti si dimostrano essere
leptocurtiche, attribuendo le stesse una maggiore probabilit ad eventi molto
distanti dal valore medio della distribuzione rispetto a quella che verrebbe
loro assegnata dalla distribuzione normale. Oltre a ci , il metodo della
varianza-covarianza si basa sull ipotesi di linearit dei rendimenti degli
strumenti detenuti in portafoglio rispetto ai rendimenti dei fattori di rischio, la
quale non risulta accettabile per portafogli in cui sia rilevante la componente
di strumenti finanziari che presentano un profilo di payoff tipicamente non
lineare, quali le opzioni. Al contrario, il metodo della simulazione storica
consente di cogliere la rischiosit di qualunque ti po di strumento, compresi
quelli caratterizzati da un profilo di payoff non lineare, e allo stesso tempo
non richiede assunzioni circa la forma funzionale delle distribuzioni dei fattori
13
di rischio, in quanto fonda la costruzione degli scenari futuri sulla base di
quanto avvenuto in passato.
1.3 DEFINIZIONE E METODI DI STIMA DEL VaR
Il Value at Risk (VaR) nella sua definizione comunemente accettata Ł
la massima perdita di un determinato portafoglio derivante da una evoluzione
negativa delle quotazioni di mercato in uno specifico orizzonte temporale h
(holding period), e con una data probabilit c (intervallo di confidenza). Sia
( )a,ehvf la funzione di distribuzione, con
e
hv uguale alle variazioni attese del
portafoglio considerato entro l orizzonte temporale considerato h e a pari al
vettore dei parametri di tale distribuzione. Per calcolare il VaR Ł necessario
determinare il valore di *v che risolve l equazione:
( ) cdvvf
v
e
k =∫
∞
*
,a (1.3)
e definire:
*
0 vvVAR −= (1.4)
dove:
c = intervallo di confidenza;
*
v = valore critico del portafoglio;
0v = valore del portafoglio all epoca di inizio dell orizzonte temporale;
Per omogeneit con la letteratura, Ł utile esprimer e il VaR in funzione del
tasso di rendimento atteso ehr del portafoglio entro l orizzonte temporale
considerato, anzichØ della sua variazione attesa, ovvero:
14
( ) cdrrf
r
e
h =∫
∞
*
,a (1.5)
e:
*
0 rvVAR ⋅−= (1.6)
Di fatto, il problema principale del calcolo del VaR diventa quindi la
corretta identificazione della funzione di distribuzione ( )a,ehrf , in quanto
generalmente i portafogli di negoziazione di banche ed istituzioni finanziarie
sono composti da un grande numero di attivit finan ziarie le cui variazioni
attese di prezzo possono essere governate da n diversi modelli distributivi.
Una prima semplificazione in tal senso consiste nella scomposizione del
portafoglio in posizioni su specifici fattori di rischio.
1.3.1 Mappatura delle attivit finanziarie
La mappatura delle singole attivit finanziarie pr esenti in portafoglio
verso specifici fattori di rischio, anche detta risk mapping, pu essere di tipo
rappresentativo o quantitativo. Nel primo caso si ripartono gli strumenti
finanziari in classi di attivit ( asset class) azioni, obbligazioni, ecc. e si
individuano per ciascuna classe i fattori di rischio indici azionari, tassi di
interesse, ecc. che meglio approssimano l andamen to della classe di
attivit corrispondente. Nella seconda ipotesi si u tilizzano metodi
quantitativi14 per individuare delle ipotetiche variabili (anche dette meta-
fattori) che spiegano una quota molto rilevante della varianza complessiva
del rendimento delle attivit originarie. In entram bi i metodi il vettore e ha,r dei
rendimenti attesi delle attivit a presenti in portafoglio entro l orizzonte
temporale considerato si riduce di dimensioni e si trasforma nel vettore e hf ,r
14
Facciamo riferimento in particolare all analisi in componenti principali, la quale sar
analizzata nel dettaglio nel corso del paragrafo 1.5.1
15
dei rendimenti attesi dei soli fattori di rischio f, che deve essere stimato. I
rendimenti attesi delle singole attivit finanziari e vengono quindi espressi in
funzione della sensibilit del rendimento di ciascu na al rendimento dei diversi
fattori di rischio individuati:
( )a
e
hff
e
ha g brr ,,, = (1.7)
dove:
ab = vettore delle sensibilit dell attivit allo spec ifico fattore di rischio;
f
g = funzione di stima dei rendimenti delle attivit per ogni fattore di rischio;
A prescindere dal metodo adottato, il procedimento di risk mapping
comporta inevitabilmente la perdita di informazioni in quanto la varianza
complessiva spiegata dopo tale mappatura Ł inferiore a quella calcolata
direttamente sui rendimenti delle attivit detenute in portafoglio. Ci
nonostante tali procedure sono largamente applicate nella pratica della stima
del VaR, in quanto consentono di ridurne drasticamente il costo in termini
computazionali. Di seguito si descrivono le procedure di risk mapping di tipo
rappresentativo applicabili alle diverse classi di attivit generalmente presenti
nel portafoglio di negoziazione di banche ed istituzioni finanziarie.
Titoli azionari
Il procedimento di risk mapping applicato alle azioni consiste nel
mappare ciascun titolo azionario su un appropriato indice di borsa o
settoriale, il quale rappresenter ai fini del calc olo del VaR uno specifico
fattore di rischio. Di conseguenza, appare evidente come in questo ambito
sia possibile fare riferimento al modello CAPM ed esprimere la 1.7 come:
e
hfa
e
ha ,, rr ⋅= β (1.8)