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scena e la messinscena, elementi che ho analizzato e confrontato con il
dramma musicale wagneriano. Il lavoro si chiude con l’asserzione che
l’opera esaminata, proprio perché caratterizzata da elementi nuovi che
anticipano le future tendenze, è frutto di un’evoluzione personale e
indipendente da quella di Wagner.
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Capitolo I
L’opera italiana al tempo del primo Verdi
1.1. Lineamenti storici e formali del melodramma di primo Ottocento
Il primo decennio dell’Ottocento è comunemente considerato un
momento stagnante della storia dell’opera italiana. Scomparsi, o quasi,
dal contesto musicale gli ultimi grandi maestri del secolo trascorso,
Cimarosa
1
e Paisiello, il panorama appare dominato da Johann Simon
Mayr, Ferdinando Paër e Francesco Morlacchi. Ma nessuno dei tre
compositori sembra in grado di raccogliere la prestigiosa eredità
settecentesca. A cambiare la situazione sarà il pesarese Gioachino
Rossini, che delineerà le strutture che caratterizzeranno l’opera della
prima metà del nuovo secolo.
2
Tra le opere degli anni 1808-1812 e i primi
melodrammi rossiniani non si avverte tuttavia una vera e propria frattura
stilistica. Molti ingredienti tipici delle opere di Rossini erano infatti
preesistenti. Il punto di partenza per un rinnovamento del melodramma
risiede nel linguaggio operistico tardonapoletano. Su questa base, che
ribadisce l’italica fede nella melodia, nel canto, come primo motore del
teatro in musica, iniziano con cautela a innestarsi elementi stilistici
diversi: ad esempio quelli di Mozart, le cui opere cominciano ad essere
rappresentate in Italia. Ma l’influsso più profondo è probabilmente quello
1
Il matrimonio segreto di Cimarosa fu tuttavia la sola opera del Settecento italiano rimasta in repertorio
per tutto il corso dell’Ottocento. Quest’opera rappresenta uno dei culmini dell’evoluzione dell’opera
buffa nella variante parzialmente patetica che si chiamò opera di mezzo carattere e che subì l’influsso
della francese pièce larmoyante (commedia lacrimosa). Per approfondire ulteriormente l’argomento si
consulti Fedele D’Amico, L’opera teatrale di Gioacchino Rossini, Roma, Libreria Editrice De Santis,
1968, pp. 23-24.
2
Una sintesi della vita e delle opere di Gioachino Rossini si legge in Bruno Cagli, Rossini Gioachino,
in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti (DEUMM), a cura di Alberto
Basso, le Biografie, vol. VI, Torino, Utet, 1988, pp. 446-455.
7
francese dell’opéra-comique del periodo rivoluzionario e successivo.
3
I
frutti di queste frequentazioni si avvertono in diversi aspetti: il
trattamento più dinamico dell’orchestra come sostegno dell’azione
drammatica, un’orchestra che amplia la sua tavolozza timbrica a voci
inconsuete, quali l’arpa e il corno inglese, il trio di tromboni e la
grancassa; gli strumenti a fiato assumono un ruolo preminente;
s’introduce l’uso della banda in scena.
L’opera seria italiana si incammina verso una concezione più dinamica e
movimentata, e con modi espressivi e forme desunti tanto dall’opera buffa
e semiseria italiana quanto dall’opéra-comique. Assistiamo quindi a una
graduale evoluzione drammaturgica con l’affermarsi di nuove, più
moderne scelte tematiche, che molto lentamente s’insinuano nel
repertorio accanto agli ormai vetusti soggetti greco-romani. Vecchio e
nuovo convivono. L’opera seria resta però attaccata fedelmente alla
tradizione classicista per quanto riguarda la qualità dei personaggi. La
tragedia sarà tale solo se popolata esclusivamente di personaggi sublimi,
possibilmente di stirpe regale ma comunque eroici nel portamento e nel
linguaggio. Dall’opera buffa si possono importare forme più dinamiche,
ma non i personaggi di estrazione media e bassa, servi e borghesi, con il
loro linguaggio quotidiano.
4
Dal punto di vista della vocalità, l’opera buffa verso la fine del Settecento
raggiunse ambizioni vocali quasi equivalenti a quelle tradizionali
dell’opera seria: ormai i suoi interpreti non erano più gli umili attori
cantanti dei suoi inizi, ma cantanti professionalmente istruiti, spesso
capaci di virtuosismo. Ciò era stato causa ed effetto di una corrispondente
evoluzione nello stile del genere, sia nella sua forma pura che in quella
mista di elementi patetici.
3
Fabrizio Della Seta, Italia e Francia nell’Ottocento, in Storia della musica, a cura della Società
Italiana di Musicologia, vol. IX, Torino, EDT, 1993, p. 62.
4
Ivi, p. 65.
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Nei primi anni dell’Ottocento l’impegno vocalistico nell’opera buffa o
semiseria era aumentato al punto che non pochi cantanti si esibivano
indifferentemente nei due generi. Restava tuttavia una differenza
essenziale che va sottolineata: mentre l’opera seria settecentesca si basava
sulla voce asessuata degli evirati, e su voci in massima parte simili a
quella, l’opera buffa normalmente li escludeva.
5
Di qui la mancanza della
verosimiglianza drammatica nella prima. Fu dunque l’opera buffa, e non
la seria, a prospettare la possibilità di personaggi musicalmente
caratterizzati, e perciò capaci di esprimere musicalmente un conflitto in
azione; e questo perché poté accettare tipi di voce fra loro ben diversi, e
svilupparne la diversità fino ad annettere a ciascuno un determinato
carattere psicologico. Quando Rossini apparve, sebbene gli evirati fossero
praticamente scomparsi, l’opera seria stentava ancora a dimenticarli, cioè
ad abbandonare i suoi ideali eminentemente lirici. L’opera buffa aveva
invece elaborato le sue tipologie vocali in misura largamente sufficiente e
perciò era già in nuce una concezione moderna del melodramma.
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Il teatro d’opera del primo Ottocento è pertanto ancora caratterizzato da
un’uniformità dei linguaggi artistici, sia musicali che letterari. Le
convenzioni linguistiche sono condivise da tutti, autori e pubblico. È
ancora lontana l’idea di stili individuali fondati sulla ricerca continua di
modi di espressione nuovi e inconfondibili.
Tuttavia nel corso del secolo il termine convenzione assume una
connotazione negativa nelle polemiche di compositori e critici che
miravano a un rinnovamento del teatro musicale in nome della libertà
espressiva, dell’antiaccademismo, del superamento dell’ “opera” nel
“dramma musicale”. La percezione delle convenzioni formali che
5
Salvo che in sostituzione delle donne, laddove la legge vietava loro di apparire sulla scena. Si veda
Fedele D’Amico, L’opera teatrale di Gioacchino Rossini cit., p. 73.
6
Ivi, p. 74.
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governavano l’opera ottocentesca si è affievolita dopo l’avvento di nuovi
linguaggi: il dramma wagneriano e l’opera verista.
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Le regole di cui parliamo determinano sia l’organizzazione complessiva
dell’opera che la struttura interna delle singole parti. Come nel Settecento,
l’opera è divisa in pezzi, definiti dal numero dei cantanti che vi prendono
parte (arie, duetti, terzetti etc.). Si distinguono le sezioni cantabili,
realizzate in versi di vario tipo organizzati in strutture strofiche (versi
lirici), da quelle che verranno composte in stile recitativo e per le quali
viene utilizzata una libera alternanza di endecasillabi e settenari (versi
sciolti). I recitativi secchi vengono sostituiti dai recitativi strumentati. La
distribuzione dei pezzi nell’opera è determinata in parte, come nel
Settecento, dalle “convenienze”, cioè dalla relativa importanza dei
personaggi ossia dei cantanti che li interpretavano.
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L’organizzazione
formale del melodramma si fonda sull’alternarsi di grandi blocchi o
numeri musicali funzionali al discorso drammatico, ognuno dei quali è
costituito da più sezioni di forme in sé conchiuse, abbastanza differenziate
tra loro per il tempo, la tonalità, i caratteri stilistico-musicali e l’organico
vocale. È un tipo di organizzazione le cui origini storiche sono
evidentemente nel finale d’opera buffa di vaste proporzioni, in cui il
discorso musicale asseconda l’incalzare del dialogo e degli eventi, con
una strumentazione pensata in funzione di contorno o di sostegno alla
linea del canto. Ciascun numero musicale è costruito secondo uno stesso
modello che non ha subito trasformazioni, al di là delle infinite variazioni
e dilatazioni, da Rossini fino al 1870 circa. Rossini, però, non fu
l’inventore, bensì il codificatore dei principi formali che delinearono
l’opera italiana del XIX secolo. Questi meccanismi furono elaborati poco
alla volta da compositori attivi nel periodo a cavallo tra Sette-Ottocento.
All’interno di ciascun numero musicale si alternano sezioni cinetiche in
7
Fabrizio Della Seta, Italia e Francia nell’Ottocento cit., pp. 73-74.
8
Ivi, pp. 69-70.
10
cui l’azione procede in modo dinamico e sezioni statiche in cui l’azione
rallenta o ristagna, articolate di solito in quattro tempi diversi. Ecco lo
schema base di tali pezzi:
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Gran duetto Aria/Cavatina Finale intermedio
Scena[versi Scena[versi [coro, balletto, scena,
sciolti, recitativo] sciolti, recitativo] aria, duetto, marcia, ecc.]
sez. cinetica 1. Tempo d’attacco ______________ Tempo d’attacco
sez. statica 2. Adagio/Cantabile Adagio/Cantabile Pezzo concertato/Largo
sez. cinetica 3. Tempo di mezzo Tempo di mezzo Tempo di mezzo
sez. statica 4. Cabaletta Cabaletta Stretta
La scena imposta la situazione emotiva che precede il pezzo chiuso. Al
suo interno si possono trovare momenti statici di contemplazione e
momenti dinamici d’azione.
Nel tempo d’attacco avviene lo scontro dialettico tra i personaggi, talvolta
in stile detto “parlante” (le voci procedono sillabando), su un movimento
continuo dell’orchestra, che conducono ad un culmine sentimentale. La
conclusione di questa sezione avviene con un “colpo di scena” che muta
la situazione drammatica.
L’adagio/cantabile è il momento in cui trova sfogo l’acme affettivo, come
reazione al colpo di scena precedente. L’azione drammatica è sospesa, e i
personaggi restano immobili in gesti e pose statuarie.
Il tempo di mezzo è sullo stile del tempo d’attacco: il tempo riprende a
scorrere e l’azione ritorna dinamica. Nei concertati può esservi l’entrata di
un nuovo personaggio.
La cabaletta è la sezione conclusiva in tempo mosso, in cui si sfoga la
nuova situazione.
9
Elvidio Surian, Manuale di storia della musica, vol. IV, Milano, Rugginenti, 1992-1993, pp. 748-749.