5servizio con caratteri di universalità e, correlativamente, il potere di riservare ad un monopolista
nazionale il segmento del servizio stesso che costituisca un monopolio naturale5.
Le resistenze all’apertura dei mercati nei settori in questione si sono manifestate in almeno due
direzioni: l’applicabilità delle regole di concorrenza ai servizi pubblici e l’estensione ai relativi
settori delle libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento.
Nel primo senso si è assistito all’acuirsi del conflitto tra la logica della concorrenza e quella dei
pubblici servizi, in conseguenza dell’instaurazione del mercato interno ed a causa delle differenti
concezioni circa il ruolo dello Stato e lo scopo dei servizi pubblici sviluppate dagli Stati membri: il
risultato è stato il riconoscimento, da parte del diritto comunitario derivato e della giurisprudenza
della Corte di giustizia, della possibilità di giustificare regole particolari per i servizi pubblici,
derogatorie rispetto alle regole della concorrenza o atte ad assicurare un livello specifico del
servizio6.
Sintomatiche della particolare cautela in materia le posizioni espresse dalla Corte di giustizia in
alcune pronunce concernenti presunti diritti esclusivi riconosciuti da taluni Stati membri a enti o
società operanti nel settore dell’energia7: precisando quanto stabilito dalla giurisprudenza Corbeau8
ed Almelo9 - secondo la quale le eccezioni alla concorrenza per le imprese incaricate della gestione
di servizi di interesse economico generale sono giustificate dalla necessità di condurre l’impresa in
condizioni economicamente accettabili, tenuto conto degli obblighi di interesse generale – la Corte
ha escluso la necessità, per tale giustificazione, di una minaccia alla sopravvivenza dell’impresa10.
Per quanto invece concerne specificamente il profilo degli ostacoli alla circolazione dei capitali, la
stessa Commissione, nella Comunicazione del 19 luglio del 1997 relativa a taluni aspetti giuridici
attinenti agli investimenti intracomunitari, ha ritenuto che non potessero negarsi le preoccupazioni
che potevano giustificare la conservazione di una certa influenza da parte degli Stati membri sulle
imprese privatizzate operanti nei settori dei servizi di interesse generale o strategico: tale
documento della Commissione è stato richiamato dalla giurisprudenza “golden share”11 al fine di
ricostruire la distinzione tra provvedimenti a carattere restrittivo degli investimenti intracomunitari
e discriminatori - da ritenersi incompatibili con gli artt. 73 B e 52 (oggi 56 e 43) del Trattato - e
provvedimenti applicabili ai cittadini nazionali ed ai cittadini di altro Stato membro, ammissibili se
giustificabili in base a motivi imperativi di interesse generale e fondati su criteri obiettivi, stabili e
resi pubblici.
L’istituto della golden share, oggetto di analisi nel capitolo 3 dedicato alla liberalizzazione dei
servizi di interesse economico generale, è volto ad attribuire agli Stati, nelle imprese di recente
privatizzazione, poteri speciali con riguardo alle decisioni più significative nella gestione di tali
imprese e delle infrastrutture necessarie all’erogazione dei servizi di interesse generale; la Corte di
giustizia ha, con una sola eccezione12, dichiarato l’incompatibilità di tali discipline nazionali con la
libertà di circolazione dei capitali.
Un diverso profilo di incompatibilità con la libertà fondamentale sancita dall’art. 56 TCE è stato
riscontrato dalla giurisprudenza comunitaria nella possibilità di prevedere limiti all’acquisizione di
partecipazioni in imprese nazionali da parte di operatori stranieri, possibilità pertanto subito
preclusa dalla Corte di giustizia.
5 FRANCESCO MUNARI, art. cit., pagg. 53 e ssgg.
6 GERARDO MARCOU, I servizi pubblici tra regolazione e liberalizzazione: l’esperienza francese, inglese, e tedesca, in
Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2000, pagg. 125 e ssgg.
7 CGCE, 23 ottobre 1997, Commissione c. Paesi Bassi,causa C-157/94, Commissione c. Italia, C-158/94, Commissione
c. Francia, C-159/94 e Commissione c. Spagna, causa 160/97.
8 19-5-93, causa C-320/91; si veda al riguardo anche alle pagg. 64 e 67.
9 Sentenza 27 aprile 1994, causa C-392/92.
10 VALERIA SOTTILI, Il mercato dell’energia elettrica nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Il Diritto
dell’Unione Europea, 1998, pagg. 927 e ssgg.
11 Fanno riferimento ad essa le sentenze rese nelle cause: Commissione c. Portogallo, C-367/98, Commissione c.
Francia, C-483/99, Commissione c. Regno del Belgio, C-503/99 e Commissione c. Spagna, C- 463/00.
12 Sentenza del 4 giugno 2002, Commissione c. Regno del Belgio, causa C-503/99.
6Quest’ultima ha esaminato13, fra l’altro, la compatibilità con l’art. 56 TCE della normativa
nazionale portoghese14 che consentiva la limitazione quantitativa delle azioni acquisibili da società
straniere, con la possibilità, per il caso di violazione di tali previsioni, di imporre la vendita forzata
delle azioni eccedenti i limiti fissati, la perdita del diritto di voto o la nullità delle acquisizioni.
A tal riguardo, la Corte ha ravvisato una disparità di trattamento per i cittadini di altri Stati membri,
dalla quale ha fatto discendere la violazione della libertà di circolazione dei capitali.
Il divieto generale di discriminazioni fondate sulla nazionalità è sancito dall’art. 12 TCE: principio
fondamentale del diritto comunitario, riaffermato da norme particolari del Trattato, specialmente in
tema di libertà di circolazione, ha svolto un ruolo di grande rilievo nella realizzazione del mercato
comune, contrastando la tendenza degli Stati all’adozione di politiche protezionistiche15.
La riserva espressamente prevista dalla norma lo rende applicabile solo in mancanza di disposizioni
specificamente intese a vietare trattamenti discriminatori e limitatamente al “campo di applicazione
del Trattato”, vale a dire situazioni ratione materiae o ratione personae collegate al diritto
comunitario, quali, ad esempio, norme nazionali sullo svolgimento del processo, in quanto
strumentali alla tutela giurisdizionale delle libertà fondamentali; titolari del diritto sono i cittadini
comunitari: sia le persone fisiche, sia le persone giuridiche16.
Peraltro, anche in presenza di disposizioni specifiche, l’art. 12 viene invocato per rafforzare
soluzioni ad esse conseguenti o come fondamento dell’interpretazione restrittiva delle eccezioni
previste da norme speciali - ad esempio quella relativa alle attività che partecipano all’esercizio dei
pubblici poteri di cui all’art 45 – o, ancora, per estendere il principio da esso previsto a tutti i suoi
aspetti di esercizio entro un determinato settore; ne consegue che il contrasto con una disposizione
specifica determina a sua volta l’incompatibilità con l’art. 1217.
Il principio di parità di trattamento si applica nei confronti di atti o comportamenti anche
indirettamente riconducibili alla pubblica autorità di uno Stato membro, pratiche discriminatorie da
parte di soggetti privati titolari di posizioni di monopolio, atti o comportamenti discriminatori della
Comunità18.
Il divieto in esame impone agli Stati membri di non rifiutare ad un cittadino di altro paese
comunitario i diritti garantiti ai propri cittadini; per contro il divieto di trattare situazioni analoghe
in modo diverso incontra il limite di obiettive giustificazioni: la giurisprudenza comunitaria esclude
tuttavia che queste ultime sussistano a fronte, ad esempio, dell’esigenza di garantire la solidarietà
nazionale19; si ritiene inoltre che non possano ammettersi limitazioni dovute a motivi di ordine
pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica20, benché tale posizione non sia universalmente
condivisa21.
La discriminazione vietata consiste inoltre nel trattamento identico di situazioni diverse; il divieto si
estende pure alle discriminazioni dissimulate e indirette, da intendersi come quelle che, pur fondate
su criteri diversi dalla nazionalità, pervengano al medesimo risultato: ne è un esempio la residenza,
sia qualora tale requisito sia previsto per i soli stranieri, sia quando sia previsto anche per i cittadini
nazionali, data la maggiore probabilità che gli stranieri risiedano altrove22.
Espressione specifica del principio di eguaglianza, dunque del divieto di disparità di trattamento
non obiettivamente giustificate, il divieto di cui all’art. 12 non colpisce le discriminazioni formali,
13 Causa C-367/98, Commissione c. Repubblica portoghese.
14 Art. 13, n° 3 della L 11/90.
15 TIZZANO, Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, Milano (Giuffrè editore), 2004, art. 12 TCE..
16 TIZZANO, op. cit., art. 12.
17 F. POCAR, Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione europea, Padova (Cedam), 2001, art. 12
TCE.
18 F. POCAR, op. cit., art. 12.
19 CG 2-2-89, 186/87, Cowan.
20 F. POCAR, op. cit., art. 12.
21 TIZZANO, op. cit., art. 12.
22 F. POCAR, op. cit., art. 12.
7cioè le situazioni solo apparentemente discriminatorie: occorre invece verificare la sussistenza di
una discriminazione materiale, esaminando gli effetti di una disposizione23.
Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità non impedisce infine le discriminazioni a
rovescio, sussistenti laddove ai cittadini di uno Stato membro venga imposto un trattamento più
intensamente pregiudizievole rispetto a quello garantito a cittadini di altri paesi membri, per effetto
di una norma interna meno favorevole: una situazione puramente interna è riscontrabile nei casi in
cui un soggetto non si avvalga di diritti e libertà garantiti dal Trattato e nelle situazioni prive di
collegamento con quelle oggetto di disciplina comunitaria24; tale discriminazione consegue
all’assenza di discipline comunitarie di armonizzazione, come anche può intervenire qualora, pur in
presenza di una norma comunitaria, il legislatore nazionale goda di un margine di discrezionalità25.
1.2 La causa Commissione c. Repubblica italiana
Nella diversa ottica dell’intendimento di uno Stato membro di preservare l’effettività di una
privatizzazione – e tuttavia pur sempre nell’ambito degli ostacoli ad un processo di liberalizzazione
di respiro europeo - vengono in considerazione la procedura d’infrazione avviata contro la
Repubblica italiana e il conseguente ricorso26 alla Corte di giustizia, a causa della disciplina,
ritenuta dalla Commissione restrittiva della libera circolazione dei capitali, contenuta nel decreto-
legge 192/2001, di seguito esaminato, emanato dal governo italiano per contrastare l’accesso al
mercato italiano di Electricité de France, controllata da altro Stato membro.
1.2.1 Il Decreto-legge 192/2001
Mosso dalla preoccupazione che un operatore controllato da altro Stato potesse acquisire una
partecipazione in un’impresa italiana del settore dell’energia elettrica, così che la politica energetica
italiana potesse essere condizionata dalle direttive di un paese straniero (la Francia, paese di Edf), a
salvaguardia dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione concernenti i settori dell’energia
elettrica e del gas, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro del Tesoro, del
bilancio e della programmazione economica e del Ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato e del commercio con l’estero, il governo italiano ha adottato il decreto-legge 25
maggio del 2001, n° 192.
È utile considerare preliminarmente come l’azione liberalizzatrice sui servizi pubblici in Italia abbia
impattato sulla riconduzione di essi all’art. 43 della Costituzione: da un sistema in cui imprese “che
si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed
abbiano carattere di preminente interesse generale”, potevano per ciò solo riservarsi o trasferirsi allo
Stato o ad enti pubblici si è passati ad un sistema in cui tali condizioni devono esaminarsi alla luce
dei principi comunitari; l’apertura dei relativi settori dell’economia al mercato ha poi avuto come
ulteriore conseguenza la necessità di un’interpretazione dell’affermazione della libertà
dell’iniziativa economica privata, di cui all’art. 41 Cost., in termini di effettività estesa a contrastare
i comportamenti limitativi della concorrenza27.
23 TIZZANO, op. cit., art. 12.
24 F. POCAR, op. cit., art. 12.
25 TIZZANO, op. cit., art. 12.
26 Commissione c. Repubblica italiana, C-174/04, ricorso per inadempimento da parte dell’Italia degli obblighi ad essa
incombenti in base all’art. 56 TCE.
27 F. TRIMARCHI BANFI, Considerazioni sui “nuovi” servizi pubblici, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico
Comunitario, 2002, pagg. 945 e ssgg.
8Il passaggio dei servizi pubblici alla concorrenza ed al mercato comporta a sua volta l’adozione di
interventi regolatori che riproducano risultati simili a quelli di un mercato perfettamente
concorrenziale.28
Ciò non comporta peraltro il passaggio dei servizi pubblici dall’ambito della riserva pubblica a
quello della libertà dell’iniziativa economica privata, dall’art. 43 all’art. 41 Cost.: l’imposizione ad
un’impresa dell’obbligo di perseguire fini estranei a quelli propri della logica del profitto non è
ascrivibile alla regolazione dell’attività economica, mentre configura uno strumento volto a
garantire il servizio pubblico, in base ad una lettura coordinata delle due norme costituzionali
citate
29
.
L’emanazione del decreto-legge citato si fonda su numerose norme, fra le quali: il divieto di abuso
di posizione dominante di cui all’art. 3 della legge 287/1990 e all’art. 82 TCE; il divieto di misure
contrarie al Trattato CE a vantaggio di imprese pubbliche e titolari di diritti speciali ed esclusivi e
relativa ipotesi derogatoria di cui all’art. 86 TCE; la delega, di cui alla legge 128/1998, conferita al
governo a definire misure volte a garantire che l’apertura dei mercati avvenga in condizioni di
reciprocità con gli altri Stati membri assicurando la parità competitiva sul mercato europeo delle
imprese italiane del settore dell’elettricità; il decreto Bersani (decreto legislativo 79/1999).
Vengono inoltre prese in considerazione le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di
Stoccolma del 23 e 24 marzo 2001, in base alle quali occorre impedire, alle imprese che ne siano
titolari, di avvantaggiarsi indebitamente di una situazione di monopolio.
Si precisa poi che il decreto-legge 192/2001 viene adottato per la straordinaria necessità ed urgenza
di introdurre disposizioni che evitino impedimenti o ostacoli, derivanti da comportamenti di
determinate categorie di imprese, ai processi di privatizzazione e liberalizzazione nei settori
considerati.
Infine l’art. 1 del provvedimento in esame stabilisce, quale limite della disciplina introdotta, la
piena realizzazione, nell’UE, di complete condizioni di concorrenza nei settori dell’elettricità e del
gas.
Tutto ciò sembra ricondurre l’adozione delle disposizioni in questione a preoccupazioni di
effettività della concorrenza sui mercati dell’energia elettrica e del gas; tuttavia, la disciplina
introdotta si applica limitatamente ai “soggetti controllati, direttamente o indirettamente da uno
Stato o da altre amministrazioni pubbliche”, quando questi occupino una posizione dominante sul
proprio mercato nazionale e non siano quotati in mercati finanziari regolamentati.
Condizione oggettiva di applicabilità è poi che i soggetti considerati acquisiscano partecipazioni
azionarie superiori al 2% del capitale sociale delle imprese operanti, in via diretta o tramite società
controllate o collegate, nei settori dell’elettricità e del gas; tale acquisizione può avvenire
direttamente, indirettamente o per interposta persona, anche mediante un’offerta pubblica a termine
o in via differita.
Si precisa che il limite del 2% si computa riferendolo al singolo soggetto ed al suo gruppo, vale a
dire al soggetto, anche non costituito in forma di società, che esercita il controllo, ed alle società
controllate e collegate; come pure si tiene conto della partecipazione posseduta da soggetti che
aderiscono, direttamente o indirettamente anche attraverso controllate, collegate, società fiduciarie o
per interposta persona, ad accordi o patti parasociali.
Intervenendo le predette condizioni, il rilascio delle autorizzazioni o concessioni previste dalle
disposizioni italiane attuative delle direttive di liberalizzazione determina l’automatica sospensione
dei diritti di voto inerenti alle azioni eccedenti il limite del 2%, azioni delle quali, inoltre, non deve
tenersi conto al fine del computo dei quorum assembleari deliberativi; parimenti sospesi i diritti di
acquisto o sottoscrizione a termine o differiti.
28 F. TRIMARCHI BANFI, art. cit., pag. 952.
29 F. TRIMARCHI BANFI, art. cit., pag. 948.