2
Se si considera l’evoluzione giuridico-istituzionale della gestione
del commercio internazionale, non si può non ricordare l’istituzione
del GATT
2
nel 1947. Questo accordo è stato permeato da una logica
liberoscambista finalizzata sia ad abbattere ogni forma di
protezionismo sia a tutelare le discriminazioni commerciali a favore
della multilateralità negli scambi.
Poco più di dieci anni or sono, precisamente nel 1995, è avvenuta
la trasformazione del GATT in WTO
3
(World Trade Organization);
quest’ultimo dotato di più efficaci strumenti di controllo del
commercio planetario e perciò maggiormente aggregativi.
Ben 147 paesi aderiscono al WTO e tra questi ovviamente tutti i
grandi esportatori del mondo. L’organizzazione internazionale del
commercio non sempre è garante di solidarietà ed equità nel rapporto
che si stabilisce tra paesi produttori di diverso livello di sviluppo
economico. E’ un dato di fatto che, da oltre sessanta anni cioè dalla
prima regolamentazione del commercio planetario, permangono
posizioni di debolezza contrattuale per i tanti paesi poveri del Sud del
mondo. Da questa constatazione si è fatta progressivamente strada, per
iniziativa di alcuni pionieri, l’idea di un commercio che fosse meno
iniquo ed anzi giusto e rispettoso delle varie parti contraenti lo
scambio.
2
General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio,
meglio conosciuto come GATT) è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra
(Svizzera) da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali
con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale.
3
L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), meglio conosciuta con il nome inglese
World Trade Organization (WTO), è un'organizzazione internazionale creata allo scopo di
supervisionare numerosi accordi commerciali tra i 150 stati membri. con l’obiettivo di ridurre o
eliminare le barriere tariffarie al commercio internazionale
3
Con questi presupposti si è esposto nel primo capitolo i tratti
salienti, nonché le caratteristiche del Commercio Equo e solidale,
presentandolo come possibile esempio di una economia alternativa.
Il Commercio Equo-solidale si basa su criteri e valori che si
contrappongono all’economia dominante, offrendo ai produttori
svantaggiati una possibilità dignitosa di sviluppo economico e di
progresso sociale. Esso risponde a un bisogno di eticità oggi piuttosto
diffuso nella nostra società, come reazione alle ingiustizie, alle
incertezze e alle problematicità dell’attuale situazione internazionale.
Vengono, comunque, presi in considerazione anche gli effetti della
globalizzazione, nelle sue contraddizioni e nelle disuguaglianze che
spesso contribuiscono ad aggravare il sistema economico.
In seguito sono stati considerati i criteri e i principi che sono alla
base di questa situazione emergente; la ricerca, infatti, si è focalizzata
sull’affermazione del commercio equo-solidale in Umbria e sugli esiti
della manifestazione “Altrocioccolato”. Questo per dare concretezza
di attenzione ai principi sia dell’infanzia sia dei lavoratori prendendo
in considerazione la serie di iniziative che pur puntiformi e legate al
contesto locale, ma non per questo sporadiche o occasionali, sono
state realizzate dall’associazione”Moninbò” la quale porta avanti il
discorso del commercio equo a Perugia e in Umbria.
Nel secondo capitolo l’attenzione si è soffermata sull’operato e
sulla riflessione condotta dai padri del commercio equo-solidale in
Europa: Frans der Hoff e Nico Roozen.
La loro storia, le loro scelte di vita e il loro incontro hanno
determinato la nascita di questo nuovo progetto economico volto a
realizzare il sogno di piegare le regole del commercio tradizionale e a
4
dare “voce” agli ultimi, ossia a coloro che sono sistematicamente
esclusi.”
4
Il terzo capitolo è dedicato: ai problemi dell’infanzia, in quanto
profondamente coinvolta nei sistemi di produzione attuati dalle
multinazionali nei paesi in via di sviluppo; e al lungo cammino, anche
impegnativo, che è stato compiuto per permettere il riconoscimento
dei suoi diritti.
Per molto tempo, infatti ha dominato l’idea che il bambino fosse
semplicemente un uomo di formato ridotto e che l’infanzia dovesse
essere ritenuta un breve periodo di transizione che passava presto e
della quale si perdeva il ricordo
5
. Questa visione così dura e riduttiva
dell’infanzia si è perpetrata a lungo, parimenti viene presa in
considerazione la violazione dei diritti d’infanzia, lo sfruttamento del
lavoro minorile, l’abbandono scolastico e tutto ciò ha dei risvolti
drammatici come la violenza e i danni psicofisici sul bambino; piaghe
ancora assai diffuse in molti paesi e non solo in quelli in via di
sviluppo.
In tal senso si fa riferimento al Dossier prodotto da Michel
Larouche, direttore di Save The Children, in cui viene descritto lo
sfruttamento che avviene in alcuni paesi dell’Africa: in Costa
d’Avorio, ad esempio, c’è una forte migrazione dai paesi confinanti,
Burkina Faso e Mali, dove avviene l’impiego di manodopera infantile.
Ciò dipende dal fatto che questo paese, essendo il primo produttore di
cacao al mondo, necessita fortemente di manodopera e le condizioni
di molte famiglie sono di estrema povertà, spesso indebitate
alimentano il lavoro minorile; forma di abuso sull’infanzia.
4
F. Der Hoff ”Faremo migliore il mondo”. Milano, 2005, Mondatori, pp.12-13
5
P.Ariès, “Padri e figli nell’Europa medievale e moderna”, Bari,1985, Laterza pp.33-34
5
Queste sono le ragioni principali che hanno determinato le
condizioni per un lavoro entusiasmante supportato dalla personale
esperienza condotta all’interno della Bottega Monimbò
6
. Ciò
costituisce l’argomento dell’ultimo e conclusivo, nonché quarto
capitolo redatto anche attingendo alla personale esperienza condotta in
questa struttura per espletare il tirocinio formativo. La collaborazione
con la Bottega Monimbò mi ha fornito la possibilità di avere maggiore
conoscenza delle potenzialità sottese al progetto economico
alternativo e di riflettere sulle proposte concrete riguardo alle modalità
per combattere il lavoro minorile.
6
E’ il nome di un quartiere di Masaya, città del Nicaragua che ebbe un ruolo centrale durante la
rivoluzione sandinista, ma è anche il nome di un movimento di indigeni che, attraverso
l'associazione di Artigiani di Monimbò, coordina la produzione e la commercializzazione dei
prodotti di cooperative e gruppi associati.
6
PREMESSA: GLOBALIZZAZIONE E SQUILIBRI
FRA NORD E SUD DEL MONDO
Per comprendere il fenomeno del commercio equo-solidale
bisogna considerare il contesto in cui tale fenomeno è nato e si è
sviluppato, ovvero il mondo contemporaneo: un mondo in cui a una
progressiva crescita della ricchezza complessiva si accompagnano, a
causa della distribuzione diversificata di essa, crescenti disuguaglianze
tra i paesi sviluppati del nord e i paesi del sud del mondo, cioè quei
paesi che si trovano in una grave situazione di svantaggio dal punto di
vista dello sviluppo economico e sociale.“Nel 1973 il rapporto ONU
7
sul debito globale dei paesi ricchi e quello dei poveri evidenziava che
esso era di 44 a 1; oggi è di 74 a 1. L’85 % di tutta la ricchezza
monetaria prodotta nel pianeta è controllato dal 20% più ricco di
esso.”
8
Secondo i dati forniti dal Rapporto sullo Sviluppo Umano
2003, a dispetto della crescita economica mondiale degli anni novanta,
in questo decennio 54 paesi in via di sviluppo hanno registrato una
riduzione del proprio reddito medio. La Banca Mondiale dichiara, nel
suo rapporto di fine millennio, che nel decennio conclusivo del XX
secolo si è determinata una diminuzione della povertà, accompagnata
però, da un’accentuazione della stessa in alcune zone, tra quest’ultima
rientra ad esempio l’Africa subsahariana, dove i poveri sono aumentati
7
Organizzazione delle Nazioni Unite
8
F.Boggio,G.Dematteis(a cura di) Geografia dello sviluppo.Diversità e disuguaglianza nel
rapporto Nord-Sud,Torino Utet 2002 pp5-21
7
da 240 milioni a 300 milioni e l’America Latina (da 74 a 77 milioni).
Svariati autori ritengono che le cause di tale disuguaglianze siano
individuabili nel processo di globalizzazione che è in atto nel nostro
pianeta. Per questa ragione il termine globalizzazione, di origine
anglosassone, è uno dei più dibattuti del nostro tempo: si pone al
centro di analisi di tipo economico, politico e sociologico, nonché di
discussioni che vedono contrapposti i suoi convinti sostenitori e i suoi
accaniti detrattori. Tutti i partecipanti al dibattito concordano altresì
sulla necessità di operare per ridurre il forte squilibrio esistente tra
Nord e Sud, sia per l’aspirazione a una maggiore equità sociale, sia
per scongiurare il pericolo di tensioni politiche tra paesi ricchi e paesi
poveri
9
.L’OCSE
10
ha definito la globalizzazione come un “processo
attraverso cui mercati e produzioni nei diversi paesi diventano sempre
più dipendenti tra loro, a causa della dinamica di scambio di beni e
servizi e attraverso i movimenti di capitale e tecnologia”
11
Fra i vari
paesi del mondo si è sviluppata dunque, e si sta tuttora sviluppando, in
un processo considerato irreversibile da diversi teorici, una crescente
interdipendenza, una integrazione economica, ma anche politica e
socio-culturale. Tale integrazione è determinata dal progresso
tecnologico, il quale ha reso possibile la velocizzazione e la riduzione
dei costi delle comunicazioni e dei trasporti; è, inoltre, sollecitata e
diffusa dall’eliminazione delle barriere artificiali al commercio
internazionali e alla circolazione di merci di capitali, informazioni,
persone, servizi e conoscenze.
9
G. LAFAY, Capire la globalizzazione, Bologna, il Mulino, 1998
10
Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, fondata nel 1960 e operativa dal
1961, ha sede a Parigi, e riunisce 30 nazioni industrializzate. All’interno dell’OCSE vengono
concertate le politiche economiche e sociali dei paesi membri, il cui orientamento è
fondamentalmente liberista.
11
Tonino Perna, Fair Trade – La sfida etica al mercato mondiale, Torino, Bollati Boringhieri,
1998, p.19