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che trova le sue ragioni in un periodo storico cruciale sia per le
concezioni sociali del tempo, sia per l’ordinamento dello Stato.
Il crollo dell’ancien régime seguito all’espansione ideologica
della rivoluzione francese aveva portato una nuova coscienza nel
ceto borghese: esso si rendeva conto del ruolo che poteva e doveva
rivestire in un diverso assetto istituzionale, del fatto che si era
rivelato possibile partecipare attivamente alla gestione del potere.
Ciò avvenne anche per la borghesia italiana, che, intrisa
culturalmente delle idee illuministiche e cosciente della sua forza
economica, spingeva a qualificare in senso riformista, ma per i tempi
addirittura rivoluzionario, la cultura politica del paese. Difatti,
ipotizzare un disegno politico alternativo dove le antiche pretese
assolutistiche venissero limitate se non annullate aveva a quel tempo
un chiaro significato rivoluzionario.
Non essendo questa la sede, non si può che ricordare
brevemente l’importanza decisiva che assunse il “triennio
rivoluzionario” come impulso iniziale del costituzionalismo italiano.
In tale periodo si individuò nella costituzione scritta lo strumento più
adatto a rappresentare la nuova volontà politica; un documento
scritto che sembrava stabilire i contenuti e i limiti di un patto sociale
tra governanti e governati.
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Così, quando il sistema napoleonico crollò, il potere della
borghesia, che aveva trovato espressione nel costituzionalismo
consolare e imperiale e nella razionale organizzazione dei pubblici
poteri, non poté più venire meno.
Il programma della restaurazione si rendeva illusorio già per il
fatto di aver cercato un ritorno totale al precedente sistema,
assegnando alle vecchie dinastie le redini di un’organizzazione che
si era rivelata efficiente e funzionale e che rispecchiava il modo di
essere della nuova società. Mentre venivano ovunque abrogati gli
statuti promulgati durante l’Impero e cadeva anche la costituzione
siciliana del 1812 a base aristocratica ispirata, se non imposta, dagli
inglesi, il potere dinastico, che pure sembrava rafforzato dalla rete di
alleanze europee, non poteva prescindere da un intesa con le altri
componenti della società per condurre efficacemente i complessi
apparati dei diversi Stati.
Nacque in tal modo l’idea di monarchia amministrativa, dove
l’efficienza e la funzionalità del sistema napoleonico veniva
surrogata da una collaborazione tecnica alla gestione del potere, alla
quale partecipava parte della nobiltà, ma soprattutto della borghesia.
Rimaneva però il principio della riserva dinastica sulla conduzione
politica della vita pubblica.
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Ma questo sistema caratterizzato da una netta separazione tra
gestione amministrativa e gestione pubblica dello Stato non poteva
che venire considerata dalla borghesia in breve tempo come fine a
se stessa, priva di agganci con le scelte fondamentali di indirizzo
politico.
Da questo punto di vista può essere inteso il significato dei
moti del 1820-21 a Torino e a Napoli, dove il ceto dirigente
rivoluzionario insorse trovandosi isolato sia dalle chiusure della
nobiltà più reazionaria ad aperture liberali, che dalla scarsa cultura
politica dei ceti più bassi contrari ai cambiamenti. L’intervento
austriaco poté sedare le rivolte, ma non di certo le idee liberali ormai
radicate nella cultura borghese.
Nemmeno l’introduzione di organi consultivi, promossa dal
Metternich alla conferenza di Lubiana del 1821, riuscì a
interrompere il fenomeno. Questi Consigli facevano parte di un
sistema piramidale al vertice del quale erano poste le Consulte di
Stato ed, anche se costituivano una certa innovazione rispetto alle
monarchie amministrative perché permettevano l’esistenza di una
larvata rappresentanza, venivano comunque intese dagli esponenti
liberali come un primo passo verso l’introduzione di una monarchia
rappresentativa a base parlamentare, soprattutto dopo l’introduzione
della carta francese nel 1830.
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In questa situazione si giunse ai moti del 1848 e, quel che più
a noi interessa, alla concessione dello Statuto Albertino in Piemonte.
Infatti, tale carta fu l’unica a sopravvivere e a diventare la
costituzione nonché il baluardo del liberalismo in Italia a seguito
dell’unificazione. Perciò, la ragione per cui verrà incentrata la nostra
attenzione al Piemonte consiste appunto nel fatto che l’ascesa della
borghesia al potere si riflesse nel passaggio da una monarchia
assoluta a una di tipo costituzionale, mutando, tra le altre
modificazioni costituzionali, il modo di ripartire la gestione del
potere esecutivo tra corona e i suoi ministri.
2. Il Consiglio della Corona
2.1 Linee generali del Consiglio della Corona
Nella seconda metà del XIX secolo, grazie alla forte spinta
delle rivoluzioni liberali, andava ad affermarsi in Europa il Consiglio
dei Ministri con una sua fisionomia autonoma e contraddistinto dal
11
Consiglio della Corona, tipico del regime assolutistico, pur
essendone sotto alcuni aspetti una derivazione.
E’ infatti pacifico che i governi di gabinetto abbiano avuto
come predecessori i Consigli della Corona, ma è utile rilevare che
tra i due istituti intercorrono ampie differenze dovute essenzialmente
alla loro diversa posizione negli assetti costituzionali.
Chiave di lettura per comprendere questa dicotomia é il
passaggio da una forma di monarchia assoluta a una di tipo
costituzionale.
Rimanendo sempre in un ambito di categorie astratte e
riprendendo la classica teoria del Montesquieu sulla ripartizione dei
poteri di uno Stato tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario,
troveremo che in una forma di governo assolutistica tutte le
prerogative spettano ad un sovrano come a lui spetta, quindi, il pieno
potere di governare.
Certo esempi di istituti consultivi del re non erano una novità
1
,
ma è con l’affermarsi delle teorie costituzionalistiche e quindi nel
passaggio dal regime assolutistico a quello costituzionale appunto
1
I.SANTANGELO SPOTO, Digesto Vol, XV-2, Voce Ministero-Ministeri,1905, p. 489, il
quale riporta come esempio che, sotto la reggenza di Servio Tullio a Roma, il Senatus come
Consiglio Reale (regium consilium) doveva, conformemente al mos maiorum, essere consultato
dal re, specialmente per gli affari di culto o esteri (da CIC. De Repubblica, II,8). Durante
l’impero di Adriano, invece, il Consilium Principis ebbe una configurazione tale che i suoi
componenti dovevano rispondere alle richieste dell’imperatore in forma scritta e motivata. La
decisione sarebbe stata invece propria dell’imperatore (SVETONIUS, Neronis, 15).
12
che le figure che prima attorniavano il Re acquistano una maggiore
evidenza e anche autonomia.
2.2 Il Corpo consultivo in Inghilterra...
Due esempi emblematici di quanto detto possono essere i
Consigli consultivi dell’Inghilterra e della Francia, le cui ampie
evoluzioni costituzionali hanno indubbiamente creato, nella loro
spinta innovativa, i modelli giuridici basilari che hanno,
successivamente, ispirato gli statuti della prima metà dell’ottocento.
In Inghilterra
2
la corona fu sempre sorretta da un Consiglio
privato (concilium privatum, assidum), il quale ebbe un potere
limitato a consigliare la corona, ma, grazie a un processo lento e
graduale di limitazione dei poteri regi, già sotto Riccardo II (1377-
1399) si emancipò dalla Corte e dal Parlamento, sì che da corpo
deliberativo cominciò a trasformarsi in esecutivo, assumendo una
giurisdizione propria, separata e indipendente; dopo la guerra delle
due Rose (1485) cominciarono gradualmente a svilupparsi le sue
funzioni amministrative e a introdursi formalità per limitare
l’esercizio personale della autorità regia per aumentare quello dei
2
I.SANTANGELO SPOTO, op. cit., 1905, pag 489.
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principali Ministri componenti il Consiglio. Tutto questo portò alla
formazione di un Consiglio di Stato di 41 membri al quale, dopo la
decapitazione di Carlo I e con l’instaurazione della provvisoria
repubblica di Cromwell, fu affidato il Governo dello Stato; infine,
con Guglielmo III (1689-1702) i membri del Privy Council furono
introdotti nel Parlamento e acquistarono la figura di rappresentanti
riconosciuti del Governo e capi della maggioranza parlamentare.
Da questi tratti salienti della storia costituzionale inglese è
possibile notare come l’evoluzione del concilium privatum in un
organo indipendente dell’esecutivo sia avvenuta in un arco
temporale assai ampio, risalente quasi alle origini del regno, e abbia
seguito un processo graduale di trasformazione; fin dalla Magna
Charta del 1205, infatti, l’ordinamento inglese è sempre stato
caratterizzato da una spinta da parte della nobiltà (e in seguito della
borghesia) a limitare i poteri della corona.
2.3 ...e in Francia
Un’altro sviluppo ebbe, invece, l’organo consultivo del re in
Francia. Difatti la storia costituzionale francese ci mostra che
14
durante il periodo assolutistico i Ministri non erano altro che un
corpo consulente, si chiamava infatti Conseil du roi
3
. Fu solo con la
rivoluzione francese e la sospensione di Luigi XVI dalle sue
funzioni che l’Assemblea legislativa decise che i ministri dovessero
formare un Consiglio esecutivo provvisorio e che ogni Ministro, a
turno, per settimana, avrebbe tenuto la presidenza di esso. Da tale
momento si può affermare la cessazione dell’esistenza di un
Consiglio della corona e la nascita di un organo indipendente. Le
vicende seguenti, infine, esclusa la parentesi napoleonica,
caratterizzate dalla creazione delle carte costituzionali del 1814 e del
1830 non svilirono il carattere di corpo collegiale ed esecutivo di
tale istituto.
Al contrario dell’evoluzione storica inglese, in Francia si
assiste a un punto di rottura preciso dato dalla rivoluzione. Questa
sovvertì improvvisamente l’intero ordine costituzionale, cancellando
le istituzioni dell’ancient régime e dando, tra l’altro, un diverso volto
al potere esecutivo
4
.
3
I.SANTANGELO SPOTO, op.cit., 1905, pag 489
4
Per un’esauriente analisi di questo cambiamento: A. SOBOUL, Précis d’historie de la
Révouition franςaise, 1962, Parigi, in cui è riportato che nel votare un articolo della
Costituzione del 1791, la Costituente affermò: “Non c’è in Francia autorità superiore alla
legge”. Da questa premessa, che cancellava definitivamente l’assolutismo, il comitato
costituente limitò i poteri di governo del re, cercando tuttavia di non disarmare il completamente
il sovrano, di fronte alle aspirazioni popolari.