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I principi fondamentali di queste teorie sono presentati nelle loro analogie e
differenze all’interno del primo capitolo, con particolare riferimento al rapporto tra
consapevolezza linguistica e presa di coscienza metalinguistica, acquisizione e
apprendimento, induzione e deduzione, grammatica implicita ed esplicita, contesto
naturale e contesto formale.
Il secondo capitolo fornisce un approfondimento specifico e una panoramica
su diversi metodi a orientamento formalistico-linguistico mentre nel terzo capitolo e
nel quarto capitolo saranno trattati in ugual modo ipotesi, considerazioni e metodi
rispettivamente dell’orientamento umanistico-psicologico e comunicativo-funzionale.
In seguito a tale panoramica di teorie e metodi, il quinto capitolo intende
valutarne le caratteristiche, su cui ciascun docente dovrebbe meditare attentamente
prima di dare la preferenza a un determinato orientamento e metodo piuttosto che a
un altro.
Inoltre al fine di evitare incomprensioni e fornire chiarimenti circa la
terminologia specifica utilizzata in questo scritto è stata elaborata un’apposita
appendice comprendente alcune nozioni riguardo i diversi significati che i principali
termini della linguistica hanno ricevuto da diversi autori nel corso degli ultimi
decenni.
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CAPITOLO 1
ORIENTAMENTI DI INSEGNAMENTO E
APPRENDIMENTO DELLE LINGUE STRANIERE
Introduzione
Alla base delle scelte metodologiche di ogni tipo di insegnamento si trova
necessariamente una decisione di natura teorica. Ciò nonostante alcuni insegnanti
tendono a sottovalutare i presupposti teorici a favore dell’esaltazione della pratica,
dimenticando come in ogni preferenza, sia essa la scelta di un libro di testo o di un
supporto didattico particolare, si ricorra inevitabilmente alle teorie psicologiche
sottostanti relative all’intelligenza, agli stadi di sviluppo intellettivo e cognitivo o
all’acquisizione di abilità particolari. Per questo è fondamentale per gli insegnanti e
gli operatori del settore una riflessione sulle diverse teorie della linguistica, della
psicolinguistica, della pedagogia e della sociolinguistica concernenti la lingua,
l’apprendimento e l’insegnamento linguistico (Ciliberti, 1994).
Dal punto di vista storico sono tre i principali approcci susseguitisi nel campo
dell’insegnamento delle lingue straniere. L’approccio comunicativo è il più antico di
questi, il suo scopo è quello di preparare i discenti ad affrontare situazioni reali in
lingua straniera. Infatti, sin all'antichità l’oggetto di insegnamento principale della
glottodidattica era la comunicazione, essendo le lingue straniere utilizzate
generalmente in ambiti commerciali e diplomatici. Intorno al Seicento compare,
sostituendo l’approccio comunicativo, quello formalistico-linguistico, impiegato
inizialmente per l’insegnamento delle lingue morte, e caratterizzato dalla
presentazione di norme linguistiche, alla successiva applicazione di tali regole, alla
memorizzazione di liste lessicali, alla traduzione di frasi, dedicando poca attenzione
all'oralità, ad eccezione della pronuncia e senza interesse per i bisogni e le
motivazione degli allievi,.
8
Tuttavia quest’ultimo non è destinato a scomparire ma ad essere rivalutato nei
secoli successivi, con lo sviluppo di nuovi metodi di insegnamento (Laboratorio Itals,
2003).
Il terzo e più recente approccio è quello umanistico che, sconvolgendo il
quadro teorico precedente, sposta l’attenzione sull’apprendente dando particolare
importanza al processo di apprendimento e all’affettività che lo accompagna,
rifacendosi ai modelli della psicologia umanistica (Rizzardi, Barsi, 2005).
In questo capitolo saranno trattati i principali concetti teorici che dagli anni
’60 ad oggi hanno caratterizzato questi tre orientamenti permettendone il
consolidamento e l’evoluzione, dalla teoria all’applicazione pratica
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1.1 Consapevolezza metalinguistica e competenza linguistica
L’influenza che la conoscenza delle regole riveste nei confronti
dell’apprendimento della lingua straniera rappresenta un nodo cruciale della
glottodidattica.
Le ipotesi contrastanti in merito al processo di apprendimento
1
e di
acquisizione che caratterizzano i diversi orientamenti, influenzano il ruolo che viene
assegnato alla riflessione grammaticale o metalinguistica, termine con cui si
definiscono tutte le parole, espressioni e costruzioni che hanno per oggetto la lingua
stessa (Giunchi, 1990, 2002), ovvero il divenire consapevoli che la lingua è un
artefatto composto di unità sintattiche e di strutture semantiche (Magri, 1989). La
competenza metalinguistica è quindi la capacità di descrivere e ragionare
esplicitamente sulle regole e si differenzia dalla competenza linguistica che prevede
esclusivamente la capacità di usare tali regole per riconoscere e formare testi ed
espressioni adeguati alle regole stesse. La riflessione metalinguistica non è quindi
semplice memorizzazione e applicazione passiva di regole, ma un processo attivo di
analisi della lingua alla ricerca di regolarità e modelli; la differenza è dunque quella
tra competenza all’uso della lingua e competenza d’uso delle norme grammaticali
(Luise, s.d.). Tuttavia queste due competenze non si escludono a vicenda, ma tendono
a intrecciarsi, acquistando valori differenti in diversi momenti dell’apprendimento
linguistico.
La rilevanza data al ruolo della competenza metalinguistica non varia
unicamente fra diversi approcci ma anche all’interno di un unico orientamento
possono esserci visioni diverse, è il caso della differenza tra induttivismo e
deduttivismo che verrà trattata a breve.
1
Per evitare fraintendimenti sul significato del vocabolo ‘apprendimento’, questo verrà usato in
corsivo per indicare la contrapposizione con il termine ‘acquisizione’ e in formato normale per
indicarne il significato generico di ‘imparare’. Per maggiore chiarezza anche il termine ‘acquisizione’ è
proposto in corsivo.
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1.1.1 Grammatica implicita e grammatica esplicita
Quanto precedentemente scritto porta a puntualizzare sulla grammatica, che
rappresenta il nucleo di base da cui derivano la scelta di strumenti, procedure e
attività pedagogiche. La riflessione in questo ambito è un’operazione complessa,
poiché ogni modello teorico, da cui la presentazione della grammatica dipende, è
legato tanto alla tradizione filosofica e culturale nella quale si colloca quanto a
determinate caratteristiche della lingua da cui si è enucleato. Lo stesso termine
grammatica è per sua natura ambiguo e polivalente. Grammatica significa
innanzitutto teoria, ossia costrutto sul funzionamento del linguaggio.
Inoltre esso indica sia la conoscenza esplicita e deliberata delle regole del
sistema linguistico, che la capacità di usarle implicitamente in modo intuitivo e
subconscio (Giunchi, 2002).
Il contrasto sull’importanza o meno della attività metalinguistica non si è
limitata allo scontro di opinioni verificatosi in passato tra approcci metodologici
profondamente diversi che erano completamente a favore o contro la presentazione
esplicita della grammatica, ma si è diffusa anche negli approcci moderni, aumentando
l’articolazione della discussione e approfondendo la distinzione tra grammatica
esplicita ed implicita (Giunchi, 1990, 2002). Con questi termini si intende da un lato
la riflessione aperta condotta sulle strutture grammaticali che porta a uno sviluppo di
competenze metalinguistiche oltre che linguistiche e dall'altro l'acquisizione
spontanea in cui la grammatica non ha bisogno di essere esplicitata (Mezzadri, 2003),
ma costituisce un insieme di regole tacite e celate o per meglio dire piegate all’interno
del sistema (Giunchi, 2002).
Negli ultimi anni le posizioni teoriche sono molteplici: oltre a quanti come
Lugton e Heinle (1971) affermano con convinzione la necessità dell’esplicitare e del
prendere coscienza delle regole, in netto contrasto con l’applicazione di metodi
induttivi basati sulla grammatica implicita sostenuti da autori quali Krashen e Terrell
(1983), Danesi (1988) e Asher (1977) , vi sono anche alcuni sostenitori di posizioni
più flessibili, convinti che nel processo di insegnamento/apprendimento di una lingua
la spiegazione può seguire l’osservazione o viceversa.
11
1.1.2 Grammatica generativa e grammatica universale
Un’ulteriore riflessione sulla grammatica ci è offerta dal linguista americano
Noam Chomsky (1957), che formulò la teoria della grammatica generativa. Fine
fondamentale di questa teoria è quello di giungere a una descrizione formale delle
regole che consentono, in ciascuna lingua storico-naturale, la produzione di tutte le
frasi che i parlanti considerano grammaticalmente corrette e rendono possibile
l’individuazione di quelle errate (Prada, 2006). Il generativismo opera descrizioni
formali delle regole che governano l’impiego di una lingua, facendo uso di algoritmi
impieganti simboli e formule, al fine di rendere accessibile alla speculazione il
materiale ricavato dalla realtà (Chomsky, 1970, 1982).
Tuttavia la grammatica generativa non si propone come una raccolta di
precetti. A differenza di molte grammatiche tradizionali, non ha alcun intento
prescrittivo ma mira piuttosto a individuare, nelle lingue esaminate, caratteristiche
organizzativo-strutturali di base, che dimostrerebbero il linguaggio in quanto facoltà
cognitiva biologicamente determinata e condivisa da tutte le lingue (ibidem).
Questa teoria ha la capacità di ricondurre serie di manifestazioni fenomeniche,
attraverso generalizzazioni successive, a una quantità ristretta di principi da cui
derivare insiemi finiti di regole che descrivono la competenza dei parlanti. Lo scopo
ultimo del generativismo è quello di produrre una grammatica generale che contenga
le regole che soggiacciono al funzionamento di tutte le lingue usate dall’uomo e che
incorpori una teoria adeguata a tener conto delle differenze che intercorrono tra le
diverse lingue (Prada, 2006).
Nella loro manifestazione più generale, le regole generative hanno la forma di
algoritmi di riscrittura
2
. Insiemi presumibilmente ridotti di queste regole costituiscono
la grammatica universale, della quale le diverse lingue, nella loro infinita varietà,
sono attualizzazioni sempre diverse e particolari.
2
Un esempio di algoritmo di riscrittura ci è dato da Prada (2006, pp. 6-7): “S → NP + VP
Esso si interpreta come ‘una frase (S) equivale ad un sintagma nominale (NP) seguito da un sintagma
verbale (VP)’ e, dato un certo numero di elementi SN e SV (un dizionario di tali oggetti), permette di
generare un numero indefinito di frasi S
.2
. Per esempio, se NP vale (1) Il cane; (2) Il topo; (3) Il gatto;
e SV vale (1) mangia la carne; (2) mangia il formaggio; (3) beve il latte, la regola consentirà di
produrre, tra gli altri, le frasi (1) Il cane mangia la carne; Il topo mangia il formaggio; il gatto beve il
latte, ma anche (4) Il cane beve il latte; (5) Il gatto mangia la carne e così via”.
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La nozione di grammatica universale è nata per descrivere l'acquisizione della
madrelingua e per risolvere il problema della povertà dello stimolo, secondo cui i dati
forniti a un bambino che impara la propria lingua madre sono troppo scarsi per
giustificare la buona conoscenza che ne viene ricavata in poco tempo (Chomsky,
1988). Il bambino impiegherebbe pochi principi generali innati per trarne, sulla base
di scelte sequenziali, la grammatica completa della lingua specifica a cui si relaziona
(Chomsky, 1970, 1982).
In conclusione, la grammatica universale può essere pensata come un
programma che agisce sia in fase di produzione del linguaggio sia in fase di
comprensione. Tale programma entra in relazione con altri sistemi mentali, quali il
sistema fonetico-articolatorio e il sistema concettuale tramite due interfacce, la forma
fonetica e la forma logica. La forma fonetica può essere pensata come un insieme di
istruzioni per tradurre una frase rappresentata mentalmente in suoni e viceversa. La
forma logica incorpora le informazioni necessarie per mettere in corrispondenza una
struttura sintattica con un’interpretazione semantica, in ambedue le direzioni
(Chomsky, 1988).
Questa concezione della grammatica consente di formulare modelli matematici assai
efficaci, e infatti sono stati sviluppate grammatiche artificiali, ovvero sistemi capaci
di assegnare la corretta struttura sintattica a una frase in input in modo efficiente, per
esempio il programma CHILDES.