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Capitolo I. Il paesaggio nilotico
Il Nilo (ar. El-Bahr, il fiume per antonomasia) è il fiume più lungo della Terra, con una
lunghezza di 6.671 Km, uno dei maggiori per ampiezza del bacino, con una superficie di circa
2.867.000 kmq. Nasce nell'Altopiano del Burundi, con il nome di Nilo Kagera (precisamente da
uno dei suoi rami superiori, il Luvironza). Dopo un breve tratto nel Burundi, il fiume entra in
Tanzania e, successivamente, in Ruanda ed Uganda. In seguito il Nilo Kagera entra nel più
grande lago africano, il Vittoria e ne esce col nome di Nilo Vittoria presso Jinja, in Uganda, in
corrispondenza delle cascate Ripon, descritte dagli esploratori che visitarono la regione nel secolo
scorso ma oggi non più visibili. Percorre quindi 483 km in direzione nord-ovest scorrendo tra
elevate pareti rocciose, superando rapide e cataratte e formando il Lago Kyoga, fino a gettarsi nel
Lago Alberto. A questo punto fuoriesce dal lago col nome di Nilo Alberto ed entra in territorio
sudanese. Qui cambia nuovamente nome in Nilo delle Montagne (Bahr-al Jabal) scorre tra rive
incerte inondate dalle piene, coperte da una fitta vegetazione palustre e si fraziona in molti rami
uno dei quali, il Bahr el-Zaraf, gli si ricongiunge dopo 380 km di corso. In una vasta espansione
di paludi (denominata una volta Lago No), dove il fiume ha grandi perdite per evaporazione (la
portata si riduce di circa 150 m³/s), riceve il maggior affluente di sinistra: il Nilo delle Gazzelle
(Bahr-al Ghazal). Poco più a valle, dopo aver descritto un gomito verso est, riceve il primo
grande affluente di destra, il Sobat, che vi convoglia una portata di circa 600 m³/s. Da questo
punto viene chiamato Nilo Bianco (Bahr el-Abyad) e corre in un’uniforme regione di savane,
accompagnato da gallerie di vegetazione arborea, senza ricevere più affluenti permanenti, fino
alla capitale del Sudan, Khartoum, dove riceve le acque del suo maggior affluente, il Nilo
Azzurro (i nomi dei due fiumi derivano dal colore delle loro acque). Il Nilo Azzurro, lungo 1529
6
km, ha origine nel lago Tana, in Etiopia. Da Khartoum il Nilo, assunto il suo nome classico, si
apre la strada tra formazioni granitiche e arenacee della Nubia, supera la prima delle sei cateratte
(sesta per gli antichi che le numeravano da valle verso monte) e, dopo circa 300 km, riceve le
acque del fiume Atabarah, il suo ultimo affluente.
Da qui il corso del grande fiume procede verso nord, attraversando il deserto di Nubia,
dove forma due ampie anse, e superando una serie d’altre cinque cateratte che lo portano da una
quota di 350 m ai 95 m sul livello del mare. In Egitto, il fiume è sbarrato da una grande diga ( la
diga d’Assuan) che dà origine al lago Nasser. A valle del Cairo comincia il delta, che è stato il
primo apparato deltizio ad essere descritto e da cui ha avuto origine, grazie alla sua forma
triangolare in pianta, il termine delta usato da Erodoto. Il fondovalle, coltivato e abitato come una
lunghissima oasi, non è mai più largo di 30 km.
Nell'ampio delta del Nilo, noto per le sue terre fertili che hanno dato vita ad una delle più
grandi civiltà della storia, le acque del fiume si dividono nei due rami del Nilo Rosetta e del Nilo
Damietta, oltre che in parecchi canali navigabili.
7
L’origine del delta
Del Nilo attualmente può essere considerato un apparato la cui morfologia è legata
all’azione dominante del moto ondoso e dei processi fluviali; esso ha subito profonde
modificazioni durante l’Olocene e la sua evoluzione è stata controllata dall’interazione tra le
oscillazioni eustatiche del livello marino, il tasso di subsidenza, le variazioni climatiche,
l’apporto solido, l’erosione indotta dalle correnti litoranee e costiere del mediterraneo, la
neotettonica e infine, soprattutto l’attività umana, che fin dal periodo predinastico ha modificato
la fitta rete di canali distributori presenti sulla pianta deltizia. Studi recenti hanno inoltre
evidenziato che alcuni settori del delta, in particolar modo quello nord orientale, sono stati
sommersi a causa della prolungata subsidenza, la quale non è stata bilanciata da un elevato
apporto di sedimenti, in parte intrappolati nel bacino artificiale sotteso alla diga d’Assuan
2
.
2
Cfr. H. E. Hurst, Le Nil. Description gènèral du fleuve. Utilisation des ses eaux, Paris 1954, p. 21
8
L’origine della piena
Il regime del Nilo dipende dalle piogge stagionali delle regioni subtropicali incluse nel
suo bacino. Mentre le regolari piogge della regione sorgentifera del Nilo Bianco determinano la
normale portata annuale del fiume, le note piene sono causate del Nilo Azzurro e dal fiume
Atabarah, i quali apportano anche la massima parte del limo fecondatore. Le piene cominciano a
manifestarsi alla fine di maggio a Khartoum, una o due settimane dopo ad Assuan, a metà luglio
nel basso Egitto; il massimo è in settembre, poi inizia la decrescenza.
Sin da tempo antichissimo le piene erano utilizzate sottoponendo ad una sistematica
inondazione le zone laterali che venivano irrigate per sommersione: dopo la decrescenza si
procedeva alla semina sul limo deposto. A questo sistema fu sostituito, nel secolo XIX, quello
dell’irrigazione permanente, mediante la costruzione di sbarramenti che permisero di
immagazzinare l’acqua del fiume per poi distribuirla razionalmente. Il primo sbarramento fu
costruito tra il 1833 e 1884 a valle del Cairo, ma gli sbarramenti più imponenti furono quelli
d’Assuan: la prima diga fu costruita tra il 1899 e il 1907, la seconda, completata nel 1970, ha dato
luogo al Lago Nasser.
3
3
Cfr. D. Bonneau, La crue du Nil, divinité égyptienne, à travers mille ans d’histoire (333 av.J. C-641 ap. J.C.), Paris
1964, p.14
9
Il paesaggio nilotico nella letteratura greca e latina
Mescolanza d’acqua, terra e spesso anche di materia organica in decomposizione, e
pertanto situata a metà strada tra l’umido e il secco, la melma dei pantani non risponde ai criteri
d’ordine degli elementi previsti dal codice culturale greco-romano. A tale anomalia si aggiunge
l’alterità connaturata all’acqua stagnante che, proprio in quanto immobile, è percepita come
acqua “contro natura”, mentre l’acqua “secondo natura” è quella corrente, sempre in movimento.
In forza del suo aspetto incolto e selvatico, la cui cifra sono il fango e l’acqua “morta”, anche la
palude trova necessariamente posto nell’immaginario collettivo degli antichi, ai margini del
paesaggio nilotico.
Secondo la fantasiosa paraetimologia
4
d’Isidoro, il Nilo porta il suo nome propter limum
quem trahit, qui efficit fecunditatem, unde et Nilus dictus est, quasi νέαν ιλύν. In questo caso il
vincolo che unisce il fiume alla melma appare coessenziale alla natura stessa del fiume e la sua
percezione è cosi saldamente radicata nel sistema culturale, da suggerire una sorta di “nome
parlante”, in cui il suono riproduce la realtà . Non a caso, prima di entrare in Egitto, il Nilo è
denominato Geon, vocatus hoc nomine quod incrementus suae exundationis terram Aegypti
inringet; γή enim Graece, Latine terram significavat.
4
Isid. Hisp. Etym. XIII 21,7. Quando si osservino attraverso le lenti predisposte dall’antropologia, le false etimologie si
rivelano altrettanto interessanti di quelle vere: esse rivelano, infatti, aspetti espressivi del codice culturale e
contribuiscono a una migliore comprensione dei medesimi.
10
La palude, elemento dei primordia
Alla base dei racconti elaborati nel quadro dei più importanti sistemi cosmogonici egiziani
– le dottrine d’Eliopoli, Ermopoli e Menfi – può essere individuato un unico tema: la creazione
operata dal Sole a partire dall’elemento liquido, il cui archetipo è rappresentato dalla crescita
annuale del Nilo
5
. Il caos iniziale è immaginato come negazione della realtà presente, come totale
assenza degli elementi che costituiscono il mondo creato, in primis lo spazio e il tempo: il suo
solo aspetto conoscibile e predicabile è la presenza di una distesa d’acqua contenente in potenza i
germi della creazione, il Nun, dio delle acque e padre degli déi. La creazione avviene su un colle
di fanghiglia che emerge dall’acqua, immagine, questa, legata ad una concezione del benefico
limo nilotico come apportatore di vita.
Significativamente sia Diodoro Siculo
6
che Ovidio
7
, quando descrivono la nascita della
vita dall’interazione del calore solare con la terra melmosa, fanno esplicito riferimento al Nilo:
dopo le inondazioni quando il fiume si è ritirato è possibile osservare nelle pozze d’acqua
stagnante, la generazione di forme di vita dal fango; nel rivoltare le zolle i contadini rivengono
animali sul punto di nascere, alcuni già formati, altri imperfetti e privi di proporzioni, altri ancora
in parte vivi, in parte fusi con la terra. Gli Egiziani, ricorda ancora Diodoro, ritengono che l’uomo
stesso sia una creatura delle paludi e degli stagni: si capisce dalla pelle liscia, dalla costituzione
fisica e dall’importanza che i cibi umidi riflettono nella sua dieta.
Se s’interrogano i testi geroglifici per conoscere l’opinione degli Egiziani sul tema
dell’apparizione dell’essere umano nel mondo si troverà la leggenda che attribuisce a Chnoum e a
5
N. Grimal, Storia dell’antico Egitto, Roma-Bari 1990, p. 51
6
Diod. Sic. I 10
7
Ovid. Met. I 416-437. V. capitolo VI p.105
11
Ptah il dono della creazione che essi utilizzano per fabbricare l’uomo su un tornio da vasaio a
partire dal limo deposto dalla piena. D’altra parte la stessa filosofia egiziana riportata da Diodoro
sosteneva che gli animali nascessero spontaneamente dal limo del Nilo. La teoria della
generazione spontanea riscuoterà grande successo anche nell’epoca ellenistica e romana. Ovidio
8
volendo mostrare il mondo a partire dal diluvio sviluppando il tema della nascita spontanea degli
animali dal limo del Nilo metterà in versi quello che Diodoro di Sicilia aveva sostenuto in prosa.
Melma ed acquitrini compaiono dunque da subito, quali elementi caratterizzanti di un
paesaggio tipico di un tempo lontano, uno spazio intimamente legato alla nascita e alla vita degli
uomini.
Leggiamo in Erodoto
9
che durante il regno di Min, primo faraone umano dopo la serie
dei re divini, l’intero territorio egiziano costituiva un’unica immensa palude, dalla quale nulla
emergeva della regione sita a nord del Lago Meri. Min è evidentemente figura di transizione dalla
dimensione mitica a quella storica. Questo momento di passaggio è segnato dalla presenza di una
distesa d’acque immobili: si può vedere anche qui, come in Diodoro, l’idea di un’umanità che
sorge dalle paludi.
Il Delta e la prima parte della bassa valle del Nilo – continua Erodoto - sono apparsi di
recente: si tratta di un «dono del fiume», di mare riempito di terra; dal mare verso l’interno sino
ad Eliopoli il paesaggio appare largo, pianeggiante e paludoso. Il suolo egiziano è nero e friabile
perché costituito da melma e da sedimenti trasportati dall’Etiopia
10
.
Gli anomali primordia di questa terra, un tempo palude, sono tuttavia soltanto un ricordo,
8
Ovid. Met. I 422
9
Herod. II 4,3
10
Si noti inoltre che kmt, il più forte che la lingua egiziana abbia disposizione per indicare il colore nero, era anche
l’unico che gli Egiziani possedevano per indicare se stessi: essi si definivano dunque “i neri”. Di più l’attributo nero è
l’epiteto divino che da sempre qualifica le principali divinità benefattrici dell’Egitto (gli spiriti malefici sono invece
connotati con il “rosso”).
12
sfumato dalle nebbie di un passato mitico. Ogni anno, infatti, la valle del Nilo subisce una
particolarissima metamorfosi: in occasione dell’anomala ondata di piena del fiume la terra si
muta in distesa marina, in un mare d’acqua dolce o, ancora, in un vasto acquitrino. Il Nilo
periodicamente dunque modifica i tratti del paesaggio egiziano, che è così riplasmato: l’arida
terra sparisce e in suo luogo compare un’unica immensa palude.
13
L’ambiguità del Nilo
11
Acqua corrente e acqua stagnante nel caso del Nilo sembrano insomma confondersi:
siamo del resto di fronte ad un fiume «strano» che da sud corre a nord e che, contrariamente a
come si comportano tutti gli altri corsi d’acqua, va in piena nel periodo estivo e in magra durante
l’inverno. I suoi straripamenti non sono particolari soltanto a causa della stagione in cui
avvengono ma anche perché forieri di prosperità (la fecondità è nella natura del Nilo, bevendo la
sua acqua – dice Plutarco
12
- sembra che si aumenti di peso e si diventi obesi): essi non originano
infatti malsane e pestilenziali paludi, al contrario cancellano gli stagni insalubri eventualmente
esistenti.
Il particolare clima egiziano e l’ambiguità del Nilo, fiume dalla φύσις differente da quella
degli altri corsi d’acqua, appaiono in sostanza ben intrecciati alla stranezza dell’Egitto, paese
ricco di meraviglie e anomalie, e della diversità dei suoi abitanti. Gli Egiziani hanno, infatti,
costumi e leggi contrarie a quelli degli altri uomini (horrida sane Aegyptos ebbe a dire
Giovenale
13
): un vero e proprio mondo alla rovescia, insomma, in cui la terra è expers imbrium e
tuttavia mire fertilis et hominum aliorumque animalium perfecunda generatrix; bagnato dai fiumi
piuttosto che dalla pioggia, il suolo non è abituato all’acqua celeste, ma è reso fertile dall’acqua
terrestre e stagnante così che i loca egiziani utilizzano l’acqua del fiume pro pluviis, come
leggiamo in Isidoro
14
. Una delle peculiarità del Nilo consiste, infatti, nel suo ruolo d’elemento
unificatore piuttosto che separatore, come avviene invece per molti corsi d’acqua che marcano i
11
V. Capitolo II
12
Plut. de Is. 5
13
Iuv. 15 44
14
Isid. Sev. Etym. 43,1
14
confini geografici, etici e politici: nel Nilo affondano le radici dell’identità egiziana.
La vita sulle rive del Fiume
15
Sin dal II millennio a.C. la regione del Delta nilotico era consapevolmente utilizzata come
difesa naturale contro attacchi nemici. A settentrione, dalla parte del mare, correnti, venti
contrari, secche, barriere, bassifondi ostacolavano l’avvicinamento d’imbarcazioni e facilitavano
la sorveglianza del litorale; vi erano per di più “false bocche” che introducevano eventuali
visitatori in un vero e proprio labirinto di laghi, canali e pantani, dove mantenere l’orientamento
era impossibile. A sud, dalla parte della terra ferma, il paesaggio doveva apparire altrettanto
incerto e inquietante: il terreno era sempre umido e spesso sommerso da acquitrini; nel dedalo di
stagni, foreste di canne e di papiri, soltanto barche piccole e dal fondo piatto potevano spostarsi a
fatica nel perenne rischio di cadere in trappole o imboscate, in zone dove, per chi conoscesse i
luoghi, era facile spiare e osservare senza essere veduti. Ad oriente il territorio egiziano era difeso
in parte dal fiume, in parte dal deserto, in parte infine dalle zone paludose note come Baratri. Al
confine con la Celesiria si trovava la palude Serbonis: sul suo specchio d’acqua, racconta
Diodoro
16
, si posa la sabbia che il vento solleva dalle grandi dune circostanti; oscurata dalla
sabbia che rende il suo aspetto simile a quello della terra ferma, la superficie della palude non
può essere distinta dal terreno circostante; per questa ragione molti, che ignoravano il fenomeno,
non appena deviarono dalla via praticabile furono inghiottiti con tutto il loro esercito da queste
sabbie mobili. La zona dei Baratri rappresenta una trappola mortale per coloro che vi si
avventurano: il nome di questa regione rispecchia insomma la sua infima natura. La descrizione
15
V. Capitolo III
16
Diod. Sic. I 30
15
diodorea deve essere considerata alla luce del peculiare ruolo svolto dall’acquitrino nell’ambito
dei problemi strategici connessi alle operazioni militari. L’impraticabilità delle regioni paludose, i
rischi che esse presentavano in quanto scenari ideali per tendervi agguati, sono costanti τόποι dei
resoconti di campagne belliche sin da Cesare.
All’interno dell’enorme bastione naturale costituito dal Delta, la vita ruotava intorno ad
insediamenti di pescatori, cacciatori e bovari, i quali vivevano delle cospicue risorse della regione
(le depressioni fangose e i terreni paludosi rappresentavano ricche riserve di caccia, accanto alle
zone ai margini del deserto frequentate dai grandi erbivori e dai felini predatori).
In prossimità delle paludi le umide strisce di terra erano particolarmente ricche d’erba e
piante da pascolo: in questi siti i pastori conducevano i loro armenti. Accanto ad erbivori
domestici e selvatici, pesci, volatili, zanzare, gli acquitrini nilotici ospitavano numerosi
coccodrilli ed enormi quantità di batraci, considerati dagli antichi tra i più caratteristici inquilini
dei pantani. Esseri ugualmente distanti dall’acqua e dalla terra gli anfibi erano percepiti come
animali singolari ed ambigui: ad incrementare il mistero contribuiva l’ignoranza dei loro processi
di riproduzione e sviluppo.
Erodoto
17
descriverà gli espedienti escogitati dagli Egiziani per procacciarsi cibo a buon
mercato. Quando il Nilo è in piena, nascono nell’acqua molte piante di loto, che sono raccolte e
seccate al sole; successivamente la parte centrale del loto è pestata e da essa sono ricavati pani
cotti al fuoco. Anche il papiro compare nella dieta: la sua parte inferiore può, infatti, essere
mangiata cruda oppure cotta al forno. Alcuni infine, vivono esclusivamente di pesci che sono
consumati dopo essere stati aperti, puliti e seccati al sole: questo, presumibilmente, affinché si
conservino per la stagione in cui la pesca è impossibile. Il pesce costituiva, in effetti, il principale
nutrimento dei ceti inferiori, ma era ricercato anche dalle classi elevate. Le tecniche di pesca
17
Herod. II 92
16
prevedevano l’uso della lenza o dell’arpione, della nassa o di una trappola di vimini, appesantita
con pietre, o ancora in una rete conica maneggiabile con una sola mano. Sekhet, termine con cui
si designava la palude ricca di canne, era anche il nome di una divinità: pesci e uccelli erano i
beni che ella dispensava a cacciatori e pescatori. Indispensabile per la sopravvivenza dei suoi
abitanti, la palude dunque è divinizzata.
Nell’uccellagione si ricorreva invece a piccole trappole con lacci o, più comunemente, a
grandi reti funzionanti a scatto o a strappo. Per la cattura d’anatre, oche, o altri uccelli acquatici
gli uccellatori si servivano anche di volatili addestrati.
Creature delle paludi gli Egiziani traggono quindi da esse il proprio nutrimento. L’assenza
dei cereali dal regime alimentare di questi uomini fa sì che esso appaia lontanissimo da quello
che gli antichi ritenevano normale per una popolazione civile; alterità dell’ambiente e della dieta
s’intrecciano: ad uno spazio radicalmente «diverso» qual è la palude si accompagna uno stile di
vita anomalo e un regime alimentare ribaltato rispetto ai canoni della civiltà greco - latina.
All’umanità delle paludi che viveva delle risorse del delta potevano aggregarsi banditi e
ribelli, persone che là fuggivano a causa di problemi personali o politici, talora anche con l’aiuto
e la complicità degli abitanti del posto. Quando, racconta Erodoto
18
, gli Etiopi guidati da Shabaka
invasero e assoggettarono l’Egitto, il Re cieco Anisi fuggì nelle paludi del Delta dove visse per i
cinquanta anni del dominio straniero; quando gli Etiopi se ne furono andati Anisi tornò dalle
paludi e riprese il potere. Psammetico, uno dei dodici re, fu dai suoi colleghi privato del potere e
relegato nelle paludi del Delta col divieto di avere contatti con il resto del paese: egli riuscì
tuttavia a riconquistare il controllo di tutto l’Egitto con l’appoggio degli Egiziani a lui favorevoli.
Tucidide
19
ricorda, a proposito della ribellione degli Egiziani contro i Persiani, che di
tutto l’Egitto soltanto il territorio d’Amirteo, re delle paludi, non poté essere riconquistato a causa
18
Herod. II 137 1-2
19
Thuc. I 110,2
17
delle vastità delle paludi e inoltre perché «i suoi abitanti sono i più bellicosi degli Egizi.». Vi è
qui un sicuro riferimento ai Boυκόλοι. Vivaci spaccati della loro vita si trovano nelle Etiopiche
d’Eliodoro: sono passi che meritano un’analisi attenta. Nella regione denominata Boυκόλια le
paludi nilotiche sono disseminate d’isole, alcune delle quali ospitano abitazioni, tutte le altre
invece sono folte di papiri. Qui troviamo la totalità dei predoni egiziani: alcuni vivono in
capanne, altri su imbarcazioni usate al contempo come abitazione e mezzo di trasporto.
Attraverso la ricca vegetazione palustre, i pastori si sono aperti sentieri tortuosi e labirintici, facili
a percorrersi per loro ma intransitabili per chi, non avendo pratica dei luoghi, rimane
imprigionato nel dedalo di passaggi che si snodano in mezzo alle canne. Pesca e raccolta da una
parte, furti e rapine dall’altra tracciano il profilo dell’economia di sussistenza tipica dei
Boυκόλοι. Agli occhi degli osservatori greco - latini questi Pastori del Delta vivono in modo non
soltanto primitivo ma anche ferino: questi individui hanno insomma ben poco d’umano, anzi essi
sono le bestie più selvagge di tutte, sono dunque estranei alla civiltà e interamente immersi nella
natura. I Boυκόλοι vivono in definitiva in un vero e proprio mundus inversus abitato da uomini
terrificanti e malvagi: hanno grossi corpi e piedi piccoli, la pelle scura e le teste rasate, parlano
una lingua barbara e combattano in modo barbaro, scagliando zolle di terra contro i nemici.
Il paesaggio del Delta appare costellato di paludi e lagune ma anche i porti e i villaggi
sono numerosissimi: qui sorge inoltre Alessandria, insediamento urbano che possiede tutti gli
elementi considerati indice di civilitas (pianta regolare, ampie strade, palazzi, porti, teatro,
templi). La natura ha dispensato ad Alessandria una posizione vantaggiosa, economicamente
assai favorevole e provvista, nonostante la vicinanza d’acque stagnanti, di un clima salubre: la
piena del Nilo elimina la melma e la vegetazione putrescente, i venti etesii ripuliscono
l’atmosfera dai miasmi nocivi.
18
Gli acquitrini deltizi rifugio per divinità
20
La familiarità con gli acquitrini non era prerogativa solo degli abitanti del Delta: anche le
divinità ne partecipavano. Secondo Plutarco
21
Iside nacque nelle regioni che sono sempre umide.
L’elemento umido e palustre le è intimamente connesso: se Osiride rappresenta il Nilo, Iside è la
terra con cui il Nilo si unisce e si mescola, la terra melmosa e fertile. Dopo che Tifone ebbe fatto
a pezzi il corpo di Osiride, Iside si pose alla ricerca dei resti del marito navigando in un battello
di papiro di palude in palude. Le paludi del Delta furono il nascondiglio di Iside e di suo figlio
Horus; di lui si presero cura Wedjoyet – nume della corona reale e al contempo serpente che si
arrotola attorno ai fusti di papiro – e Hathor – vacca selvatica che si aggira per le paludi. Horus,
fondatore della regalità ed eroe civilizzatore, sopravvive all’ambiente palustre: egli anzi
s’irrobustisce attraverso le esalazioni e i vapori delle paludi.
20
V. Capitolo IV
21
Plut. de Is. XII 32-38