giungere ad una gestione dell Ente che sia coerente
con i bisogni della collettivit ma, nel contempo,
sia anche efficiente.
Il presente lavoro vuole affrontare, con
chiarezza e trasparenza, i problemi della
massimizzazione dell efficienza e della economicit
nella gestione dell Ente comunale, una problematica
quanto mai resa attuale dal legislatore attraverso
la legge 8 giugno 1990 n. 142 ed il Decreto
Legislativo 25 febbraio 1995 n. 77.
La rapida evoluzione, iniziata nei primi anni
del 70, della Pubblica Amministrazione, infatti, ha
portato alla crescita della sua struttura
organizzativa ed ad una sempre maggior complessit e
lentezza del procedimento decisionale, attenuando
gli squilibri sociali piø rilevanti ma incrementando
anche gli sprechi, le duplicazioni di attivit e le
inefficienze economico-finanziarie.
Si Ł cos venuta a creare una situazione che ha
richiesto al legislatore l emanazione dei
summenzionati provvedimenti, che hanno introdotto il
nuovo e rivoluzionario sistema di pianificazione,
programmazione e controllo di gestione.
In effetti l esperienza che oggi sta prendendo
il via in Italia non Ł del tutto nuova, in quanto
gi nel 1965 il Presidente degli Stati Uniti Lincoln
Johnson introdusse il Planning, Programming and
Budgeting System .
A differenza, per , di quanto si potrebbe
pensare, l esperienza maturata in altri contesti non
Ł importabile, in quanto legata specificamente ad
essi: il fatto che gli USA abbiano adottato il
controllo di gestione come strumento per la ricerca
di efficacia ed efficienza della Pubblica
Amministrazione indica solo che la via intrapresa Ł
quella corretta. Ma non basta imporre il sistema di
controllo di gestione attraverso un intervento
legislativo, in quanto sussiste il rischio che
l Ente si limiti a farlo funzionare senza alcun
interesse o, peggio, senza acquisirne lo spirito
fortemente innovatore. In una simile situazione il
controllo di gestione, anzichØ divenire parte
integrante del processo direzionale, si ridurrebbe
ad un complesso di attivit burocratiche.
Per questa ragione, nel presente lavoro, Ł stata
riportata l esperienza maturata nel Comune di
Rovereto, esperienza che, sebbene limitata o
passibile di critiche, ha il pregio di mostrare
concretamente quali siano le complesse problematiche
da affrontare nell introduzione dell indirizzo delle
risorse umane verso obiettivi di efficienza ed
efficacia.
INTRODUZIONE
Abramo Lincoln disse: Se riuscissimo a sapere
dove siamo, e qualcosa riguardo a come ci siamo
arrivati, potremmo intravedere dove ci stiamo
dirigendo e, se il cammino da percorrere fosse
difficoltoso, saremmo ancora in tempo a cambiare
direzione.
Questo motto rende esattamente l idea di cosa
sia il controllo di gestione: esso permette di
formulare giudizi, in termini di efficienza ed
efficacia, idonei a qualificare l attivit dell Ente
proteso alla realizzazione degli obiettivi da
perseguire, ma deve anche fornire esattamente le
ragioni dell eventuale mancata realizzazione degli
obiettivi ed i correttivi da adottare.
Il presente lavoro Ł articolato in due parti: la
prima, intitolata L economia ed il controllo
dell ente locale , costituisce il supporto generale
e teorico della trattazione, mentre la seconda,
denominata Il caso dell Amministrazione comunale di
Rovereto , vuole riportare l esperienza pratica
maturata in un quinquennio nel tentativo di
introdurre un sistema di controllo di gestione.
Lo schema di lavoro seguito Ł molto semplice, in
quanto si parte da considerazioni generali per
arrivare alla trattazione specifica del caso.
Punto di partenza Ł stata la constatazione che
l Ente pubblico, pur essendo basato nel suo
funzionamento sugli stessi principi dell impresa
privata (principi necessari per la sua sopravvivenza
nel tempo), a differenza di quest ultima non Ł
dotato di quel sintetico indicatore di buon
funzionamento che Ł il mercato. L intero capitolo
primo, dunque, riporta come sia possibile
identificare nel controllo di gestione un mercato
virtuale e le ragioni dell introduzione di questa
nuova forma di controllo sull attivit dell ente,
forma che vuole solo integrare, e non certamente
sostituire, il controllo di legittimit .
L opportunit di adeguare i controlli alle nuove
realt e le connesse nuove esigenze Ł trattato nel
secondo capitolo: la presentazione del decreto
legislativo n. 77/95 permette, infatti, di esporre
da un altra ottica (quella del legislatore, ben
differente da quella accademico-economica del primo
capitolo) le ragioni della necessit
dell introduzione del controllo di gestione
nell Ente Locale.
Il terzo capitolo illustra piø dettagliatamente
l intero sistema di controllo proprio dell Ente
Locale: i principi ispiratori del nuovo ordinamento
finanziario e contabile, gli innovativi strumenti,
la novit della logica budgetaria, il controllo di
gestione come sistema di controllo interno, il
rovesciamento della logica sottostante i controlli.
Nel quarto capitolo viene affrontato il
controllo di gestione come superamento del controllo
esterno, incapace di garantire da solo quel buon
andamento della pubblica amministrazione propugnato
dall articolo 97 della stessa Costituzione. Vengono
presentate le finalit , la logica e gli strumenti
del sistema del controllo di gestione; vengono
fornite, inoltre, le precise definizioni economiche
di termini quali: efficienza, efficacia,
economicit , logica budgetaria, ecc. In sede di
apertura del capitolo sono presentati immediatamente
i maggiori nodi connessi al controllo di gestione:
il lettore viene subito posto a conoscenza delle
concrete problematiche riscontrate a vari livelli
dagli esperti di vari settori (ad esempio: segretari
comunali, accademici, membri della Corte dei Conti).
Il capitolo si chiude con i requisiti richiesti alla
contabilit per raggiungere la soprammenzionata
correttezza nella determinazione dei risultati
conseguiti e, quindi, nella gestione.
Il quinto capitolo, dopo aver presentato la
situazione nazionale, illustra il contesto sui
generis in cui si colloca l esperienza riportata.
Infatti il Comune di Rovereto Ł collocato in una
regione a statuto speciale: il Trentino-Alto Adige.
La considerazione dell autonomia di cui gode la
Regione Ł basilare, in quanto spiega le eventuali
diversit nei tempi e nelle modalit di esecuzione
della legge n. 142/90 e del Decreto Legislativo n.
77/95. In effetti tali diversit non sono di ampia
portata, ma possono essere utili per spiegare come
la differente conformazione geo-demografica possa
pesantemente influire sulla difficolt
nell introduzione del processo di
responsabilizzazione posto alla base del controllo
di gestione.
Nel sesto capitolo viene riportato un modello di
controllo di gestione, caratterizzato dalla massima
semplicit possibile nell impostazione e
nell utilizzo. Vengono, poi, spiegate le ragioni e
le finalit dell adozione di quel particolare
modello fra i molti proponibili e sono date le
principali definizioni dei componenti del controllo
di gestione: a differenza di come potrebbe apparire
a prima vista, qui non si ha una ripetizione del
contenuto dei capitoli precedenti sul controllo di
gestione (in particolare del capitolo quarto), in
quanto le formulazioni del capitolo sesto riassumono
gli assunti base dai quali l Amministrazione
comunale di Rovereto Ł partita nel 1990 con il
controllo di gestione.
Nel capitolo settimo sono illustrati gli
strumenti pratici adottati per il funzionamento del
sistema del controllo interno. In fase introduttiva
del capitolo vengono, inoltre, esposte le ragioni a
sostegno della semplicit (che nel contempo
costituisce anche un limite) dell impostazione del
sistema.
Il capitolo ottavo fornisce una cronistoria
degli steps operativi completati nell arco temporale
compreso fra il 1990 e il 1996, descrive le
problematiche (peraltro tuttora sussistenti)
incontrate nella creazione del sistema di reporting,
elenca i centri di responsabilit individuati e
spiega le ragioni della mancata adozione
(temporanea) dei centri di entrata.
Nel capitolo nono vengono analizzati e spiegati
gli allegati alla tesi; questi ultimi risultano
essere: le schede di programma del centro Servizi
sociali e Ragioneria , gli indicatori principali
e secondari di misura delle attivit adottati nella
struttura comunale, l elenco di tutte le attivit
elementari rintracciate nel centro Servizi sociali
ed una scheda di investimento. L inserimento, fra
gli allegati, delle due schede programmatiche e di
quella degli investimenti Ł dovuto al tentativo di
mostrare concretamente il frutto dello sforzo
quinquennale compiuto nell Amministrazione comunale
di Rovereto. La ragione della presenza dell elenco
completo delle attivit elementari del solo centro
Servizi sociali Ł da ricercarsi nell intento di
palesare l enorme mole di lavoro a cui si deve
sottoporre un Comune che decida di introdurre, anche
solo a livello minimale, un sistema di controllo di
gestione. Infine, l elenco degli indicatori
principali e secondari di misura delle attivit
elementari svolte nell intera organizzazione
comunale Ł riportato con l intento di concretizzare
il discorso relativo agli indici riportato al
paragrafo 4.4. Il capitolo si conclude con il
paragrafo 9.9. in cui vengono riportate la
situazione attuale del sistema di controllo di
gestione applicato ed un interessante riflessione
sui suoi influssi sulla politica.
Nelle Conclusioni finali vengono, infine,
presentate quelle relative all esperienza maturata
fino ad ora: le maggiori problematiche concrete
riscontrate e le loro eventuali soluzioni, i
vantaggi (per la collettivit intesa come insieme di
contribuenti ovvero di utenti, per l organizzazione
comunale, per la qualit del servizio, ecc.)
derivati dall introduzione del controllo di
gestione. Si Ł cercato, infine, di ampliare tali
conclusioni fino ad un livello generale e di
dimostrare come l esperienza pratica riportata possa
essere letta anche come laboratorio per la
verifica della veridicit delle previsioni fatte a
livello teorico-accademico.
CAPITOLO I
1. L’ENTE COMUNALE
1.1. Introduzione
Il presente capitolo vuole essere una veloce presentazione dell’ente comunale
senza alcuna presunzione di essere esaustivo dal punto di vista del diritto, pur
facendo numerosi rinvii a quest’ultima disciplina.
Andando in ordine di importanza, una prima approssimativa, ma basilare,
definizione di ente comunale è rintracciabile negli articoli 5, 128 e 129 della
Costituzione.
In effetti, con l’art. 5 il legislatore, già nel 1948, aveva gettato le basi di
quell’autonomia che solo nel 1990 venne esplicitamente riconosciuta e
promossa con la legge n. 142 del 8-6-1990.
Da notare che l’art. 5 è fondamentale per il riconoscimento dell’autonomia
degli enti locali, ma ne costituisce, nel contempo, un limite laddove così si
esprime: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i princìpi ed i modelli della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
L’autonomia in parola è riaffermata negli articoli 128
1
e 129
2
, che ribadiscono
quanto già affermato dall’art. 5.
1
L art. 128 si esprime nei seguenti termini: Le
Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell ambito dei princ pi fissati da
leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.
Una puntuale definizione di Comune e delle funzioni a questi attribuite è, però,
rintracciabile solo nella già citata legge n. 142 del 8-6-1990 all’art. 2
3
comma
2° e 4°, all’art. 9
4
comma 1° e 2° ed all’art. 10
5
comma 3°.
La legge n. 142/90, significativamente intitolata “Ordinamento delle
autonomie locali”, ha le caratteristiche di legge generale della Repubblica che
detta i princìpi dell’ordinamento dei Comuni e delle Province e ne determina
le funzioni. Essa, dunque, ha pertanto il rango di legge direttamente attuativa
della Costituzione.
La definizione di Comune come ente che “rappresenta la propria comunità ne
cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”, permette un’apertura delle
2
L art. 129 recita: Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni
di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono
essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per
un ulteriore decentramento.
3
L art. 2 della legge n. 142/90 afferma: 1. Le comunit
locali, ordinate in comuni e province, sono autonome. 2. Il comune Ł l ente
locale che rappresenta la propria comunit , ne cura gli interessi e ne promuove
lo sviluppo. 3. La provincia, ente locale intermedio fra comune e regione,
cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunit provinciale. 4. I
comuni e le province hanno autonomia statutaria ed autonomia finanziaria
nell ambito delle leggi e del coordinamento della finanza pubblica. 5. I
comuni e le province sono titolari di funzioni proprie. Esercitano, altres ,
secondo le leggi statali e regionali, le funzioni attribuite o delegate dallo
Stato e dalla regione .
4
L art. 9 della legge n. 142/90 recita: 1. Spettano al
comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il
territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali,
dell assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo
quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o
regionale, secondo le rispettive competenze. 2. Il comune, per l esercizio
delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di
decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.
5
L art. 10 cos si esprime: 1. Il comune gestisce i servizi
elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare. 2.
Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo.
3. Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono
essere affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti
finanziari, assicurando le risorse necessarie.
attribuzioni e delle funzioni che possono appartenere agli enti locali. Il Prof. G.
Amato
6
, in proposito, così si esprime: “Si esce dalla logica antica del ‘numero
chiuso’ di funzioni, delle spese obbligatorie o facoltative e del ritaglio di
competenze per inoltrarsi sul terreno di una vera autonomia. Ne sono cardini la
potestà statutaria, cioè la capacità (anzi la doverosità) di darsi uno statuto che
sostiene e regola l’autonomia dei comuni e delle province, nuove e più incisive
forme di partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale, attraverso
istanze, proposte, petizioni e soprattutto attraverso vari tipi di referendum
consultivi, una nuova disciplina delle aree metropolitane, una completa
risistemazione dell’importante tema dei servizi pubblici locali, una più
efficiente organizzazione degli uffici nonché utilizzazione e valorizzazione
degli impiegati e dei dirigenti pubblici, un alleggerimento del sistema dei
controlli e un chiarimento delle forme di responsabilità.”
6
G. Amato e A. Barbera, Manuale di diritto pubblico,
Il Mulino, 1993.
1.2. Autonomia funzionale ed autonomia
finanziaria
L’ente locale, pur essendo dotato di autonomia istituzionale, è sempre stato
fortemente condizionato dalle politiche istituzionali perseguite a livello di
Stato e dalle caratterizzazioni del sistema tributario.
In particolare il sistema di finanziamento di questi enti pubblici, basati sul
trasferimento di risorse dallo Stato, è stato spesso un forte elemento di
deresponsabilizzazione. Tale sistema di finanziamento deriva dalla scelta di un
sistema tributario accentrato derivante dalla riforma del sistema fiscale degli
anni ‘70 che, con l’accentramento, ha portato ad accentuare senza dubbio una
forte funzione statale di controllo della spesa pubblica. Infatti l’ente locale
dipende, per lo più, nelle sue entrate direttamente dai trasferimenti dello Stato
che, con azioni che di fatto riducevano l’autonomia, è intervenuto a controllare
il livello di spesa pubblica.
Questa condizione di autonomia istituzionale dell’ente locale a cui non
corrispondeva una simile condizione di autonomia finanziaria ha spesso
comportato una forte deresponsabilizzazione: un comportamento di fatto
maggiormente focalizzato sui processi di spesa rispetto alla ricerca
dell’equilibrio economico.
A partire da questa situazione di “deresponsabilizzazione”, negli anni ‘90 si è
avvertita una forte necessità di cambiamento che ha come obiettivo quello di
mettere da un lato la spesa pubblica sotto controllo e dall’altro di sviluppare
servizi pubblici maggiormente efficaci.
Gli elementi caratterizzanti il processo di cambiamento, che si è avviato nella
realtà pubblica italiana, sono sostanzialmente riconducibili alla cosiddetta
“aziendalizzazione”; cioè alla responsabilità economica complessiva da
concentrare su ciascun ente pubblico, dotato di autonomia funzionale e,
almeno in parte, di autonomia finanziaria.
In estrema sintesi questo processo può essere così riassunto:
• ciascun ente è responsabile del livello delle spese;
• le entrate sono almeno in parte collegate a scelte proprie dell’ente;
• l’ente ha una propria autonomia organizzativa.
La responsabilità sul livello delle spese si realizza attraverso la possibilità, da
parte degli enti pubblici, di determinare le proprie finalità ed i propri obiettivi,
così da realizzare un’autonomia della spesa, che è la diretta espressione
dell’autonomia funzionale. L’autonomia funzionale, come già detto nel
paragrafo precedente, è nella nostra Costituzione principio di riferimento delle
autonomie locali.
Un modo per promuovere una maggiore responsabilizzazione consiste nella
possibilità da parte di ciascun ente di influire sul livello delle entrate. La
responsabilità sulle entrate viene ricercata attraverso un aumento della
autonomia finanziaria che si realizza concretamente attraverso molteplici
forme: l’incremento dell’autonomia tributaria, la possibilità di determinare
tariffe, l’individuazione di speciali criteri di trasferimento di risorse finanziarie
dello Stato agli enti locali in base alle performances realizzate e la possibilità
di emettere B.O.C. per l’autofinanziamento.
L’autonomia organizzativa è connessa alla libertà dell’ente di sviluppare
proprie modalità di strutturazione dei processi di responsabilità interni e di
configurare in modo differente i vari processi di produzione e consumo in base
alle caratteristiche proprie dei bisogni da soddisfare e degli obiettivi che si
vogliono perseguire. Con l’autonomia organizzativa si tende a
responsabilizzare l’ente, lasciandogli ampia libertà di manovra che trova
limitazioni o in situazioni eccezionali o nella necessità di garantire alla
collettività servizi pubblici essenziali.
Tutti questi aspetti (l’autonomia di spesa, l’autonomia finanziaria e
l’autonomia organizzativa) rappresentano condizioni in grado di permettere a
ciascun ente di conseguire livelli accettabili di economicità.
Il concetto di economicità consiste nell’equilibrio dinamico nel tempo tra le
quantità delle risorse impiegate nei processi dell’ente e le attività, servizi,
funzioni proprie dello stesso. Si tratta di un confronto tra il grado di
raggiungimento delle finalità proprie di ciascun ente locale e le risorse
destinate a questo
7
.
In tale concetto il punto di vista fondamentale è quello del singolo ente
pubblico; l’equilibrio del sistema nazionale dipende in maniera rilevante
dall’equilibrio raggiunto dai singoli enti locali e non viceversa.
Questo è il cambiamento di cui si parlava all’inizio del paragrafo: al contrario
del passato, in cui l’economicità del settore pubblico si è sviluppata attraverso
la ricerca di un equilibrio tra le spese e le entrate a livello macro (ovvero
complessivo dello Stato), ora la tensione verso l’economicità è perseguita a
livello di ciascun ente locale con l’effetto di diminuire di fatto il livello del
controllo complessivo.
7
Per un maggior approfondimento si veda il paragrafo
3.1.2.