2
enti di governo regionali hanno ravvisato la necessità di
renderla ufficiale, istituendo organi commissari ad acta. In
risposta, la collettività, determinante principale del flusso
di rifiuto da smaltire, si mostra sempre più sensibile verso
le problematiche relative alla loro gestione.
Gli attori che intervengono nel processo di gestione
dei rifiuti, e da cui dipende l’efficienza e la validità dello
stesso settore, possono essere individuati e raggruppati in
quattro grandi categorie: gli industriali e gli operatori
commerciali, che devono essere responsabilizzati verso
l’adozione di tecnologie a minor impatto ambientale, cioè
verso impianti che producano una minore quantità di
rifiuti di processo durante il ciclo di lavorazione e verso
prodotti che generino una minore quantità di rifiuti al
termine della loro vita utile; i singoli cittadini,
consumatori e utenti, che devono governare le proprie
scelte di consumo e devono imparare a trattare le parti del
prodotto non consumato, non come rifiuti da espellere ma
come “materie secondarie” da reintrodurre nel ciclo; gli
operatori specifici del settore, aziende municipali, privati,
cooperative, che possono espandersi in quantità e qualità,
creando anche vantaggi occupazionali; l’istituzione
pubblica, che deve farsi interprete e testimone
dell’importanza culturale del passaggio dal concetto di
“smaltimento dei rifiuti” al concetto di “gestione dei
rifiuti”, che non è soltanto il cambio di un termine ma,
l’apertura ad un nuovo mondo, ricco di opportunità per
nuove attività imprenditoriali e nuove figure professionali.
La consapevolezza diffusa e la partecipazione attiva
dei cittadini e delle imprese, unitamente a scelte gestionali
3
che favoriscano l’implementazione di nuovi paradigmi
operativi, sono i requisiti fondamentali per un'inversione
di tendenza. La stessa normativa italiana ed europea
sottolinea la necessità di ridurre la quantità e la
pericolosità dei rifiuti immessi nell’ambiente e, di pari
passo, l’opportunità di promuovere sistemi finalizzati al
recupero di materia ed energia.
In effetti, il sistema di gestione dei rifiuti è stato
sottoposto, con l’avvio del D. Lgs. n. 22 del 5 febbraio
1997 emanato in recepimento di alcune importanti
direttive comunitarie, a un forte processo di
trasformazione con l’obiettivo di promuovere ed
affermare un modello basato sulla “gestione integrata dei
rifiuti”, considerata come strategia necessaria ed
opportuna per poter governare tale situazione in maniera
sostenibile da un punto di vista ambientale.
Obiettivo del presente lavoro è l’analisi del
“problema rifiuti” e degli aspetti legislativi ad esso
connessi, con particolare riferimento proprio
all’introduzione del sistema di “gestione integrata”. Nella
prima parte del lavoro è stata, pertanto, individuata ed
analizzata la normativa comunitaria e nazionale, che
attualmente disciplina il settore dei rifiuti. In tal senso, si è
partiti dall’individuazione delle principali direttive
comunitarie nel settore, per poi analizzare la normativa
nazionale emanate a recepimento di tali direttive.
Ovviamente, si è posta particolare attenzione al decreto
legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, meglio noto come
decreto Ronchi, che insieme alle successive integrazioni e
modifiche, costituisce l’attuale disciplina di riferimento
4
nel settore dei rifiuti in Italia. Contemporaneamente sono
stati raccolti e analizzati una serie di dati allo scopo di
verificare lo stato di attuazione di tale normativa e i
risultati che ne sono conseguiti dalla sua applicazione,
facendo anche opportuni confronti con le altre principali
realtà europee.
Nella seconda parte, invece, si è posta l’attenzione
sulla particolare situazione di crisi in merito allo
smaltimento dei rifiuti urbani creatasi nella regione
Campania e sfociata nel Commissariamento della stessa in
tale settore. Il problema rifiuti in Campania è stato reso
negli anni ancor più difficile sia dalla grave situazione di
emergenza che per molto tempo ha visto fiorire gli
interessi delle ecomafie ed una disattenta e criminale
gestione dello smaltimento dei rifiuti con discariche
divenute reali sversatoi di rifiuti pericolosi, tossici e
nocivi provenienti dalle più svariate regioni d’Italia, che
dalla scelta impiantistica della classe politica dirigente per
fronteggiare l’emergenza e dalla scarsa collaborazione
delle popolazioni locali ad attuare una qualsiasi soluzione
per uscire dall’impasse in cui si trovava ed attualmente si
trova la regione. Con riferimento al lavoro svolto, si è
proceduto, innanzitutto, ad un’analisi dell’evoluzione
storica dell’emergenza, iniziata nel lontano 1994 e
attualmente non ancora conclusa, prendendo in
considerazione i vari provvedimenti adottati sia dal
Governo nazionale che dalla Struttura Commissariale per
far fronte a tale situazione di crisi. Tale analisi andrà ad
evidenziare come le scelte inizialmente adottate,
soprattutto dalla classe politica locale, segneranno in
5
modo determinante la gestione successiva dell’emergenza
rifiuti in Campania. La grave crisi determinata, nel 2001,
dalla chiusura delle discariche nel salernitano e nel
napoletano, infatti, ha dimostrato le palesi inadempienze
della Struttura Commissariale, inducendo la stessa a dare,
da un lato, maggiore impulso alla raccolta differenziata e,
dall’altro, a completare la realizzazione dell’impiantistica
prevista. Alla Struttura Commissariale va, comunque, il
merito di aver definitivamente chiuso le discariche
tradizionali campane, segnando una svolta epocale nella
storia di una regione che fino a quel momento era stata più
volte definita come la “pattumiera d’Italia” e la “terra
delle ecomafie”. Nel lavoro, inoltre, si pone l’attenzione
alla scarsa enfasi data ad un serio decollo della raccolta
differenziata, il cui ruolo è fondamentale nell’ambito di un
moderno ciclo integrato dei rifiuti. Tuttavia, da una lettura
del presente lavoro si potrà facilmente notare che la
Campania è solo una della gran parte delle regioni del Sud
dell’Italia dove i risultati raggiunti, sia in termini di
raccolta differenziata che in termini di gestione dei rifiuti
complessivamente prodotti, sono molto lontani da livelli
accettabili o da modelli di eccellenza, presenti, invece, in
moltissime regioni dell’Italia Settentrionale.
In ultima analisi, il presente lavoro vuole mettere in
evidenza come, per quanto riguarda la Campania, sia pure
in un quadro complessivamente ostile, non sono mancate
esperienze positive di comuni che hanno raggiunto
risultati validi con riferimento alla “gestione locale” dei
rifiuti. A tal fine sono state analizzate le esperienze di tre
comuni del salernitano: Cava de’Tirreni, Nocera Inferiore
6
e Mercato San Severino. Questi comuni, che hanno
affidato a società miste (con prevalente capitale pubblico)
il servizio di raccolta dei rifiuti, hanno vissuto in maniera
meno drammatica, rispetto ad altri comuni limitrofi, la
fase acuta di emergenza iniziata nel 2001. Come potremo
vedere, per questi comuni, sarà proprio la raccolta
differenziata, insieme ad una serie ulteriori di decisioni
tempestivamente assunte, la base del loro successo. In
particolare, da un’analisi dei dati raccolti si mostrerà che il
comune di Mercato San Severino costituisce, insieme a
tanti altri piccoli comuni salernitano, un esempio di
eccellenza nella gestione dei rifiuti, nonostante un quadro
regionale a dir poco disastroso.
Capitolo primo
Il sistema rifiuti in Italia
1.1 Considerazioni introduttive.
1.2 Le dinamiche evolutive della normativa comunitaria
e nazionale.
1.3 La gestione dei rifiuti in Italia e opportuni confronti
con le realtà di altri Paesi europei.
8
1.1 Considerazioni introduttive
La protezione dell’ambiente e la tutela della salute
dei cittadini sono principi fondamentali da porre alla base
della politica sulla gestione dei rifiuti. La produzione di
rifiuti costituisce oggi uno dei più significativi indicatori
dell’interazione tra attività antropiche e ambiente naturale.
La quantità di rifiuti prodotti, infatti, è strettamente
connessa con le dinamiche evolutive delle attività di
produzione e di consumo delle merci, al livello del reddito
ed agli stili di vita. In altre parole, la produzione di rifiuti,
in termini di tipologie, quantità, qualità e pericolosità,
esprime il livello socio-economico di un Paese
riflettendone il grado di sviluppo tecnologico e industriale.
Una volta prodotti, inoltre, si pone il problema della loro
gestione e del loro smaltimento, problema che risulta
particolarmente complesso da affrontare in ottica sociale,
economica ed ambientale (1).
La questione dei rifiuti ha assunto, nel corso del
tempo, connotazioni diverse, così come differenti sono
state le strategie attuate per affrontarla, tuttavia, solo in
epoca recente ha assunto un rilievo tale da rendere
necessari interventi importanti ed urgenti. Fino alla
rivoluzione industriale, infatti, il problema della gestione
dei rifiuti non era nemmeno avvertito, essendo la quantità
prodotta modesta e trattandosi di rifiuti di natura
prevalentemente organica, quindi, facilmente
metabolizzati nell’ambiente naturale senza che gli
equilibri esistenti venissero alterati.
9
E’ dalla metà del Settecento, per effetto
dell’incessante sviluppo di fenomeni di
industrializzazione ed urbanizzazione unitamente ad un
consistente aumento demografico e ad un miglioramento
del tenore di vita di ampi strati della popolazione, che si
determina una progressiva crescita dei livelli di
produzione e consumo di merci, con conseguente
incremento del volume di rifiuti prodotti e della loro
pericolosità. In effetti, a partire dalla rivoluzione
industriale l’uomo ha agito su due importanti leve: da un
lato ha sottratto risorse all’ambiente in quantità sempre
maggiori, dall’altro alla fine dei processi di produzione e
consumo ha scaricato sul pianeta i residui che da essi ne
derivavano causando un ulteriore spreco di risorse, tenuto
conto del fatto che una parte di questi sono recuperabili
per l’impiego in nuovi processi. Lo sviluppo tecnologico,
poi, ha portato alla produzione di rifiuti che l’ambiente
naturale non è più in grado di metabolizzare, venendone
così alterato.
Il problema dei rifiuti è affrontato per la prima volta
nel corso dell’ottocento, quando nascono i primi sistemi di
smaltimento, riconducibili essenzialmente alla necessità di
allontanare dalle città i rifiuti per ragioni igienico-sanitarie
e di decoro urbano. Essi, infatti, erano fondati sulla
raccolta dei rifiuti e sul loro trasporto al di fuori dei centri
abitati, prevalentemente in discariche, dove venivano
depositati, o in alcuni casi trattati con semplici processi di
combustione. Tuttavia, non siamo di fronte a veri e propri
sistemi di gestione dei rifiuti, anche perché la quantità da
10
smaltire era minima così come bassa era la loro
pericolosità.
Soltanto dagli anni sessanta e, ancor più, negli anni
settanta del ventesimo secolo, i cosiddetti anni della
“primavera ecologica”, l’aumento dei quantitativi dei
rifiuti prodotti e la loro accresciuta complessità
compositiva, con conseguente aumento della loro
pericolosità, hanno reso evidenti le devastanti
conseguenze dello smaltimento ancora praticato alle porte
della città secondo le tradizionali modalità di scarico nel
suolo, rendendo necessario un intervento normativo nel
settore allo scopo di individuare idonei strumenti operativi
per evitare sprechi di risorse e gravi impatti ambientali. La
questione rifiuti assume, pertanto, un ruolo centrale in tutti
i paesi industrializzati, in riferimento soprattutto ai
processi di sviluppo in atto; spesso, infatti, si è dovuto
intervenire per far fronte a vere e proprie situazioni di
emergenza.
E’ proprio in virtù di tale situazione che la disciplina
contenuta nella normativa comunitaria si è ispirata ad una
politica ambientale basata sulla gestione e sull’utilizzo
razionale delle risorse naturali, sullo sviluppo sostenibile
delle attività economiche e sulla conversione dei sistemi
produttivi verso scelte tecnologiche e gestionali di minore
impatto. Discutendo sui limiti dello sviluppo in corso si è
capito che i rifiuti devono ora essere considerati come
“sottoprodotti” nell’ambito di un “ciclo produttivo
chiuso”, ovvero essi diventano a loro volta “materia
prima” e quindi risorsa per nuovi cicli produttivi, un po’
come avviene in natura, dove tutto ciò che assume la
11
forma di scarto di un ciclo naturale viene ad essere a sua
volta assorbito come materia di base in un altro ciclo
biologico, non esistendo perciò il concetto di rifiuto (2).
Nasce così il problema della gestione dei rifiuti e
inizia un lungo cammino normativo per la disciplina di
tale settore con l’obiettivo principale di passare da una
visione del rifiuto come “scarto” ad una visione di esso
come possibile “risorsa” per nuovi processi di sviluppo.
12
1.2 Le dinamiche evolutive della normativa
comunitaria e nazionale
Le prime norme di un certo rilievo per quanto
riguarda la disciplina del settore dei rifiuti, nascono a
livello comunitario.
L’interesse della Comunità per tale settore si è
sviluppato di pari passo con l’evolversi della politica a
tutela dell’ambiente. E’ a partire dal 1972, infatti, subito
dopo la prima “conferenza mondiale sull’ambiente e lo
sviluppo” tenutasi a Stoccolma che la Comunità pone le
basi per un intervento mirato a guidare i Paesi Membri
verso la realizzazione e l’attuazione concreta di una
politica ambientale efficace ed uniforme tenuto conto dei
processi di sviluppo in atto. Al termine di tale conferenza
la Comunità individua nei Programmi d’Azione lo
strumento per raggiungere l’obiettivo fissato. Nel 1972,
pertanto, viene varato il Primo Programma d’Azione
Comunitaria
1
, a cui hanno fatto seguito altri cinque
Programmi, che rappresentano ciascuno la continuazione
dell’altro e lo sviluppo, sempre più approfondito, della
problematica della tutela ambientale. Attualmente vige il
Sesto Programma d’Azione in materia ambientale
1
I Programmi d’Azione Comunitaria rappresentano gli strumenti programmatici a
medio-lungo termine che informano l’azione politica ed operativa della Comunità nel
periodo di riferimento. Essi contengono le linee guida e gli orientamenti cui si devono
ispirare i successivi atti normativi emanati dai singoli Paesi Membri della stessa
Comunità con riferimento alle tematiche che si vogliono trattare in materia ambientale.
Il Primo Programma d’Azione Comunitaria è stato varato nel 1972 ed è riferito al
periodo 1973-1977. Attualmente siamo al VI programma di Azione, che ha come
riferimento temporale il periodo 2001-2010.
13
denominato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra
scelta”. In esso sono considerate quattro aree prioritarie
d’intervento, tra cui nell’ambito delle risorse naturali si
pone particolare attenzione alla gestione dei rifiuti.
L’obiettivo principale è il passaggio a modelli di
produzione e consumo sostenibili, ponendosi come sfida
per gli anni futuri, quella di invertire la tendenza in atto,
ossia, interrompere la stretta relazione tra quantità e
qualità di rifiuti generati e crescita economica (2).
Nel Primo Programma d’Azione in materia
ambientale, la Comunità Europea poneva come obiettivo
principale la prevenzione, la riduzione e, ove possibile,
l’eliminazione dei danni ambientali. Altri obiettivi
importanti erano il mantenimento degli equilibri ecologici,
la gestione equilibrata delle risorse naturali, evitando
qualsiasi forma di sfruttamento pregiudizievole di esse ed
educare ad una maggiore consapevolezza del problema
ambientale, anche attraverso interventi quali l’addebito
all’inquinatore dei costi derivanti dei danni ad esso
provocati (2).
Attraverso l’emanazione di tali principi vengono
stabilite le linee guida per la futura azione comunitaria in
materia di rifiuti, riservando fin da allora particolare
interesse non tanto alla gestione dei rifiuti già prodotti,
quanto alla necessità di prevenirne e ridurne la
formazione, diminuendo contemporaneamente la quantità
e la pericolosità del flusso dei rifiuti avviati allo
smaltimento. La Comunità, inoltre, mirava a creare un
corpus normativo organico in grado di armonizzare i
sistemi di organizzazione e gestione dei rifiuti nell’ambito
14
dell’intero territorio comunitario fino ad allora disciplinati
in maniera molto frammentaria.
In tal senso si muovono i testi base della normativa
comunitaria in tema di rifiuti e cioè, la direttiva quadro
75/442/CEE, varata il 15 luglio 1975, sui rifiuti in
generale e la direttiva 78/319/CEE, varata il 20 marzo
1978, relativa ai rifiuti tossici e pericolosi.
La direttiva 75/442/CEE quale primo atto
comunitario nel settore poneva come obiettivo
fondamentale la diminuzione della quantità dei rifiuti, il
loro riciclo, recupero o riutilizzo
2
e, laddove ciò non fosse
possibile, richiedeva che lo smaltimento venisse realizzato
senza alcun pericolo per la salute dell’uomo e senza danni
o rischi particolari per l’ambiente
3
.
La stessa direttiva forniva, per la prima volta,
un’esatta definizione del termine rifiuto, stabilendo che
doveva considerarsi tale “qualsiasi sostanza od oggetto di
cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi
secondo le disposizioni nazionali vigenti”, ed interveniva,
inoltre, a specificare il termine “smaltimento”, che si
realizzava attraverso la raccolta, la cernita, il trasporto, il
trattamento, l’ammasso od il deposito sul o nel suolo dei
rifiuti, comprendendo anche tutte le operazioni di
2
Il testo dell’art. 3 della direttiva in esame sancisce che: “ Gli stati membri adottano le
misure atte a promuovere la prevenzione, il riciclo, la trasformazione dei rifiuti e
l’estrazione dai medesimi di materie prime ed eventualmente di energia nonché ogni
altro mezzo che consente il riutilizzo dei rifiuti”.
3
L’art. 4, afferma che: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare
che i rifiuti verranno smaltiti senza alcun pericolo per la salute dell’uomo e senza
recare pregiudizio all’ambiente ed in particolare: - senza creare rischi per l’acqua,
l’aria, il suolo e per la flora e la fauna; - senza causare inconvenienti da rumori od
odori; - senza danneggiare la natura ed il paesaggio”.
15
trasformazione necessarie per il riutilizzo, il riciclo o il
recupero dei rifiuti stessi. La direttiva 75/442/CEE,
inoltre, imponeva agli Stati membri di elaborare piani di
smaltimento dei rifiuti particolareggiati restando, tuttavia,
liberi di regolamentare la materia, tenendo presente però
gli obiettivi enunciati a livello comunitario.
In Italia le direttive 75/442 e 78/319 sono state
recepite con D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982, in
notevole ritardo dunque rispetto alla loro emanazione.
Tale decreto costituiva la prima legge-quadro del settore
in quanto, prima della sua entrata in vigore, la materia era
disciplinata in modo frammentario da vari corpi di legge
4
.
Esso è stato per lungo tempo, seppur con successive e
numerose modificazioni ed integrazioni, il principale
riferimento normativo in materia di rifiuti nel nostro
paese.
Il decreto fissava innanzitutto i principi generali che
avrebbero regolato lo smaltimento dei rifiuti, in
particolare, bisognava evitare ogni pericolo o danno per la
salute umana garantendo l’incolumità e il benessere dei
singoli e della collettività ed evitare danni od
inquinamento dell’ambiente circostante. In virtù di quanto
stabilito dalle direttive comunitarie, inoltre, prevedeva che
venissero promossi, con l’osservanza di criteri di
economicità ed efficienza, sistemi di gestione tendenti a
limitare la produzione di rifiuti e a riciclare e reimpiegare
i rifiuti o a recuperare da essi materia ed energia.
4
In particolare la principale disciplina era dettata dalla legge n. 366 del 20 marzo 1941
– Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani – e testo unico delle leggi
sanitarie.