3
analizzare la lingua delle cronache calcistiche fingendo di ignorare l'esistenza e le origini del gioco
del calcio.
Ci è pertanto sembrato opportuno premettere un capitolo introduttivo di carattere storico,
senza voler pretendere di apportare novità a quanto già scritto in merito, facendolo poi seguire da
un appendice contenente le diciassette regole di gioco. In secondo luogo si è proceduto ad
individuare alcuni aspetti storico-linguistici direttamente connessi, anche se in termini generali, alla
"questione della lingua", vuoi accennando alle prese di posizione dei più illustri studiosi dell'epoca
presa in esame, concernenti i rapporti tra la lingua italiana e le lingue straniere, vuoi cercando di
individuare i canali di diffusione degli anglicismi legati al mondo del calcio. Infine si è cercato di
individuare concretamente, traendo "la materia grezza" dalle cronache calcistiche della Gazzetta
dello Sport, gli influssi inglesi nei resoconti del giornale milanese. La scelta della testata meneghina
è stata fatta in base a due criteri: da un lato la Gazzetta dello Sport è nata proprio negli anni in cui il
football andava diffondendosi in Italia; in secondo luogo si è voluto seguire un "filo di continuità",
una sola "linea editoriale" in grado di mostrare i graduali cambiamenti della lingua senza dovere
"procedere a sbalzi".
4
CAPITOLO PRIMO
IL CALCIO NELLA STORIA
1.a GLI ANTENATI DEL FOOTBALL
Ogni mitografia sportiva nazionale vanta presunte primogeniture che ricollegano gli sport
moderni agli antichi giochi. Così è sempre accaduto, per esempio, per lo sport più popolare del
mondo: il football. Per i francesi discenderebbe dalla soule; gli italiani lo fanno derivare dal calcio
fiorentino o, con maggior fantasia, ritengono che le truppe di Giulio Cesare abbiano esportato in
Gran Bretagna l'harpastum, che nei secoli si sarebbe trasformato nell'attuale professione del
calciatore. Gli svizzeri, a loro volta, sostengono che il più lontano progenitore del football è
l'hornusse, una loro antica pratica ludica. Per i giapponesi infine il football discenderebbe dal
kemari.
Il gioco - e ancor più la sua più aggiornata versione, lo sport - è sempre stato depositario di
radicati orgogli nazionalistici(
2
). Lo storico olandese Johan Huizinga sosteneva , nella sua tesi
concernente la preesistenza dell'homo ludens rispetto all'homo faber, che l'origine del fenomeno
sportivo va ricercata nell'origine stessa della specie umana(
3
). A questa stregua i mitologici rilanci
di palla di Nausicaa o i rinvenimenti sulla civiltà ludica precolombiana sono stati, spesso e
disinvoltamente, presentati come altrettante primogeniture arcaiche del fenomeno sportivo.
Con tutta evidenza ad accreditare questi luoghi comuni ha contribuito anche una certa
agiografia sull'olimpismo, nel tentativo di stabilire suggestivi richiami fra i ludi della Grecia
classica e le moderne Olimpiadi, nate nel 1896 su sollecitazione del barone francese Pierre De
Coubertin.
Tuttavia a De Coubertin, che evocava Olimpia come un mito romantico, non sfuggiva
certamente il fatto che gli sport moderni hanno un origine più recente le cui radici affondano non
già nella notte dei secoli ma nell'Inghilterra vittoriana della seconda metà dell'Ottocento. Anzi, era
stato proprio quello spirito di novità e di modernità, figlio del XIX secolo e che permeava gli sport
(
2
) S. Pivato, L'era dello Sport, Giunti-Casterman, Firenze 1994, pp. 9-10.
(
3
) J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1973, p. XXXI.
5
inglesi, ad affascinare il barone francese al punto da farsi promotore della loro universalizzazione
attraverso l'idea olimpica.
Per capire l'attrazione che il modello sportivo britannico esercitò sul padre delle moderne
Olimpiadi occorre però comprendere alcune differenze che separano i giochi tradizionali dallo sport
modernamente inteso(
4
). Giacché se è fuor di dubbio che anche in epoche remote e presso ogni
civiltà fossero diffuse pratiche ludiche, il fenomeno sportivo ha una datazione più recente.
Un rapido esame dei cosiddetti giochi tradizionali, precursori del football, oggi in gran parte
scomparsi o relegati a fenomeni folcloristici in quasi tutte le realtà nazionali, mostra come fossero
quasi sempre caratterizzati da alcuni elementi comuni, a cominciare da un diffuso esercizio della
violenza e della forza bruta.
In tutta l'Europa già a partire dal Medio Evo tra le forme di spettacolo certamente più popolari
v'erano le contese fra animali(
5
). I combattimenti fra galli, orsi, cani o fra animali di diversa specie
costituivano passatempi che richiamavano folle acclamanti ed eccitate. Ancora maggiore
partecipazione, accresciuta dalle scommesse che gravitavano attorno a quelle contese, suscitavano i
combattimenti all'ultimo sangue fra tori e cani diffusi anche in Italia fino ai primi dell'Ottocento.
Il ricorso alla violenza nei giochi precedenti l'era dello sport, del resto, non riguarda solo le
contese fra animali ma coinvolge anche gli uomini. Non è comunque necessario risalire all'antica
Grecia per registrare la forte dose di aggressività che animava i giochi precedenti l'era dello sport.
Nell'età moderna, in passatempi all'apparenza più innocui come quelli della palla, la carica di
violenza è infatti una costante del gioco(
6
). Tale dose di violenza ed il legame del gioco con la palla
aveva con la feccia della società sono stati in un modo o nell'altro registrati in documenti ufficiali o
in pagine di letteratura già a partire dal Medio Evo.
Per quanto concerne il mondo inglese, si sa che già nel Medio Evo veniva praticata un'attività,
che consisteva appunto nel calciare una palla, il cui nome era "fot-bal"(
7
). Nel 1409 la voce che
(
4
) S. Pivato, Op. cit., p. 11.
(
5
) Ibidem, pp.11-12
(
6
) R. Holt, Sport and the British, Oxford 1989, p. 28.
(
7
) Def. (a) "a game in which the players kicked a ball [the original of soccer, Rugby, American football, etc.]", Middle
English Dictionary, University of Michigan Press, Ann Arbor 1952, p. 289, vol. E and F.
6
denomina tale attività viene registrata nella forma "foteballe"(
8
). Tuttavia non passeranno molti anni
e il football si farà conoscere anche per alcune note tutt'altro che positive che lo accompagneranno
spesso nel corso dei secoli fino ai nostri giorni. Attorno al 1425 viene promulgato un codice di leggi
che vieta la pratica di alcuni giochi, fuorché durante il periodo natalizio, tra i quali il football,
accompagnato nella lista di proscrizione dal tennis, dalle carte e dai dadi(
9
). Proprio in virtù della
violenza, che sempre accompagnava il football sin dalla sua comparsa in documenti ufficiali, un
decreto regio di Giacomo I di Scozia cercò di "placare gli animi", per mettere fine a tale violenza,
pena un'ammenda pecuniaria.(
10
) Nel XVI secolo, più precisamente nel 1531, Sir Thomas Elyot ci
conferma che il football non gode di ottima fama, tant'è vero che nel "Gouernour" esprime tutto il
suo disgusto per il "Foote balle, wherin is nothinge but beastly furie and exstreme violence"(
11
).
Anche in Shakespeare, che pure portava sulle scene personaggi di estrazione sociale alquanto
promiscua e che certo non si faceva scrupoli nell'adoperare un linguaggio molto "colorito", nel
celebre capolavoro "King Lear", il re stesso e il conte di Kent assaltano Osvaldo con le più violenti
ingiurie, concluse, quasi a definitiva infamia, con un "abbietto giocatore di football"(
12
). Nel 1586
Philip Stubbes annota con la sua livida penna come alcune persone "spend the Sabaoth
day..in..foot-ball playing, and such other deuilish pastimes"(
13
). Il primo autore che annovera il
football, senza far riferimento alcuno alla violenza che esso comportava fu Robert Greene, che nel
1589 ci offre un'immagine inconsueta, in quanto, a differenza di molti scrittori contemporanei,
iscrive il tanto denigrato vocabolo in una pagina di raffinata poesia(
14
). Persino Izaak Walton nel
suo Compleat Angler correla il termine football ad aggettivi di dubbia raffinatezza stilistica(
15
).
(
8
) Memorials of London and London life, ed. H. T. Riley. 571: [ The games called ] foteballe [ and ] cokthresshyng,
ibidem.
(
9
) F. W. Willmore, A history of Walsall and its neighborhood: 166: "Unlawefull games, except in Cristemas, as dyce,
cardes, tenes, foteball" (?c1425), 1867, ibidem.
(
10
) "The king forbiddes at na man play at e fut ball vnder e payne of iiijd." 1424 Scottish Acts James, ibidem.
(
11
) Sir Thomas Elyot, The boke named the gouernour, J.M. Dent & Sons Ltd., London 1962, p. 92.
(
12
) Ste."Ile not be strucken, my Lord". Kent. "Nor tript neither, you base foot-ball plaier", W. Shakespeare, King Lear,
I. IV. 95, 1605.
(
13
) P. Stubbes, The anatomie of abuses, I. (1879) 137, 1583, in OED, vol. VI, p. 18.
(
14
) "At foote ball sport, thou shalt my champion be", R. Greene, Menaphon Works (Grosart) VI. 137, 1589, ibidem.
(
15
) "Where, for some sturdy foot-ball Swain, Jone strokes a Sillibub or twaine", I. Walton, The compleat angler, .M.
Dent & Sons Ltd., London 1958, p. 42.
7
Una cronaca seicentesca ci informa poi che l'hurlinge to the countrie ("palla attraverso la
campagna"), praticato in Cornovaglia, era un gioco nel quale i contendenti "cominciano a correre
per colline, valli, siepi, fossati e, attraverso cespugli, roveti, paludi, acquitrini e fiumi; così a volte si
vedono venti o trenta hurlers che si gettano nell'acqua, accapigliandosi e graffiandosi per la
palla"(
16
). In queste contese, concludeva il cronista, si vedono i giocatori "tornare a casa come se
rientrassero da una campagna campale, con le teste sanguinanti, le ossa rotte e slogate e con lividi
tali da abbreviarne i giorni"(
17
).
Ancora all'inizio dell'Ottocento, d'altra parte, i giochi popolari britannici si concludevano
spesso in risse feroci, ben lontane dal fair play della moderna sportività. Nei colleges di Eton, di
Harrow o di Westminster la fase più spettacolare e apprezzata dei giochi di palla era un tipo di
mischia furiosa in cui ogni colpo all'avversario veniva considerato lecito.
Anche negli altri Paesi europei i giochi erano spesso improntati alla violenza. Così in Francia,
nella soule era consentito ogni colpo all'avversario: mischie furibonde costituivano la norma, al
punto che, riferiscono alcune cronache, spesso i giocatori finivano la partita "feriti e
sanguinanti"(
18
). La soule era una palla o un pallone di legno oppure, a seconda delle diverse
regioni, di cuoio riempito di fieno, segatura, borragine o gonfiato d'aria. Il pallone veniva spinto con
i piedi o con i pugni, qualche volta con l'aiuto di bastoni ricurvi. In molti luoghi, comunque si
usavano molto i piedi. Nei tempi antichi il gioco era regolamentato in modo meno scientifico e
minuzioso di quanto non accada oggi. Le due squadre avevano ciascuna una mèta o un campo da
difendere o da attaccare; lo scopo del gioco era quello di far penetrare il pallone nel campo
avversario oppure di fargli raggiungere la mèta opposta con qualunque mezzo a disposizione:
calciandolo, colpendolo con le mani, con una corsa.
Campi e mète erano di tipo diverso e potevano variare da luogo a luogo, anche se di norma
restavano sempre gli stessi in ogni paese.
(
16
) S. Jacomuzzi, Gli Sport, 2^ vol., UTET, Torino 1964-5, pp. 225 e seg.
(
17
) S. Pivato, Op. cit., p. 12.
(
18
) Ibidem.
8
Si trattava infatti di un gioco antico e classico, di cui bisognava conservare le tradizioni: un
muro, il limite di un campo, la porta di una chiesa, una riga tracciata per terra, spesso uno stagno in
cui bisognava gettare o impedire che fosse gettata, la soule.
Nella soule non c'era né un numero prestabilito di giocatori, né confini del campo, né limiti di
tempo per partite che potevano coinvolgere centinaia di contendenti e durare l'intero arco della
giornata. L'oggetto stesso della contesa, la palla, poteva essere dei materiali più diversi e variare di
dimensioni. Quando poi esistevano delle regole, queste cambiavano spesso da regione a regione e
perfino da villaggio a villaggio(
19
).
Le stesse differenze si notano del resto nel gioco classico degli italiani: quello del pallone. Le
misure del campo di gara di questo gioco di origine rinascimentale erano infatti assai variabili: si
adattavano sia alle sale dei palazzi nobiliari, dove il pallone era praticato dagli aristocratici, sia alle
dimensioni della piazza, dove era giocato da borghesi e popolani, sia, infine, all'architettura delle
mura cittadine quando le partite si svolgevano fuori dai centri urbani. Anche quando il gioco si
doterà, a partire dal primo Ottocento, di spazi propri (gli sferisteri) continuerà a mantenere non
poche difformità. Diversi rimarranno, per esempio, il diametro della palla (il pallone piccolo
piemontese e quello grosso toscano) e in certi casi il peso del bracciale, l'attrezzo che serviva a
colpire la palla. Così come mutevoli erano le modalità di svolgimento del gioco e il numero dei
giocatori che componevano le due squadre: da tre a quattro, a seconda dei casi(
20
).
Le stesse diversità si riscontrano del resto anche nella pelota, uno dei giochi tradizionali della
penisola iberica. Originaria delle valli dei monti Cantabrici e dei Pirenei, la pelota divenne una sorta
di simbolo della identità dei Paesi baschi e l'emigrazione di quelle popolazioni la rese popolare,
durante l'Ottocento, in Argentina, in Belgio, nella Francia meridionale e, a partire dall'inizio del
Novecento, anche in Italia. Peregrinazioni in cui la pelota subì alcune varianti, come quelle per
citare le più note, del rebot(
21
) e del trinquete(
22
).
(
19
) Ibidem, pp. 13-14.
(
20
) Ibidem.
(
21
) Ibidem, p. 15.
(
22
) S. Jacomuzzi, Gli sport, vol. II, Torino 1965, p.650ss..
9
Anche fuori d'Europa peraltro i giochi tradizionali sembrano obbedire all'unica regola di non
avere regole predeterminate. E' il caso del gioco nazionale canadese, il lacrosse che si giocava, ma
va ricordato si gioca tuttora, con una mazza arcuata suula quale veniva tesa una rete per colpire la
palla. Non esistevano limiti precisi del campo di gara, né era stabilito il numero dei giocatori(
23
).
1.b. IL CALCIO FIORENTINO: L'ANTENATO PIÙ' NOBILE DEL FOOTBALL?(
24
)
Il calcio storico fiorentino, chiamato pure Calcio in livrea, ha delle origini antichissime.
Deriva infatti da un gioco praticato prima in Grecia(Sferromachia), e successivamente dai romani
(l'Arpasto).
Che il calcio, propriamente nel nome, nascesse in Firenze è sostenuto nell'attendibile Dizionario
della Crusca: "E' il calcio nome di un gioco, proprio ed antico della città di Firenze, a guisa di
battaglia ordinata, con una palla a vento, rassomigliantesi alla sferromachia, passato da' Greci a
Latini e dà Latini a noi."
A tutt'oggi tale Calcio, col suo campo ricoperto di rena, con lo schieramento ed i movimenti dei
suoi partecipanti, seppur con le debite proporzioni, ricorda l'ordine di combattimento dei legionari
romani suddivisi in tre schiere: astati, principi, triarii.
Nel calcio fiorentino queste tre linee sono rappresentate dagli Innanzi, dagli Sconciatori e dai
Datori Innanzi.
Poichè da principio, oltre allo spirito combattivo ed alla costituzione atletica era indispensabile
appartenere alla nobiltà, i rampolli delle nobili famiglie di Firenze facevano a gara per
partecipare a queste partite.
Così, con particolari ed eleganti vesti scendevano in campo sotto gli sguardi, compiaciuti, delle più
belle dame.
(
23
) "Lacrosse is the oldest sport in North America. It was originally played by Native Americans in what is now
northern New York and Canada. Called baggataway (little brother of war), the tribal game was on a much larger scale.
It was played by hundreds of players, games often lasted several days and goals were placed up to 15 miles apart.
French missionaries thought the shaped stick resembled a bishop's crozier (la crosse) and that became the popular name
for the game". B. Broido, Book of rules, Spalding, Indianapolis 1993, p. 186.
(
24
) Per questa citazione mi riferisco a La bottega del pallone, Luigi Capasso Editore, Roma, Anno 1 Maggio /Giugno
1994, pp. 12-15.
10
Molti illustri personaggi, anche non fiorentini, vollero avere l'onore, di partecipare al Calcio in
livrea.
Qualche nome? Il figlio di Lorenzo il Magnifico, Piero de' Medici; Cosimo I e Cosimo II,
granduchi di Toscana, Vincenzo duca di Mantova, Enrico principe di Condè e tanti altri.
Anche tre futuri pontefici parteciparono alla contesa:Giulio e Alessandro de' Medici,
rispettivamente Clemente VII e Leone IX, Maffeo Barberini che fu più tardi Urbano VIII.
Nell'antica Firenze il Calcio si giocava nel periodo di carnevale, ma ogni occasione di particolari
festeggiamenti e ricorrenze era buona per cimentarsi nel gioco. Fra le innumerevoli partite
giocate, la più famosa fu quella del 17 febbraio del 1530.
Si svolse durante l'assedio della città da parte dell'esercito di Carlo V, che di fatto culminò la fine
della Repubblica e l'inizio del Principato mediceo.
In quell'occasione, fra le squadre dei Bianchi e dei Verdi, si giocò al Calcio in Piazza Santa Croce,
un po' per non interrompere una radicata usanza del periodo di carnevale, un pò come gesto di
sfida verso i nemici accampati sulle colline lì intorno.
10 Gennaio 1490 - L'eccezionale freddo di quell'anno fece gelare l'Arno in modo tale che si volle
giocare al calcio sul fiume ghiacciato, fra il ponte alla Carraia ed il ponte a Santa Trinita.
29 Luglio e 2 Agosto 1558 - Rispettivamente in Piazza Santa Croce ed in Piazza Santa Maria
Novella, si volle festeggiare con due partite il matrimonio di Leonora figlia di Cosimo I de' Medici
con Alfonso d'Este, figlio del Duca di Ferrara.
19 Aprile 1584 - Vincenzo Gonzaga, Duca di Mantova, seguito da diversi nobili mantovani, volle
partecipare al calcio organizzato per festeggiare le sue nozze con Eleonora dè Medici, figlia di
Francesco I
7 e 17 Febbraio 1585 - Sulla Piazza di Santa Maria Novella, si giocarono le partite in queste date
per brindare le nozze di Virginia de' Medici, figlia del granduca Cosimo I, con Cesare d'Este, duca
di Ferrara.
4 Maggio 1589 - Piazza Santa Croce vide lo spettacolo del calcio fra i festeggiamenti in onore del
granduca Ferdinando I de' Medici, sposatosi con Cristina di Lorena.
11
Carnevale 1616 - Le celebrazioni in onore di Caterina de' Medici, sorella di Cosimo III, andata
sposa a Ferdinando Gonzaga duca di Mantova, videro un'accanita partita di calcio in livrea.
26 Febbraio 1672 - L'incontro venne disputato nella bella Villa Salviati, situata presso il ponte
della Badia, fuori Firenze.
10 Marzo 1674 - Ricordando l'ottima riuscita del calcio giocato due anni prima, fu decisa un'altra
partita nella villa del duca Salviati.
20 Febbraio 1688 - La piazza di Santa Croce vide ancora una disputa per festeggiare il matrimonio
di Ferdinando de' Medici con la principessa Violante di Baviera.
Ricordato anche il calcio giocato all'estero, e precisamente a Lione nel 1575, quando i fiorentini
dimoranti nella città francese vollero onorare il re Arrigo di Polonia.
Il calcio in costume rinacque nel 1930 ad opera di appassionati cultori di memorie cittadine, dopo
un'interruzione di circa due secoli dovuta all'ammodernamento e alla vivibilità intorno alla Piazza
Santa Croce, dove si giocava.
Su questa Piazza, anzi, si può ancora vedere, murato nella facciata dell'affrescato Palazzo
Antellesi, un marmo con un pallone colorato al centro e intorno la scritta: Allì X di Febbraio
MDLXV.
Appunto dal 1930, tranne il periodo bellico, si svolge annualmente lo storico gioco suddiviso in tre
partite delle quali la prima, fino a pochi anni fa, si giocava nel verde scenario del giardino di
Boboli e le altre due in Piazza della Signoria. Attualmente tutte e tre vengono disputate in
quest'ultima.
La città è divisa in quattro parti dette quartieri. Ognuno di essi prende il nome dalla Chiesa
principale della propria circoscrizione. In occasione della partita, vengono innalzate, sulla piazza,
delle tribune per gli spettatori che delimitano un amoio rettangolo di metri 80 x 40, diligentemente
ricoperto da uno spessore di circa venti centimetri di rena.
Ai lati di fondo si trova una palizzata estesa per tutta la larghezza del campo, ricoperta da un
drappo rosso, sulla quale si apre una rete di ottanta centimetri di altezza per consentire la
segnatura della "caccia" (il moderno gol).
12
Dopo il giuramento di rito sulla spada del Maestro di Campo da parte dei due capitani delle due
squadre in gara, il pallaio lancia in aria il pallone al centro del campo e da quel momento
cinquantaquattro atleti, divisi in due squadre di ventisette ciascuna, si contendono accanitamente
la sfera per tutti i sessanta minuti della durata del gioco.
Ogni volta che si segna la "caccia", la palla deve entrare nella rete, esplode un colpo di colubrina
e le squadre cambiano campo: i vincitori agitano la propria bandiera, mentre l'alfiere della
squadra perdente la reca avvolta all'asta e rovesciata.
Il risultato viene comunicato agli spettatori per mezzo di bandierine rettangolari in caso di una
caccia, o triangolari quando il punteggio è di mezza caccia
La mezza caccia a favore degli avversari avviene quando il pallone è deviato in corner, al di sopra
della propria rete, degli stessi difensori Datori indietro (portieri), ed anche quando la palla viene
lanciata dagli attaccanti al di sopra anzichè dentro la rete.
Due mezze caccie equivalgono ad una caccia.
E' la regola che la palla deve sempre essere in movimento poichè quando viene trattenuta in
maniera statica dai calcianti, il Giudice Arbitro interviene e la rimette alla battuta al centro del
terreno di gioco.
Se la palla esce dalla linea laterale del campo, si verifica un "fallo" ed in questo caso viene rimessa
in gioco dagli avversari, nel punto dove era uscita.
Un arbitro, coadiuvato da sei segnalinee, dirige la partita, eseguita anche dal Giudice
Commissario che si trova fuori dal campo in posizione elevata dalla quale domina l'intero terreno
di gioco.
Le quattro squadre in lizza nelle tre partite rappresentano i quattro quartieri di Firenze, ed i
giocatori, sul costume cinquecentesco, indossano magliette del colore della propria squadra".
E' interessante notare che questi giochi presentavano caratteristiche in apparenza simili a
quelle dello sport di età contemporanea; alcuni, per esempio, erano strutturati in maniera tutt'altro
che artigianale. In Italia, durante l'Ottocento, il gioco del pallone raggiunse livelli di
"sportivizzazione" molto elevati: i giocatori professionisti guadagnavano cifre paragonabili a quelle
13
dei campioni calcistici dell'età contemporanea; le partite si svolgevano in spazi (gli sferisteri) la cui
funzione anticipa quella svolta dagli stadi dell'era sportiva; il gioco mostrava già manifestazioni,
come il tifo per il grande campione, tipiche del fenomeno sportivo. Inoltre alcuni giochi avevano
regole codificate in statuti e regolamenti e si svolgevano sotto la sorveglianza di giudici e arbitri.
Erano tuttavia fenomeni isolati, che pur nella loro singolarità avevano caratteristiche solo
all'apparenza simili a quelle del fenomeno sportivo contemporaneo che si possono riscontrare nel
football(
25
).
1.c. DAL GIOCO ALLO SPORT
Mentre nell'Europa continentale, fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento prendeva
forma teorica e pratica una corrente di pensiero che marginalizzava ogni attività ludica non
immediatamente finalizzata alla formazione di una coscienza nazionale, in Gran Bretagna invece, ai
primi del XIX secolo, muoveva i primi passi una "riforma" destinata a valorizzare la funzione
educativa del gioco all'aria aperta(
26
).
Furono infatti gli educatori inglesi a farsi promotori di un insieme di norme e codici volti a
regolare e uniformare una serie di giochi preesistenti o a inventarne di nuovi. Presidi e direttori di
collegi, preoccupati per la carica di violenza e di brutalità cui erano improntati i divertimenti dei
loro allievi, iniziarono a considerare il gioco come un potenziale fattore di disciplina e di moralità
27
.
Attorno alla metà dell'Ottocento nei colleges inglesi prese dunque avvio una regolamentazione tesa
a "civilizzare" i giochi tradizionali, a formalizzarli secondo precise norme eliminando gradualmente
il ricorso alla violenza. I giochi di squadra, un tempo occasione di risse violente e scomposte
contese, vennero concepiti come tesi a plasmare lo spirito di gruppo, il senso della solidarietà, della
cooperazione e della disciplina. E in questa prospettiva nella maggioranza dei colleges l'attività
sportiva divenne parte integrante del sistema educativo(
28
).
(
25
) S. Pivato, Op. cit., pp. 15-16.
(
26
) R. Holt, Op. cit., pp. 96-97.
(
27
) Ibidem.
(
28
) Ibidem. p. 80.