5
programmazione, che, evolvendosi di pari passo al mezzo televisivo, ha sviluppato e
sperimentato, con gli anni, accurate strategie di proposizione. Successivamente, la
nascita di un programma televisivo, propone fasi e protagonisti dell’organizzazione
produttiva, dagli autori ai registi, dagli operatori di ripresa alle varie possibilità
offerte dal progresso tecnologico e dalla creatività umana. Infine, un tentativo di
porre alcuni interrogativi, relativamente agli effetti della globalizzazione nel settore
della comunicazione, ed un breve discorso sia sui due principali modelli televisivi
(pubblico e commerciale) sia sulla presenza ed influenza di un sistema, quello
pubblicitario, discusso, ma evidentemente sempre più indispensabile.
Nella seconda parte, invece, vengono presentati i risultati di un’analisi di caso
concreto realizzata presso le redazioni di cinque televisioni locali di Avellino e
provincia. Attraverso una serie d’interviste a schema fisso, sono state raccolte
informazioni riguardanti gli aspetti organizzativi dell’emittenza irpina con
riferimento specifico alle televisioni di: (in ordine d’intervista) Telenostra, Irpinia Tv,
Primativvù, Retesei e Canale 58.
In conclusione, lo scopo principale di questo lavoro, potrebbe dirsi quello di
proporre, in relazione al tema della comunicazione televisiva, da un lato un confronto
tra aspetti generali e risultati specifici, che possa servire anche come “manuale
tecnico d’informazione” per capire meglio una realtà che si è sviluppata in un certo
modo e si presenta oggi secondo determinate caratteristiche, dall’altro la possibilità di
riflettere sia su elementi che condizionano inevitabilmente la nostra esistenza sia su
problemi, critiche e denunce sollevate che meriterebbero concreti interventi risolutivi.
6
PREMESSA
Nell’introduzione ad un suo libro del 1973, Roberto Faenza1 sottolinea come la
comunicazione rappresenti il primo passo verso la crescita e l’organizzazione e come
i mezzi di comunicazione più importanti siano costituiti dagli esseri umani e non
dalla stampa, dalla radio, dal cinema e dalla televisione, considerati solo semplici
strumenti controllabili, manipolabili e capaci di opprimere e alienare.
Visti così, infatti, tali strumenti sembrano non soddisfare un’esigenza di
comunicazione, ma limitarsi ad un’attività d’informazione che reifica i soggetti, in
quanto impedisce loro effettivamente di comunicare e di rispondere ai messaggi
trasmessi. Quest’assenza d’interazione, oltre che mettere in evidenza una mancanza
di fiducia nei confronti delle masse, o meglio nella loro capacità di comunicare,
rischia di provocare un isolamento per gli individui che diventano semplici ricettori
di immagini ed idee senza avere la possibilità di criticare o rifiutare concretamente
quanto viene loro mostrato e/o trasmesso da chi detiene il controllo di tali mezzi.
L’obiettivo primario di questo meccanismo diviene, quindi, quello di privilegiare
processi informativi piuttosto che di comunicazione prestando scarso interesse alle
esigenze e ai desideri delle masse che sono costrette ad accettare passivamente
un’attribuzione d’incapacità che non ha i supporti necessari per essere smentita.
E’ a questo punto che la comunicazione, intesa come dialogo, collante sociale,
rivela tutta la sua importanza come strumento d’organizzazione collettiva che può
favorire l’affermazione di posizioni e punti di vista destinati altrimenti a rimanere
1
Cfr. Roberto Faenza, Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, Feltrinelli, Milano 1973.
7
nell’ombra, nell’anonimato, o peggio ancora subordinati al controllo delle classi
dirigenti e della tecnologia. L’obiettivo dei mezzi di comunicazione dovrebbe essere,
quindi, quello di avvicinare o quanto meno ridurre le distanze tra coloro che hanno in
comune gli stessi problemi e le stesse esigenze senza creare confusione, ansia e
isolamento. Tuttavia, la tendenza, troppo spesso diffusa, di non ascoltare gli interessi
del pubblico rende difficile questo processo finendo col favorire forme di
comunicazione che creano un disinteresse generale nei confronti di prodotti, come
quelli televisivi ad esempio, che attraverso un bombardamento continuo di immagini
e suoni creano alienazione, stress psicofisico e reazioni emozionali meccaniche
impedendo partecipazione, percezione critica della realtà e acquisizione di una
propria coscienza. Uno degli elementi, in cui trova espressione questa esigenza di
superamento della ricezione passiva dei programmi televisivi, è costituito dalla TV
interattiva
2
(TVI) che rappresenta, appunto, la concreta possibilità da parte del
pubblico di diventare protagonista attivo del processo di comunicazione interagendo
con il medium secondo proprie scelte individuali e potendo all’occorrenza esercitare
la facoltà di controllo sull’offerta televisiva. Tale richiesta, sempre più evidente, di
acquisire un ruolo più attivo nell’ambito della comunicazione massmediale, nasce,
secondo i sostenitori della TVI, da un bisogno innato d’interazione capace di
stimolare e incrementare l’intelligenza e la creatività contrariamente alla TV normale
rea di provocare depressione e isolamento. Si verifica, in pratica, un passaggio da una
comunicazione unidirezionale ad una bidirezionale più vera, in quanto caratterizzata
2
Cfr. Maria Grazia Mattei, Televisione e interattività, Il Portolano, Pavia 1994.
8
da reciprocità, e più efficace. Tuttavia, l’interattività, così come ogni forma di
comunicazione, va introdotta gradualmente prestando attenzione non solo al terreno
tecnico ed economico, ma anche a quello più delicato delle mentalità, in quanto anche
le aziende televisive si trovano a dover affrontare problemi riguardanti le loro scelte
tecnologiche e le loro strategie culturali e finanziarie. I critici di questo sistema,
invece, considerano l’interattività, con riferimento soprattutto alle reti telematiche,
come una via di fuga dalle paure e dalle insicurezze che contribuisce alla creazione
d’identità ed esperienze labili, complesse e diversificate in risposta ad una società
disintegrata. D’altro canto, l’evoluzione dei mezzi di comunicazione ha manifestato
sin dall’inizio una particolare capacità nell’influenzare la vita sociale; la televisione,
ad esempio, fin dai suoi primi sviluppi negli USA (anni Cinquanta), ha
immediatamente modificato molte delle abitudini dei cittadini, proponendosi come
bene pubblico indivisibile e affidandosi alla pubblicità come meccanismo di
conversione dei programmi in beni privati da vendere dapprima ad un pubblico
generico, poi, verso la fine degli anni Sessanta, a pubblici particolari calcolando il
loro potere d’acquisto e sfruttando le informazioni demografiche fornite dalle varie
compagnie oltre che la relativa bassa concorrenzialità degli altri media
3
. Seguendo
questo discorso, diventa tema di discussione (forse perenne) l’utilizzo e la funzione di
un sistema, quello pubblicitario, che si è notevolmente evoluto attraversando fasi di
critica che hanno coinvolto la reclamizzazione di alcuni prodotti e fasi di modifiche
sostanziali riguardanti, ad esempio, la logica di mercato, l’aspetto e il tipo di
3
Cfr. Roberto Grandi, Radio e televisione negli Stati Uniti, Feltrinelli, Milano 1980.
9
messaggi variabili e variati da paese a paese nei tempi e nei modi di trasmissione, ma
sempre capaci di influenzare la percezione estetica di un’intera popolazione nonché le
modalità stesse di produzione dei programmi televisivi
4
. In questo processo
comunicativo che, grazie all’introduzione delle reti tematiche, all’aumento dei canali
e ad altri mezzi come il videoregistratore e la Pay per View, risulta sempre più
svincolato dal controllo di chi invia i messaggi, l’esigenza d’interagire riveste
un’importanza particolare, potendo la pubblicità interattiva garantire il controllo
dell’efficacia del messaggio e una maggiore identificazione del prodotto da parte dei
consumatori. Tutto questo, in virtù di una targettizzazione che risponde
maggiormente alle esigenze del telespettatore e che trasforma il suo senso di
frustrazione nei confronti della pubblicità (intesa come un qualcosa imposto
dall’esterno) in attiva partecipazione. Inoltre, la prioritaria attenzione fornita alle
esigenze individuali piuttosto che alle tecnologie, facilita lo sviluppo di un marketing
interattivo evitando di presentare l’innovazione come qualcosa che disumanizza la
famiglia.
La televisione
5
, infatti, rappresenta un mezzo essenzialmente familiare, forse
troppo, capace di inserirsi nella quotidianità fornendo dati, notizie, violando anche
regole di privacy o d’intimità che non dovrebbero essere violate, penetrando nelle
case e condizionando la vita e le identità attraverso logiche di mercato e pedagogiche-
4
“Il programma di successo viene così ampiamente pubblicizzato prima della sua programmazione che diviene
necessariamente un avvenimento cui assistere e del quale è necessario parlare, nel bene e nel male”.
Grandi, op. cit., p. 146.
5
Cfr. Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995.
10
educative che portano a produrre nello stesso tempo massificazione e
individualizzazione.
Tuttavia, la sua funzione comunicativa è molto difficile da assolvere in quanto
non tutti captano ed interpretano allo stesso modo i testi e i messaggi televisivi
all’interno di un contesto sociale dove i mass media sono visti sia come riproduttori
sia come costruttori della realtà e dove l’eccesso d’informazioni, di culture,
d’interpretazioni e di canali comunicativi produce paradossalmente incomunicabilità
nell’odierna società della comunicazione.
Tale difficoltà, ovviamente, risulta amplificata in un paese attraversato da forti
squilibri territoriali, di sesso e di classe e colpisce anche le stesse aziende televisive
che da un lato hanno la possibilità di conferire contemporaneità all’informazione
6
rendendola spettacolare e facilmente fruibile, dall’altro si trovano spesso a
fronteggiare lamentele e liti a causa di una risorsa (l’informazione appunto) che
finisce col diventare a volte un fastidioso dovere. Inoltre, il dominio esercitato dalle
strutture informatiche rende possibile una svalutazione delle notizie che corrono il
rischio di essere analizzate in maniera sommaria, incompleta e di parte, mentre
dovrebbero essere riconsiderate in virtù dei loro effetti sulla nostra esistenza sociale,
individuale, culturale e affettiva attraverso un’esaltazione delle spiegazioni e ridando
importanza alle idee, alle opinioni e alle testimonianze. I TG, ad esempio, spesso
diventano veicoli d’incomprensibilità quando si limitano a riferire generando nei
telespettatori «impressione» ma non «informazione» mostrando così una scarsa
6
Cfr. Enrico Menduni, La risorsa informazione, Riuniti, Roma 1985.
11
capacità di sfruttare le enormi potenzialità del mezzo televisivo di penetrare in diretta
nell’attualità e di cogliere e mostrare gli stati d’animo collettivi, le passioni, i
sentimenti profondi delle masse che hanno la possibilità di partecipare direttamente
ad alcuni appuntamenti, a volte eventi storici. Tuttavia, proprio la tendenza a cogliere
soprattutto l’aspetto emotivo e spettacolare degli avvenimenti, piuttosto che acquisire
dati per arricchire la conoscenza, insieme alla rappresentazione di fatti come fini a se
stessi, privi cioè di un quadro di riferimento o di legami capaci di rispondere agli
interrogativi che lo spettatore si pone, sono due dei limiti più gravi presenti
nell’informazione televisiva; spesso gli eventi sono incorniciati in modo discontinuo
e sono comunicate notizie di poco conto solo perché accompagnate da immagini
coinvolgenti, attrattive e suggestive che finiscono col fornire l’idea di una società
imprevedibile ed instabile. Altre volte, fatti già detti e discussi vengono inutilmente
riproposti e ribaditi denunciando probabilmente una sorta di dipendenza dai vertici
governativi che, forse, oggi più che mai condizionano le strutture e le aziende
televisive, inserendosi in meccanismi che finiscono per mettere in secondo piano gli
utenti che invece dovrebbero essere al centro delle preoccupazioni di direttori e
giornalisti. La varietà stessa dei TG genera dubbi e non omologazione attraverso la
trasmissione di elenchi diversi di eventi ritenuti importanti e varianti dello stesso
evento privilegiando in alcuni casi la logica del non dire (in tutto o in parte) ciò che si
potrebbe o dovrebbe, in altri quella della rielaborazione e della reinterpretazione.
L’informazione, in quanto servizio pubblico, rappresenta un bene
indispensabile per i singoli e per la comunità nelle attuali condizioni di sviluppo
12
complessivo della società e diventa quasi un obbligo soprattutto quando deve essere
garantita da un’azienda, come la Rai ad esempio che, oltre ad avere il compito di
soddisfare esigenze di democrazia e pluralismo rispondendo ad interessi generali e
non privati e settoriali, ha anche la possibilità di ottenere un ritorno in termini di
credibilità e di rapporto preferenziale da parte del pubblico. Un’informazione di
questo tipo rappresenta un formidabile punto di riferimento per l’intera popolazione,
in quanto fornisce quotidianamente un’immagine della società e dell’agire collettivo
cui tutti possono e devono ricorrere e grazie alla quale è possibile sviluppare una
riflessione critica aperta, leale, non ideologizzata che è indispensabile affinché i fatti
non siano inerti, inespressivi, insignificanti e affinché il servizio informativo non
perda il suo ruolo comunitario e civile e riesca ad evitare l’atomizzazione e la
disgregazione sociale.
In definitiva, quindi, seguendo anche alcune indicazioni fornite dai vertici
statali
7
, bisognerebbe sottolineare alcuni aspetti utili per il rafforzamento delle
aziende, la nascita di nuove, per garantire l’imparzialità e il pluralismo inteso come
possibilità di attingere conoscenze e notizie da più fonti, come obiettività e
imparzialità dei dati forniti e come completezza e correttezza dell’informazione. Tali
indicazioni pongono l’accento in modo particolare sul ruolo centrale del servizio
pubblico, sulla tutela dei minori spesso non tenuta nella dovuta considerazione nelle
programmazioni delle emittenti televisive e sulla libertà d’espressione intesa come
accesso ai media, soprattutto quelli pubblici. Tutto questo in un contesto che deve
7
Cfr. http://www.lastampa.it
13
tener conto sia dell’evoluzione tecnologica sia dello sviluppo di un mercato che con
la diffusione del sistema digitale e la globalizzazione ha creato connessioni sempre
più strette tra tv, giornali, telefonia e internet.
14
CAPITOLO PRIMO
TRA PRESENTE E PASSATO
Analizzando le funzioni svolte oggi dai mezzi di comunicazione di massa,
soprattutto in relazione alla loro capacità di presentarsi come puntuali e personali
punti di riferimento, è pienamente condivisibile, a mio avviso, un’osservazione fatta
da Peppino Ortoleva1, secondo la quale tali mezzi paiono segnare i nostri percorsi
esistenziali e fissare le date della nostra storia, facendo da ponte fra il tempo privato
della vita individuale e familiare e quello pubblico della vita associata. La duplice
azione di contenere memorie ed ancorare esperienze, dipende dal fatto che guardare
la televisione, andare al cinema, leggere libri, ascoltare la radio o i dischi sono attività
tra le più diffuse e condivise della società contemporanea. Tali attività, tuttavia, pur
diventando a volte semplici abitudini, non sono mai del tutto ripetitive, ma
contengono sempre qualcosa di nuovo e di non programmato, favorite in questo
dall’esigenza dell’industria culturale di presentare, spesso con esiti di difficile
previsione, sempre prodotti diversi per attirare l’attenzione di lettori, spettatori o
ascoltatori. L’importanza di tali prodotti, poi, appare evidente se solo si pensa che
mentre le altre merci, che fanno parte del mondo fisico, condizionano soprattutto il
rapporto tra gli esseri umani e il loro ambiente, essi, in quanto comunicazione,
condizionano i rapporti sociali, oltre che la vita interiore di ciascuno.
La televisione rappresenta uno dei mezzi che esemplifica al meglio processi di
questo tipo fornendo risposte alle esigenze individuali, riempiendo i momenti di
1
Cfr. Peppino Ortoleva, Mass media nascita e industrializzazione, Giunti, Firenze, 1995.
15
solitudine e divenendo ormai parte integrante della vita intima delle persone. Questo
fa si che l’acquisizione e il consumo d’informazioni assumano carattere strettamente
privato anche se condivise con migliaia, a volte con milioni, di altre persone. Da una
parte, quindi, i media, e in particolare la televisione, hanno avuto e hanno l’effetto di
superare alcune delle barriere che in precedenza dividevano le varie aree della vita
sociale, oltre che diversi gruppi ed etnie; dall’altra, il persistere di differenze
favorisce fenomeni di intolleranza e spinge a rivendicare identità sempre più remote e
private.
La televisione s’impose come il medium più diffuso e più influente dopo la
seconda guerra mondiale, insediandosi nelle case della popolazione dei paesi
sviluppati con una rapidità straordinaria (nell’arco di sette anni, dal 1947 al 1954,
aveva conquistato oltre la metà delle abitazioni americane, mentre nei paesi europei
occidentali s’impose nella maggioranza delle case in meno di un decennio).
L’obiettivo di questo potente mezzo era quello di riempire le giornate delle famiglie e
catturare l’attenzione di un pubblico numeroso. Dal punto di vista organizzativo,
chiara fu la continuità fra la televisione (medium familiare) e la radio (medium
d’accompagnamento): ben presto, infatti, negli USA e in Europa, i network che
avevano coordinato le emissioni radiofoniche nazionali modificarono le proprie
strutture e divennero televisivi. Solo in Gran Bretagna, l’azione innovativa fu più
consistente e le pressioni politiche portarono alla formazione di un sistema televisivo
“pluralista” e parzialmente “commerciale”, con la creazione di un ente pubblico
indipendente e autorizzato a rilasciare concessioni ai privati. La continuità fu