2007, la quale, tra l’altro, ha previsto la soggettività tributaria del trust e disposto due
presunzioni per contrastarne l’uso elusivo.
Si conclude l’elaborato con la disamina di come il sistema penale italiano reagisca di
fronte a degli utilizzi anomali dell’istituto in questione, in particolare di quelli elusivi delle
norme tributarie. Nella terza parte, infatti, si cerca di rispondere alla seguente domanda: “il
trust, nel suo abuso diretto ad eludere una norma tributaria, può assumere rilevanza
penale?”.
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PARTE PRIMA
DAL TRUST DEL “MODELLO INGLESE” AL TRUST IN ITALIA
Capitolo I: Il trust del modello inglese
1.1. Le origini del trust
Il trust è un istituto giuridico così profondamente radicato nella storia del diritto inglese
che non sarebbe possibile capirne lo sviluppo moderno senza conoscerne, anche solo
sommariamente, la storia.
La nascita del trust deriva infatti direttamente dalle ingiustizie perpetrate durante il
periodo medievale dai Lord sui Tenant1 e dal divieto di possedere proprietà immobiliari per
determinati soggetti (come gli ordini religiosi, ma non solo) i quali, per fare un paragone
con il diritto moderno, potrebbero essere equiparati alle associazioni non riconosciute
dell’ordinamento giuridico italiano. Un ruolo non marginale nella nascita del trust fu
dovuto, poi, alla volontà delle persone gravate da ingenti debiti di mettere al riparo i loro
beni dai creditori.
1
Il diritto di proprietà feudale inglese si caratterizzava dal fatto che il re, proprietario di tutta la terra, divideva
la stessa tra i suoi feudatari (i lord appunto) non attribuendone, peraltro, la proprietà bensì un ampio diritto di
godimento, tanto che poi i lord subconcedevano la terra ai loro sottoposti (tenant), da non confondere con la
servitù della gleba, che, invece, era considerata come parte integrante del fondo in gestione.
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Una soluzione tanto adeguata alla difficoltà dei tenant quanto a quelle dei debitori
cominciò a diffondersi in Inghilterra con la pratica dello use2, che può essere considerato
l’antenato più diretto del trust. Secondo lo use, se il tenant (c.d. feoffor) intendeva aggirare
il divieto di testare in ordine al suo estate3 sul fondo, non doveva far altro che trasferirlo ad
un altro soggetto (c.d. feoffee to use), specificando che durante la sua vita il feoffee to use
avrebbe dovuto versargli i frutti del fondo e che alla sua morte avrebbe dovuto trasferire
l’estate al soggetto o ai soggetti, indicati dal feoffor (cesti que use).
Tipicamente i feoffee to use erano molti e questo permetteva agli eredi del tenant di non
dover sottostare a tutta quella serie d’obbligazioni normalmente dovute al lord quando il
tenant lasciava solo eredi minorenni (come il diritto di godere dei frutti del fondo fino alla
maggiore età dell’erede e quello di sceglierne la sposa); inoltre la pratica dello use non
soggiaceva al rigido formalismo degli atti sottoposti al legal estates4.
L’atteggiamento delle Corti di Common Law verso lo use fu ambivalente: da una parte
si tentò di colpirne gli usi fraudolenti (ed in particolare quelli il cui scopo principale fosse
frodare i creditori del settlor) e dall’altra, fu negata al titolare dello use qualunque tutela at
law5 nel caso in cui il feoffee avesse tenuto una condotta lesiva dello use stesso. Poiché
2
È bene chiarire subito che lo use non deriva dal latino usus ma da opus ,che nel francese antico divenne oes
e fu poi anglicizzato in use. L’espressione ad opus era usata per indicare l’espressione “a beneficio di” o “per
conto di”. Cfr. BARTOLI S., Il trust, Giuffrè editore, Milano, 2001, 58 e ss..
3
Con il termine estate s’intende il titolo che un soggetto può vantare su un fondo. BARTOLI S., Il trust, cit.,
28.
4
Con il termine legal estates s’intendono tutti quei diritti che trovano tutela in sede di Common Law (in senso
stretto, cioè non comprensiva dell’Equity); sono stati anche definiti come le “situazioni giuridiche che
possiedono in modo più marcato i caratteri propri dei diritti reali di godimento”. Cfr. GRAZIADEI M.,
Diritti nell’interesse altrui. Undischosed agency e trusts nell’esperienza giuridica inglese, Trento, 1995, 184.
5
Con questa espressione vengono generalmente intesi i rimedi derivanti dalla Common Law in senso stretto.
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titolare del legal estate era solo il feoffee, le obbligazioni che questo aveva preso con il
settlor erano da considerare “solo di coscienza6” e quindi non tutelabili at law. Nel XVI
sec., in ragione delle sempre più frequenti lamentele dei settlor traditi, intervenne la
giurisdizione di Equity, che riconobbe la presenza di un equitable interest7 in capo al
beneficiario dello use e condannando il feoffee infedele al rispetto dell’impegno preso e
quindi ad usare la proprietà nel modo e per le finalità indicate dal feoffor. Tale vincolo finì
per diventare opponibile ad ogni eventuale acquirente dei beni posti in use (eccezion fatta
per quelli in buona fede).
Nel 1535 venne promulgato lo Statute of Uses con lo scopo di fare dello use un normale
passaggio di proprietà che, come tale, aveva l’effetto di far diventare tenant del fondo il
cestui que use e quindi soggetto a tutti gli obblighi di un normale tenant. In sostanza, il
sistema feudale cercava di togliere potere alla figura del feoffee to use e di riappropriarsi dei
suoi antichi privilegi. La legge però fu interpretata dalle Corti in senso molto restrittivo ed
in breve tempo nacque la pratica dello use upon a use.
Con lo use upon a use, il feoffor costituiva uno use classico, ma con un passaggio
intermedio: invece d’incaricare il feoffe to use di trasferire il fondo verso il vero
beneficiario, lo incaricava di trasferirlo ad un beneficiario intermedio che lo avrebbe
trasferito al vero beneficiario secondo la formula dello “to use of beneficiary to the use of
beneficiary”; in questo modo la proprietà andava al beneficiario intermedio mentre il
6
Cfr. BARTOLI S., Il trust, cit., 62.
7
Gli equitable interests sono i diritti suscettibili d’essere difesi appunto per via equitativa ovvero secondo i
canoni dell’Equity.
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passaggio a favore del vero beneficiario veniva ignorato, perché considerato di secondo
grado. Il risultato dello Statute of Uses e soprattutto della reazione ad esso, fu quello di
riportare indietro di un secolo la legislazione sullo use; aggirando lo Satute of Uses, infatti,
il cestui que use perdeva anche le tutele che questo gli riconosceva, restando solo con una
pretesa morale nei confronti del feoffee to use infedele, assolutamente non spendibile in
tribunale.
Come era accaduto per lo use anche per lo use upon a use (nel 1634) fu sancito il
principio secondo il quale il titolare dello use upon a use meritava tutela in Equity
riportando la controversia allo stato in cui si trovava immediatamente prima della
promulgazione dello Statute of Uses8.
Fu dopo questa decisione che, in un’operazione del genere, l’acquirente del legal estate
cessò di essere chiamato feoffee to use ed assunse il nome di trustee; analogamente, il
titolare dello use non venne più chiamato cestui que use ma cestui que trust, il cui oggetto
andò estendendosi col tempo, fino ad andare ben oltre gli estate in land, arrivando a
comprendere i beni e diritti più disparati9.
8
Nel 1634, il Cancelliere, risolvendo il caso Samlach c. Dalton, dichiarò che il beneficiario intermedio fosse
titolare dello use e che disponesse del legal estate per lo use del beneficiario, che quindi godeva di
un’equtable interest. La pratica dello use upon a use, rese del tutto inoperante lo Statute of uses, al punto che,
col passar del tempo, si cessò di far ricorso al secondo use, trasferendo direttamente l’estate ad un soggetto
per lo use di coloro che intendevano beneficiarne (e questo, anche se lo Statute of uses restò formalmente in
vigore fino al 1925). Cfr. BARTOLI S., Il trust, cit., 66 e ss..
9
Con riguardo all’oggetto del trust, occorre evidenziare che al trustee possono essere attribuiti non solo dei
legal estates, ma anche qualunque altro tipo di diritto, compresi gli equitable interests. Il beneficiario d’un
trust può, cioè, costituire un nuovo trust che abbia per oggetto i diritti che ha acquisito come cestui que trust e
che lui trasferirà ad un trustee di sua fiducia con l’accordo di passarli ad un beneficiario ultimo.
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In conclusione di questo breve excursus storico10, il trust è dunque un istituto
appartenente alla cultura giuridica ed all’esperienza dei Paesi di Common Law, primo fra
tutti l’Inghilterra, ed è a tutti gli effetti una creatura dell’Equity11, costituendone anzi
un’espressione emblematica. Proprio perché la sua fonte è riconducibile ad una pratica
consolidata da secoli, non è mai esistita una legge scritta che compiutamente disciplinasse
l’istituto. In pratica, quindi, il regime del trust è risultato dalla coesistenza di due distinti
ordini di regole, la Common Law e l’Equity12.
1.2. Il trust: caratteristiche generali
Tentare di dare una definizione di trust è un compito assai arduo, visto il poliformismo
dell’istituto. Secondo infatti la classica configurazione elementare, il trust implica il
trasferimento da parte del disponente (o settlor), con atto tra vivi o mortis causa, della
proprietà di uno o più beni in capo ad un fiduciario (o trustee), il quale acquista la proprietà
“legale” del bene (ossia la proprietà tutelata dalla Common Law) ed al quale è affidato
l’incarico di utilizzare i beni (che costituiscono il trust fund o trust estate) a vantaggio di un
beneficiario (il quale acquista la proprietà “equitativa” del bene stesso, ossia la proprietà
tutelata dall’Equity) o per il perseguimento di uno scopo definito.
10
Per una più compiuta analisi storica sul tema si veda CHESIRE C.G. , Il concetto del trust secondo la
Common Law inglese, Torino, Giuffrè, 1993; COROCHER C. , ORNELLA G. e SFORZA F., TRUST:
strumento di pianificazione per la gestione patrimoniale, Rimini, Maggioli, 1997, pagg. 9 e ss.
11
Per un maggior approfondimento sul diritto inglese, si confronti CRISCUOLI G., Introduzione allo studio
del diritto inglese. Le fonti, Milano, 1994; per ciò che concerne le basi e la tutela dell’Equity si confronti,
inoltre, LUPOI M., Trusts, Milano, 2001, pagg. 23 e ss.
12
GAMBARO A., Il Diritto di proprietà, in “Trattato di Diritto Civile e Commerciale”, Giuffrè 1995, pagg.
627 e ss.
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Secondo tale impostazione, un trust sarebbe la risultante di due negozi collegati fra di
loro: il negozio (unilaterale) istitutivo, che contiene le regole cui il trustee dovrà attenersi
nell’amministrazione del trust fund ed il negozio dispositivo, grazie al quale i beni vengono
trasferiti dal disponente al trustee, che li amministrerà seguendo i vincoli del suddetto
accordo.
L’effetto dell’istituzione del trust non è quello di creare un nuovo soggetto di diritto, ma
di fare di quanto trasferito un patrimonio separato da quello personale del trustee (nuovo
proprietario dei beni e quindi titolare del legal estate), cioè, inattaccabile dai creditori
personali del costituente, del trustee o del beneficiario. Oltre all’effetto traslativo (dal
disponente al trustee), il trust produce un ulteriore effetto: l’attribuzione al beneficiario di
una posizione giuridica qualificabile come un equitable estate.
Con l’istituzione del trust, quindi, il trustee diventa proprietario dei beni trasferitigli dal
costituente, ma la sua proprietà è affetta dal vincolo di amministrare questi beni secondo
l’uso e per le finalità indicate nell’atto istitutivo.
Bisogna tener ben presente che questa regola è di ordine generale e non vale cioè solo
per i trusts dinamici (cioè caratterizzati dal trasferimento del diritto dal disponente al
trustee), ma anche per quelli statici, nei quali il disponente si dichiara trustee dei suoi beni
o diritti, determinati a vantaggio di un beneficiario o per un determinato scopo. Il
disponente avendo demandato al trustee l’attuazione delle finalità consacrate nell’atto
istitutivo ed essendosi privato dei beni, ne perde non solo la titolarità ma anche il controllo;
in caso contrario, infatti, il trust sarebbe dichiarato nullo per simulazione13.
13
Cfr. BARTOLI S., Il trust, cit., 85.
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